Diritto e Giustizia Amministrativa

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E' inammissibile il ricorso notificato dall'ufficiale giudiziario di un altro distretto

Tar Palermo, sez. III, sentenza del 19 giugno 2013, n. 1339
Data: 
19/06/2013
Tipo di Provvedimento: 
sentenza

"I ricorsi al Consiglio di Stato e al T.A.R. possono essere notificati dagli ufficiali giudiziari solo nell'ambito del mandamento in cui ha sede l'ufficio al quale essi sono addetti, mentre la notificazione (a mezzo posta) al di fuori di tale mandamento può essere effettuata soltanto dagli ufficiali giudiziari aventi sede nella città in cui ha sede l'adito organo di giustizia amministrativa; con conseguente inammissibilità del ricorso notificato a mezzo posta dall'ufficiale giudiziario il cui ufficio non si trovi nella stessa città del T.A.R. adito".

 

N. 01339/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00973/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 973 del 2010, proposto da: 
"*********" Consorzio Cooperativa Sociale, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. *******, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. ******* in Palermo, via ******, 47; 

contro

Comune di Bivona, quale Capofila Distr. Socio-Sanit. 2; 

nei confronti di

Consorzio *********, Coop. Sociale *********Onlus; 

e con l'intervento di

ad opponendum:
Consorzio ******, rappresentato e difeso dall'avv. ********, con domicilio eletto presso la Segreteria del TAR Palermo, via Butera, 6; 

per l'annullamento

- del "verbale di aggiudicazione dell'appalto mediante procedura aperta per il servizio di assistenza domiciliare anziani e persone affette da patologia alzheimer, demenza senile, disabile grave", del 22.02.20010 - 01.03.2010 - 08.03.2010 - 15.03.2010 - 23.03.2010;

- di ogni altro atto ad esso propedeutico e consequenziale;

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 giugno 2013 il dott. Nicola Maisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso notificato in data 24 maggio 2010 e depositato il successivo 7 giugno, il consorzio ricorrente ha impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe articolando le censure di: 1) Violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006 nonché dei principi giurisprudenziali in tema di partecipazione dei consorzi alle gare di appalto; 2)Erronea valutazione del progetto di cui all’art. 6, punto C del capitolato d’oneri per l’appalto del servizio di che trattasi, relativo all’elemento della partecipazione in A.T.S.; Violazione delle disposizioni di cui all’art. 95 del D.P.R. n. 554 del 21.12.1999.

Sostiene parte ricorrente che la commissione di gara avrebbe dovuto escludere sia il consorzio ********* che la Cooperativa Sociale ********, per le errate dichiarazioni rese ai sensi dell’art. 38 del D.Lgs. n. 163/2006, per le carenze della documentazione presentata dal RTI consorzio ******* – ****** Soc. Coop. Sociale, e per la mancanza dei requisiti di partecipazione in capo all’Associazione Onlus Europea Vigili del Fuoco Volontari di Protezione Civile ed all’associazione Sviluppo e Lavoro Onlus; che avrebbe errato nell’attribuire i punteggi dai quali è derivata la graduatoria finale; che l’A.T.S. consorzio ***** – ***** Soc. Coop. Sociale sarebbe formata in modo non conforme alla normativa dettata in materia.

E’ intervenuto in giudizio il consorzio ******* chiedendo il rigetto del ricorso.

Con ordinanza n. 597/2010 questa sezione ha respinto la domanda cautelare proposta in seno al ricorso ed, all’udienza pubblica del 7 giugno 2013, il gravame è stato posto in decisione.

DIRITTO

Come recentemente statuito da questa sezione con la sentenza n. 491/2011 – relativa peraltro ad un gravame concernente la medesima gara oggetto del presente ricorso - ai sensi del combinato disposto degli artt. 106 e 107 del D.P.R. n. 1229/1959, e degli artt. 3 e ss. del R.D. n. 642/1907 (quest’ultimo applicabile nella specie ratione temporis), i ricorsi al Consiglio di Stato e al T.A.R. possono essere notificati dagli ufficiali giudiziari solo nell'ambito del mandamento in cui ha sede l'ufficio al quale essi sono addetti, mentre la notificazione (a mezzo posta) al di fuori di tale mandamento può essere effettuata soltanto dagli ufficiali giudiziari aventi sede nella città in cui ha sede l'adito organo di giustizia amministrativa; con conseguente inammissibilità del ricorso notificato a mezzo posta dall'ufficiale giudiziario il cui ufficio non si trovi nella stessa città del T.A.R. adito (C.g.a. in sede giurisd., 11 maggio 2009, n. 399; T.a.r. Sicilia, III, 27 luglio 2010, n. 8974).

Nel caso in esame, le notifiche sono state effettuate da parte dell’ufficiale giudiziario presso il Tribunale di Agrigento il cui mandamento non ricomprende né il luogo presso i quale tali notifiche andavano operate né quello in cui ha sede il giudice adito; conseguentemente, in applicazione degli artt. 106 e 107 del D.P.R. 15/12/1959 n. 1229 (Consiglio di Stato, Ad. Plen. n. 4 del 26/03/1982), dato che i soggetti intimati non si sono costituiti, non si è correttamente instaurato alcun contraddittorio (cfr. Cass. Civ., sez. un., 23 marzo 2005, n. 6217).

Il presente ricorso è comunque irricevibile.

Nella presente fattispecie trova infatti applicazione, ratione temporis, l’art. 245, comma 2° quinquies, lett. b del D.Lgs. n. 163/2006, come introdotto dall’art. 8, lett. c, del D.Lgs. n. 53/2010, entrato in vigore in data 27 aprile 2010 - seppur successivamente modificato a far data dall’entrata in vigore del c.p.a. – in forza del quale i ricorsi in materia di appalti devono essere depositati entro dieci giorni dalla loro notificazione, termine non rispettato nella presente fattispecie.

Per tale ragione il ricorso deve pertanto essere dichiarato irricevibile.

Nulla per le spese nei confronti dei soggetti intimati non costituiti, mentre possono essere compensate nei confronti dell’interveniente.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza)

Definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 7 giugno 2013 con l'intervento dei magistrati:

Nicolo' Monteleone, Presidente

Nicola Maisano, Consigliere, Estensore

Giuseppe La Greca, Referendario

 

   

 

   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 19/06/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

La realizzazione di opera pubblica su fondo illegittimamente occupato è un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto

Tar Palermo, sez. III, sentenza n. 676 del 25 marzo 2013
Data: 
25/03/2013

“La giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4970) ha più volte chiarito che l'intervenuta realizzazione dell'opera pubblica non fa venire meno l'obbligo dell'amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso. Ciò sulla base di un superamento dell'interpretazione, precedentemente seguita, che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all'irreversibile trasformazione del suolo effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato. Partendo dall'esame della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza 30 maggio 2000, ric. 31524/96, Società Belvedere Alberghiera)…. La realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è, dunque, in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'Amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni. Nella fattispecie, l'Amministrazione non ha esercitato il potere acquisitivo, a sanatoria dell'illecita occupazione del terreno, conferitole dalla legge, dapprima dall'art. 43 del TU delle espropriazioni e successivamente, in seguito all'accertata illegittimità costituzionale della norma recata da tale diposizione, dal vigente art. 42 bis del medesimo testo unico” (T.A.R. Calabria, Sez. II, 20.11.2012, n. 1125)"

 

N. 00676/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00455/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 455 del 2009, proposto da **********, rappresentata e difesa dall'avv. ************, con domicilio eletto presso il suo studio sito in Palermo, via ********* n. 31;

contro

Comune di Partinico, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. **********, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. ********* sito in Palermo, via ******** n. 13;

nei confronti di

********************;

per l'annullamento

della determina n. 2289 del 15 dicembre 2008 del Responsabile del Settore LL.PP. del Comune di Partinico – Arch. ************, notificata il 7.1.2009 con la quale la stessa, nel fare propria la proposta del responsabile del procedimento, Ing. **************, pronuncia l’espropriazione definitiva e permanente degli immobili di proprietà della ricorrente, sig.ra ***********, siti nel territorio di Partinico, catastato al F. 12 – particelle 3469 (ex 691) – 3419 – 3421 (ex 683) estese relativamente mq. 98, mq 440 e mq. 55 e complessivamente mq. 593, perché emanata quando erano già scaduti i termini di pubblica utilità, e di ogni altro provvedimento alla stessa presupposto e conseguente, anche se non conosciuto dalla odierna ricorrente e, conseguentemente previo accertamento del chiesto annullamento;

nonché per l’accertamento in via principale del diritto della ricorrente a chiedere ed ottenere la condanna del Comune di Partinico, in persona del Sindaco p.t., alla restituzione delle aree, previa rimessione in pristino, ed al risarcimento dei danni per l’occupazione illegittima delle aree, e - ove richiesta e disposta dal Comune di Partinico ex art. 43 D.P.R. 347/2011 l’acquisizione delle aree - la condanna dello stesso Comune di Partinico al risarcimento integrale dei danni sia per la perdita e sia per l’occupazione, delle predette aree, in misura peri al loro valore di mercato che si quantifica e si chiede in € 125,00 con gli interessi moratori e rivalutazione al soddisfo.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Partinico;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 febbraio 2013 il dott. Pier Luigi Tomaiuoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso ritualmente notificato all’Amministrazione ed ai controinteressati in epigrafe indicati e depositato il 13.3.2009, la ricorrente, premesso di essere proprietaria delle aree edificatorie site in Partinico, iscritte a catasto al F. 12, partt. 34619, 3419, 3421 e 3468; che per realizzare i lavori di urbanizzazione delle aree assegnate allo IACP della Provincia di Palermo, localizzate nella III zona PEEP di Partinico ed approvati con delibera di G.M. del 18.12.2000, era stata autorizzata, in data 11.11.2003, l’occupazione temporanea e per motivi di urgenza di mq 617,38 insistenti sulle sue particelle, per la durata di 5 anni dall’immissione in possesso; che i termini iniziali e finali per il completamento dei lavori e delle procedure espropriative erano stati fissati con la dichiarazione di pubblica utilità; che, in particolare, i lavori dovevano essere iniziati entro due anni e terminati nei due successivi, mentre le espropriazioni avrebbero dovuto essere iniziate entro due anni ed ultimate nei successivi 5; che sulle suddette aree erano state realizzate, nei termini previsti, le opere programmate; che con decreto n. 395 dell’1.3.2007 le era stata offerta una indennità provvisoria irrisoria e per questo rifiutata; che con provvedimento del 15.12.2008 era stata pronunciata l’espropriazione definitiva in favore del Comune resistente per una superficie complessiva di mq. 638, con esclusione della particella 48 (n. 3468) e delle particelle 2450, 3420, 3418, estese complessivamente mq 97; che l’indennità di espropriazione era stata determinata in € 34,19 per mq, facendo applicazione di criteri di cui al d.p.r. 327/2001 già dichiarati incostituzionali; che, in ogni caso, il valore di mercato degli immobili in questione era di gran lunga più alto; che il provvedimento in epigrafe indicato è illegittimo per manifesta violazione dell’art. 13, L. 2359/1865, in relazione all’art. 1 L.R. n. 35/78; tutto quanto sopra premesso, ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato e la condanna del Comune resistente alla restituzione delle aree, previa loro rimessione in pristino e risarcimento dei danni da illegittima occupazione; in via subordinata e per l’ipotesi di acquisizione sanante, la condanna del Comune resistente al risarcimento integrale del danno nella misura pari al controvalore delle aree, stimato in € 79.750,00, oltre accessori.

Si è costituito il comune di Partinico, eccependo in via preliminare il difetto di legittimazione passiva dei sigg. ******** e **********, funzionari del Comune; nel merito, che al momento della immissione in possesso le aree interessate dall’esproprio risultavano già di fatto adibite a sede stradale; che l’indennità definitiva era stata fissata in € 13.747,88; che il decreto di espropriazione era stato emanato in data 15.12.2008 con una indennità stimata di € 55 per mq, ritenuta pari al valore di mercato; che i terreni erano stati irreversibilmente trasformati; tutto quanto sopra eccepito, ha concluso per il rigetto del ricorso avversario.

Il Tribunale adito, con ordinanza n. 662/2012, ha disposto l’acquisizione da parte del Comune di Partinico, in persona del Capo settore LL.PP, di documentati chiarimenti in ordine all’eventuale avvenuta adozione del provvedimento di acquisizione del fondo in questione, alle opere pubbliche effettivamente realizzate, alla quantificazione monetaria dell’eventuale attività di rimessione in pristino, alla stima del valore di mercato del fondo oggetto di espropriazione alla data odierna ed alla determinazione del canone di locazione di mercato.

Il Comune resistente ha depositato la richiesta relazione in data 26 maggio 2012.

All’udienza pubblica del 26.2.2013 il ricorso, su concorde richiesta dei procuratori delle parti, è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe indicato la ricorrente ha chiesto, in primo luogo, l’annullamento del decreto di esproprio impugnato; ha poi chiesto la condanna del Comune di Partinico alla restituzione delle aree di sua proprietà in epigrafe meglio indicate, previa rimessione in pristino e risarcimento dei danni per il periodo di illegittima occupazione, ovvero, in via subordinata, la condanna del predetto Comune al risarcimento integrale dei danni pari al controvalore monetario degli immobili.

E’ pacifico, in punto di fatto, che le opere programmate sono state illegittimamente realizzate e che il provvedimento di espropriazione dei fondi della ricorrente sia stato emanato dopo lo scadere dei termini previsti dalla dichiarazione di pubblica utilità dell’opera (ovverosia 5 anni dall’esecutorietà della delibera), dal che consegue de plano l’illegittimità del provvedimento impugnato che, in accoglimento della domanda della ricorrente, deve essere, pertanto, annullato (ex multis: C.d.S., Sez. IV, 27.4.2012, n. 2481; C.d.S, Sez. IV, 28.2.2012, n. 1133).

Anche la domanda di restituzione è fondata nei termini e per le ragioni di cui appresso.

Come è stato bene osservato, “la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4970) ha più volte chiarito che l'intervenuta realizzazione dell'opera pubblica non fa venire meno l'obbligo dell'amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso. Ciò sulla base di un superamento dell'interpretazione, precedentemente seguita, che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all'irreversibile trasformazione del suolo effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato. Partendo dall'esame della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza 30 maggio 2000, ric. 31524/96, Società Belvedere Alberghiera)…. La realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è, dunque, in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'Amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni. Nella fattispecie, l'Amministrazione non ha esercitato il potere acquisitivo, a sanatoria dell'illecita occupazione del terreno, conferitole dalla legge, dapprima dall'art. 43 del TU delle espropriazioni e successivamente, in seguito all'accertata illegittimità costituzionale della norma recata da tale diposizione, dal vigente art. 42 bis del medesimo testo unico” (T.A.R. Calabria, Sez. II, 20.11.2012, n. 1125).

Ne deriva che la ricorrente è tuttora legittima proprietaria degli immobili occupati dalla PA, non essendosi mai perfezionata la costituzione del diritto di proprietà pubblica sugli stessi, dal che consegue la fondatezza della domanda restitutoria.

Tale restituzione dovrebbe essere preceduta dalla riduzione in pristino mediante abbattimento delle opere pubbliche illegittimamente realizzate, che nel caso di specie consistono, secondo il non contestato assunto della ricorrente, in opere di urbanizzazione primaria (con conseguenti notevoli esborsi economici a carico della Pubblica Amministrazione e ulteriore potenziale sacrificio dello svolgimento dei servizi pubblici che con tali opere vengono assicurati).

Rientra, tuttavia, nella valutazione discrezionale dell’Amministrazione titolare della funzione espropriativa (che dovrà assolutamente ponderare con la necessaria attenzione gli importanti e significativi elementi di giudizio di cui al capoverso che procede) la scelta se procedere alla restituzione degli immobili, previa loro rimessione in pristino, o ricondurre a legittimità il proprio operato procedendo alla stipulazione di un negozio consensuale di acquisizione dei fondi ovvero, ancora, laddove il consenso della controparte non venisse acquisito, avvalersi dell’opzione di cui all’attuale art. 42 bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. espropriazione per p.u.) che consente l’acquisizione degli immobili per il tramite di una procedura espropriativa semplificata.

E’ anche ovvio che, laddove l’Amministrazione espropriante dovesse scegliere quest’ultima strada, dovranno essere rigorosamente seguiti tutti i criteri liquidatori ivi espressamente previsti; a tale proposito, il valore venale complessivo dei beni, da accertarsi con riferimento alla loro attuale stima di mercato, ben potrà essere individuato in quello indicato nella consulenza tecnica d’ufficio espletata nel procedimento civile svoltosi tra le parti (iscritto al n. 281/2009 della Corte di Appello di Palermo) e la cui relazione risulta depositata anche agli atti di questo giudizio.

Dalle somme complessivamente riconosciute alla ricorrente dovranno, poi, essere detratte quelle eventualmente già liquidate a titolo di indennità di espropriazione (non quelle corrisposte a titolo di indennità temporanea per il periodo di occupazione legittima).

Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, il Comune resistente deve essere condannato ex art. 34, primo comma, lett. c), c.p.a. (C.d.S., Sez. IV, 16 marzo 2012, n. 1514) alla restituzione dei fondi, previa loro remissione in pristino, ovvero all’acquisizione degli immobili nei modi sopra detti nel termine di mesi 3 decorrenti dalla comunicazione ovvero notificazione, se anteriore, della presente sentenza.

Deve essere esaminata, poi, l’autonoma domanda di condanna al risarcimento del danno subito dalla ricorrente per effetto dell'occupazione illegittima, occupazione che si protrae della scadenza del termine di efficacia della occupazione legittima e si protrarrà sino al dì di acquisizione degli immobili (nei modi sopra specificati).

Essa è fondata, essendo evidente che l’occupazione del bene privato altrui è illegittima perché, una volta scaduto il termine previsto nel provvedimento di apprensione, essa resta senza valido titolo ed è fonte di danno patrimoniale in re ipsa.

Per la relativa liquidazione del ristoro, che rimane risarcitorio per l'articolo 42 bis, terzo comma citato, può farsi riferimento ai criteri di cui alla medesima disposizione, sicché ex art. 34, comma 4 del c.p.a. (T.A.R., Sicilia, Sez. III, 21.1.2013, n. 152) il danno dovrà essere liquidato dall’Amministrazione nella misura pari all'interesse del cinque per cento annuo sul valore venale (T.A.R. Calabria, Sez. II, 20.11.2012, n. 1125; T.A.R. Puglia Bari, Sez. III, 4.5.2012 n. 8922; T.A.R. Liguria, Sez. I, 12 dicembre 2011, n. 1756) che l’immobile aveva ogni anno successivo alla scadenza del termine di occupazione legittima (C.d.S., Sez. IV, 16.3.2012, n. 1514; TAR Sicilia, Sez. II, 11.1.2013, n. 24) e per ciascun anno del periodo di occupazione illegittima; le somme calcolate, anno per anno, andranno poi separatamente incrementate, per interessi e rivalutazione monetaria, fino al dì del pagamento, trattandosi di obbligazione risarcitoria da fatto illecito, per cui sono dovuti sia la rivalutazione monetaria, essendo per i debiti di valore la svalutazione monetaria una delle voci del danno emergente sofferto, sia gli interessi al tasso legale, a titolo di risarcimento del lucro cessante.

Vale la pena di soggiungere che tutte le questioni che dovessero insorgere nella fase di conformazione alla presente decisione potranno formare oggetto di giudizio d'ottemperanza e risolte, se del caso, tramite commissario ad acta.

Le spese di lite seguono la soccombenza dell’Amministrazione resistente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi di cui in motivazione e, per l’effetto:

1) annulla il provvedimento di esproprio con esso impugnato;

2) condanna il Comune di Partinico, in persona del legale rappresentante p.t., ex art. 34, primo comma, lett. c), c.p.a., alla restituzione alla ricorrente degli immobili indicati in motivazione, previa loro rimessione in pristino, ovvero alla loro acquisizione nei modi legittimi ivi parimenti indicati, nel termine di mesi 3 decorrenti dalla comunicazione ovvero notificazione, se anteriore, della presente sentenza;

3) condanna il Comune di Partinico, in persona del legale rappresentante p.t., al risarcimento in favore della ricorrente dei danni da occupazione illegittima secondo i criteri indicati in parte motiva;

4) condanna il Comune di Partinico, in persona del legale rappresentante p.t., a rifondere alla parte ricorrente le spese di lite che liquida in € 2.000,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 26 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Federica Cabrini, Presidente FF

Pier Luigi Tomaiuoli, Referendario, Estensore

Anna Pignataro, Referendario

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 25/03/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Sulla piena conoscenza dell'atto depositato dall'Amministrazione nel fascicolo d'ufficio e sul decorso del relativo termine di impugnazione

Tar Catania, sez. III, sentenza del 18 marzo 2013, n. 809
Data: 
18/03/2013

1. Il deposito di un documento nel fascicolo d'ufficio da parte dell'Amministrazione resistente, non fa decorrere il termine per la sua impugnazione, non esistendo alcuna norma processuale che imponga alla parte in causa l'inspectio delle risultanze del detto fascicolo in base a cadenze temporali certe, a partire dalle quali possa identificarsi un preciso termine per presumere la piena conoscenza dell'atto, né vi è un obbligo dell'ufficio di segreteria del T.A.R. di dare comunicazione dell'inserimento di nuovi atti sia nel fascicolo d'ufficio che in quello di parte, salvo il caso di acquisizione di chiarimenti e documenti in via istruttoria su iniziative presidenziale o del Collegio, del cui esito va invece data comunicazione alle parti.

2. Chi eccepisce la tardività del ricorso deve dare rigorosa dimostrazione del fatto che il ricorrente abbia conosciuto l’atto impugnato in un momento anteriore al termine decadenziale per l’impugnazione dello stesso. La piena conoscenza deve essere dimostrata in modo pieno ed inequivocabile da parte di chi eccepisce la tardività ed il relativo onere non può ritenersi adempiuto sulla base della prospettazione di mere presunzioni che non assurgano a dignità di prova e dalle quali scaturisce al più la mera probabilità della anteriore conoscenza dell’atto.

 

 

N. 00809/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00715/2012 REG.RIC.

N. 00717/2012 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA 

A) sul ricorso numero di registro generale 715 del 2012, proposto da:
XXXXXX, rappresentata e difeso dall'avv. xxxxxxxxxx, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via xxxxxxxxxxx, 225;

contro

Comune di Paterno', in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. xxxxxxxxx, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. xxxxxxxxx in Catania, via xxxxxxxxx, 103;

nei confronti di

Coop. xxxxxxxxx A.R.L.  in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. xxxxxxxx, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via xxxxxxxxxxx, 39/A;

B) sul ricorso numero di registro generale 717 del 2012, proposto da:
xxxxxxxxx, rappresentato e difeso dall'avv. xxxxxxxxxx, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. xxxxxxxxx in Catania, piazza xxxxxxx, 2;

contro

Comune di Paterno', in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall'avv. xxxxxxxxx, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.xxxxxxxx in Catania, via xxxxxxxx, 103;
Ing. xxxxxx N. Q. Responsabile U.O.LL.PP. – Espropriazioni, non costituito in giudizio;

nei confronti di

Cooperativa xxxxxxxxx, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'avv. xxxxxxx, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via xxxxxxxxx, 39/A;

per l'annullamento,

in entrambi i ricorsi,

- del decreto n.1 del 10.1.2012 emesso dal capo U.O.LL.PP. - espropriazioni del Comune di Paterno' con il quale viene prorogata per la seconda volta l'occupazione temporanea e d'urgenza di beni immobili,occorrenti per la costruzione di n. 36 alloggi sociali della cooperativa " Europa 84", di proprietà dei ricorrenti;

- del decreto n.9 del 17.11.2009 emesso dal capo U.O. LL.PP. - Espropriazioni del Comune di Paterno' con il quale viene prorogata per la prima volta l'occupazione temporanea e d'urgenza disposta con il decreto n.32 dell'1.12.2006, dei beni immobili di proprieta' dei ricorrenti, occorrenti per la costruzione di n.36 alloggi sociali della cooperativa Europa 84.

 

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Comune di Paterno' e di Coop. Edilizia A.R.L. "Europa 84" e di Comune di Paterno' e di Cooperativa Edilizia Europa 84;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 febbraio 2013 il Cons. dott. Gabriella Guzzardi e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con i ricorsi in epigrafe entrambi i ricorrenti impugnano il decreto n. 1 del 10/01/2012 e il decreto n. 9 del 17/11/2009 con i quali è stata reiteratamente prorogata l’efficacia dell’occupazione temporanea e d’urgenza disposta con decreto n. 32 del 1/12/2006 di aree di cui sono proprietari, interessate dalla costruzione di n. 36 alloggi di proprietà della Cooperativa “Europa 84” da sorgere in area PEEP, zona Palazzolo- Scala Vecchia del comune di Paternò.

I provvedimenti di proroga impugnati sarebbero illegittimi per violazione delle norme sul procedimento amministrativo, portate dalla L. n. 241/90, che prescrivono la comunicazione sia del presupposto atto di occupazione che degli ulteriori atti di proroga che determinano il protrarsi delle imposte limitazioni alla proprietà privata.

Gli atti di proroga qui impugnati avrebbero dovuto essere preceduti dalla comunicazione dell’avvio del procedimento e, sotto altro profilo, sarebbero affetti dal vizio di difetto di motivazione, in quanto non conterrebbero adeguata indicazione delle cause che ne hanno determinato l’adozione, non rilevando al fine il riferimento contenuto nel decreto n. 1/2012 all’esistenza di un contenzioso inter partes (ricorso n. 562/2002 definito con sentenza n. 1183/2010, gravata d'appello tutt’ora pendente), che peraltro coinvolgerebbe solo marginalmente la cooperativa Europa 84 .

Chiedono pertanto la declaratoria della illegittimità degli atti impugnati e la condanna del Comune di Paternò e della Cooperativa edilizia “Europa” s.r.l. alla restituzione delle aree de quibus ed al pagamento della indennità relativa sia all’occupazione legittima che all’occupazione illegittima.

Il Comune di Paternò e la controinteressata cooperativa eccepiscono l'inammissibilità dei ricorsi in epigrafe con riferimento alla proroga di cui al decreto n. 9/2009 che si assume tardivamente impugnato, in quanto sicuramente portato a conoscenza dei ricorrenti poiché prodotto nel giudizio culminato nella sent. n. 1183/2010 prima richiamata. Deducono infine l'infondatezza delle censure addotte avverso il decreto di proroga n. 1 del 10/1/2012.

Il procuratore della ricorrente Russo Consolata, in data 6 febbraio 2013 deposita memoria con la quale insiste nelle censure addotte con il primo ricorso in epigrafe; e in pari data deposita preavviso di revoca del decreto di occupazione temporanea, n. 1 del 1071/2012.

La Cooperativa controinteressata, sempre nel ricorso n. 715/2012 R.G., chiede la sospensione del presente giudizio in attesa della decisione del Giudice d’appello sulla sent. n. 1183/2010 di questo Tribunale. Nel merito ribadisce la richiesta di rigetto.

Con riferimento al secondo ricorso in epigrafe, il ricorrente La Mazza Salvatore si costituisce per mezzo di nuovo procuratore, essendo intervenuta rinuncia al mandato del precedente procuratore.

In data 6 febbraio 2013 la cooperativa edilizia a r.l. Europa produce agli atti del ric. N. 717/2012 R.G. nota prot. n. 346 del 23/01/2013, con la quale il Comune le chiede entro dieci giorni dal ricevimento “specifiche informazioni sulle azioni intraprese o a fornire assicurazioni circa l’acquisizione dei terreni entro la data del 5 maggio 2013”, data in cui verrà a scadere la dichiarazione di pubblica utilità, decorrente dall’approvazione della Prescrizione Esecutiva “Scala Vecchia – Palazzolo”, costituente a tutti gli effetti Piano Particolareggiato di Attuazione al P.R.G. Con memorie depositate in data 11 febbraio 2013, relativamente ad entrambi i ricorsi in epigrafe, La Cooperativa insiste nelle eccezioni e nelle controdeduzioni già formulate.

Con memoria di replica depositata agli atti in data 15 febbraio il ricorrente La Mazza Salvatore (Ric. N. 717/2012 R.G.) ribadisce l'ammissibilità delle censure proposte avverso il decreto di proroga n. 9/2009, mai notificatogli, non valendo a sanare l’inadempimento la produzione fattane nel giudizio 562/2002R.G. Insiste anche per la declaratoria di fondatezza delle censure avanzate con conseguente declaratoria di illegittimità del decreto di proroga n. 9 /2009 e, conseguentemente del successivo decreto di proroga n. 1 /2012. Si oppone poi alla domanda di sospensione del presente giudizio proposta dalla cooperativa controinteressata, in quanto non sussisterebbe pregiudizialità con riferimento al petitum del ricorso in epigrafe, proposto avverso i decreti di proroga n. 9/2009 e n. 1/2012 e quello relativo al ricorso n. 562/2002 R.G. con il quale sarebbe stata chiesta la declaratoria di illegittimità degli atti da cui discende la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.

Alla Pubblica Udienza del 27 febbraio 2013 la causa passa in decisione.

DIRITTO

Il Collegio in via preliminare dispone la riunione del ricorsi in epigrafe sussistendo i presupposti di connessione oggettiva e soggettiva.

Rileva poi la insussistenza delle condizioni per l’accoglimento della richiesta, avanzata dalla cooperativa controinteressata, di sospensione dei presenti giudizi sino alla decisione del giudice d’appello sulla sentenza 1183/2010, giacché l’esito dei ricorsi in epigrafe non è necessariamente condizionato dalla decisione che verrà adottata dal CGA. Ciò in quanto gli atti qui impugnati costituiscono provvedimenti ulteriori e successivi rispetto a quelli impugnati con il ricorso n. 562/2002 concluso in primo grado con l’appellata sentenza n.1183/2010. Tali atti successivi, oggetto qui di impugnazione, non sono infatti collegati con quelli impugnati con il ric. n.562702 da un rapporto di pregiudizialità necessaria, bensì da un nesso di mera presupposizione, in quanto possono incidere direttamente e ciascuno per la sua parte, nella sfera soggettiva dei destinatari richiedendo pertanto autonoma e tempestiva impugnazione; fatto salvo, in ogni caso, l’effetto caducante che potrà scaturire dall’eventuale annullamento degli atti presupposti a seguito della decisone del C.G.A. (C. stato, sez. IV, sent. n. 3896/2003).

Si passa quindi all’esame della eccezione di inammissibilità del ricorso con riferimento all’impugnato provvedimento di proroga n. 9 del 17/11/2009.

L’eccezione è infondata.

La produzione di tale provvedimento nel giudizio sul quale è stata resa la sent. n. 1183/2010 non ne determina de iure la conoscenza da parte dei soggetti incisi, ai quali la segreteria del Tribunale non abbia comunicato l’intervenuta produzione documentale (circostanza questa affermata da parte ricorrente e non contestata ex adverso).

Vale ricordare, comunque, sotto tale aspetto, che il deposito di un documento nel fascicolo d'ufficio da parte dell'Amministrazione resistente, non fa decorrere il termine per la sua impugnazione, non esistendo alcuna norma processuale che imponga alla parte in causa l'inspectio delle risultanze del detto fascicolo in base a cadenze temporali certe, a partire dalle quali possa identificarsi un preciso termine per presumere la piena conoscenza dell'atto, né vi è un obbligo dell'ufficio di segreteria del T.A.R. di dare comunicazione dell'inserimento di nuovi atti sia nel fascicolo d'ufficio che in quello di parte, salvo il caso di acquisizione di chiarimenti e documenti in via istruttoria su iniziative presidenziale o del Collegio, del cui esito va invece data comunicazione alle parti (Cons. di Stato, sent. n. 5624 dell' 11 novembre 2008 - Sez. VI -).

Sotto altro profilo il Collegio rileva che chi eccepisce la tardività del ricorso deve dare rigorosa dimostrazione del fatto che il ricorrente abbia conosciuto l’atto impugnato in un momento anteriore al termine decadenziale per l’impugnazione dello stesso. La piena conoscenza deve essere dimostrata in modo pieno ed inequivocabile da parte di chi eccepisce la tardività ed il relativo onere non può ritenersi adempiuto sulla base della prospettazione di mere presunzioni che non assurgano a dignità di prova e dalle quali scaturisce al più la mera probabilità della anteriore conoscenza dell’atto (in termini, C. Sato, sez. VI, sent. n. 3150 del 23/06/2008, sez. IV, sent. n. 1445 del 31/03/2005).

Sgomberato il campo dalle preliminari eccezioni, il Collegio passa all’esame delle censure proposte dai ricorrenti avverso gli atti impugnati e ne riscontra la fondatezza.

Gli atti impugnati risultano affetti dai vizi procedimentali denunciati poiché di essi non è stato comunicato l’avvio del procedimento, impedendo così ai ricorrenti di intervenire nell’iter procedimentale apportando elementi atti ad incidere sulla formazione dell’atto conclusivo (in termini TAR Palermo, sent. n. 609/2008) e non contengono adeguata motivazione resa nel caso di specie necessaria dalla incontestata circostanza che la realizzazione delle opere programmate sulle aree di proprietà dei ricorrenti non era stata intrapresa neanche al momento dell’adozione del secondo atto di proroga qui impugnato.

E' pur vero che secondo un certo filone giurisprudenziale (T.A.R. T.A.R. Friuli V.G. sent. n. 1306 del 18 dicembre 1999) la proroga dell'occupazione d'urgenza è sufficientemente motivata con riferimento alla necessità di un maggior tempo per il completamento della procedura ablativa; ma ciò può valere nei casi in cui lo stato di realizzazione delle opere sia ad uno stadio significativo in relazione alla prevista scadenza della dichiarazione di pubblica utilità. Non così quando - come nella fattispecie - la proroga si risolva nel mero procrastinarsi del sacrificio della proprietà privata senza alcuna reale prospettiva di realizzazione dell'intervento pubblico programmato.

Non a caso, l'art. 22, comma 6, del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. Espropriazioni) prevede che il "decreto che dispone l'occupazione … perde efficacia qualora non venga emanato il decreto di esproprio nel termine di cui all'articolo 13"; e quest'ultima norma prevede a suo volta, al comma 5, che "L'autorità che ha dichiarato la pubblica utilità dell'opera può disporre la proroga dei termini previsti …. per casi di forza maggiore o per altre giustificate ragioni …".

Ma tali presupposti - "Forza maggiore" o "giustificate ragioni" - nella odierna fattispecie non emergono proprio per la incontestata inesistenza di lavori in corso tali da far ritenere l'effettiva realizzazione dell'intervento nel termine di validità della dichiarazione di pubblica utilità.

Dunque, nel caso in esame, non è sufficientemente motivato, né il primo provvedimento di proroga adottato sulla mera relativa richiesta della Cooperativa controinteressata, non suffragata da elementi e circostanze da cui possa evincersi la utilità della richiesta proroga ai fini della realizzazione dell’intervento programmato (ma ad oggi di fatto non ancora intrapreso), né il secondo provvedimento di proroga richiesto sul presupposto della sussistenza del contenzioso in corso di definizione inter partes avanti il CGA, dato l’effetto automaticamente caducante che potrà scaturire dall’annullamento degli atti presupposti a seguito della decisone del C.G.A.(ex multis, , Cons. di Stato, sent. n. 3833 del 10 luglio 2002 - Sez. V -).

Rileva infine il Collegio, a riprova della sua illegittimità, che il provvedimento di proroga n. 1/2012 ha spostato la scadenza della già disposta occupazione alla data del 15 gennaio 2015, successiva addirittura a quella di scadenza della validità della dichiarazione di pubblica utilità (5 maggio 2013) decorrente dall’approvazione della prescrizione esecutiva “Scala Vecchia- Palazzolo” costituente Piano Particolareggiato di attuazione del PRG , come specificato nella nota prot. n. 348 del 23/1/2013, prodotta in atti.

La rilevata fondatezza delle sollevate censure determina l’accoglimento dei ricorsi in epigrafe.

La Cooperativa controinteressata dovrà, per l’effetto procedere alla immediata restituzione delle aree alle parti ricorrenti ciascuna per quanto di propria competenza.

Il Comune di Paternò è condannato inoltre a risarcire i danni da occupazione illegittima che i ricorrenti hanno subito a decorrere dal primo provvedimento di proroga, in ragione della illegittima, prolungata occupazione dei terreni di cui sono proprietari. Tale danno può ragionevolmente quantificarsi, con valutazione equitativa ex artt. 2056 e 1226 c.c., nell'interesse del cinque per cento annuo sul valore venale del bene, in linea con il parametro fatto proprio dal legislatore con l'art. 42- bis comma 3, d.P.R. 8 giugno 2001 n. 327, che così recita: “Per il periodo di occupazione senza titolo e' computato a titolo risarcitorio, se dagli atti del procedimento non risulta la prova di una diversa entità del danno, l'interesse del cinque per cento annuo sul valore determinato ai sensi del presente comma “ (in termini TAR Genova, sent. n. 1653 del 14/12/2012).

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno poste, in solido, a carico del Comune intimato e della Cooperativa contro interessata nella misura che si determina in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie con gli effetti di cui alla parte motiva.

Condanna in solido il Comune di Paternò e la cooperativa edilizia Europo 82 alle spese di lite che si liquidano in Euro millecinquento/00, oltre accessori di legge, IVA e CPA, a favore di ciascun ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 27 febbraio 2013 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Calogero Ferlisi, Presidente

Gabriella Guzzardi, Consigliere, Estensore

Agnese Anna Barone, Consigliere

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/03/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

In difetto di ricusazion​e, la violazione dell’obbli​go di astensione da parte del Giudice non è deducibile come motivo di nullità della sentenza

CGA, sentenza del 12 marzo 2013, n. 337
Data: 
12/03/2013

 

Premesso che il codice del processo amministrativo, all’art. 17, in tema di astensione, fa rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile, l'incompatibilità endoprocessuale del Presidente dell’organo decisorio, che aveva fatto parte del Collegio nella stessa impugnata sentenza del T.A.R ,in mancanza di astensione dello stesso giudice, il ricorrente ha l'onere di ricusare tempestivamente il giudice asseritamente incompatibile.

 

in mancanza di tale contestazione, non può più avvalersi della medesima circostanza come causa di nullità della sentenza.

Infatti, secondo un pacifico principio giurisprudenziale, in difetto di ricusazione, la violazione dell’obbligo di astensione da parte del Giudice non è deducibile come motivo di nullità della sentenza. 

 

N.  337/13  Reg.Sent.

 

N.     526     Reg.Ric.

 

ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso in appello n. 526/2012, proposto da

BONURA BALDASSARE,

rappresentato e difeso dall’avv. xxxxxxx, per legge domiciliato presso la Segreteria di questo C.G.A., in Palermo, Via Filippo Cordova, n. 76;

c o n t r o

il COMUNE DI USTICA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. xxxxxxxxx ed elettivamente domiciliato in Palermo, via xxxxxxxx, n. 104, presso lo studio dello stesso;

e nei confronti di

xxxxxx, xxxxxxx, xxxxxxx,  e xxxxxxxxxxx, non costituiti in giudizio;

per  l’annullamento

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sede di Palermo, sez. int. II, n. 776 del 13 aprile 2012.

Visto il ricorso in appello di cui in epigrafe;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Ustica;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore il Consigliere Guido Salemi;

Udito, altresì, alla pubblica udienza del 14 dicembre 2012, l’avv. V. Fiasconaro, su delega dell’avv. A. Machì, per il Comune appellato;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

F A T T O    E    D I R I T T O

1) - Il sig. Baldassare Bonura impugnava innanzi al T.A.R. Sicilia, sede di Palermo, sez. II, la delibera della Giunta municipale di Ustica n. 73 del 27 settembre 2011, avente ad oggetto “l’approvazione in linea amministrativa del progetto definitivo generale del 1° lotto funzionale per il recupero degli edifici ex albergo San Bartolomeo”.

2) - Con sentenza n. 776 del 13 aprile 2012, il giudice adito dichiarava il ricorso inammissibile

A sostegno della pronuncia, il T.A.R. rappresentava che il ricorrente non era proprietario dell’immobile e che non rilevava il separato giudizio posto in essere presso il giudice civile per l’accertamento della falsità degli atti relativi al ricorso per l’annullamento della licenza edilizia n. 331 del 31 agosto 1978.

3) - Il ricorrente ha proposto appello contro la summenzionata sentenza, deducendo i seguenti motivi di censura:

A) - Incompatibilità endoprocessuale del Presidente dell’organo decisorio.

Il dott. Filippo Giamportone, Presidente del Collegio giudicante, aveva fatto parte del Collegio nella sentenza dello stesso T.A.R. n. 234/1995 e n. 1020 R.G., depositata in data 22 marzo 1995, vertente fra le stesse parti e sulla stessa materia.

Non essendosi astenuto, detto giudice avrebbe violato il principio di terzietà di cui all’art. 111, comma 2, della Carta costituzionale.

B) - Violazione del diritto di proprietà.

I fratelli Bonura erano proprietari dell’immobile in questione e tali sarebbero rimasti, in quanto, la sentenza di fallimento, pronunciata nei loro confronti in data 17 settembre 1985, avrebbe fatto perdere il possesso dei loro beni ma non la proprietà degli stessi.

C) - Violazione dell’art. 7 CEDU.

I fratelli Bonura non avrebbero mai subito procedimento penale, come risulta dalla dichiarazione proveniente dall’Amministrazione che detiene illegittimamente l’immobile.

Pertanto, la confisca dell’immobile da parte dell’Amministra-zione rappresenterebbe un atto illegittimo per violazione dell’art. 7 CEDU (cfr. la pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo del 20 gennaio 2009 n. 75909).

D) - Legittimazione attiva dell’attore.

Parte attrice eserciterebbe legittimamente il proprio diritto di proprietà.

Essa sarebbe stata sottoposta da ventisette anni a una procedura fallimentare caratterizzata da gravi omissioni dei giudici delegati e dei legali della Curatela.

4) - Resiste all’appello il Comune di Ustica.

5) - Alla pubblica udienza del 14 dicembre 2012, l’appello è stato trattenuto in decisione.

6) - L’appello è infondato.

7) - Il primo motivo di appello è inammissibile e infondato.

Premesso che il codice del processo amministrativo, all’art. 17, in tema di astensione, fa rinvio alle disposizioni del codice di procedura civile, la censura è inammissibile perché il ricorrente non ha ricusato tempestivamente il giudice asseritamente incompatibile e, pertanto, non può più avvalersi della medesima circostanza come causa di nullità della sentenza.

Secondo un pacifico principio giurisprudenziale, in difetto di ricusazione, la violazione dell’obbligo di astensione da parte del Giudice non è deducibile come motivo di nullità della sentenza (Cass. Civ., S.U., 23 aprile 2001, n. 170 e 8 agosto 2005, n. 16615).

La Corte di Cassazione ha ribadito questo principio anche con riferimento alle modifiche costituzionali del 1999, rilevando che “anche a seguito della modifica dell’art. 111 Cost., introdotta dalla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, in difetto di ricusazione la violazione dell’obbligo di astenersi da parte del Giudice non è deducibile in sede di impugnazione come motivo di nullità della sentenza da lui emessa (a meno che egli non abbia un interesse proprio e diretto nella causa), giacché la norma costituzionale, nel fissare i principi fondamentali del giusto processo (tra i quali, appunto, l’imparzialità – terzietà del Giudice) ha demandato al legislatore ordinario di dettarne la disciplina e, come ha affermato la Corte costituzionale (sentenza n. 387 del 1999), in considerazione della peculiarità del processo civile, fondato sull’impulso paritario delle parti, non è arbitraria la scelta del legislatore di garantire l’imparzialità – terzietà del Giudice solo attraverso gli istituti dell’astensione e della ricusazione” (Cass. Civ., 16 aprile 2004, n. 7252).

Nel merito, il motivo è anche infondato, perché non v’è coincidenza tra le controversie, decise con la sentenza del 1995 e la controversia in esame.

Infatti, nella sentenza del T.A.R. di Palermo n. 234 del 1995, l’oggetto del contendere si riferiva all’ordinanza del Sindaco di Ustica del 12 settembre 1981 con la quale era stata disposta la sospensione dei lavori relativi alla concessione edilizia n. 331 del 31 agosto 1978 e all’ordinanza dello stesso Sindaco n. 22 del 5 novembre 1981 con la quale era stata dichiarata la decadenza della predetta concessione edilizia n. 331/78.

8) - Il secondo motivo di appello è infondato.

Risulta da quanto eccepito dalla difesa del’Amministrazione e dalla documentazione in atti che il Comune di Ustica ha acquisito al proprio patrimonio l’immobile in questione a seguito della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione.

È, quindi, irreprensibile l’affermazione del T.A.R. secondo cui “è incontroverso che il ricorrente non è proprietario dell’immobile in parola e non rileva in specie il separato giudizio incoato presso il giudice civile per l’accertamento dell’eventuale falsità degli atti nel ricorso meglio individuati”.

9) - Il terzo motivo di appello è inammissibile, trattandosi di censura con la quale l’appellante deduce la violazione del suo diritto di proprietà sull’immobile e, come tale, rientrante nella cognizione del giudice ordinario.

10) - È, infine, inammissibile, il quarto e ultimo motivo di appello.

Le doglianze concernenti l’eccessiva durata della procedura fallimentare e le omissioni che sarebbero state compiute dai giudici delegati al fallimento e dai legali della curatela fallimentare rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario.

Di ciò è consapevole l’appellante, il quale ha rappresentato di avere presentato esposti e denunce all’Autorità giudiziaria ordinaria.

11) - In conclusione, per le suesposte considerazioni, l’appello va respinto.

Le spese e gli altri oneri del giudizio sono posti a carico dell’appellante e sono liquidati a favore del Comune appellato nella misura indicata in dispositivo.

P. Q. M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe.

Condanna l’appellante al pagamento a favore del Comune appellato delle spese, competenze e onorari del giudizio che liquida complessivamente in € 3.000 (euro tremila).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo, addì 14 dicembre 2012, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio con l'intervento dei Signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Antonino Anastasi, Guido Salemi, estensore, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, Componenti.

F.to Riccardo Virgilio, Presidente

F.to Guido Salemi, Estensore

Depositata in Segreteria

Limiti del potere di soccorso:non può essere inibito alla stazione appaltante di richiedere o alla concorrente di provare, anche con integrazionidocumentali, che la propria domanda fosse sin da principio conforme a quanto richiesto dalla lex specialis.

C.d.S. sez. III, sentenza n. 5694 del 28 novembre 2013
Data: 
28/01/2013
Tipo di Provvedimento: 
Sentenza
Materia: 
Potere di soccorso

Se è vero che il potere di soccorso istruttorio non può ledere la par condicio, così da consentire la presentazione, anche oltre il termine previsto dal bando, di documenti o dichiarazioni che avrebbero dovuto essere presentati entro detto termine a pena di esclusione, non può essere inibito alla stazione appaltante di richiedere o alla concorrente di provare, anche con integrazioni documentali, che la propria domanda fosse, sin dal principio e nella realtà effettuale, conforme a quanto richiesto dalla lex specialis.

Nel caso in esame, a carico delle imprese, sia esse ausiliate che ausiliarie,  non si trattava di sanare una omissione documentale in ordine ai requisiti essenziali e in violazione della par condicio dei concorrenti, ma di verificare in concreto, da parte della stazione appaltante, l’effettivo esistenza del requisito di moralità richiesto.

N. 05694/2013REG.PROV.COLL.

N. 01710/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1710 del 2013, proposto da: 
Regione Calabria in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Naimo, con domicilio eletto presso Graziano Pungi' in Roma, via Ottaviano n.9; 

contro

Arga Medical Srl in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Alfredo Gualtieri e Demetrio Verbaro, con domicilio eletto presso Giuseppe Cosco in Roma, via Anapo, n.29; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CALABRIA - CATANZARO SEZIONE II n. 00127/2013,

 

Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Arga Medical Srl;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2013 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati Naimo e Gualtieri;

Visto il dispositivo di sentenza n. 5052/2013;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. La società Arga Medicali s.r.l., dopo avere premesso di aver partecipato alla gara indetta dalla Regione Calabria, Autorità Regionale Stazione Unica Appaltante, con bando inoltrato alla GURI e alla GUCE in data 29.12.2011, inerente una “procedura aperta per la fornitura in service di sistemi per gruppi sanguigni, sacche, nat, prodotti per donazioni, trasfusioni, etc.”, (contrassegnata con il numero 3763916), suddivisa in lotti, presentando domanda per n. 10 lotti, avvalendosi, ai fini del raggiungimento dei requisiti previsti dal bando delle capacità tecniche ed economiche della ditta ausiliaria “Fresenius Kabi”, lamentava davanti al Tar Calabria, sede di Catanzaro, che nella seduta del 2 e 3 maggio 2012 era stata esclusa dalla gara in sede di verifica della documentazione, sulla base della seguente argomentazione: “La Commissione rileva che l’operatore economico produce contratto di avvalimento con l’operatore economico Fresenius. Nella documentazione prodotta dall’ausiliaria la Commissione riscontra l’assenza delle dichiarazioni, da rendere ex art. 38 del d. lgs.vo 163/06 e successive modifiche, di molti procuratori speciali e, pertanto, esclude l’operatore economico Arga Medicali dalla procedura di gara in quanto, venendo esclusa l’ausiliaria, l’ausiliata non possiede i requisiti minimi di capacità economico finanziaria e tecnico professionale richiesti ai fini della partecipazione alla procedura di gara”.

A sostegno del proprio gravame la società deduceva la violazione dell’art. 38 del sopradetto codice degli appalti, violazione del principio di soccorso, violazione del principio della massima partecipazione, eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza dei presupposti, illogicità e ingiustizia manifesta.

Si costituiva la Regione Calabria per resistere al ricorso eccependo l’inammissibilità dello stesso per omessa notifica ad almeno un contro interessato e nel merito insistendo per la legittimità del proprio operato e concludendo per il rigetto del ricorso con ogni consequenziale statuizione anche in ordine alle spese.

2. Il Tar, dopo avere esaminato e rigettato la eccezione di inammissibilità del ricorso avanzata dalla Regione per omessa notifica ad almeno un controinteressato, entrando nel merito del gravame rilevava che l'art. 38 d. l.gs. 12 aprile 2006 n. 163, nell'individuare i soggetti tenuti a rendere la dichiarazione di onorabilità per la partecipazione alle gare pubbliche, fa riferimento, per le società di capitali, “agli amministratori muniti di potere di rappresentanza”, ossia a soggetti titolari congiuntamente di ampi e generali poteri di amministrazione e del potere di impegnare la società nei confronti dei terzi.

Rilevava altresì che una interpretazione ampliativa di tale norma rappresenterebbe un vulnus alla certezza del diritto sotto il profilo della possibilità di partecipazione ai pubblici appalti, intaccando principi, di rilevanza costituzionale e comunitaria, relativi alla libertà di iniziativa economica delle imprese, in specie tenendo conto della portata precettiva del principio di tassatività delle cause di esclusione dalle gare, ribadito dell’art. 46, co. 1-bis del d. lgs n. 163 del 2006, introdotto dall’art. 4, co. 2, lettera d), del d.l. 13 maggio 2011, n. 70. Per il primo giudice l'identificazione delle persone fisiche, aventi le funzioni di procuratori speciali, va fatta non soltanto in base alle qualifiche formali rivestite, ma anche, in coerenza con la ratio della norma, tenendo conto dei poteri sostanzialmente esercitati, potendosi sussumere, nella fattispecie prevista dalla legge, soltanto le figure dei procuratori speciali, muniti di poteri estesi fino al punto da poter essere qualificati alla stregua di veri e propri amministratori di fatto.

Concludeva il Tar che dalla documentazione in atti non emergeva che i poteri dei procuratori speciali della ditta ausiliaria “Fresenius Kabi” erano talmente estesi relativamente alla gestione della impresa da renderne plausibile una qualificazione alla stregua di amministratori di fatto.

Il Tar quindi accoglieva il gravame annullando la esclusione della società e compensando le spese di giudizio.

3. Nell’atto di appello, nel primo motivo la Regione Calabria deduce che il Tar avrebbe ricostruito in modo impreciso gli elementi di fatto, come emergenti dalla documentazione, non avendo tenuto conto della visura camerale depositata dalla quale risultava che numerosi procuratori speciali della soc. Fresenius, soggetto ausiliario prestatore dei requisiti e come tale anch’esso tenuto alla presentazione delle dichiarazioni ex art. 38 del codice appalti al pari della società ausiliata, avevano poteri di rappresentanza particolarmente ampi e addirittura uno di essi, il dr. Alessandro Novelli, era componente del consiglio di amministrazione della Fresenius, pertanto doveva considerarsi per ciò solo rappresentante legale della società.

Inoltre, avrebbe dovuto tenersi conto che i lotti della gara erano 10 e tra loro autonomi, che quindi la sig.ra Bruni poteva impegnare autonomamente la società per 8 di essi, il sig. Calderan per 7 di essi, mentre per i contratti atipici, quali il contratto di avvalimento, l’amministratore delegato poteva operare solo con firma congiunta, indipendentemente dal valore del contratto, con il procuratore dr. Fabio Martinelli.

Per tutti questi procuratori, tuttavia, così come per altri componenti del consiglio di amministrazione, era mancata la presentazione della dichiarazione ex art. 38 sopracitato che era stata presentata dalla società Fresenius solo per l’amministratore delegato.

Né, secondo la appellante, poteva essere utilizzato il potere di soccorso ex art. 46 codice appalti a meno di non incidere sulla par condicio dei concorrenti trattandosi della mancanza di un requisito essenziale per il quale doveva ritenersi esclusa la regolarizzazione postuma.

Nel secondo motivo la appellante deduce poi che l’art. 38 codice appalti e il bando di gara dovevano essere interpretati in maniera conforme alla normativa comunitaria che, con l’art. 45 p.1. ultimo alinea della Direttiva 2004/18 (“..le richieste riguarderanno le persone giuridiche e/o le persone fisiche, compresi, se del caso, i dirigenti delle imprese o qualsiasi persona che eserciti il potere rappresentanza, di decisione o di controllo del candidato o dell’offerente”), estende l’obbligo di presentazione della dichiarazione a tutti i soggetti con potere di rappresentanza, decisione o controllo. Rileva l’appellante che una volta recepita la normativa comunitaria, per il legislatore nazionale non vi era alcun margine di discrezionalità tale da consentire di scegliere quali soggetti includere tra quelli tenuti alle dichiarazioni, dovendo, la previsione interna, necessariamente riguardare qualsiasi persona che esercitasse in qualsiasi modo il potere di rappresentanza e quindi anche tutti i procuratori speciali, indipendentemente dalla qualificazione formale rivestita e quindi anche gli amministratori di fatto.

Ciò in quanto la normativa interna dovrebbe essere interpretata in modo di assicurare l’effetto utile della normativa comunitaria e quindi la interpretazione del Tar sarebbe contraria ai principi dettati più volte dalla Corte di Giustizia in materia.

In via subordinata, ove non si aderisse alle argomentazioni sostenute nell’atto di appello, la Regione appellante chiede che venga disposta la rimessione ex art. 267 par.3 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione, per la valutazione della compatibilità comunitaria dell’art. 38 e dell’art. 46 del d.lgs. 163/06 in relazione all’art. 45 e 51 della direttiva 2004/18 e ad altre disposizioni del diritto comunitario o, in ulteriore subordine, la rimessione della questione alla Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato.

Al riguardo la Regione richiama le argomentazioni di cui alla ordinanza n.1244/12 della VI Sezione del Consiglio di Stato, punto 9.10.2, di rimessione della questione della corretta interpretazione dell’articolo 38 sopracitato alla Adunanza Plenaria.

4. Si è costituita in appello la soc. Arca Medicali insistendo per il suo rigetto assumendo la irrilevanza, sul piano sostanziale, delle problematiche sollevate nell’atto di appello in quanto risulta che tutti gli amministratori e i procuratori della società Fresenius sono privi di precedenti penali e non hanno procedimenti in corso, mentre la lex specialis, nulla prevedeva in punto di esclusione, rinviando sic et simpliciter al codice degli appalti. Con l’effetto che la esclusione della ditta ricorrente, oltre a non trovare un supporto nella lex specialis e nella legislazione di settore, non corrisponderebbe ad alcun effettivo interesse pubblico della amministrazione: infatti esclusa la presenza di precedenti penali in capo a tali soggetti, la stazione appaltante non trarrebbe alcun vantaggio dalla esclusione della società.

La Regione ha successivamente depositato una ulteriore memoria difensiva e in data 12 aprile 2013, un verbale della commissione di gara in seduta riservata del 5-8 aprile 2013 che, rilevato che, tra l’altro, dalla visura camerale risultava che molti membri del consiglio di amministrazione della società risultavano muniti del potere di rappresentanza tra cui Magrassi Marco “esclude dalla procedura di gara l’operatore economico Arga Medicali s.r.l. in quanto la ditta ausiliaria Fresenius Kabi s.r.l. non ha reso tutte le dichiarazioni ai sensi dell’art. 38 co.1 lett. b)c) e m-ter del d.lgs. 163/2006” .

5. Con sentenza n. 2405/2013 la Sezione ha disposto incombenti istruttori a carico della impresa appellata e fissata la nuova udienza pubblica del 17 ottobre 2013.

Espletati tali incombenti venivano depositati dalle parti ulteriori atti e memorie difensive.

Alla udienza del 17 ottobre 2013, dopo la discussione, la causa veniva trattenuta dal Collegio per la decisione.

Il difensore della Regione Calabria chiedeva il deposito del dispositivo di sentenza.

6. La Sezione ritiene che le questioni sollevate nell’atto di appello dalla Regione Calabria siano state largamente chiarite dalla Adunanza Plenaria n.23 del 2013, intervenuta nelle more, che, a seguito della ordinanza di rimessione della Sezione V del Consiglio di Stato n.1943 del 2013, ha esaminato una fattispecie assimilabile a quella oggetto dell’odierno gravame, concernente gli obblighi di dichiarazione di una impresa partecipante ad una gara in ordine al possesso dei requisiti di moralità ex art. 38, lett. b) e c), del d.lgs. n. 163 del 2006.

Nel caso sottoposto alla Adunanza Plenaria n.23, così come nel caso sottoposto all’odierno esame, il bando ha previsto un semplice rinvio al codice degli appalti senza aggiungere alcunché rispetto alle ipotesi di esclusione mentre risultava del pari dagli atti che nessun componente del consiglio di amministrazione o procuratore speciale era incorso in precedenti penali o aveva carichi pendenti.

Nel caso specifico, l’appello non è stato proposto da alcun concorrente interessato alla aggiudicazione bensì dalla sola stazione appaltante di cui in verità non risulta del tutto chiarito lo stesso interesse e l’utilità al gravame una volta accertata l’assenza di precedenti penali in capo ai procuratori della ditta esclusa.

6.1. Sulla base delle argomentazioni della A.P. che ha esaminato le varie questioni sottoposte anche in relazione alla corretta applicazione della normativa comunitaria, l’appello deve essere respinto così come deve essere respinta la richiesta di rimessione degli atti alla Corte di Giustizia della Comunità europea.

Come rilevato nella A.P., in giurisprudenza, in ordine alla interpretazione dell’art. 38 lettera b) e c) si sono venuti nel tempo a contrapporre due fondamentali indirizzi interpretativi, il primo orientato nel senso che si debba rimanere ancorati, con rigore ermeneutico, al dato formale della norma, che richiede la compresenza della qualità di amministratore e del potere di rappresentanza, in tal modo “prevenendo malcerte indagini sostanzialistiche” non permesse dal dato normativo ed i cui esiti sarebbero imprevedibili ex ante da parte delle imprese, non essendo quindi dovute dichiarazioni nei confronti del procuratore e dell’institore e valendo al riguardo il principio di tassatività delle cause di esclusione enunciato al comma 1 bis dell’art. 46 del codice dei contratti.

Un secondo indirizzo giurisprudenziale, più sostanzialista, è orientato nel senso di superare il dato formale dell’art. 38 co.1 lett. b) e c) estendendo con ciò l’obbligo della dichiarazione della sussistenza dei requisiti morali e professionali a quei procuratori che, per avere consistenti poteri di rappresentanza dell’impresa, siano in grado di trasmettere, con il proprio comportamento, la riprovazione dell’ordinamento nei riguardi della propria condotta al soggetto rappresentato.

Tale seconda opzione assegna un’area di discrezionalità valutativa alla stazione appaltante in ordine alla selezione delle posizioni per le quali vada assolto l’obbligo di dichiarazione ex art. 38, in base allo spessore dell’ingerenza del procuratore nella gestione societaria e comporta la possibile emersione ex post di condizioni impeditive della partecipazione alle gare. L’indirizzo in questione trae giustificazione nella ratio dell’art. 38 che, attraverso l’indagine sulle persone fisiche che operano nell’interesse dell’impresa, tende a prevenire ogni ricaduta di condotte che siano incorse in giudizi riprovevoli sull’affidabilità e moralità dell’ente che aspira all’affidamento della pubblica commessa. Verrebbe meno ogni possibile schermo o copertura di amministratori strictu jure dotati dei requisiti di onorabilità rispetto procuratori che non ne siano sprovvisti.

7. La sentenza della A.P., dopo avere sottolineato che l’art. 45 della direttiva 2004/18/CE. stabilisce un nesso funzionale con il “diritto nazionale dello stato membro in cui sono stabiliti i candidati o gli offerenti” ai fini della verifica dei requisiti di ammissione, sottolineando quindi che viene lasciato alla discrezionalità dello stato membro di fissare le modalità e i limiti per la attuazione della disposizione secondo il proprio diritto interno (risolvendo quindi un punto sul quale molto ha insistito la appellante e sul quale si tornerà più oltre), ritiene che nella ipotesi in cui la lex specialis si sia limitata ad un stretto rinvio ai contenuti prescrittivi dell’art. 38 del d.lgs. n. 163, valgano i principi enunciati dall’art. 1 della legge n. 241 del 1990, di trasparenza e chiarezza ex ante degli oneri adempitivi del privato, che postulano scelte provvedimentali garanti, su un piano di effettività, del favor partecipationis, con prevenzione di reprimende occulte del diritto di accesso alle pubbliche gare.

Secondo la sentenza della Plenaria, il principio di proporzionalità, di matrice comunitaria, avuto riguardo alle conseguenze espulsive che seguono alla verifica di segno negativo dei requisiti di ammissione alla gara, induce a ripudiare una scelta interpretativa dell’art. 38 comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006, disancorata da margini di certezza.

Continua la sentenza della Plenaria osservando che con la locuzione di “amministratori muniti del potere di rappresentanza” l’art. 38 lett. c) ha inteso riferirsi ad un’individuata cerchia di persone fisiche che, in base alla disciplina codicistica e dello statuto sociale, siano abilitate ad agire per l’attuazione degli scopi societari e che, proprio in tale veste, qualificano in via ordinaria, quanto ai requisiti di moralità e di affidabilità, l’intera compagine sociale.

Poiché, tuttavia, nella modulazione degli assetti societari la prassi mostra l’emersione di figure di procuratori muniti di poteri decisionali di particolare ampiezza e riferiti ad una pluralità di oggetti così che, per sommatoria, possano configurarsi omologhi, se non di spessore superiore, a quelli che lo statuto assegna agli amministratori, “si pone l’esigenza di evitare, nell’ottica garantista dell’art. 38, comma 1, lett. c), che l’amministrazione contratti con persone giuridiche governate in sostanza, per scelte organizzative interne, da persone fisiche sprovviste dei necessari requisiti di onorabilità ed affidabilità morale e professionale, che si giovino dello schermo di chi per statuto riveste la qualifica formale di amministratore con potere di rappresentanza. “

In tal caso, afferma la A.P., il procuratore speciale finisce col rientrare a pieno titolo nella figura cui si richiama l’art. 38, co. 1, lett. c), del d.lgs. n. 163 del 2006, poiché da un lato si connota come amministratore di fatto ai sensi dell’art. 2639, co. 1, cod. civ. e, d’altro lato, in forza della procura rilasciatagli, assomma in sé anche il ruolo di rappresentante della società, sia pure eventualmente solo per una serie determinata di atti.

Del resto l’art. 45 della direttiva U.E., facendo riferimento a “qualsiasi persona” che “eserciti il potere di rappresentanza, di decisione o di controllo” dell’impresa, sembra mirare, conformemente all’orientamento generale del diritto dell’Unione, ad una interpretazione sostanzialista della figura.

7.1. Tuttavia, -e qui viene il punto centrale, utile per la decisione dell’odierno contenzioso-, in aderenza a quanto in precedenza affermato dalla Adunanza Plenaria con sentenza n. 10 del 2012 a proposito delle fattispecie relative alla cessione di azienda o di ramo di azienda, stante la non univocità della norma circa l’onere dichiarativo dell’impresa nelle ipotesi in esame: “ deve intendersi che, qualora la lex specialis non contenga al riguardo una specifica comminatoria di esclusione, quest’ultima potrà essere disposta non già per la mera omessa dichiarazione ex art. 38 cit., ma soltanto là dove sia effettivamente riscontrabile l’assenza del requisito in questione” (così testualmente la A.P. n.23/2013).

8. Venendo al caso in esame, come in precedenza sottolineato, l'onere di rendere la dichiarazione a carico dei procuratori speciali non emergeva dalla formulazione della lex specialis le cui disposizioni, stante il generico rinvio all’art. 38, co. 1 del d.lgs. n. 163, non prendevano affatto in considerazione le posizioni degli stessi, né di altro soggetto diverso da quelli desumibili in via immediata dal menzionato art. 38 cui la regolamentazione di gara faceva rinvio. Né è stata dimostrata dalla appellante Regione l’esistenza di mende a carico dei procuratori speciali, così che dall’invocata verifica potesse sortire l’effetto preclusivo dell’ammissione alla gara per il difetto del requisito in questione.

Pertanto deve ritenersi che la commissione di gara abbia errato là dove ha escluso dalla gara la società ritenendo che i procuratori speciali della società ausiliaria Fresenius dovessero produrre a pena di esclusione la dichiarazione ai sensi dell’articolo 38 del d.lgs. 163/2006.

Si sottolinea, inoltre, che la commissione di gara nulla ha eccepito con riguardo alla mancanza di dichiarazione degli amministratori muniti di potere di rappresentanza, evidentemente avendo tenuto presente l’assetto societario della Fresienus che vedeva un amministratore delegato, come confermato a seguito della sentenza istruttoria della Sezione, cumulante in sé tutti i poteri di rappresentanza della società.

Pertanto le argomentazioni della Regione con riguardo al dr. Novelli nella qualità di consigliere di amministrazione della società appaiono nuove e comunque tali da integrare in maniera inammissibile una motivazione postuma dell’atto impugnato che disponeva la esclusione della società facendo riferimento esclusivamente ai procuratori speciali. Peraltro il dr. Novelli risulta avere depositato certificati del casellario giudiziario e dei carichi pendenti dai quali risulta l’assenza di precedenti condanne e l’assenza di procedimenti penali in corso.

9. Sui motivi di appello ed in specie sul secondo motivo, di violazione da parte dell’art. 38 dell’art. 45 p.1, ultimo alinea della Direttiva 2004/18 l’appellante fornisce una ricostruzione incompleta della disposizione atteso che, come rilevato dalla sopradetta A.P. n.23, la normativa comunitaria lascia alla discrezionalità dello Stato membro di decidere la verifica dei requisiti di ammissione (“Gli Stati membri precisano, in conformità del rispettivo diritto nazionale...le condizioni di applicazione del presente paragrafo”, “In funzione del diritto nazionale dello Stato membro ..le richieste riguarderanno le persone giuridiche e/o le persone fisiche compresi, se del caso, i dirigenti delle imprese o qualsiasi persona che eserciti il potere di rappresentanza, di decisione o di controllo del candidato o dell’offerente”) per cui alcun contrasto si pone della normativa comunitaria con il diritto interno.

10. Sul terzo motivo, ed in specie sui limiti del potere di soccorso, si rinvia alla A.P. n.23 che a sua volta ha richiamato la A.P. n.21/2012 secondo la quale le stazioni appaltanti, in assenza di specifiche previsioni nella lex specialis, sono tenute ad esercitare il potere di soccorso nei confronti dei concorrenti ammettendoli a fornire le dichiarazioni mancanti sicché i concorrenti potranno essere esclusi solo se difetti il requisito sostanziale nel senso che vi sia la prova che gli amministratori per i quali è stata omessa la dichiarazione hanno pregiudizi penali.

Si richiama al riguardo il costante principio giurisprudenziale secondo cui, se è vero che il potere di soccorso istruttorio non può ledere la par condicio, così da consentire la presentazione, anche oltre il termine previsto dal bando, di documenti o dichiarazioni che avrebbero dovuto essere presentati entro detto termine a pena di esclusione, non può essere inibito alla stazione appaltante di richiedere o alla concorrente di provare, anche con integrazioni documentali, che la propria domanda fosse, sin dal principio e nella realtà effettuale, conforme a quanto richiesto dalla lex specialis.

Nel caso in esame, contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione, a carico delle imprese, sia esse ausiliate che ausiliarie, non si imponeva alcuna onere documentale in ordine alla moralità dei procuratori di fatto o in ipotesi di membri del consiglio di amministrazione, quindi non si trattava di sanare una omissione documentale in ordine ai requisiti essenziali e in violazione della par condicio dei concorrenti, ma di verificare in concreto, da parte della stazione appaltante, l’effettivo esistenza del requisito di moralità in questione.

11.In conclusione l’appello non merita accoglimento.

12. Spese ed onorari per la incertezza giurisprudenziale in materia possono essere compensati.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo, Presidente

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Vittorio Stelo, Consigliere

Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore

Dante D'Alessio, Consigliere

 

   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/11/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Informativa antimafia interdittiva, sufficiente la possibilitĂ  effettiva di ingerenza mafiosa

C.d.S. sez. III, sentenza n. 5697 del 28 novembre 2013
Data: 
28/01/2013
Tipo di Provvedimento: 
Sentenza
Materia: 
Informative prefettizie

In tema di informative antimafia interdittive è necessario e sufficiente, ai fini della loro adozione, la concomitanza di un quadro di oggettiva rilevanza, dal quale desumere elementi che, secondo un giudizio probabilistico, o anche secondo la comune esperienza, possono far presumere non un'attuale ingerenza delle organizzazione mafiose negli affari, ma un'effettiva possibilità che tale ingerenza sussista o possa sussistere. Nel caso di specie in relazione ai legami familiari, al contesto socio economico in cui operava la società ed in relazione alle circostanze così come ricostruite dalla istruttoria, sussisteva un forte pericolo di condizionamento mafioso della società ricorrente.

 

N. 05697/2013REG.PROV.COLL.

N. 03656/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3656 del 2013, proposto da: 
Societa' Over Line s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'avv. Luigi M. D'Angiolella, con domicilio eletto presso Studio Luponio in Roma, via M. Mercati n.51; 

contro

U.T.G. - Prefettura di Caserta, Ministero dell'Economia, Ministero della Difesa, Ministero dell'Interno in persona dei rispettivi rappresentati pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.12; 

nei confronti di

Irpinia Ambiente s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Vincenzo De Nisco e Elisabetta Nardone, con domicilio eletto presso Elisabetta Nardone in Roma, piazza Cola di Rienzo, n.92; 

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI SEZIONE I n. 00703/2013

 

Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. - Prefettura Di Caserta e dei Ministeri dell'Economia, Difesa e Interno e di Irpinia Ambiente Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 ottobre 2013 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati D'Angiolella, Nardone e dello Stato Varrone;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

La società ricorrente, aggiudicataria della gara di appalto per l’affidamento del servizio di trasporto e trattamento rifiuti proveniente dalla raccolta differenziata della provincia di Avellino, impugnava davanti al Tar Campania, sede di Napoli, la nota del 2.7.2012, con cui l’amministratore unico dell’Irpiniambiente s.p.a. le aveva comunicato che la stipula del contratto relativo al suddetto servizio “non sarà perfezionata né avrà più luogo”, essendo pervenuta interdittiva antimafia, ai sensi dell'art. 4 d.lgs 490/1994, con atto del 12.6.2012 della Prefettura, Ufficio Territoriale del Governo di Caserta.

A sostegno della domanda di annullamento delle determinazioni lesive deduceva i seguenti motivi:

1) violazione e falsa applicazione dell’art.1 e ss. e 7 e ss. della L. 7.8.1990 n.241;

2-3) violazione e falsa applicazione dell’art.3 della L. 7.8.1990 n.241 e dell’art.24 Cost., eccesso di potere per carenza di motivazione ed ingiustizia manifesta, assoluto difetto di istruttoria, contraddittorietà;

4) violazione e falsa applicazione dell’art.4 del D. Lgs. n.490 del 1994, dell’art.10 del d.P.R. 3.6.1998 n.252, dell’art.10 della L. 31.5.1965 n.575 e dell’art.41 Cost., violazione e falsa applicazione delle circolari del Ministero dell’Interno del 14.12.1994, dell’8.1.1996 e del 18.12.1998, eccesso di potere, travisamento, carenza dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione.

Le amministrazioni intimate si costituivano in giudizio resistendo all’impugnativa e concludendo con richiesta di reiezione del ricorso per l’infondatezza delle censure.

Successivamente la società ricorrente proponeva motivi aggiunti insistendo nella domanda di annullamento degli atti impugnati.

Il Tar respingeva il ricorso.

Il Tar evidenziava che il punto nodale della controversia si focalizzava sulla congruità degli elementi posti a sostegno dell’informativa prefettizia censurata con i motivi aggiunti.

Secondo la tesi della società ricorrente la interdittiva poggerebbe, anzitutto su alcune circostanze poste a base di una precedente informativa, quando il sig. Antonio Fontana era socio accomandatario della Europa Trans s.a.s., società ora in liquidazione, interdittiva annullata dal Consiglio di Stato, sez. VI, con decisione n.6380 del 19.10.2009 in riforma della sentenza del T.A.R. Lazio, sez. I, n.8562 del 25.10.2007.

Tale interdittiva si fondava sulla pendenza di un procedimento penale per gioco d’azzardo (in concorso con vari soggetti, tra cui un pregiudicato per associazione mafiosa) e la denuncia per reati nel settore dei rifiuti e per truffa, il mero rapporto di parentela con il fratello Giuseppe ed i fatti riguardanti quest’ultimo (quali la circostanza di essere stato controllato presso l’abitazione di latitanti pregiudicati, esponenti di associazioni criminali ed il fatto di essere stato indicato da un collaboratore di giustizia come vittima di estorsioni), circostanze tutte, a detta della società ricorrente, reputate non sufficienti a configurare il pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata. Gli ulteriori elementi segnalati dalla Guardia di Finanza e recepiti acriticamente dalla Prefettura, cioè che Antonietta Orefice (precedente amministratore della Over Line) ed il sig. Antonio Fontana (attuale amministratore) “sono stati oggetto di notizia di reato per trasferimento fraudolento di valori in concorso, ai sensi dell’art.12 quinquies del D.L. 8.6.1992 n. 306” e che la Prefettura di Ferrara ha emesso un provvedimento interdittivo antimafia sul conto di altra società “sulla scorta di collegamenti della stessa con Fontana Antonio” non sarebbero in grado di sovvertire, per la loro irrilevanza, il precedente esito favorevole cui era pervenuta la citata pronuncia.

Il Tar, dopo avere riepilogato i tratti caratterizzanti l'istituto dell'informativa prefettizia di cui agli artt. 4 del d.lgs. n. 490/1994 e 10 del d.P.R. n. 252/1998, come delineati dalla giurisprudenza, concludeva nel senso che nella fattispecie in esame la rinnovazione della misura interdittiva nei confronti della società ricorrente era giustificata sulla base degli ulteriori elementi indiziari raccolti nel corso dell’istruttoria compiuta dal Prefetto di Caserta.

Infatti dalla complessiva documentazione versata in giudizio emergeva una fitta rete di collegamenti e di cointeressenze tra l’attuale amministratore della Over Line ed i suoi fratelli. La comunicazione di notizia di reato per trasferimento di valori vedeva coinvolto il sig. Antonio Fontana in concorso (oltre che con altri soggetti, tra i quali la già nominata Antonietta Orefice) coi fratelli Paolo e Raffaele (entrambi soci, ed il primo anche amministratore, del Gruppo Fontana s.r.l.). Gli stretti legami ed i rapporti di affari tra loro intercorrenti si palesavano chiaramente nell’informativa antimafia resa dal Prefetto di Ferrara sul conto di altra società, la Eco Energy s.r.l. Ivi si evidenziavano, tra l’altro, i rapporti di fornitura di quest’ultima sia con la Over Line che con Giuseppe Fontana (altro fratello dell’attuale amministratore della società ricorrente), l’esecuzione in comune di varie attività (come nel caso dell’emergenza rifiuti nel Comune di Marigliano, attraverso l’utilizzo di automezzi per il trasporto di proprietà, sia della Over Line che del Gruppo Fontana), i notevoli scambi economico-commerciali tra queste ultime società. In particolare, le verifiche contabili ed i controlli incrociati circa il frequente uso di fatture per operazioni inesistenti, sono state poste a base del sequestro preventivo (disposto dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 2.1.2012) nei confronti delle somme esistenti sui conti correnti bancari del Gruppo Fontana (sulla base della richiesta della Procura della Repubblica del 16.11.2011).

In tale contesto, connotato da intensi vincoli di solidarietà familiare, secondo il Tar si collocava l’episodio più grave ed inquietante che dava luogo al procedimento penale a carico di Raffaele Fontana, indagato per i delitti di cui agli artt. 479 c.p. e 326 c.p., con la specifica aggravante di cui all’art.7 della L. 203/91, “per aver agito al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa denominata clan dei casalesi, capeggiata dal latitante Zagaria Michele”. Nella specie veniva coinvolto un carabiniere in servizio alla Stazione di San Cipriano d’Aversa, il quale, “disponendo di notizie d’ufficio segrete in ordine alla procedura diretta al rilascio della certificazione antimafia nei confronti della società “Gruppo Fontana s.r.l.” ed essendo demandato …del rilascio delle informazioni ai “fini antimafia” nei riguardi della società indicata, dei loro amministratori Fontana Paolo e Fontana Raffaele e dei loro familiari, informava indebitamente Fontana Raffaele, previa istigazione di quest’ultimo, della procedura in corso e del relativo oggetto, rivelando notizie riservate e violando i doveri di segretezza sugli atti d’ufficio nonché redigendo l’informativa della Stazione dei C.C. di San Cipriano D’Aversa datata 26 maggio 2006, atto pubblico diretto al Comando Provinciale di Caserta e di contenuto rilevante per il rilascio della certificazione antimafia … ed intenzionalmente omettendo ogni riferimento alle risultanze sul conto di Fontana Antonio e Fontana Giuseppe, fratelli di Paolo e Raffaele, evidenze e rilevanti per la procedura, in particolare dolosamente tacendo le risultanze relative al controllo di Fontana Giuseppe … presso l’abitazione del latitante Zagaria Michele, colto all’atto di conversare con Zagaria Vincenzo e Pasquale, il 7.10.2001 e obliterando il segnalato rapporto di “amicizia” tra il familiare di Fontana Raffaele e Paolo ed il capo latitante del clan dei casalesi, falsamente attestava l’inesistenza di legami di parentela con soggetti riconducibili alla criminalità organizzata e frequentazioni con i medesimi”.

Per il Tar i solidi legami esistenti tra i componenti della famiglia Fontana possono cogliersi anche nelle vicende che riguardavano la stessa Over Line, atteso che il duplice trasferimento realizzato in uno stretto arco temporale (in data 8.4.2009 Antonietta Orefice acquista la società da Paolo e Raffaele Fontana ed il 6.10.2010 la cede ad Antonio Fontana) e la circostanza che quest’ultimo già prima si era qualificato come rappresentante della stessa ditta (nel corso di un controllo effettuato in data 11.3.2010, menzionato nel citato rapporto della Guardia di Finanza), erano indici sintomatici di una sostanziale continuità nella gestione delle relative attività oltre che di una finalità elusiva dei controlli previsti dalla legislazione antimafia.

In definitiva il Tar concludeva rilevando che gli accertamenti posti a base dell'informativa non coincidevano affatto con quelli presi in considerazione nel precedente provvedimento annullato (con la già citata sentenza del Consiglio di Stato n. 6380/2009), essendo emerse nuove circostanze che delineavano un quadro indiziario sufficientemente preciso e concordante assumendo connotazione di indubbia gravità, gettando nuova luce anche sugli elementi fattuali già segnalati in precedenza dalle forze di polizia, così da giustificare la riformulazione di un giudizio di controindicazione ai fini antimafia.

Se è vero che il rapporto di parentela o di affinità non costituisce in sé indizio sufficiente del tentativo di infiltrazione mafiosa, è altrettanto vero che tale tentativo deve ritenersi sussistente quando al dato dell'appartenenza familiare si accompagni la frequentazione, la convivenza o la comunanza di interessi con vari individui gravitanti nell'orbita delle associazioni criminali, tali da palesare, pertanto, la contiguità con gli ambienti della criminalità (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 29 febbraio 2008 n. 756, 27 giugno 2007 n. 3707 e 2 maggio 2007 n. 1916).

3. Nell’atto di appello la società evidenzia che :

- il Tar non avrebbe spiegato la rilevanza ai fini della permeabilità mafiosa e camorristica della notizia di reato per trasferimento fraudolento di valori in concorso ai sensi dell’art. 12 quinquies del D.L. 8.6.1992 n.306 che ha riguardato Orefice Antonietta e Fontana Antonio;

- dalla nota del GIA del 18 maggio 2012 della Guardia di Finanza, Compagnia di Caserta, non si ricaverebbe alcun elemento utile in tal senso, dandosi atto semplicemente di avere monitorato una gara aggiudicata alla Over Line dalla stazione unica appaltante presso la Prefettura e dunque svolta dalla stessa Prefettura;

- il fatto che il Fontana Antonio sia stato interessato dalla notizia di reato per trasferimento fraudolento di valori non sarebbe significativo ai fini della interdittiva atteso che la gara era stata monitorata dalla Prefettura;

- al punto 2 della nota della GdF è evidenziata la circostanza che la stessa società Over Line era stata acquisita dall’attuale socio e amministratore Fontana Antonio da Oreficie Antonietta nei confronti della quale non si indica alcun pregiudizio o limitazione imprenditoriale;

-non sarebbe significativo il fatto che Orefice Antonietta era amministratrice della società al momento di partecipare alla gara presso il Comune di San Cipriano di Aversa e che una volta aggiudicata la gara la società sia stata acquistata da Fontana Antonio che nelle more era stato destinatario della sentenza del Consiglio di Stato n.6380/2009, in quanto se l’intento era quello di eludere la normativa antimafia, certamente il Fontana non si sarebbe esposto subentrando nella società come amministratore e socio unico;

-l’informativa emessa a carico della società sarebbe stata preordinata a provocare il sequestro dell’Azienda e l’affidamento della stessa ad amministratore giudiziario, tuttavia il Tribunale del riesame di Napoli, con ordinanza n.2313/12 R.I.M.C., aveva accolto l’appello e disposto il dissequestro richiamando la sentenza del Consiglio di Stato di cui sopra;

-la soc. Eco Energy, destinataria di una interdittiva antimafia del Prefetto di Ferrara, era stata in due occasioni in rapporti commerciali con la società appellante, tuttavia le circostanze di fatto sono le stesse che venivano riportate nella istruttoria posta alla base della interdittiva per Europa Trans, superate dalla sentenza dl Consiglio di Stato n.6380/2009;

-la sentenza, per sostenere un contiguità di Fontana Antonio con i suoi fratelli, sulla scorta della interdittiva alla Eco Energy insiste sulla posizione della azienda Over Line e della Gruppo Fontana, dalla quale tuttavia Fontana Antonio è estraneo, menzionando un sequestro preventivo avvenuto ai danni della Gruppo Fontana circa il frequente uso di fatture per operazioni inesistenti avente al più un rilevo di natura fiscale e comunque conclusosi con un accertamento per adesione;

-l’episodio che coinvolgeva un carabiniere in servizio presso la Stazione di San Cipriano vedeva del tutto estraneo Fontana Antonio interessando il di lui fratello che svolge attività per proprio conto in altro settore imprenditoriale;

-il legame di sangue del Fontana Antonio con i suoi fratelli non può ritenersi sufficiente per interdire la società appellante;

-la sentenza non avrebbe tenuto conto che gli accertamenti della Direzione Investigativa Antimafia avevano avuto esito negativo;

-il Prefetto si sarebbe appiattito sulle informative di polizia senza esercitare i propri poteri valutativi attribuitigli dalle norme di riferimento in violazione del principio di imparzialità e terzietà;

-sarebbero stati violati gli indirizzi interpretativi introdotti da DPR 252/98, essendo insufficienti gli elementi raccolti dal Prefetto, lo stesso aveva l’obbligo di procedere ad ulteriori più pregnanti accertamenti nelle more consentendo alla impresa sospettata di proseguire la attività.

Si è costituita l’Avvocatura dello Stato chiedendo con ampia motivazione il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza del Tar.

Anche la Irpiniambiente si è costituita in giudizio sottolineando la inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi di impugnazione avverso la declaratoria di revoca della aggiudicazione e concludendo per il rigetto dell’appello.

Alla pubblica udienza del 17 ottobre 2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.

DIRITTO

1. Deve premettersi che con riferimento alla cd. interdittiva antimafia "tipica", prevista dall’art. 4 del D. Lgs. n. 490 del 1994 e dall’art. 10 del D.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 (ed oggi dagli articoli 91 e segg. del D. Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) questa Sezione (con sentenze 23 febbraio 2012 n.1068, n. 5995 del 12 novembre 2011 e n. 5130 del 14 settembre 2011) ha affermato:

- che l'interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura preventiva volta a colpire l'azione della criminalità organizzata impedendole di avere rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione;

- che, trattandosi di una misura a carattere preventivo, l’interdittiva prescinde dall'accertamento di singole responsabilità penali nei confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti dai diversi organi di polizia valutati, per la loro rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente;

- che tale valutazione costituisce espressione di ampia discrezionalità che può essere assoggettata al sindacato del giudice amministrativo solo sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati;

- che, essendo il potere esercitato, espressione della logica di anticipazione della soglia di difesa sociale, finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, la misura interdittiva non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale di carattere definitivo e certi sull'esistenza della contiguità dell’impresa con organizzazione malavitose e quindi del condizionamento in atto dell'attività di impresa, ma può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata;

- che, anche se occorre che siano individuati (ed indicati) idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o possibili collegamenti con le organizzazioni malavitose, che sconsigliano l’instaurazione di un rapporto dell’impresa con la pubblica amministrazione, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo, l’interdittiva, fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico e indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo;

- che di per sé non basta a dare conto del tentativo di infiltrazione il mero rapporto di parentela con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata (non potendosi presumere in modo automatico il condizionamento dell’impresa), ma occorre che l’informativa antimafia indichi (oltre al rapporto di parentela) anche ulteriori elementi dai quali si possano ragionevolmente dedurre possibili collegamenti tra i soggetti sul cui conto l’autorità prefettizia ha individuato i pregiudizi e l’impresa esercitata da loro congiunti;

- che, infine, gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata.

2. Ritiene la Sezione che il Tar abbia effettuato le proprie valutazioni in coerenza con i principi sopra esposti, principi che ha correttamente richiamato prima dell’analitico esame degli aspetti fattuali della vicenda contenziosa.

La società appellante lamenta il fatto che si sarebbe fatto riferimento ad una notizia di reato che vede coinvolto il suo rappresentante legale e i suoi fratelli per trasferimento di valuta all’estero, che non avrebbe alcun rilievo di fini della permeabilità mafiosa o camorristica della impresa.

Inoltre l’interdittiva poggerebbe su fatti già scrutinati dal Consiglio di Stato e ritenuti irrilevanti con sentenza VI Sez. n.6380/2009 quando il signor Fontana era socio accomandatario ed amministratore della società Europa Trans .

Si sarebbe data infine grande enfasi a notizie relative ad altre aziende facenti capo ai fratelli Fontana, tuttavia in alcun modo collegabili con l’amministratore della Over Line.

Occorre sottolineare che il riferimento del primo giudice alla predetta vicenda penale che vedeva coimputati i fratelli Fontana, nella motivazione della sentenza era preordinato al fine di dare conto della circostanza, di assoluto e assorbente rilievo nel ragionamento sviluppato, diretto a ricostruire il quadro complessivo in cui si svolgeva l’attività della impresa rappresentata dalla fitta rete di collegamenti affaristici e cointeressenze esistenti tra i fratelli Fontana, che la difesa della ricorrente aveva tentato di negare e sminuire. La Prefettura di Caserta evidenziava al riguardo che anche il fatto che i fratelli erano cointeressati in un procedimento penale era sintomatico dello svolgimento, da parte di essi, di attività in comune con cointeressenze di ordine economico commerciale. Uno dei fratelli era stato indagato nell’ambito delle indagini coordinate dalla D.D.A. di Napoli in relazione al procedimento penale n.57027/07 P.M. e n.51054/08 G.I.P. con la contestazione dell’aggravante di cui all’art.7 della legge 203/91 per avere agito al fine di agevolare l’attività del “clan dei casalesi”, a carico di altro fratello vi erano segnalazioni per truffa, gioco d’azzardo, traffico illecito di rifiuti e associazione a delinquere.

Il giudice di prime cure analizzava quindi “gli stretti legami e i rapporti di affari intercorrenti” quali si palesavano chiaramente dalla informativa antimafia resa dal Prefetto di Ferrara e dunque effettuava un puntuale apprezzamento su tutte le risultanze della istruttoria espletate della Prefettura che, contrariamente a quanto sostenuto in appello, non si esaurivano nel parere reso dal GIA e nella documentazione in esso richiamata.

Anche le vicende del pacchetto azionario della società appellante che durante la gara presso il Comune di San Cipriano risultava intestata ad una prestanome, mancante delle risorse finanziarie necessarie per l’acquisto della società, avvaloravano i sospetti della Prefettura lasciando trapelare che mai il Fontana Antonio aveva perso il controllo della società che ancor prima era stata di proprietà di altri due fratelli del Fontana e, d’altro canto, risultando evidente l’inserimento dello stesso Fontana Antonio in un contesto familiare e socio economico contiguo ad una delle più pericolose consorterie criminali di stampo mafioso operante nel territorio casertano ed in particolare attivo nel settore economico di immediato interesse della società (quello dei rifiuti) per il tramite di società operanti in stretto rapporto tra di loro.

Sulla pronunzia del Tribunale del riesame deve osservarsi che lo stesso era chiamato solo a valutare se esistevano i presupposti per il sequestro preventivo della società appellante e non per valutare i pericoli di infiltrazione mafiosa nella società, accertamento, questo, demandato al Prefetto secondo regole peculiari legislativamente disciplinate. In ogni caso la lettura del provvedimento del Tribunale del riesame evidenzia che lo stesso si basa per lo più sulle considerazioni svolte dal Consiglio di Stato senza conoscere le risultanze della istruttoria sulle quali si è venuta a fondare la informativa impugnata.

Né possono condividersi le argomentazioni dell’appellante dirette al fine di accreditare la tesi che la informativa si poggiava su quella assunta dalla Prefettura di Ferrara, a sua volta fondata sulla informativa emessa nei confronti di altra società amministrata da Antonio Fontana e annullata dal Consiglio di Stato

Ed infatti, tanto la informativa adottata dalla Prefettura di Ferrara nei confronti della Eco Energy, quanto la informativa adottata nei confronti della appellante, si sono fondate su altre circostanze rispetto a quelle prese a fondamento della informativa emessa nei confronti della Europa Trans, mentre il giudice di prime cure ha ritenuto di condividere le conclusioni cui era pervenuta la Prefettura di Caserta, non in relazione al fatto che la Over Line aveva intrattenuto rapporti con la Eco Energy, ma in relazione al fatto che anche dal predetto provvedimento della Prefettura di Ferrara emergevano circostanze significative che dimostravano la esistenza di un circuito affaristico di cui erano protagonisti i fratelli Fontana e le imprese di cui si servivano per lo svolgimento di svariate attività di notevole rilievo economico.

Nell’appello si criticano le considerazioni del Tar per avere ritenuto rilevante la notizia di reato riguardante Raffaele Fontana, uno dei fratelli dell’amministratore delegato della società appellante, indagato per i delitti di cui agli artt. 479 c.p. e 326 c.p. con aggravante di cui all’art.7 della legge 203/91 “per avere agito al fine di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa denominata clan dei casalesi capeggiata dal latitante Zagaria Michele”.

Ribadito che nella economia della sentenza il riferimento a tale episodio risulta effettuato al fine ricostruire il quadro in cui si collocava l’attività della società e i collegamenti esistenti con le società dei fratelli Fontana, non è irrilevante il fatto che dal procedimento penale avviato nei confronti di Raffaele Fontana emerge che l’episodio riguardante l’attività dal medesimo posta in essere con l’ausilio di un militare appartenente all’Arma dei Carabinieri, mirante alla alterazione delle notizie che andavano fornite alla Prefettura, implicava la induzione dell’esponente dell’Arma ad omettere informazioni anche sul conto di Antonio Fontana.

Si assume ancora che il sequestro preventivo per false fatturazioni riguardante la società del “Gruppo Fontana” non poteva assumere alcun rilievo non essendo indicativo di alcun collegamento della predetta società con la criminalità organizzata.

Sennonché, anche qui l’episodio viene riportato per ricostruire il tipo di rapporti esistenti tra i fratelli Fontana considerato che le fatture risultate false risultavano tutte emesse nei confronti di società controllate da uno o più esponenti del gruppo familiare e evidenziavano la esistenza di intensi legami familiari.

La sentenza del Tar quindi appare coerente nei suoi sviluppi argomentativi e condivisibile nelle conclusioni là dove ha rilevato che in relazione ai legami familiari, al contesto socio economico in cui operava la società ed in relazione alle circostanze così come ricostruite dalla istruttoria, sussisteva un forte pericolo di condizionamento mafioso della società ricorrente.

L’appello quindi deve essere respinto mentre le spese del giudizio, per la peculiarità della fattispecie, possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 ottobre 2013 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo, Presidente

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Vittorio Stelo, Consigliere

Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore

Dante D'Alessio, Consigliere

 

   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 28/11/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Accordi sostitutivi e ricorso in ottemperanza nei confronti di soggetti privati

Tar Catania, Sez. I, sentenza del 18 gennaio 2013, n. 165
Data: 
18/01/2013

1. "La sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sullo specifico rapporto controverso (inquadrabile nell’ambito delle controversie relative alla formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi sostitutivi di cui al’art. 11 della legge n. 241/1990); giurisdizione che, ovviamente, si estende anche alla fase di esecuzione del giudicato, venendo in rilievo azioni di tutela di diritti soggettivi rimessi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo"

2. "La disposizione dell’art. 112 c.p.a., laddove afferma che "I provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti", pone un generale principio di ammissibilità dell'azione proposta (anche) nei confronti di soggetti privati e non solo della pubblica amministrazione. In particolare, l’art. 112 innova la normativa previgente (art. 27, n. 4, del T.U. Consiglio di Stato, e art. 37 della legge TAR che si limitava a disciplinare l'azione volta "ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'autorità amministrativa" di conformarsi al giudicato) e agisce su due fronti: stabilisce chi deve eseguire il giudicato (includendovi anche le parti private) e successivamente fissa le caratteristiche e le condizioni per l'esercizio dell'actio iudicati".

 

N. 00165/2013 REG.PROV.COLL.

N. 01675/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1675 del 2012, proposto da:
Comune di Falcone, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. *****************, con domicilio eletto presso *****************in Catania, ****************;

contro

********************, rappresentati e difesi dall'avv. ***************, con domicilio eletto presso la Segreteria del TAR Catania;

per l'ottemperanza

alla sentenza n. 1251/09 del T.A.R. Sicilia - sez. distaccata di Catania, sez.I.

 


 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Paratore Stefano Yuri;

Viste le memorie difensive;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2012 il dott. Agnese Anna Barone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO

Con sentenza n.1251/2009, questo T.A.R., in accoglimento del ricorso recante n.r.g. 1344/2003, proposto dal Comune di Falcone per l’adempimento degli obblighi derivanti da un atto unilaterale d’obbligo del 1997, ha condannato, in solido, i signori *************** a trasferire gratuitamente, mediante la stipula di un atto pubblico di cessione, la proprietà dell’area di mq. 482, ricadente su parte della particella n. 460 (ex 71/A) del foglio di mappa 4 del Comune di Falcone (confinante ad est con una strada comunale, a sud con le ditte Saccone e Calabrò, ad ovest con un parcheggio privato e a nord con terreno di pertinenza del centro sociale), campita in rosso nella planimetria allegata all’atto d’obbligo del 7 marzo 1997, e di realizzare sulla predetta area i lavori di completamento funzionale dettagliatamente indicati nel suddetto atto d’obbligo.

La sentenza è stata confermata dal giudice d’appello. ( sentenza C.G.A. n. 1483/2010). Infine, con sentenza n. 318172012, le SS.UU. della Corte di Cassazione hanno respinto il ricorso avverso la sentenza del C.G.A e hanno confermato la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo.

Il Comune di Falcone ha chiesto ai soggetti obbligati di dare esecuzione alla sentenza del T.A.R. Catania n. 1251/2009. Stante il silenzio serbato dai soggetti intimati, il Comune di Falcone ha, quindi, proposto, ai sensi dell'art. 112 c.p.a. ,il ricorso in esame, con il quale ha chiesto l’adozione dei provvedimenti necessari per ottenere l’esecuzione del giudicato ed il risarcimento del danno subito dal Comune di Falcone a causa dell’omessa esecuzione della sentenza sopra citata.

Si è costituito in giudizio per resistere al ricorso il signor Yuri Stefano Paratore, il quale ha eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto diversi profili (inammissibilità dell’azione di ottemperanza nei confronti di soggetti privati, difetto di giurisdizione, inammissibilità della nomina del commissario ad acta) e ha dedotto l’infondatezza del ricorso, ritenendo la controversia ormai superata per effetto dell’asserita datio in solutum (pag. 7-8-9- della memoria difensiva) e l’inammissibilità della pretesa risarcitoria.

Alla camera di consiglio del 20 dicembre 2012, il ricorso è stato trattenuto in decisione come da verbale.

DIRITTO

1. Il ricorso per esecuzione di giudicato in esame concerne l’obbligo di stipulate l’atto pubblico di cessione di un’area imposto ai resistenti dalla sentenza n. 1251/2009 di questo T.A.R..

In via preliminare, anche al fine di confutare alcuni profili d’inammissibilità del ricorso eccepito dai resistenti, occorre fare le seguenti precisazioni:

a) ogni questione concernente la giurisdizione è superata alla luce della decisione n. 3181/2012 delle SS.UU della Corte di Cassazione, resa tra le parti, che ha affermato la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sullo specifico rapporto controverso (inquadrabile nell’ambito delle controversie relative alla formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi sostitutivi di cui al’art. 11 della legge n. 241/1990); giurisdizione che, ovviamente, si estende anche alla fase di esecuzione del giudicato, venendo in rilievo azioni di tutela di diritti soggettivi rimessi alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (cfr. TAR Sicilia, Catania, I, 24 maggio 2012, n. 1312);

b) ogni questione riguardante la sussistenza dell’obbligo di cessione delle aree, di stipula dell’atto pubblico e di esecuzione delle opere previste nell’atto unilaterale d’obbligo è ormai definitivamente cristallizzata nella decisione di questo T.A.R., confermata dal C.G.A. Risultano, pertanto, inammissibili le difese dei resistenti che introducono ulteriori profili relativi alla presunta datio in solutum conseguente al pagamento degli oneri concessori.

2. Fatta questa premessa di ordine generale, si può esaminare l’eccezione d’inammissibilità dell’azione di ottemperanza proposta nei confronti di soggetti privati.

L’eccezione è infondata.

Come recentemente rilevato dalla Sezione nella decisione 1312/2012 sopra citata, la disposizione dell’art. 112 c.p.a., laddove afferma che "I provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti", pone un generale principio di ammissibilità dell'azione proposta (anche) nei confronti di soggetti privati e non solo della pubblica amministrazione. In particolare, l’art. 112 innova la normativa previgente (art. 27, n. 4, del T.U. Consiglio di Stato, e art. 37 della legge TAR che si limitava a disciplinare l'azione volta "ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'autorità amministrativa" di conformarsi al giudicato) e agisce su due fronti: stabilisce chi deve eseguire il giudicato (includendovi anche le parti private) e successivamente fissa le caratteristiche e le condizioni per l'esercizio dell'actio iudicati. “ (…)Quelli evidenziati sono, dunque, chiari segnali presenti nel Codice che inducono a ritenere ammissibile l'azione oggi in esame. A ciò si aggiunga il fatto che, se inteso con questa connotazione "allargata", il giudizio di ottemperanza va a realizzare quel principio di effettività della tutela (art. 1 c.p.a.), che per espressa disposizione di legge "(...) è realizzato attraverso la concentrazione davanti al giudice amministrativo di ogni forma di tutela degli interessi legittimi e, nelle particolari materia indicate dalla legge, dei diritti soggettivi" (art. 7, co. 7, c.p.a.). È evidente che non vi sarebbe tutela giurisdizionale effettiva se il giudice amministrativo - una volta emessa la sentenza, con statuizione definitiva e vincolante per tutte le parti - vedesse paralizzati i propri poteri di intervento esecutivo per il fatto che la mancata esecuzione del giudicato sia imputabile alla parte privata. Le considerazioni precedenti, in punto di effettività della tutela, valgono ancor di più con riferimento ai casi in cui il g.a. esercita giurisdizione esclusiva: se il rapporto originario, conosciuto e vagliato nell'ambito del giudizio di cognizione, è affidato alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, è logico, coerente e consequenziale affermare che tale giurisdizione permanga in via "esclusiva" in capo allo stesso giudice anche quando si profili la necessità di avviare rimedi esecutivi per ottenere l'ottemperanza alla sentenza passata in giudicato, e ciò nei confronti di tutte le parti (nessuna esclusa) che parteciparono al giudizio di cognizione. Né - sotto altro profilo - può dirsi che derivi dai principi costituzionali, e dal ruolo ivi assegnato al giudice amministrativo, alcun ostacolo a concepire nella descritta maniera "allargata" il giudizio di ottemperanza. Infatti, in base alle disposizioni costituzionali (art. 103 Cost.) il g.a. non è il giudice esclusivo dell'amministrazione, ma il giudice dell'interesse legittimo - ed in particolari materie, anche dei diritti soggettivi - sicché, appare costituzionalmente legittima l'attribuzione del compito di garantire l'attuazione del giudicato (anche nei casi in cui l'obbligo di esecuzione gravi su una parte privata), venendo in rilievo la tutela di un vero e proprio diritto soggettivo, affidata dal legislatore ordinario al giudice amministrativo” (T.A.R. Catania, 1312/2012 cit.).

3. Verificata l’ammissibilità del ricorso, si può esaminare la domanda di esecuzione del giudicato, che risulta fondata, in base alle considerazioni che seguono.

Il giudicato in esame concerne l’obbligazione solidale dei resistenti di “trasferire gratuitamente al Comune di Falcone, a mezzo stipula di atto pubblico, le aree distinte in catasto alla particella n. 460 (ex 71/A) del foglio di mappa n. 4, campita in rosso nella planimetria allegata all’atto d’obbligo del 7marzo 1997 e di realizzare sulla predetta area i lavori di completamento funzionale dettagliatamente indicati nell’atto di obbligo”.

Ora, mentre la realizzazione dei lavori costituisce un’obbligazione di facere certamente eseguibile anche con poteri coercitivi o sostitutivi, l’obbligazione di trasferire la proprietà dell’area costituisce un’obbligazione di facere, non coercibile con strumenti sostitutivi (quali la nomina del commissario ad acta), ma realizzabile solo attraverso una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c.

A tale proposito, parte resistente eccepisce l’inammissibilità di un’azione ex art. 2932, non richiesta espressamente nel giudizio di ottemperanza e comunque formulata solo in via subordinata nel giudizio di cognizione di primo grado svoltosi innanzi al T.AR..

L’eccezione di parte resistente, sarebbe fondata, se non soccorresse il principio di riqualificazione dell’azione proposta. Se, infatti, la domanda di parte ricorrente dovesse considerarsi domanda di esecuzione del giudicato, con nomina di un commissario ad acta (che ovviamente non potrebbe sostituirsi ai soggetti inadempienti all’obbligo di stipula dell’atto pubblico), tale qualificazione determinerebbe un vuoto di tutela per il ricorrente, in quanto, la sentenza di condanna favorevole, non troverebbe possibilità alcuna di esecuzione, venendo a mancare lo strumento processuale richiesto per la stipula dell’atto pubblico e il trasferimento della proprietà delle aree.

Al riguardo va precisato che, come ripetutamente affermato in giurisprudenza (cfr., da ultimo, C.G.A., Sez. Giur., n. 161/2012 e Cons. St., VI, n. 4557/2010), il giudice incorre nel vizio di ultrapetizione solo quando, esorbitando dalle sue funzioni, pronuncia una decisione che vada oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, attribuendo, quindi, un'utilità o un bene della vita non richiesto, mentre rientra nella sua “potestas iudicandi” il potere di qualificare giuridicamente l’azione proposta e di procedere ad un’autonoma ricerca delle norme su cui fondare la decisione.

In altri termini, se il giudice non può rilevare fatti non prospettati dalle parti ed esprimere statuizioni che non trovino corri-pondenza nelle prospettate domande, ad egli non è preclusa, nell'ambito della situazione di fatto indicata dal ricorrente, una valutazione giuridica autonoma rispetto a quella prospettata dall'interessato.

4. In ogni caso, a prescindere dal generale potere di riqualificazione dell’azione proposta, va comunque rilevato come nell’ambito del giudizio di ottemperanza il giudice amministrativo, nell’esercizio della giurisdizione di merito, possa adottare, direttamente o per il tramite di un commissario ad acta, tutte le misure che ritiene necessarie ed opportune per dare esatta e integrale esecuzione alla sentenza e rendere concreto il principio di effettività della tutela.

Applicando i richiamati principi alla fattispecie in esame, si deve affermare che la tutela effettiva delle ragioni del Comune di Falcone postula necessariamente un intervento diretto del giudice dell’ottemperanza e quindi un provvedimento giurisdizionale, come la sentenza ex art. 2932 c.c., dovendo comunque l’ordinamento garantire la piena tutela delle posizioni soggettive paritetiche, incluse naturalmente quelle delle pubbliche amministrazioni.

5. Del resto, oggi, ogni residuo dubbio sulla generale ammissibilità dell’azione costitutiva di cui all’art. 2932 c.c., è stato definitivamente fugato dalla decisione n. 28/2012 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato laddove si afferma che “(…) il rimedio previsto dall’art. 2932 c.c. a fine di ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto, deve ritenersi applicabile non solo nelle ipotesi di contratto preliminare non seguito da quello definitivo, ma anche in qualsiasi altra ipotesi dalla quale sorga l’obbligazione di prestare il consenso per il trasferimento o la costituzione di un diritto, sia in relazione ad un negozio unilaterale, sia in rela-zione ad un atto o ad un fatto dai quali detto obbligo possa sorgere ex lege. (…). Non vi è pertanto motivo per ritenere che non possa essere oggetto dell’azione ex art. 2932 c.c. il mancato adempimento da parte dell’obbligo (…) di cessione delle aree indicate, tale adempimento non essendo peraltro mi-nimamente condizionato ad eventuali contrapposti adempimenti da parte del Comune ricorrente. Né può addursi, a fondamento della pretesa inammissibilità dell’azione in questione, la sua asserita natura speciale ed eccezionale, in quanto mista, cognitiva ed esecutiva insieme, derogatoria pertanto della normale separazione tra azione cognitoria e azione esecutiva. Invero, tale natura non la rende incompatibile (né è stata fornita alcuna significativa argomentazione al riguardo) con la struttura del processo amministrativo come delineato dal relativo codice, tanto più che, da un lato, non solo è espressamente prevista un’azione (di ottemperanza), anch’essa caratterizzata dalla coesistenza in capo al giudice di poteri di cognizione ed esecuzione insieme e, d’altro lato, non può neppure sostenersi la tesi di un’eventuale “tipicità” delle azioni proponibili nel processo amministrativo, tipicità che sarebbe in stridente ed inammissi-bile contrasto, oltre che con i fondamentali principi di pienezza ed effettività della tutela, ex art. 1 c.p.a., con la stessa previsione dell’art. 24 della Costituzione”.

6. Alla luce delle suesposte considerazioni, sussistono, dunque, le condizioni per accogliere il ricorso per ottemperanza proposto dal Comune di Falcone nei termini di seguito specificati:

1) va accertato, in favore del Comune di Falcone e a carico dei soggetti resistenti l’inadempimento degli obblighi scaturenti dalla sentenza n. 1251/2009 di questo T.A.R. [obbligo di trasferimento della proprietà dell’area di mq. 482, ricadente su parte della particella n. 460 (ex 71/A) del foglio di mappa 4 del Comune di Falcone (confinante ad est con una strada comunale, a sud con le ditte Saccone e Calabrò, ad ovest con un parcheggio privato e a nord con terreno di pertinenza del centro sociale), campita in rosso nella planimetria allegata all’atto d’obbligo del 7 marzo 1997, e realizzazione dei lavori di completamento funzionale dettagliatamente indicati nel suddetto atto d’obbligo];

2) va disposta, ai sensi dell’art. 2932 c.c., la cessione gratuita in favore del Comune di Falcone della proprietà dell’area e delle opere predette, ordinando al competente Conservatore dei registri immobiliari di procedere alle relative trascrizioni, con esonero da ogni sua responsabilità al riguardo.

3) va ordinato ai resistenti - qualora non ancora realizzate – l’esecuzione delle opere di completamento funzionale espressamente indicate nell’atto unilaterale d’obbligo (art. 2) entro un congruo termine che sarà fissato dall’amministrazione. In caso di ulteriore inadempimento il Comune di Falcone potrà agire in via sostitutiva attraverso l’esecuzione in danno.

7. Deve essere, invece, respinta domanda di risarcimento dei danni conseguenti all’omessa esecuzione del giudicato, poiché formulata in termini estremamente generici e priva di alcun elemento di prova.

8. Le spese di lite seguono la soccombenza, secondo la liquidazione operata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

accoglie il ricorso indicato in epigrafe nei sensi precisati in motivazione e, per l’effetto:

- dispone il trasferimento gratuito della proprietà, ex art. 2932 c.c., in favore del Comune ricorrente, dell’area di mq. 482, ricadente su parte della particella n. 460 (ex 71/A) del foglio di mappa 4 del Comune di Falcone (confinante ad est con una strada comunale, a sud con le ditte Saccone e Calabrò, ad ovest con un parcheggio privato e a nord con terreno di pertinenza del centro sociale),in esecuzione degli obblighi dedot-ti in convenzione, ordinando al competente Conservatore dei registri immobiliari di procedere alle relative trascrizioni.

-ordina ai resistenti, in solido, l’ esecuzione delle opere di completamento funzionale espressamente indicate nell’atto unilaterale d’obbligo, secondo quanto precisato in motivazione.

Condanna la parte resistente al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Falcone che liquida in complessivi € 1500,00 (euro millecinquecento/00), oltre IVA, CPA e oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Biagio Campanella, Presidente

Salvatore Schillaci, Consigliere

Agnese Anna Barone, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 
 

Sovvenzioni, contributi pubblici ed aiuti comunitari: le regole del riparto di giurisdizione

Tar Catania, Sez. IV, sentenza del 16 gennaio 2013, n. 20
Data: 
16/01/2013

"La giurisdizione in materia di sovvenzioni, contributi pubblici ed aiuti comunitari - regolata dai normali criteri di riparto, fondati sulla natura delle situazioni soggettive azionate - è distinta a seconda della fase procedimentale e della natura del potere esercitato.

Sussiste la giurisdizione ordinaria tutte le volte in cui il provvedimento impugnato - a prescindere dal nomen juris adoperato (annullamento, revoca, decadenza, risoluzione) - sia basato sull'asserito inadempimento da parte del concessionario agli obblighi impostigli dalla legge o assunti a fronte della concessione del contributo".

N. 00020/2013 REG.PROV.COLL.

N. 01584/2008 REG.RIC.

  

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA  

sul ricorso numero di registro generale 1584 del 2008, proposto da:
*******, rappresentato e difeso dall'avv. ********, con domicilio eletto presso lo stesso ********* in Catania, via ***;

contro

Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste, Ispettorato Provinciale per l'Agricoltura di Catania, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliata in Catania, via Vecchia Ognina, 149;

per l'annullamento

-del provvedimento n.269 del 30/4/2008,con il quale l'Ispettorato provinciale per l'Agricoltura di Catania ha revocato il decreto n.336 del 22/4/2002, con il quale era stato concesso il contributo di euro 85.930.16 corrispondente al 50 % della spesa ammessa a finanziamento, pari ad euro 171.860,32 e relativa alla esecuzione di investimenti aziendali, per le colture vegetali, in applicazione della misura 4.2.1 "investimenti aziendali per l'irrobustimento delle filiere agricole e zootecniche", disponendo il recupero della detta somma.

 


 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste e dell’Ispettorato Provinciale per l'Agricoltura di Catania;

Viste le memorie difensive;

Vista l’ordinanza collegiale n.2490 del 23 ottobre 2012, emessa ai sensi dell’art. 73, 3° comma, C.P.A.

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2012 il dott. Francesco Brugaletta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO e DIRITTO

Il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo.

E’ sufficiente, ad avviso del Collegio, richiamare l’orientamento consolidato della giurisprudenza, in forza del quale la giurisdizione in materia di sovvenzioni, contributi pubblici ed aiuti comunitari - regolata dai normali criteri di riparto, fondati sulla natura delle situazioni soggettive azionate - è distinta a seconda della fase procedimentale e della natura del potere esercitato.

Come statuito dalle Sezioni Unite della Cassazione ( cfr. Cass., sez. un., 10 maggio 2001 n. 183), il destinatario di sovvenzioni pubbliche vanta nei confronti dell'autorità concedente una posizione tanto di interesse legittimo - rispetto al potere dell'amministrazione di annullare i procedimenti concessori per vizi di legittimità ovvero di revoca per contrasto originario con l'interesse pubblico - quanto di diritto soggettivo, relativamente alla concreta erogazione delle somme di denaro oggetto del finanziamento e alla conservazione degli importi già concessi o da riscuotere.

In particolare, nella fase procedimentale successiva all'attribuzione del contributo, il beneficiario risulta titolare di un diritto soggettivo avente ad oggetto la concreta erogazione delle somme disposte con tale finanziamento, con conseguente attribuzione della relativa giurisdizione al g.o. per le controversie relative al pagamento degli importi dovuti ovvero riconducibili ai provvedimenti di decadenza o di risoluzione con i quali la p.a. abbia ritirato la sovvenzione sulla scorta di un preteso inadempimento, da parte del beneficiario, agli obblighi impostigli dalla legge o dalla convenzione posta a fondamento del rapporto di finanziamento. Viceversa, solo quando nella stessa fase la p.a. si determini nel senso di non erogare il finanziamento già accordato, provvedendo, in sede di autotutela, ad annullare il predetto provvedimento per vizi di legittimità ovvero a revocarlo per contrasto originario con l'interesse pubblico, il beneficiario può vantare una posizione di interesse legittimo al corretto esercizio di detti poteri, con conseguente attribuzione delle relative controversie alla giurisdizione del g.a. (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 03 giugno 2010 , n. 3501).

In definitiva, sussiste la giurisdizione ordinaria tutte le volte in cui il provvedimento impugnato - a prescindere dal nomen juris adoperato (annullamento, revoca, decadenza, risoluzione) - sia basato sull'asserito inadempimento da parte del concessionario agli obblighi impostigli dalla legge o assunti a fronte della concessione del contributo.

Tanto premesso, nel caso di specie, l’impugnata revoca non è fondata su un vizio originario del provvedimento di concessione del beneficio, ovvero sulla carenza originaria dei requisiti oggettivi o soggettivi e nemmeno sul sopravvenuto contrasto con l'interesse pubblico, bensì sul preteso inadempimento del ricorrente in ordine all’obbligo di rispettare i requisiti minimi in materia di ambiente, igiene e benessere degli animali.

Dunque, nel caso di specie, l'Amministrazione regionale si è limitata a constatare l'inadempimento del soggetto beneficiario ad obblighi di legge, senza procedere ad alcuna nuova valutazione degli interessi pubblici sottesi al finanziamento agevolato.

Si tratta, quindi, di ragioni che non afferiscono all’esercizio del potere concessorio, ma che concernono la fase di attuazione dell'intervento e l'esatto adempimento da parte del beneficiario di obblighi nascenti dalla legge.

Ne consegue, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione di questo Tribunale e che in base al principio della traslatio iudicii, affermato dalla Corte Cost. nella sentenza n. 77 del 5 marzo 2007 ed attualmente codificato nell'art. 11 del cod. proc. amm., la causa deve essere rimessa davanti al giudice ordinario.

Le spese possono essere compensate ricorrendone giusti motivi in relazione alla materia esaminata ed alla conclusione a cui è pervenuto il Collegio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Cosimo Di Paola, Presidente

Francesco Brugaletta, Consigliere, Estensore

Dauno Trebastoni, Consigliere

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Giudizio di Ottemperanza: si applica l'art. 248, comma 2, D. Lgs. n. 267/2000

Tar Catania, Sez. I, sentenza del 07 gennaio 2013, n. 4
Data: 
07/01/2013

"Il giudizio di ottemperanza che abbia ad oggetto provvedimenti giurisdizionali del giudice ordinario recanti condanna della P.A. al pagamento di somme di denaro è in tutto e per tutto equiparabile al giudizio di esecuzione e pertanto rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 248, comma 2, D. Lgs. n. 267/2000, comportante l'inibitoria anche del ricorso di ottemperanza in quanto misura coattiva di soddisfacimento individuale del creditore;  in base all’art. 248 del D.Lgs. 267/2000 può essere accolta la domanda subordinata d’inserimento del credito nella massa passiva".

 

 

N. 00004/2013 REG.PROV.COLL.

N. 01047/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1047 del 2012, proposto da:
Ditta xxxxx, rappresentato e difeso dall'avv. *******, con domicilio eletto presso ********* in Catania, *********;

contro

Comune di Comiso;

per l'ottemperanza

al decreto ingiuntivo n.336/2008 emesso dal Tribunale di Ragusa sezione distaccata di Vittoria

 


 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visto l 'art. 114 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2012 il dott. Agnese Anna Barone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

 


 

Visto il ricorso notificato il 23/04/2012 e depositato il 18/06/02/2012 con il quale la ditta ricorrente ha agito per l’esecuzione del decreto ingiuntivo n. 336/2008 del Tribunale di Vittoria emesso nei confronti del Comune di Comiso;

Rilevato che il Consiglio Comunale di Comiso, con deliberazione n. 3 del 20 gennaio 2012 ha deliberato lo stato di dissesto finanziario ai sensi degli artt. 244 e segg. del D.lgs. n. 267 del 2000;

Vista a memoria difensiva depositata in data 06/11/2012, con la quale parte ricorrente ha sostenuto l’ammissibilità del ricorso e ha chiesto, in via subordinata, l’inserimento del credito nella massa passiva dell’ente.

Considerato che, secondo quanto stabilito dall'art. 248, comma 2, D. Lgs. n. 267/2000, “Dalla data della dichiarazione di dissesto e sino all'approvazione del rendiconto di cui all'art. 256 non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti dell'ente per i debiti che rientrano nella competenza dell'organo straordinario di liquidazione. Le procedure esecutive pendenti alla data della dichiarazione di dissesto, nelle quali sono scaduti i termini per l'opposizione giudiziale da parte dell'ente, o la stessa benché proposta è stata rigettata, sono dichiarate estinte d'ufficio dal giudice con inserimento nella massa passiva dell'importo dovuto a titolo di capitale, accessori e spese”;

Considerato che il credito di cui parte ricorrente chiede l’esecuzione appartiene alle tipologie il cui accertamento è rimesso alla competenza dell’organo straordinario di liquidazione, trattandosi di un credito accertato in via giudiziale in epoca anteriore rispetto alla dichiarazione di dissesto, quindi da ricomprendersi nella massa passiva;

Ritenuto di dover condividere orientamento espresso dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo cui il giudizio di ottemperanza che abbia ad oggetto provvedimenti giurisdizionali del giudice ordinario recanti condanna della P.A. al pagamento di somme di denaro sia in tutto e per tutto equiparabile al giudizio di esecuzione e pertanto rientri nell'ambito di applicazione della richiamata disposizione normativa (cfr. altresì Consiglio di Stato, sez. IV, 19 gennaio 2012, n. 226; Idem, sez. IV,10 agosto 2011, n. 4772 );

Considerato, infatti, che tale procedura di liquidazione dei debiti è essenzialmente dominata dal principio della par condicio dei creditori, in relazione alla molteplicità dei debiti contratti da un ente pubblico poi dichiarato dissestato, sicché la tutela della concorsualità comporta, in linea generale, l'inibitoria anche del ricorso di ottemperanza in quanto misura coattiva di soddisfacimento individuale del creditore (cfr. ex plurimis Consiglio di Stato, sez. VI, 26 novembre 2007, n. 6035; Idem, sez. V, 3 marzo 2004, n. 1035; sez. IV, 23 aprile 1999, n. 707; nonché Ad. plen., 24 giugno 1998, n. 4, resa in fattispecie governata dall'art. 21, d.l. n. 8 del 1993);

Ritenuto, pertanto, che quando una norma (come l'articolo 248 citato) non consente al creditore dell'Amministrazione di agire in sede giurisdizionale con le "azioni esecutive", in quanto la sua soddisfazione deve aver luogo nell'ambito di una procedura amministrativa concorsuale, il Collegio non può fare altro che ritenere definita per legge la vicenda, dichiarando l’inammissibilità del ricorso in epigrafe, notificato in data successiva alla dichiarazione di dissesto finanziario;

Ritenuto, comunque, che in base all’art. 248 del D.Lgs. 267/2000 può essere accolta la domanda subordinata d’inserimento del credito nella massa passiva, giacché in caso di dichiarazione del dissesto finanziario il giudizio di ottemperanza costituisce per sempre un procedimento attraverso il quale il creditore cristallizza la propria pretesa in attesa che il relativo credito sia inserito nella massa passiva: in tal senso si tratta, indubbiamente di una situazione creditoria finalizzata alla soddisfazione del credito, che merita di essere tutelata e non può essere ignorata - almeno nei suindicati limiti - dal giudice dell’ottemperanza.

Ritenuto pertanto, che pur essendo inammissibile l’azione esecutiva (e la conseguente nomina del commissario ad acta), il credito va comunque ricompreso nella massa passiva a titolo di sorte capitale, spese e accessori di legge.

Ritenuto che nessuna statuizione è dovuta sulle spese, attesa la mancata costituzione in giudizio dell’ente intimato.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

dichiara inammissibile il ricorso indicato in epigrafe.

dispone la trasmissione della sentenza alla commissione straordinaria di liquidazione presso il Comune di Comiso affinché provveda all'inserimento nella massa passiva dell'importo dovuto alla parte ricorrente a titolo di capitale, accessori e spese.

Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Salvatore Schillaci, Presidente FF

Francesco Bruno, Consigliere

Agnese Anna Barone, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 

Quali gli elementi qualificanti un provvedimento di annullamento in autotutela?

Tar Catania, Sez. II, sentenza del 6 agosto 2012, n. 2024
Data: 
06/08/2012
Materia: 
Autotutela amministrativa

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 984 del 2012, proposto da 3M Energia srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Comandè, Patrizia Saiya e Serena Caradonna, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Liliana D'Amico, in Catania, via Vincenzo Giuffrida, 37;

contro

la Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Enna e l’Ufficio del Genio civile di Enna, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, presso la quale ope legis domiciliano in Catania, via Vecchia Ognina, 149;

per l'annullamento,

previa sospensione dell'efficacia,

della nota prot. n 527 del 15 febbraio 2012 della Soprintendenza beni culturali ed ambientali di Enna, con la quale sono stati restituiti gli atti ed è stata archiviata la pratica relativa alla istanza avanzata dalla società ricorrente ai sensi dell'art. 111 del TU 1775/1933, inerente la realizzazione di una nuova linea elettrica in media tensione, funzionale all'impianto fotovoltaico su serra ubicato nel comune di Aidone (EN), Contrada Gresti, foglio3, part. 47.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Enna e dell’Ufficio del Genio civile di Enna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2012 il dott. Diego Spampinato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con ricorso notificato a mezzo posta lunedì 16 aprile 2012, pervenuto il 18 aprile 2012 all’Ufficio del Genio civile di Enna ed il 19 aprile 2012 alla Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Enna, e depositato il 30 aprile 2012, la società ricorrente espone:

-di avere richiesto all’Ufficio del Genio civile di Enna, con istanza del 3 dicembre 2010, ai sensi dell'art. 111 del TU 1775/1933, autorizzazione alla realizzazione di una nuova linea elettrica in media tensione, funzionale all'impianto fotovoltaico su serra ubicato nel comune di Aidone (EN), Contrada Gresti, foglio3, part. 47;

- che, nel corso del procedimento venivano acquisiti tutti i pareri favorevoli ed i nulla osta degli enti interessati alla realizzazione delle opere, fra cui quello della Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Enna, formatosi in via tacita ai sensi dell'articolo 46 della LR 17/2004;

- che la stessa Soprintendenza, con nota protocollo n. 527 del 15 febbraio 2012, comunicava la restituzione degli atti e l'archiviazione della pratica rilevando che l’istanza avrebbe dovuto essere presentata non all’Ufficio del Genio civile di Enna, ma allo Sportello unico attività produttive, che vi sarebbero state carenze documentali (relazione paesaggistica, documentazione fotografica in originale, progetto dell’impianto fotovoltaico, documentazione afferente la classificazione urbanistica dell’area e certificazione dell’Ispettorato ripartimentale delle foreste di Enna), e che l’autorizzazione all’esercizio dell’impianto sarebbe soggetta a procedimento unico di competenza regionale, da effettuare mediante conferenza di servizi ex art. 12 D. Lgs. 387/2003.

Affida quindi il ricorso ai seguenti motivi.

1. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 46 della LR 17/2004. Eccesso di potere. Al momento dell'emanazione dell’atto impugnato si sarebbe già formato il silenzio assenso ex art. 46 LR 17/2004, per decorso del termine di 120 giorni; l’atto impugnato avrebbe dovuto quindi avere la forma e la sostanza di un atto di annullamento in autotutela.

2. Mancata comunicazione dell'avvio del procedimento. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 7 della legge 241/1990, come recepito in Sicilia dalla LR 10/1991. l’atto impugnato, qualificabile come annullamento in autotutela del precedente silenzio assenso, non sarebbe stato preceduto da comunicazione di avvio da procedimento.

3. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 3 della legge 241/1990, come recepita in Sicilia dalla 10/1991LR. Difetto di motivazione. L’atto impugnato non darebbe conto dei motivi e dei presupposti che avrebbero consentito l'esercizio del potere di autotutela.

4. Mancata sussistenza dei presupposti per l'esercizio del potere di autotutela. L’atto sarebbe comunque illegittimo in quanto emanato in ogni caso in difetto dei presupposti necessari per l'adozione di un atto di annullamento, essendo il precedente provvedimento implicito formatosi per silenzio assenso non illegittimo, non essendo comprensibili le ragioni cui si sia fondato il potere di annullamento, e non sussistendo un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione del provvedimento implicito.

5. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 10 della LR 10/2000. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 1 del Piano energetico ambientale regionale siciliano. Eccesso di potere. La Soprintendenza di Enna avrebbe erroneamente ritenuto che l'istanza presentata dalla società ricorrente riguardasse un'attività produttiva e che quindi dovesse essere presentata direttamente allo sportello unico del Comune competente, mentre invece si tratterebbe di un'istanza disciplinata dall'articolo 111 del Testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici 1775/1933.

6. Eccesso di potere difetto di istruttoria. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 46 della 17/2004. La Soprintendenza di Enna avrebbe erroneamente ritenuto che il progetto presentato non fosse provvisto della documentazione obbligatoria disposta con DPCM 12 dicembre 2005, ed in particolare della relazione paesaggistica, mentre questa risulterebbe allegata all'istanza; in ogni caso, l'eventuale mancanza della relazione paesaggistica avrebbe potuto comportare al più una richiesta di integrazione documentale, da effettuare, ai sensi dell'articolo 46 LR 17/2004, nel termine di 60 giorni.

7. Eccesso di potere difetto di istruttoria. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 46 della 17/2004. La Soprintendenza di Enna avrebbe richiesto la presentazione di idonea documentazione fotografica in stampa originale. Tale richiesta, alla luce della possibilità concessa dalla tecnologia digitale di stampare le foto su vari supporti senza che si possano distinguere le copie degli originali, si configura come un'inutile aggravio del procedimento, dal momento che non sussiste alcun motivo per cui la documentazione fotografica debba essere prodotta in originale.

8. Violazione e falsa applicazione dell'articolo 111 TU 1775/1933. Eccesso di potere per incompetenza. La Soprintendenza di Enna avrebbe rappresentato che non risulterebbe pervenuto il progetto dell'impianto fotovoltaico annesso all'elettrodotto, che non sarebbe stata allegata idonea documentazione sulla classificazione urbanistica dell'area, nonché documentazione attestante la regolarità e la conformità urbanistica delle serre da costruire, ed i relativi grafici progettuali. Tale documentazione, in primo luogo, riguarderebbe i progetti e la documentazione inerente la realizzazione dell'impianto fotovoltaico, impianto già autorizzato con provvedimento comunale numero 58 del 20 settembre 2010, rinnovato con successiva autorizzazione numero 18 del 12 aprile 2012; inoltre, la competenza della Soprintendenza di Enna sull'istanza del 3 dicembre 2010, in relazione alla quale sarebbe stato adottato l’atto impugnato, afferirebbe alla sola autorizzazione paesaggistica in relazione al progetto di realizzazione della nuova linea elettrica in media tensione da asservire all'impianto fotovoltaico già autorizzato. Infine non si comprenderebbero le ragioni per cui la citata Soprintendenza richieda alla società ricorrente di esplicitare i presupposti urbanistici dell'istanza.

9. Violazione e falsa applicazione degli articoli 12 del D. Lgs. 387/2003, 19 e 23 della deliberazione della Giunta Regionale numero 1 del 3 febbraio 2009 di approvazione del PEARS – Piano energetico ambientale regionale siciliano. La Soprintendenza di Enna avrebbe erroneamente ritenuto che il progetto dell'impianto fotovoltaico dovesse essere assoggettato al procedimento di rilascio dell'autorizzazione unica di cui all'articolo 12 del D. Lgs. 387/2003.

La Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Enna si è costituita con comparsa di mera forma; l’Ufficio del Genio civile di Enna si è costituito trasmettendo, a mezzo della Avvocatura dello Stato, relazione sui fatti, in cui si legge, fra l’altro, che «…Considerato l’assenza del parere della Soprintendenza (…) lo scrivente Ufficio non può concludere la Relazione d’Istruttoria da inviare al Dipartimento Infrastrutture, Trasporti e Mobilità di Palermo…».

Alla camera di consiglio del 6 giugno 2012, fissata per la trattazione della istanza cautelare, il ricorso è stato discusso e trattenuto per la decisione.

Il presente giudizio può essere definito con sentenza in forma semplificata ai sensi degli articoli 60 e 74 cpa, essendo manifestamente fondato, essendo trascorsi almeno 20 giorni dall’ultima notificazione del ricorso, non essendovi necessità di istruttoria, ed essendo stato dato avviso alle parti circa la possibilità di definire il giudizio con sentenza semplificata.

Il ricorso è fondato, con riferimento alle assorbenti censure relative alla intervenuta formazione del silenzio assenso per decorso del termine di 120 giorni previsto dall’art. 46 della LR 17/2004, di cui l’atto impugnato non avrebbe tenuto alcun conto, ed alla mancanza degli elementi caratteristici dei provvedimenti di annullamento in autotutela.

La circostanza della presentazione alla Soprintendenza beni culturali ed ambientali di Enna, in data 3 dicembre 2010, della istanza ai sensi dell'art. 111 del TU 1775/1933, concernente autorizzazione alla realizzazione di una nuova linea elettrica in media tensione, funzionale all'impianto fotovoltaico su serra ubicato nel comune di Aidone (EN), risulta provata in quanto testualmente riportata nell’atto impugnato, in cui si legge «…OGGETTO: L.R. n. 17 del 28.12.2004-Art. 7 “Entrate derivanti dalla prestazione di servizi resi dalle Soprintendenze per i beni culturali ed ambientali”. Progetto di un elettrodotto a servizio di un impianto fotovoltaico su serra ubicato nel Comune di Aidone (En) Fg 3 part. n.47.. Istanza ai sensi dell’art. 111 del T.U. 1775/1933 inerente la realizzazione di una nuova linea elettrica in M.T.- Ditta: 3M Energia s.r.l. Trapani (…) ai fini dell’avvio del procedimento per il rilascio del provvedimento richiesto con nota assunta al protocollo generale di questa Soprintendenza al n. 2216 del 03.12.2010…)».

Ciò implica che l’autorizzazione paesaggistica richiesta deve intendersi essere stata tacitamente resa in senso favorevole per il decorso del termine di 120 giorni previsto dal secondo comma dell’art. 46 della LR 17/2004, compiutosi in data 2 aprile 2011. Peraltro, anche ove la Soprintendenza avesse richiesto integrazioni documentali, il termine sarebbe scaduto, al più, il 1 giugno 2011, data ben anteriore a quella (15 febbraio 2012) di emissione del l’atto impugnato.

Ciò posto, se è vero che il conseguimento di un provvedimento favorevole da parte del privato, formatosi a seguito del silenzio assenso, non esclude che l'Amministrazione possa disporre, in via di autotutela (e in presenza dei necessari presupposti) anche l'annullamento postumo di quanto tacitamente assentito «…va, tuttavia, ritenuto illegittimo il provvedimento che non abbia né la forma, né la sostanza di un atto di autotutela, atteggiandosi a mero diniego tardivo…». (TAR Palermo, Sez. I, 20 marzo 2009, n. 544).

Ove l'Amministrazione ritenga di dover intervenire in via di autotutela amministrativa, essa è infatti chiamata ad esplicitare sia il profilo di illegittimità da cui sarebbe affetto l'atto tacitamente assentito, sia le ragioni di pubblico interesse che ne impongono la rimozione, con le garanzie procedimentali proprie degli interventi di secondo grado, ciò che nel caso di specie non risulta essere avvenuto, come provato sia dalla mancata specifica contestazione da parte dell’Amministrazione di quanto sul punto allegato dalla società ricorrente (in proposito, specificamente, CGARS, 24 ottobre 2011, n. 703), sia dalla mancanza, nel corpo dell’atto impugnato, degli elementi qualificanti un provvedimento di annullamento in autotutela (in ordine, ai sensi dell’art. 21-nonies della legge 241/1990, alla illegittimità dell’atto annullato, alla sussistenza di ragioni di interesse pubblico, alla ragionevolezza del termine decorso dalla emanazione del precedente provvedimento, ed alla valutazione degli interessi in gioco).

Alla stregua delle considerazioni svolte, l’atto gravato risulta quindi illegittimo. Lo stesso va per l'effetto annullato, salvi gli ulteriori eventuali provvedimenti in autotutela di competenza dell'Amministrazione.

Le spese seguono la soccombenza; in proposito, attesa la ripetitività del contenzioso rispetto ad altri trattati nella stessa camera di consiglio fra le stesse parti, appare equo liquidare le spese, a carico della sola Soprintendenza resistente, in complessivi euro 1.000 (mille/00), oltre accessori di legge, se dovuti, ed oltre alla rifusione del contributo unificato corrisposto da parte ricorrente.

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P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania (Sezione II interna), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.

Condanna la Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali di Enna al pagamento, in favore della società ricorrente, delle spese processuali del presente grado di giudizio, che liquida, in via equitativa, in complessivi euro 1.000,00 (mille/00), oltre accessori di legge, se dovuti, ed oltre alle rifusione del contributo unificato corrisposto da parte ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 6 giugno 2012 con l'intervento dei magistrati:

 

Salvatore Veneziano, Presidente

Giovanni Milana, Consigliere

Diego Spampinato, Referendario, Estensore