Diritto e Giustizia Amministrativa

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Sul silenzio inadempimento

C.G.A., sentenza del 27 settembre 2011, n. 599
Data: 
27/09/2011

Il silenzio inadempimento può concretizzarsi solo una volta decorsi 180 giorni dal momento in cui l'amministrazione procedente è stata posta in condizioni di esaminare compiutamente la relativa domanda, in quanto integrata dalla documentazione necessaria richiesta ex lege all'interessato.

 

 


 

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso in appello n. 665/2011 proposto da
ASSESSORATO REGIONALE DELL’ENERGIA E DEI SERVIZI DI PUBBLICA UTILITÀ e ASSESSORATO REGIONALE AL TERRITORIO E AMBIENTE, ciascuno in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo presso i cui uffici in via Alcide De Gasperi n. 81 è domiciliato;
c o n t r o
SUN ENERGY S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Giovanni Pitruzzella e Carlo Comandè presso il cui studio in Palermo, via Nunzio Morello n. 40 è elettivamente domiciliato;
per l'annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – sede di Palermo, sez. II - 31 marzo 2011 n. 615;
Visto il ricorso, notificato il 2.5.2011 e depositato il 13.5.2011, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Società appellata;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla camera di consiglio del 9 giugno 2011 il Consigliere Antonino Anastasi;
Uditi, altresì, l’avv. dello Stato Mango per le amministrazioni appellanti e l’avv. G. Pitruzzella per la società appellata;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
La Società appellata ha presentato nel febbraio del 2009 una richiesta di rilascio dell’autorizzazione unica alla realizzazione ed esercizio di un impianto fotovoltaico ai sensi dell’art. 12 del D. L.vo n. 387 del 2003.
Successivamente nel mese di luglio del 2009 la Società ha corredato l’istanza di ulteriore documentazione prevista dall’art. 2 delle Linee guida al PEARS medio tempore entrato in vigore.
Decorso inutilmente il termine di 180 giorni - previsto dal comma 4 del citato articolo per la convocazione della Conferenza dei servizi - la istante ha quindi adito ai sensi degli artt. 31 e 117 C.P.A. il TAR Palermo il quale con la sentenza in epigrafe indicata ha accolto il ricorso, accertando l’illegittima natura omissiva del comportamento silente tenuto dall’Amministrazione.
La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello all’esame dall’Amministrazione regionale la quale ne ha chiesto l’integrale riforma osservando - sulla scorta di recente pronuncia di questo Consiglio - che il silenzio non poteva dirsi nella fattispecie formato dal momento che la società non aveva soddisfatto una specifica richiesta di integrazioni documentali avanzata dal responsabile del procedimento.
Si è costituita la società appellata instando per il rigetto dell’avverso gravame.
In tal senso l’appellata rileva l’inconferenza del precedente richiamato dalla Difesa erariale, relativo ad un caso nel quale la documentazione integrativa richiesta dall’Amministrazione condizionava - per espresso disposto delle Linee guida del PEARS - la procedibilità dell’istanza.
La Parte privata ha depositato memoria, insistendo nelle già rappresentate conclusioni.
Alla camera di consiglio del 9 giugno 2011 l’appello è stato trattenuto in decisione, per essere definito con sentenza succintamente motivata ai sensi di legge.
D I R I T T O
L’appello è fondato e va pertanto accolto, con integrale riforma della sentenza impugnata.
L’art. 20 delle Linee guida al PEARS subordina il rilascio dell’autorizzazione per la costruzione in zona agricola di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili alla realizzazione, sul loro confine, di una fascia arborea di protezione avente larghezza minima di m. 10.
In relazione a siffatta previsione l’Amministrazione competente ha richiesto alla società istante di corredare la domanda con un elaborato grafico rappresentante tale fascia arborea, in precedenza non descritta nei documenti progettuali allegati alla domanda.
L’Amministrazione ha altresì richiesto la prova - mediante esibizione di un contratto di locazione registrato - della disponibilità giuridica in capo all’istante dell’area destinata ad accogliere l’impianto.
In tale contesto sembra evidente al Collegio da un lato che la domanda risultava priva di elementi documentali di carattere sostanzialmente essenziale ai sensi della disciplina regolamentare applicabile; dall’altro che, di conseguenza, l’Amministrazione non aveva alcun obbligo di attivarsi nel termine legale di 180 giorni per la convocazione della Conferenza di servizi.
Come già chiarito da questo Consiglio in relazione a fattispecie in definitiva del tutto assimilabile a quella ora all’esame, infatti, il predetto termine non inizia a decorrere se la documentazione allegata all’istanza non corrisponde alle previsioni legali e se le pertinenti richieste di integrazione formulate dall’Amministrazione non trovano adeguato riscontro. (C.G.A. n. 213 del 2011).
Diversamente da come (alquanto formalisticamente) predicato dalla sentenza impugnata, la conferenza dei servizi prevista dall’art. 12 del D. L.vo n. 387/2003 è infatti un modulo di semplificazione procedimentale che va tempestivamente e doverosamente attivato solo se l’istanza da esaminare possieda i requisiti minimi di ammissibilità, essendo secondo questo Collegio evidente - alla stregua di ragionevoli criteri di economia dei mezzi giuridici - che in caso diverso le attività istruttorie vanno espletate dal R.U.P., come avvenuto nel caso all’esame.
D’altra parte considerata la natura pacificamente acceleratoria del termine in questione (cfr. V Sez. n. 2825 del 2010) il decorso del termine stesso non priva l’Amministrazione del potere di richiedere le integrazioni documentali (ovviamente non defatigatorie ma) effettivamente necessarie ai fini della decisione.
Condivisibile risulta perciò la deduzione dell’Avvocatura secondo la quale non si può ritenere - come fa la sentenza impugnata, applicando erroneamente costrutti ermeneutici che sembrano piuttosto attagliarsi alla ben diversa ipotesi dei termini perentori - che la richiesta di integrazione documentale sia illegittima per il solo fatto di essere formulata dopo sei mesi dalla presentazione della relativa istanza: come si è detto, infatti, il silenzio inadempimento può concretizzarsi solo una volta decorsi 180 giorni dal momento in cui l'amministrazione procedente è stata posta in condizioni di esaminare compiutamente la relativa domanda, in quanto integrata dalla documentazione necessaria richiesta ex lege all'interessato.
Sulla scorta delle considerazioni che precedono l’appello va quindi accolto, con integrale riforma della sentenza impugnata e rigetto del ricorso originario.
Ogni altro motivo od eccezione può essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.
Le spese e gli onorari del giudizio possono essere integralmente compensati, attesa la novità di alcune delle questioni trattate.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie, riforma integralmente la sentenza impugnata e per l’effetto respinge il ricorso originario.
Le spese e gli onorari del giudizio sono integralmente compensati.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo il 9 giugno 2011 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio, con l'intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Antonino Anastasi, estensore, Guido Salemi, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, Componenti.
F.to Riccardo Virgilio, Presidente
F.to Antonino Anastasi, Estensore
Depositata in Segreteria
il 27 settembre 2011

Sentenza breve: è insufficiente la mera comunicazione indistinta effettuata dal Presidente in relazione a tutte le cause chiamate in sede cautelare

C.G.A. sentenza n. 584 del 15 settembre 2011
Data: 
15/09/2011
 
 
Non è sufficiente per la conversione del rito ed il trattenimento in decisione nel merito della causa direttamente dalla fase cautelare la mera comunicazione indistinta effettuata per tutte le cause chiamate per la discussione della istanza di sospensione e concernente la possibilità di una decisione nel merito della controversia.

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso in appello n. 294/2011 proposto da
SOCIETÀ ***,
in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Riccardo Villata, Andreina Degli Esposti e Giuseppe Mazzarella ed elettivamente domiciliata in Palermo, via Caltanissetta 1, presso lo studio di quest’ultimo;
c o n t r o
il COMUNE DI CATENANUOVA, in persona del Sindacopro tempore, non costituito
per l'annullamento
della sentenza del T.A.R. per la Sicilia - sezione staccata di Catania (sezione seconda) - n. 238/2011 del 2 febbraio 2011;
            Visto il ricorso con i relativi allegati;
            Visti gli atti tutti della causa;
            Relatore il Consigliere Alessandro Corbino;
            Udito, altresì, alla pubblica udienza del 18 maggio 2011 l’avv. G. Marsala, su delega dell’avv. G. Mazzarella, per la società appellante;
            Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
            L’appello è rivolto contro la sentenza n. 238/2011, resa  ex art. 60 c.p.a. dal TAR di Catania, con la quale è stato dichiarato inammissibile il ricorso n. 824 del 2008 proposto dall’appellante per l’annullamento della determina n. 1207 del 1.2.2008, concernente sia la dismissione dell’impianto di distribuzione carburanti sito in piazza Riggio sia il ripristino dei luoghi, nonché di ogni altro atto conseguente, presupposto o connesso, ivi compreso l’atto del 12.2.2008 n. 1286 di rigetto dell’istanza volta alla proroga di dodici mesi della concessione di suolo pubblico.
            Detta decisione è stata assunta nella camera di consiglio del 12 gennaio 2011, nella quale avrebbe dovuto trovare trattazione, in sede cautelare, il ricorso per motivi aggiunti proposto contro il provvedimento del 9.11.2010 n. 11365, riguardante la diffida alla società ricorrente di procedere entro 30 giorni, pena l’esecuzione d’ufficio in danno, alla dismissione dell’impianto di carburante anzidetto ed al ripristino dello stato dei luoghi. Ricorso per motivi aggiunti in relazione al quale era stata per altro accordata la misura cautelare urgente con decreto presidenziale.
            Il Giudice ha ritenuto infatti di introitare per la decisione in quella sede il ricorso principale, ritenendo sufficiente l’avviso generico rivolto all’udienza, come dal relativo verbale, “ai legali presenti che il Collegio per i ricorsi con domanda cautelare, ove ritenesse la sussistenza dei relativi requisiti, si riserva di adottare sentenza breve”.
            Avverso la adottata sentenza breve, l’appellante ha richiesto la misura cautelare della sua sospensione, che questo Consiglio ha accordato alla udienza del 6 aprile 2011.
            Ritiene invero l’appellante che il giudice non solo ha errato nella valutazione di ammissibilità del ricorso, ma abbia anche violato, con la sua decisione, il principio del contraddittorio ed il dettato, in particolare, degli artt. 60 e 73 c.p.a.
D I R I T T O
            L’appello è fondato.
            Com’è stato infatti chiarito dal Consiglio di Stato, non è sufficiente per la conversione del rito ed il trattenimento in decisione nel merito della causa direttamente dalla fase cautelare “la mera comunicazione indistinta effettuata per tutte le cause chiamate per la discussione della istanza di sospensione e concernente la possibilità di una decisione nel merito della controversia” (CdS. 612/2004; 76/2006; 1328/2011). Giacché la circostanza pone la parte in difficoltà rispetto all’esercizio del proprio diritto di difesa, impedendole un pieno svolgimento di questa, anche quanto ai tempi della discussione della causa. L’assenza di uno specifico avviso priva la parte delle garanzie poste a tutela della medesima, in attuazione del principio, costituzionalmente assicurato, del contraddittorio.
            Va aggiuntivamente sottolineato che il comma 3 dell’art. 73 c.p.a., prescrive altresì che “se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, il giudice la indica in udienza dandone atto a verbale”. Due  dunque i vincoli ai quali egli è tenuto: a) la indicazione della specifica questione rilevata (nella specie la inammissibilità del ricorso per mancata impugnazione del primo provvedimento concretamente lesivo); b) la verbalizzazione di tale avvenuta indicazione. Entrambi i vincoli sono stati disattesi nella circostanza. Non è stata indicata alla parte la questione rilevata e della esistenza di essa (solo genericamente ipotizzata; recita il verbale: “ove ritenesse la sussistenza dei relativi requisiti, si riserva di adottare sentenza breve”) non è stata data a verbale alcuna indicazione (tale non potendo ritenersi la segnalazione di una meramente ipotetica possibile ricorrenza di una questione che avrebbe potuto giustificare la conversione della fase decisoria).
Consegue da tali premesse che la sentenza impugnata deve essere, per tali assorbenti motivi di rito attinenti all’integrità del diritto di difesa, annullata con rinvio della causa al primo decidente.
Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.
Sussistono giustificate ragioni per compensare le spese.
P. Q. M.
            Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello, annulla la decisione impugnata e, per l’effetto, rinvia la causa al primo decidente perché la rimetta sul ruolo.
Spese compensate.
            Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
            Così deciso in Palermo il 18 maggio 2011 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l'intervento dei signori: Luciano Barra Caracciolo, Presidente,  Guido Salemi, Gabriele Carlotti, Giuseppe Mineo, Alessandro Corbino, estensore,componenti.
F.to Luciano Barra Caracciolo, Presidente
F.to Alessandro Corbino, Estensore
Depositata in Segreteria
il 15 settembre 2011

 

La declaratoria di illegittimitĂ  del provvedimento impugnato non costituisce condizione di ammissibilitĂ  della domanda risarcitoria

Tar Palermo Sez. III, sentenza n. 1567 del 9 agosto 2011
Data: 
09/08/2011
Materia: 
Risarcimento del danno
Ai sensi dell’art. 2947, c. 1, c.c.: “Il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato.”.
La previa declaratoria dell’illegittimità del provvedimento impugnato, secondo il più recente insegnamento del Consiglio di Stato (v. sentenza dell’Adunanza Plenaria 23 marzo 2011, n. 3) non costituisce condizione di ammissibilità della domanda risarcitoria, ma solo un elemento alla cui stregua va valutata la fondatezza o meno della domanda stessa (sul tema, v. anche C.g.a. 16 settembre 1998, n. 762 e 30 marzo 2011, n. 291).


N. 01567/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01970/2008 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1970 del 2008, proposto da ****, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Di Stefano, presso il cui studio, sito in Palermo, via Autonomia Siciliana, n. 25, è elettivamente domiciliato;
contro
l’Assessorato della Famiglia, delle Politiche Sociali e del Lavoro della Regione Siciliana (già Assessorato al Lavoro e Previdenza Sociale), in persona dell’Assessore pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici, siti in via A. De Gasperi, n. 81, è domiciliato ex lege;
per la condanna
dell’Assessorato al risarcimento dei danni sofferti dal ricorrente a causa della revoca dal medesimo subita del provvedimento di avviamento al lavoro presso l’AMIA di Palermo, revoca posta in essere dall’UPLMO di Palermo;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Assessorato intimato;
Vista la memoria difensiva depositata in giudizio da parte resistente in data 25/5/2011;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del giorno 1 luglio 2011 il Cons. Federica Cabrini;
Uditi i difensori delle parti, come da verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in epigrafe - notificato a mezzo posta in data 9-10/9/2008 e depositato in data 24/9/2008 - il ricorrente espone:
- che con provvedimento prot. n. 41477 del 29/12/1995 è stato avviato al lavoro dall’UPLMO di Palermo, quale operatore ecologico presso l’AMIA;
- che in data 16/5/1996 l’UPLMO ha revocato il provvedimento di avviamento al lavoro assumendo che il ricorrente fosse stato radiato dalla graduatoria ex l. 58/57;
- di aver proposto ricorso al T.a.r. Palermo (r.g. n. 4007/1996) avverso il provvedimento di revoca;
- che con sentenza, sez. I, 23/9/2002, n. 2512, è stato annullato il provvedimento di revoca;
- che nonostante la notifica di regolare atto di diffida, l’AMIA non ha mai provveduto all’assunzione del ricorrente.
Al fine di ottenere il risarcimento del danno asseritamente subito il ricorrente invoca l’applicazione dell’art. 35 d.lgs. n. 80/1998, come sostituito dall’art. 7 l. n. 205/2000, affermando che a causa dell’illegittimo provvedimento posto in essere dall’Assessorato in data 16/5/1996, egli ha perso il posto di lavoro presso il quale era stato avviato e non è riuscito più ad inserirsi nel mondo del lavoro.
Afferma che il danno patrimoniale consiste nelle retribuzioni non percepite, negli oneri previdenziali non corrisposti e nell’impossibilità di godere di una pensione e che quello non patrimoniale consiste, invece, nella lesione dei diritti costituzionalmente garantiti di avere un lavoro ed accudire la propria famiglia.
In totale il danno viene quantificato in € 1.000.000,00, salva la diversa determinazione che il Tribunale riterrà di effettuare.
Conclude quindi per l’accoglimento del ricorso.
L’Amministrazione regionale si è costituita in giudizio, con memoria di mera forma, per resistere al ricorso.
In data 25/5/2011 l’Avvocatura erariale ha depositato in giudizio una memoria difensiva nella quale ha preliminarmente eccepito la prescrizione del diritto azionato, in subordine ha chiesto dichiararsi l’infondatezza della domanda risarcitoria.
All’udienza pubblica del giorno 1/7/2011, uditi i difensori delle parti, come da verbale, il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Deve essere pregiudizialmente esaminata l’eccezione di prescrizione tempestivamente sollevata dalla difesa erariale nella memoria depositata in vista della discussione del ricorso nel merito ai sensi dell’art. 73 c.p.a.
Detta eccezione è fondata.
Invero, recita l’art. 2947, c. 1, c.c.: “Il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato.”.
La norma è applicabile alla presente controversia.
Invero, per come già ritenuto dalla Sezione, con la recente sentenza 13 luglio 2011, n. 1363, nelle fattispecie risarcitorie derivanti da attività asseritamente illegittima della p.a., il fatto lesivo va ricondotto al provvedimento che si assume lesivo.
Nel caso di specie il fatto generatore del danno, secondo la prospettazione resa dallo stesso ricorrente, è dato dal provvedimento con il quale l’UPLMO, in data 16/6/1996, ha revocato il precedente avviamento al lavoro.
Segue da ciò che essendo il ricorso stato proposto con atto notificato in data 9-10/9/2008 è ampiamente decorso il termine di prescrizione indicato.
Né a diversa conclusione può condurre il disposto di cui all’art. 2935 c.c. (a norma del quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere).
Infatti, ad avviso del Collegio del tutto irrilevante è la circostanza che il ricorrente abbia ritenuto di attendere, per la proposizione del ricorso, il decorso di quasi cinque anni dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che ha annullato il provvedimento di revoca dell’avvio al lavoro, in quanto la previa declaratoria dell’illegittimità del provvedimento impugnato, secondo il più recente insegnamento del Consiglio di Stato (v. sentenza dell’Adunanza Plenaria 23 marzo 2011, n. 3) non costituisce condizione di ammissibilità della domanda risarcitoria, ma solo un elemento alla cui stregua va valutata la fondatezza o meno della domanda stessa (sul tema, v. anche C.g.a. 16 settembre 1998, n. 762 e 30 marzo 2011, n. 291).
Segue dalle considerazioni che precedono che il ricorso va rigettato.
Tenuto conto della natura della controversia e della circostanza che la questione di cui trattasi è stata comunque dibattuta in giurisprudenza, ritiene il Collegio che sussistano le eccezionali ragioni di cui all’art. 92, c. 2, c.p.c., per disporre la compensazione tra le parti delle spese e degli onorari del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 1 luglio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Calogero Adamo, Presidente
Federica Cabrini, Consigliere, Estensore
Maria Cappellano, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/08/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Aziende Municipalizzate: anche sui concorsi decide il g.o.

Tar Catania, Sez. II, sentenza del 21 luglio 2011, n. 1958
Data: 
21/07/2011

La Cass. SS.UU. n. 5685 del 10.03.2011, relativo ad un caso simile a quello in esame ha cosi’ statuito : “.. che tanto puntualizzato devesi rilevare che queste Sezioni unite si sono già pronunciate da tempo nel senso che le controversie di lavoro alle dipendenze delle aziende municipalizzate rientrano, anche per quanto riguarda l'espletamento delle procedure concorsuali, nella giurisdizione del giudice ordinario in conseguenza della natura privatistica del rapporto con tali aziende, che integrano strutture imprenditoriali autonome rispetto alla organizzazione pubblicistica “ (cfr. anche Corte di Cass. nn. 1990/8173, 1993/10604, 2003/14672 e 2006/14852).

 


 

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1730 del 2011, proposto da xxxxxx

contro

l’Azienda Municipale Trasporti di yyyy

nei confronti di

xxxxxxxxxxxx, non costituitisi in giudizio;

per l'annullamento

- della esclusione dalla graduatoria finale della selezione pubblica per l'assunzione di n. 100 operatori d'esercizio (parametro 140) con contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Azienda Municipale Trasporti di Catania;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 6 luglio 2011 il dott. Francesco Brugaletta e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Ad avviso del Collegio sussistono i presupposti per l’adozione di una pronuncia succintamente motivata, atteso che il ricorso si appalesa inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Invero Cass. SS.UU. n. 5685 del 10.03.2011, relativo ad un caso simile a quello in esame ha cosi’ statuito : “.. che tanto puntualizzato devesi rilevare che queste Sezioni unite si sono già pronunciate da tempo nel senso che le controversie di lavoro alle dipendenze delle aziende municipalizzate rientrano, anche per quanto riguarda l'espletamento delle procedure concorsuali, nella giurisdizione del giudice ordinario in conseguenza della natura privatistica del rapporto con tali aziende, che integrano strutture imprenditoriali autonome rispetto alla organizzazione pubblicistica “ (cfr. anche Corte di Cass. nn. 1990/8173, 1993/10604, 2003/14672 e 2006/14852).

Pertanto in applicazione di tale principio, che il Collegio condivide e ribadisce, va affermata la giurisdizione del giudice ordinario sulla controversia in esame ( cfr. T.A.R. CT, Sez. II n. 211/2010 e n 1375 del 2011).

Le oscillazioni giurisprudenziali sulla materia controversa costituiscono motivo per la compensazione integrale fra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

-dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 6 luglio 2011 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Giamportone, Presidente

Francesco Brugaletta, Consigliere, Estensore

Vincenzo Neri, Primo Referendario
    
L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
  
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/07/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

TARSU: rientra nella competenza del Consiglio Comunale e non in quella del Sindaco il potere di modificarla

Tar Palermo Sez. I, sentenza n. 1405 del 19 luglio 2011
Data: 
19/07/2011
Materia: 
Tarsu
Nell’ambito della Regione Siciliana non trova applicazione l’art. 42 del D.Lgs. n. 267/2000, atteso che la legge reg. n. 48/1991 non opera un rinvio dinamico alla legge n. 142/1990: conseguentemente  le modifiche intervenute alla legislazione statale con il  D.Lgs. 267/2000 – indipendentemente dal loro rilievo – non sono applicabili in Sicilia.
Sembra opportuno precisare che la legge reg. n. 48/1991 – diversamente da quanto stabilito in sede nazionale dalla legge n. 142/1990 – individua nel sindaco, e non nella giunta comunale, l’organo del comune che ha competenza residua, nelle materie non espressamente attribuite ad altri organi.
Pertanto la questione di quale sia l’organo competente a modificare la tariffa TARSU si riduce alla corretta interpretazione del disposto dell’art. 32 della legge n. 142/90, operante in Sicilia in virtù del rinvio – statico - operato dall’art. 1 lett. e) della legge reg. n. 48/1991; ed in particolare è necessario verificare se la determinazione di tale tariffa concerna “l'istituzione e l'ordinamento dei tributi, la disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi”,  ovvero rientri comunque in altra materia attribuita al consiglio comunale.
Con riferimento all’interpretazione dell’art. 32 lett. g) della legge n. 142/90, il Collegio condivide la ricostruzione più volte operata da questo Tribunale (T.A.R. Sicilia, Palermo n. 1550/2009; Catania n. 1630/2006), nonché dal Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sez. V, del 30 aprile 1997 n. 424) e dalla Corte di Cassazione (Cass. n. 14376/2010; Cass. n. 16870/2003), secondo la quale, sulla base delle disposizioni dettate con la legge n. 142/90, la modifica della tariffa TARSU rientra nella competenza del consiglio comunale.
Afferma invero, la Cassazione: “Sul piano dei principi appare quindi coerente che a livello locale il potere impositivo (inteso lato sensu) sia esercitato dal Consiglio comunale, che riceve direttamente dal popolo il suo potere rappresentativo, e non dalla giunta municipale, priva di una diretta legittimazione democratica; in tal senso, il Consiglio comunale è competente in via esclusiva non solo per l'istituzione, ma anche per l'adeguamento delle tariffe, sia perché l'enunciato normativo non consente codesta discriminazione sia in quanto anche l'adeguamento implica l'esercizio di un potere impositivo attribuito dalla legge in via esclusiva all'organo comunale rappresentativo altro non essendo che la determinazione ex novo del quantum debeatur sicché non ha natura diversa dall'atto istitutivo della prestazione patrimoniale”.
In termini più generali rileva peraltro il Collegio che la determinazione della tariffa TARSU costituisce un atto di carattere generale ed astratto e, conseguentemente, rientra negli atti di carattere regolamentare, comunque espressamente attribuiti alla competenza del Consiglio Comunale, che costituisce l’organo di massima rappresentatività in sede locale, con già evidenziata simmetria con il disposto dell’art. 23 della Costituzione.

 


N. 01405/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01154/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1154 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Codici Onlus Associazione Centro Per i Diritti del Cittadino, in persona del rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Ivano Giacomelli e Luigi Maggio, con domicilio eletto presso la sede di Sicilia Codici sita in Palermo, via Resuttana 352;
contro
Comune di Marsala in Persona del Sindaco P.T., rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Pitruzzella, con domicilio eletto presso il suo studio sito in Palermo, via N. Morello 40;
per l'annullamento
della Determina Sindacale n. 47 del 08.04.2010 emessa dal Sindaco p.t. del Comune di Marsala, ed avente ad oggetto "Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, determinazione tariffe, anno 2010", nonché dell'allegato "A" denominato "prospetto dei costi di gestione e dimostrazione della percentuale della copertura del servizio esercizio 2010" e dell'allegato "B" denominato "tassa smaltimento rifiuti solidi urbani tariffe anno 2010", atti ed allegati tutti affissi all'Albo Pretorio del Comune di Marsala dal 09.04.2010 al 25.04.2010 per la pubblicazione, giusto certificato di pubblicazione, e comunque di ogni altro atto consequenziale, connesso e finalizzato all'adozione del provvedimento impugnato.
con ricorso per motivi aggiunti:
1. della Determina Sindacale n. 88 del 17/06/201O emessa dal Sindaco p.t. del Comune di Marsala, ed avente ad oggetto "Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, determinazione tariffe anno 2010. Revoca Determina n. 47 del 08/04/201O", atto affisso all'Albo Pretorio del comune di Marsala dal 18.06.201O al 04.07.2010 per la pubblicazione, giusto certificato di pubblicazione;
2. della Determina Sindacale n. 89 del 17/6/20IO avente ad oggetto "Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, determinazione tariffe anno 2010" con annesso allegato "A" denominato "prospetto dei costi di gestione e dimostrazione della percentuale della copertura del servizio esercizio 2010" e allegato "B" denominato "Tassa smaltimento rifiuti olidi urbani tariffe anno 2010", atti ed allegati tutti affìssi all'Albo Pretorio del Comune di Marsala dal 18.06.20IO al 04.07.2010 per la pubblicazione, giusto certificato di pubblicazione;
- della determina Sindacale n.47 dell'8/04/2010.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Marsala in Persona del Sindaco P.T.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 giugno 2011 il dott. Nicola Maisano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato in data 18 giugno 2010, e depositato il successivo 1° luglio, l’associazione ricorrente ha impugnato la Determina Sindacale n. 47 del 08.04.2010 emessa dal Sindaco p.t. del Comune di Marsala, ed avente ad oggetto "Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, determinazione tariffe, anno 2010", nonché l'allegato "A" denominato "prospetto dei costi di gestione e dimostrazione della percentuale della copertura del servizio esercizio 2010" e l’allegato "B" denominato "tassa smaltimento rifiuti solidi urbani tariffe anno 2010"; atti ed allegati tutti affissi all'Albo Pretorio del Comune di Marsala dal 09.04.2010 al 25.04.2010, per la pubblicazione.
In tale gravame vengono articolate le censure di: 1) Incompetenza funzionale dell’autorità emanante l’impugnato provvedimento; 2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 58 e ss. D. Lgs. n. 507/1993, eccesso di potere per omessa motivazione ed omessa istruttoria.
Successivamente alla proposizione del ricorso il Sindaco del Comune di Marsala revocava la delibera impugnata ed adottava una nuova delibera – n. 89 del 17.6.2010 - con cui approvava l’aumento del 66% delle tariffe TARSU, rispetto al precedente periodo.
Parte ricorrente quindi proponeva motivi aggiunti con i quali impugnava la nuova delibera di determinazione delle tariffe TARSU riproponendo le medesime censure già articolate con il ricorso originario.
Con ordinanza n. 700/2010 questo Tribunale accoglieva la domanda cautelare proposta in seno ai motivi aggiunti e fissava la data di trattazione dell’udienza di merito.
Con ordinanza n. 849/2010 il C.G.A. riformava il provvedimento cautelare di questo Tribunale in considerazione della decisione del C.G.A. n. 120/2006 e “ritenuto che, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, sia prevalente quello pubblico alla copertura dei costi di gestione del servizio per il tempo occorrente alla definizione del giudizio”.
Alla pubblica udienza di discussione, presenti i procuratori delle parti, il ricorso veniva posto in decisione.
DIRITTO
In conseguenza della revoca della delibera impugnata con il ricorso originario, deve essere dichiarata l’improcedibilità di tale impugnativa.
Il ricorso per motivi aggiunti, a mezzo del quale è stata impugnata la delibera del sindaco del Comune di Marsala n. 89 del 17.6.2010, è invece fondato in relazione al primo motivo, con il quale si deduce l’incompetenza del sindaco ad adottare il provvedimento di determinazione della tariffa TARSU.
Come correttamente rilevato da parte ricorrente, nell’ambito della Regione Siciliana non trova applicazione l’art. 42 del D.Lgs. n. 267/2000, atteso che la legge reg. n. 48/1991 non opera un rinvio dinamico alla legge n. 142/1990: conseguentemente la presente fattispecie risulta regolata dalle disposizioni dettate dalle L. n. 142/1990, recepita in Sicilia con L. reg. n. 48/1991, mentre le modifiche intervenute alla legislazione statale con il richiamato D.Lgs. 267/2000 – indipendentemente dal loro rilievo – non sono applicabili in Sicilia.
Sembra opportuno precisare che la legge reg. n. 48/1991 – diversamente da quanto stabilito in sede nazionale dalla legge n. 142/1990 – individua nel sindaco, e non nella giunta comunale, l’organo del comune che ha competenza residua, nelle materie non espressamente attribuite ad altri organi.
Pertanto la questione di quale sia l’organo competente a modificare la tariffa TARSU si riduce alla corretta interpretazione del disposto dell’art. 32 della legge n. 142/90, operante in Sicilia in virtù del rinvio – statico - operato dall’art. 1 lett. e) della legge reg. n. 48/1991; ed in particolare è necessario verificare se la determinazione di tale tariffa concerna “l'istituzione e l'ordinamento dei tributi, la disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi”, lett. g), ovvero rientri comunque in altra materia attribuita al consiglio comunale.
Al fine di sgombrare il campo da qualsiasi equivoco, è bene precisare che il problema in esame, sulla individuazione dell’organo competente a modificare la tariffa TARSU, non muta anche nelle ipotesi in cui l’amministrazione interessata abbia sostituito la T.I.A. alla TARSU, in applicazione del D.lgs. n. 22 del 1997.
In merito la Corte Cost. nella sentenza n.238 del 24 luglio 2009 ha infatti chiarito che, al di là del nomen utilizzato, anche la T.I.A. è un tributo la cui disciplina non può che rispondere ai principi propri di tale genere di prestazioni imposte.
Con riferimento all’interpretazione dell’art. 32 lett. g) della legge n. 142/90, il Collegio condivide la ricostruzione più volte operata da questo Tribunale (T.A.R. Sicilia, Palermo n. 1550/2009; Catania n. 1630/2006), nonché dal Consiglio di Stato (Consiglio di Stato, Sez. V, del 30 aprile 1997 n. 424) e dalla Corte di Cassazione (Cass. n. 14376/2010; Cass. n. 16870/2003), secondo la quale, sulla base delle disposizioni dettate con la legge n. 142/90, la modifica della tariffa TARSU rientra nella competenza del consiglio comunale.
Invero risultano analitiche e convincenti, in particolare, le argomentazioni articolate nella sentenza della Corte di Cassazione n. 16870/2003.
In particolare la Suprema Corte, richiamando precedenti ricostruzioni giurisprudenziali e dottrinarie, ha puntualizzato che la misura di un tributo costituisce un elemento essenziale e qualificante dello stesso, inserendosi nella definizione degli elementi strutturali dell'obbligazione di imposta ed alla sua regolamentazione generale, e quindi all’ordinamento del tributo; peraltro, diversamente opinando verrebbe di fatto svuotato il significato dell’art. 32 lett. g) della legge n. 142/90, atteso che, all’epoca in cui tale norma è stata adottata, le amministrazioni locali non avevano il potere di istituire, in senso proprio, alcuna imposta.
La sentenza indicata richiama poi la decisione del Consiglio di Stato, Sez. V, del 30 aprile 1997 n. 424, secondo la quale la norma in questione costituirebbe, a livello locale, l’omologo dell’art. 23 della Costituzione, secondo il quale nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.
Prosegue la Cassazione: “Sul piano dei principi appare quindi coerente che a livello locale il potere impositivo (inteso lato sensu) sia esercitato dal Consiglio comunale, che riceve direttamente dal popolo il suo potere rappresentativo, e non dalla giunta municipale, priva di una diretta legittimazione democratica; in tal senso, il Consiglio comunale è competente in via esclusiva non solo per l'istituzione, ma anche per l'adeguamento delle tariffe, sia perché l'enunciato normativo non consente codesta discriminazione sia in quanto anche l'adeguamento implica l'esercizio di un potere impositivo attribuito dalla legge in via esclusiva all'organo comunale rappresentativo altro non essendo che la determinazione ex novo del quantum debeatur sicché non ha natura diversa dall'atto istitutivo della prestazione patrimoniale”.
La Cassazione chiarisce che anche considerazioni di ordine sistematico e latu sensu ordinamentali confermano l’attribuzione al consiglio comunale della competenza a variare la tariffa della TARSU.
Degno di particolare rilievo è l’argomento che viene tratto dall'art. 42, comma 2, lett. f), del D.lgs. n. 267-2000, comunque non operante in Sicilia, come già specificato.
Il fatto che il Legislatore, nel confermare che l’istituzione e l’ordinamento dei tributi è di competenza del Consiglio comunale, abbia voluto, in modo innovativo, espressamente attribuire alla giunta la competenza alla determinazione delle aliquote, implica necessariamente che, in assenza di tale deroga – come è sulla base della legge n. 142/1990 - la determinazione delle aliquote rientrerebbe, a buon diritto, nell’ambito dell’ordinamento del tributo, e quindi nella competenza del Consiglio.
Peraltro non può non rilevarsi che la deroga in questione, contenuta all'art. 42, comma 2, lett. f), del D.lgs. n. 267-2000, è espressamente riferita alla determinazione delle “aliquote”, e non delle tariffe TARSU, per le quali non deve essere determinata alcuna aliquota, e che pertanto sfugge alla deroga prevista dal Legislatore del D.Lgs. 267/2000.
L’impossibilità – in campo nazionale - di estendere quest’ultima deroga anche alla determinazione delle tariffe TARSU trova fondamento, oltre che nel noto principio che le norme di carattere eccezionale non sono suscettibili di essere interpretate analogicamente o estensivamente, anche da un punto di vista logico, considerato che, mentre nelle imposte nelle quali il comune deve determinare l’aliquota esiste comunque una forbice, stabilita con atti normativi preordinati, entro i quali l’amministrazione locale può operare, la determinazione della tariffa TARSU è svincolata da limiti preordinati, e sarebbe quanto meno improprio attribuire ad un organo esecutivo la possibilità di incidere in modo così ampio sul potere impositivo.
In termini più generali rileva peraltro il Collegio che la determinazione della tariffa TARSU costituisce un atto di carattere generale ed astratto e, conseguentemente, rientra negli atti di carattere regolamentare, comunque espressamente attribuiti alla competenza del Consiglio Comunale, che costituisce l’organo di massima rappresentatività in sede locale, con già evidenziata simmetria con il disposto dell’art. 23 della Costituzione.
Dichiarate assorbite le ulteriori censure, ritiene, in conclusione, il Collegio che l’impugnazione articolata con il ricorso originario deve essere dichiarato improcedibile, mentre deve essere accolta quella articolata con i motivi aggiunti e, per l’effetto, annullata la determina sindacale n. 89/2010.
In considerazione della complessità della questione, e dell’esito altalenante della fase cautelare, il Collegio ritiene equo compensare le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara improcedibile l’impugnazione della deliberazione n. 47/2010; accoglie l’impugnazione della deliberazione n. 89/2010 e, per l’effetto, annulla tale deliberazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nelle camere di consiglio del giorno 7 giugno 2011 e del giorno 29 giugno 2011, con l'intervento dei magistrati:
Filoreto D'Agostino, Presidente
Nicola Maisano, Consigliere, Estensore
Giovanni Tulumello, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/07/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Dimezzato il termine per il deposito del ricorso avverso il silenzio

Tar Palermo Sez. III, sentenza n. 1333 dell'11 luglio 2011
Data: 
11/07/2011
Materia: 
Processo amministrativo
N. 01333/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00437/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
per l'annullamento:
del silenzio opposto dall’Amministrazione resistente sulla istanza di accesso agli atti notificata in data 3/12/2010;
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione regionale intimata;
Visti tutti gli atti della causa;
Designato relatore il Consigliere Federica Cabrini;
Uditi alla camera di consiglio del 1/7/2011 i difensori delle parti, come specificato nel verbale;
Rilevato che, ai sensi dell’art. 73, c. 3, c.p.a., è stata posta in rilievo la questione dell’irricevibilità del ricorso, per tardività del deposito; e che nulla è stato controdedotto, sul punto, da parte del difensore della ricorrente, come da verbale;
Ritenuto, in particolare, che:
- l’art. 87, c. 3, c.p.a. stabilisce che nei giudizi di cui al c. 2 – nel quale è ricompreso il giudizio in materia di silenzio (lettera b) – tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti;
- l’art. 45, c. 1, c.p.a. stabilisce il termine perentorio di giorni trenta, decorrenti dal perfezionamento dell’ultima notificazione, per il deposito del ricorso e degli altri atti processuali soggetti a preventiva notificazione;
- nel caso di specie il ricorso è stato notificato in data 2/2/2011 e depositato in data 1/3/2011, mentre il termine (dimezzato) per il deposito andava a scadere in data 17/2/2011;
Ritenuto, quindi, che:
- il ricorso deve essere dichiarato irricevibile, ai sensi dell’art. 35, c. 1, lett. a), c.p.a.;
- attesa la novità della questione, connessa all’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo, le spese del giudizio vanno compensate tra le parti costituite e nulla va dichiarato nei confronti della controinteressata non costituita.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile.
Spese compensate tra le parti costituite.
Nulla per le spese nei confronti di Di Maggio Mariella.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 1 luglio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Calogero Adamo, Presidente
Federica Cabrini, Consigliere, Estensore
Maria Cappellano, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/07/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Giudizio di ottemperanza: è di 15 giorni il termine per il deposito del ricorso (articolo 87 CPA)

Tar Palermo Sez. III, sentenza n. 1249 del 29 giugno 2011
Data: 
29/06/2011

Ai sensi dell’art. 87, comma 3, del cod. proc. amm. , nei giudizi di cui al comma 2 – nel quale è ricompreso il giudizio di ottemperanza (lettera d) – tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti.

 


N. 01249/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00155/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 155 del 2011, proposto da:
Petruso Giacomo, rappresentato e difeso dall'avv. Marcello Marcatajo, e con
[omissis]
per l'esecuzione
della sentenza n. 4466 dei giorni 28.11.2008 – 27.03.2009, passata in giudicato, resa dal Tribunale di Palermo, Sezione Lavoro;
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Ente di Sviluppo Agricolo, dell’Assessorato Agricoltura e Foreste della Regione Siciliana e della Giunta di Governo della Regione Siciliana;
Vista la documentazione depositata da parte ricorrente il 26.04.2011;
Viste la memoria depositata dalle resistenti amministrazioni in vista dell’adunanza camerale;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Referendario Maria Cappellano;
Uditi alla camera di consiglio del 17 giugno 2011 i difensori delle parti, presenti come specificato nel verbale;
Ritenuto che, ai sensi dell’art. 73, comma 3, cod. proc. amm., è stata posta in rilievo la questione, rilavata d’ufficio, dell’irricevibilità del ricorso, per tardività del deposito; e che nulla è stato controdedotto, sul punto, da parte ricorrente, come da verbale;
Ritenuto di dovere dichiarare il presente ricorso irricevibile per tardività del deposito, atteso che:
- l’art. 87, comma 3, del cod. proc. amm. stabilisce che nei giudizi di cui al comma 2 – nel quale è ricompreso il giudizio di ottemperanza (lettera d) – tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, tranne quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti;
- l’art. 45, comma 1, del cod. proc. amm. stabilisce il termine perentorio di giorni trenta, decorrenti dal perfezionamento dell’ultima notificazione, per il deposito del ricorso e degli altri atti processuali soggetti a preventiva notificazione;
- nel caso di specie il ricorso è stato notificato il 22.12.2010, e depositato il 20.01.2011, mentre il termine (dimezzato) per il deposito andava a scadere il 06.01.2011;
Ritenuto, quindi, che:
- il ricorso deve essere dichiarato irricevibile, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. a), cod. proc. amm.;
- attesa la novità della questione, connessa all’entrata in vigore del nuovo codice del processo amministrativo, le spese di giudizio vanno dichiarate irripetibili.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile.
Spese irripetibili.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 17 giugno 2011 con l'intervento dei magistrati:
Calogero Adamo, Presidente
Federica Cabrini, Consigliere
Maria Cappellano, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/06/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Non si può derogare alla perentorietà dei termini stabiliti per la produzione in giudizio di memorie e documenti

C.G.A. sentenza n. 438 del 14 giugno 2011
Data: 
14/06/2011
Materia: 
Processo amministrativo
 
Nel processo amministrativo i termini liberi per la produzione di memoria e documenti sono fissati “anche nell’interesse del giudicante (il quale, nel superiore interesse all’effettività della tutela giurisdizionale, deve disporre del tempo minimo indispensabile per esaminare gli atti depositati dalle parti)" . Essi sono posti peraltro a garanzia del  "generale principio di rispetto del contraddittorio, a sua volta riconducibile al canone fondamentale dell'equo processo di cui all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cons. St., sez. IV, 21 aprile 2009, n. 2428)

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
[omissis]
F A T T O
La ricorrente [...] , assumendo di essere proprietaria di un complesso industriale adibito a molino e pastificio sito in Comune di Ragusa ed insistente su un lotto di terreno classato nel precedente PRG in zona D e destinato nell’attuale PRG in zona B1 satura, aveva proposto, in sede di approvazione del Piano, un’opposizione-osser-vazione accolta ed ottenuto conseguentemente la indicazione di un indice volumetrico massimo fondiario di 5 mc/mq. Nell’attribuire gli indici di edificazione all’area, venivano però indicati l’altezza massima di ml. 10,50 e il numero massimo di 3 piani f.t. oltre il piano interrato, ritenuti dalla interessata penalizzanti.
La ricorrente impugnava pertanto, con ricorso n. 2083 del 2006 proposto al T.A.R. di Catania, il provvedimento ritenuto lesivo, chiedendo la rettifica di tali indici.
Con decisione n. 2332/2008, il T.A.R. adito (Sezione Prima), rilevata la non valutabilità - anche per l’opposizione espressa della difesa del Comune - dei documenti tardivamente depositati dal ricorrente, accoglieva la eccezione di inammissibilità proposta dalla difesa del Comune, ritenendo non provata la proprietà del terreno da parte della ditta ricorrente. Rigettava il ricorso e disponeva conseguentemente la condanna della ricorrente alle spese nei confronti del Comune, che liquidava nella misura di euro 2.000,00, compensando invece quelle nei confronti dell’Assessorato regionale.
Avverso tale decisione, ha proposto appello la originaria ricorrente assumendo la sufficienza - ai fini dell’interesse a ricorrere, in tema di varianti e destinazioni urbanistiche - di un “collegamento ambientale” anche indipendente dalla proprietà del fondo, quale sarebbe anche quello legato ad un interesse attuale al godimento o al valore di mercato dell’area. E riproponendo, in ragione di tale riaffermata legittimazione, le censure contro il provvedimento impugnato.
Si sono costituiti per resistere, anche in questo grado, il Comune di Ragusa e l’Assessorato regionale territorio ed ambiente, insistendo per il rigetto del gravame.
D I R I T T O
Il ricorso è infondato.
La società ricorrente non ha provato (il punto è pacifico tra le parti) di essere proprietaria del terreno del quale lamenta la classificazione urbanistica che assume lesiva.
La esistenza di un interesse riflesso della stessa, derivante dalla gestione di un complesso industriale insediato nell’area in oggetto, non è sufficiente a legittimarla. Benché tale interesse possa infatti assumere - in quanto eventualmente radicato - rilievo ai fini di eventuali osservazioni proponibili in sede di redazione del piano (che sono state infatti ammesse e considerate), esso non è certamente sufficiente a giustificare un’azione rivolta a contestare gli indici di edificazione assentiti. Questi hanno infatti il loro presupposto nell’interesse edilizio connesso alla proprietà del bene, che ne diviene perciò indefettibile presupposto giuridico di legittimazione ad causam. Senza la prova della proprietà non vi è in materia, per consolidato orientamento giurisprudenziale (al quale il T.A.R. ha fatto oltretutto espresso e diffuso riferimento), legittimazione a ricorrere. E poiché “colui che propone un’azione di legittimità davanti al giudice amministrativo, per l’annullamento delle disposizioni di un Piano regolatore generale …, ha l’onere di fornire la prova della posizione qualificata, idonea a conferire la titolarità dell’interesse legittimo a tutela del quale è preordinata l’azione di annullamento” (CGA, n. 1295/2010; cfr. anche C.d.S. n. 4004/2009), è palese la inammissibilità nella fattispecie del ricorso proposto. Ed ineccepibile, in conseguenza, la correttezza della decisione sul punto del giudice di prime cure.
Né può valere a modificare le cose la circostanza che la prova mancata avrebbe potuto essere (in ipotesi) conseguita se fosse stata ammessa la produzione documentale tardiva prodotta dall’appellante (e negata ex art. 23 legge 1034/1971).
Il termine previsto al riguardo non è infatti in alcun modo superabile. Non lo sarebbe stato nemmeno con l’eventuale accordo delle parti (che qui è per altro espressamente mancato). Come questo Collegio (CGA n. 884/2010) ha infatti già giudicato “la citata norma fissa un termine anche nell’interesse del giudicante (il quale, nel superiore interesse all’effettività della tutela giurisdizionale, deve disporre del tempo minimo indispensabile per esaminare gli atti depositati dalle parti) e soprattutto essa costituisce il precipitato del generale principio di rispetto del contraddittorio, a sua volta riconducibile al canone fondamentale dell'equo processo di cui all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (Cons. St., sez. IV, 21 aprile 2009, n. 2428)”.
Ritiene conseguentemente il Collegio che l’appello non possa essere accolto e che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito debba considerarsi assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente sentenza.
Ritiene anche il Collegio che le spese debbano seguire la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, rigetta l’appello e per l’effetto condanna la società appellante alle spese del giudizio nei confronti delle parti resistenti, che liquida per il grado nella misura di euro 3.000,00 (tremila/00) nei confronti di ciascuna di esse.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
Così deciso in Palermo il 16marzo 2011 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l'intervento dei Signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Antonino Anastasi,Guido Salemi, Pietro Ciani, Alessandro Corbino, estensore, componenti.
F.to Riccardo Virgilio, Presidente
F.to Alessandro Corbino, Estensore
Depositata in Segreteria
 il 14 giugno 2011
 

Sussiste la giurisdizione del g.o. in tema di revoca di contributi per fatto imputabile al beneficiario

Tar Catania, Sez. IV, sentenza del 13 giugno 2011, n. 1459
Data: 
13/06/2011

Nell’ipotesi di revoca di contributi per fatto imputabile al beneficiario, riconosce in ogni caso la giurisdizione del Giudice ordinario.

In particolare, nella fase procedimentale successiva all'attribuzione del contributo, il beneficiario risulta titolare di un diritto soggettivo avente ad oggetto la concreta erogazione delle somme disposte con tale finanziamento, con conseguente attribuzione della relativa giurisdizione al G.O. per le controversie relative al pagamento degli importi dovuti ovvero riconducibili ai provvedimenti di decadenza o di risoluzione con i quali la p.a. abbia ritirato la sovvenzione sulla scorta di un preteso inadempimento, da parte del beneficiario, agli obblighi impostigli dalla legge o dalla convenzione posta a fondamento del rapporto di finanziamento (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 03 giugno 2010 , n. 3501; ma anche questo TAR Catania, sez. IV, 16 dicembre 2010, n. 4744).

Viceversa, solo quando nella stessa fase procedimentale la p.a. si determini nel senso di non erogare il finanziamento già accordato, provvedendo, in sede di autotutela, ad annullare il predetto provvedimento per vizi di legittimità ovvero a revocarlo per contrasto originario con l'interesse pubblico, il beneficiario può vantare una posizione di interesse legittimo al corretto esercizio di detti poteri, con conseguente attribuzione delle relative controversie alla giurisdizione del G.A. (cfr. giurisprudenza già richiamata).

In definitiva, sussiste la giurisdizione ordinaria tutte le volte in cui il provvedimento impugnato - a prescindere dal nomen juris adoperato (annullamento, revoca, decadenza, risoluzione) - sia basato sull'asserito inadempimento da parte del concessionario agli obblighi impostigli dalla legge o assunti a fronte della concessione del contributo.

 

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
(omissis)
FATTO
Con decreto n. 187 del 29 dicembre 2005 dell’Ispettorato Provinciale dell'Agricoltura di Catania, l’azienda vitivinicola “xxx, odierna ricorrente, otteneva il finanziamento di Euro 495.146,85 per la realizzazione di un insediamento per la produzione di vini di qualità in Linguaglossa, nell’ambito del POR Sicilia 2000-2006, misura 4.06 Az. 1 “ Investimenti per colture vegetali”, bando 2003.
Con decreto n. 116 del 15 maggio 2006 veniva erogata all’azienda ricorrente un’anticipazione di Euro 247.573,42, pari al 50% del contributo concesso.
Con decreto n. 68 del 19.06.2008 l’Ispettorato intimato disponeva la revoca del finanziamento, sul rilievo che non risultava presentata tutta la documentazione di rito necessaria ai fini dell’accertamento della regolare esecuzione dei lavori, nonostante l’espressa richiesta dell’Ispettorato in data 23.01.2008 e le due comunicazioni di avvio del procedimento di revoca del contributo in data 26.03.2008 ed in data 07.05.2008.
Con lo stesso provvedimento l’Ispettorato disponeva il recupero della somma di Euro 247.573,42 liquidata come anticipazione.
Con il ricorso in epigrafe, ritualmente notificato e depositato, l’azienda in intestazione ha impugnato il predetto decreto di revoca, deducendo censure di eccesso di potere per omessa istruttoria, difetto di motivazione e incongruenza manifesta, nonché di violazione e falsa applicazione dell’art. 97 Cost.
L’Amministrazione regionale, costituita in giudizio, ha chiesto il rigetto del ricorso.
All’odierna udienza pubblica la causa è passata in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo.
E’ sufficiente, ad avviso del Collegio, richiamare l’orientamento unanime della giurisprudenza, che, nell’ipotesi di revoca di contributi per fatto imputabile al beneficiario, riconosce in ogni caso la giurisdizione del Giudice ordinario.
In particolare, nella fase procedimentale successiva all'attribuzione del contributo, il beneficiario risulta titolare di un diritto soggettivo avente ad oggetto la concreta erogazione delle somme disposte con tale finanziamento, con conseguente attribuzione della relativa giurisdizione al G.O. per le controversie relative al pagamento degli importi dovuti ovvero riconducibili ai provvedimenti di decadenza o di risoluzione con i quali la p.a. abbia ritirato la sovvenzione sulla scorta di un preteso inadempimento, da parte del beneficiario, agli obblighi impostigli dalla legge o dalla convenzione posta a fondamento del rapporto di finanziamento (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 03 giugno 2010 , n. 3501; ma anche questo TAR Catania, sez. IV, 16 dicembre 2010, n. 4744).
Viceversa, solo quando nella stessa fase procedimentale la p.a. si determini nel senso di non erogare il finanziamento già accordato, provvedendo, in sede di autotutela, ad annullare il predetto provvedimento per vizi di legittimità ovvero a revocarlo per contrasto originario con l'interesse pubblico, il beneficiario può vantare una posizione di interesse legittimo al corretto esercizio di detti poteri, con conseguente attribuzione delle relative controversie alla giurisdizione del G.A. (cfr. giurisprudenza già richiamata).
In definitiva, sussiste la giurisdizione ordinaria tutte le volte in cui il provvedimento impugnato - a prescindere dal nomen juris adoperato (annullamento, revoca, decadenza, risoluzione) - sia basato sull'asserito inadempimento da parte del concessionario agli obblighi impostigli dalla legge o assunti a fronte della concessione del contributo.
Tanto premesso, nel caso di specie, le ragioni della revoca non afferiscono all’esercizio del potere concessorio, ma concernono la fase di attuazione dell'intervento e l'esatto adempimento da parte del beneficiario agli obblighi imposti dall’attuazione del progetto finanziato.
L'amministrazione regionale si è infatti limitata a contestare all’azienda ricorrente la mancata produzione, quando era oramai scaduto il termine ultimo- più volte prorogato - stabilito per il completamento delle opere, di documentazione indispensabile per l’accertamento della regolare esecuzione dei lavori, senza procedere ad alcuna nuova valutazione degli interessi pubblici sottesi al finanziamento.
La stessa azienda ricorrente a pag. 7 del ricorso parla di “ritenuto inadempimento del beneficiario alle clausole contrattuali che disciplinano la materiale erogazione del contributo ”.
Ne consegue, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione di questo Tribunale e che la causa deve essere riassunta davanti al giudice ordinario competente, entro il termine perentorio di cui all’art. 11, comma secondo, c.p.a.
Le spese possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 28 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:
Rosalia Messina, Presidente
Dauno Trebastoni, Primo Referendario
Giuseppa Leggio, Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 13/06/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

In pendenza dei termini per proporre appello, il ricorso per revocazione deve essere ritenuto inammissibile

Tar Palermo Sez. III, sentenza n. 1042 del 1 giugno 2011
Data: 
01/06/2011

 


N. 01042/2011  REG.PROV.COLL.
N. 00852/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
[omissis]
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
Con atto notificato a mezzo posta in data 5/5/2009 e depositato in data 13/5/2009 la ricorrente aveva proposto ricorso ai sensi dell’art. 25 l. n. 241/1990 al fine di ottenere “copia dei verbali di gara e di tutta la documentazione amministrativa e tecnica presentata dalla ditta aggiudicataria” con riferimento al primo lotto della gara bandita dall’Azienda Ospedaliera V.E. di Gela per la “fornitura ed installazione chiavi in mano di apparecchiature per radioterapia”, gara alla quale la ricorrente aveva partecipato, classificandosi al secondo posto in graduatoria (nell’ambito di un r.t.i.).
Lamentava in particolare la ricorrente che la stazione appaltante aveva illegittimamente accolto la richiesta di accesso limitatamente alla sola visione degli atti in asserita applicazione degli artt. 37 e 38 del disciplinare di gara, articoli dei quali veniva quindi chiesto l’annullamento e/o la disapplicazione.
Con sentenza 11 agosto 2009, n. 1441, il T.a.r. Palermo, sez. I, rigettava il ricorso richiamando l’art. 13, c. 2, d.lgs. n. 163/2006 a norma del quale il diritto di accesso agli atti di gara è differito sino al momento dell’aggiudicazione definitiva ed assumendo che alla data di proposizione del ricorso e a quella di decisione dello stesso (camera di consiglio del 3/7/2009) non fosse ancora intervenuta l’aggiudicazione definitiva.
Con successivo ricorso - notificato a mezzo posta in data 20/8/2009 e depositato in data 8/9/2009 – la soc. ricorrente ha chiesto al T.a.r. di revocare, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. la sentenza n. 1441/2009, e, per l’effetto di accogliere il ricorso in tema di accesso, consentendo l’estrazione di copia dei documenti richiesti.
Espone in particolare la ricorrente che il giudice di primo grado sarebbe incorso in un palese errore di fatto in quanto risultava dalla memoria difensiva prodotta in atti da parte resistente che l’aggiudicazione definitiva era avvenuta con nota 21/5/2009, prot. n. 373 e quindi prima della decisione del ricorso.
Conclude quindi per l’accoglimento del ricorso per revocazione proposto.
In data 24/1/2011 si è costituita in giudizio l’Azienda intimata chiedendo il rigetto del ricorso per revocazione assumendone l’infondatezza.
All’udienza pubblica del 4/5/2011 il ricorso, uditi i difensori delle parti come da verbale, è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
Rileva in via preliminare il Collegio che il ricorso è stato assegnato ad altra sezione del T.a.r. rispetto a quella che ha deciso la sentenza impugnata con il rimedio della revocazione (sez. I), in applicazione dei principi di cui alla decisione dell’Adunanza Plenaria del Cons. di Stato 25 marzo 2009, n. 2.
Ritiene il Collegio che il ricorso per revocazione proposto sia inammissibile.
Recita l’art. 28, cc. 1-2, l. n. 1034/1971 applicabile ratione temporis alla presente controversia:
“1. Contro le sentenze dei tribunali amministrativi è ammesso ricorso per revocazione, nei casi, nei modi e nei termini previsti dagli articoli n. 395 e 396 del codice di procedura civile. 2. Contro le sentenze medesime è ammesso, altresì, ricorso al Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, da proporre nel termine di giorni sessanta dalla ricevuta notificazione, osservato il disposto dell'articolo 330 del codice di procedura civile”.
Recitano poi gli artt. 395 e 396 c.p.c.:
395. Casi di revocazione. Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate per revocazione: 1. se sono l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra 2. se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza; 3. se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario; 4. se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare; 5. se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione; 6. se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato”;
396. Revocazione delle sentenze per le quali è scaduto il termine per l'appello. Le sentenze per le quali è scaduto il termine per l'appello possono essere impugnate per revocazione nei casi dei nn. 1, 2, 3 e 6 dell'articolo precedente, purché la scoperta del dolo o della falsità o il ricupero dei documenti o la pronuncia della sentenza di cui al n. 6 siano avvenuti dopo la scadenza del termine suddetto. Se i fatti menzionati nel comma precedente avvengono durante il corso del termine per l'appello, il termine stesso è prorogato dal giorno dell'avvenimento in modo da raggiungere i trenta giorni da esso”.
Si distingue in dottrina e in giurisprudenza tra revocazione c.d. “ordinaria” (v. art. 395 nn. 4 e 5 c.p.c.) quando i motivi sono conoscibili dalle parti sin dalla pubblicazione della sentenza, e revocazione c.d. “straordinaria” (v. art. 395, nn. 1, 2, 3 e 6 c.p.c.), quando i motivi sono conoscibili dalle parti solo dopo la scoperta di fatti in precedenza non noti.
I provvedimenti impugnabili mediante revocazione, in base al c.p.c., sono le sentenze pronunciate in grado di appello o in unico grado (cioè le sentenze non appellabili – ad es. la sentenza pronunciata secondo equità su accordo delle parti, v. art. 114 c.p.c.), per tutti i motivi di cui all’art. 395 c.p.c., le sentenze pronunciate in primo grado per le quali non sia più esperibile l’appello essendo scaduto il termine per la proposizione, ma solo per i motivi di revocazione straordinaria (v. art. 396 c.p.c.), e le sentenze della Corte di Cassazione, ma solo se viziate da errore di fatto (v. art. 391 bis c.p.c.).
In ambito processualcivilistico la questione dei rapporti tra la revocazione e l’appello è risolta dalla legge in base al principio della sussidiarietà: la revocazione delle sentenze appellabili deve ritenersi esclusa in quanto non prevista né dall'art. 396 c.p.c. (che si riferisce solo alle “sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello”), né da alcuna altra norma del c.p.c., compreso l’art. 395 c.p.c. (che si riferisce alle “sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado”, e tale non è la sentenza di primo grado per la quale penda il termine per l’appello).
Al contrario, nel processo amministrativo, la questione dei rapporti tra la revocazione e l’appello non è risolta dalla legge, ma deve essere risolta dall’interprete.
Osserva il Collegio, innanzitutto che il rinvio che l’art. 28 l. T.a.r. opera verso l’art. 396 c.p.c., non pone problemi applicativi, di talché, per effetto di tale rinvio, le sentenze di primo grado, per le quali sia scaduto il termine per la proposizione dell’appello (sentenze quindi passate in giudicato), sono impugnabili con il rimedio della revocazione straordinaria e quindi non è nemmeno configurabile il concorso dei due rimedi (revocazione straordinaria ed appello).
Osserva invece il Collegio che il rinvio che l’art. 28, c. 1, l. T.a.r. fa all’art. 395 c.p.c., tout court, e unitamente all’utilizzo, nel c. 2, dell’espressione “altresì” riferita al rimedio dell’appello, pone il problema interpretativo relativo a quale sia l’impugnazione esperibile quando pende il termine per l’appello e la sentenza sia viziata da un errore di fatto (art. 395, n. 4) o sia contraria ad altra avente fra le parti autorità di cosa giudicata (art. 395, n. 5).
Secondo un primo orientamento contro le sentenze del T.a.r., ancorché non passate in giudicato e suscettibili d'appello, sarebbe comunque ammissibile il ricorso per revocazione ordinaria prevista dall'art. 395, nn. 4-5 c.p.c. (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 30 ottobre 2002, n. 5973, che fa leva sul dato testuale della norma che individua l’appello come rimedio aggiuntivo).
Secondo altro orientamento, a dire il vero più risalente, ma che ha ripreso vigore di recente, invece, allorché le sentenze di primo grado, come quelle rese dal T.a.r., sono ancora impugnabili in secondo grado, per non avvenuta scadenza del termine per la proposizione dell’appello, ogni doglianza o profilo di illegittimità da rilevarsi a carico della sentenza del primo giudice va fatta proprio con il rimedio dell'appello, dal che ne discende l’inammissibilità della revocazione ordinaria proposta avverso sentenze appellabili (cfr.: Cons. Stato, sez. VI, 2 marzo 1999, n. 244; Cons. Stato Sez. IV, 31 marzo 2010, n. 1843; T.ar. Campania – Napoli, sez. I, 12 gennaio 2011, n. 72).
Tale opzione ermeneutica più rigorosa appare - come di seguito si dirà, fatta propria dall’art. 106 c.p.a. - quella preferibile perché in linea con i principi propri del processo civile sopra delineati ed immanenti nel processo amministrativo ove con lo stesso compatibili, dai quali il Collegio non ravvisa ragione plausibile per discostarsi.
Segue da ciò l’inammissibilità del ricorso per revocazione ordinaria proposto nel caso di specie quando ancora era pendente il termine per la proposizione dell’appello (sentenza di primo grado depositata in data 11/8/2009, ricorso proposto ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., notificato in data 20/9/2009).
Ad abundantiam si osserva:
1) il rinvio operato dall’art. 28, c. 1, l. T.a.r. all’art. 395 c.p.c. è probabilmente il frutto di una mera svista del legislatore in quanto le sentenze del T.a.r., giudice di primo grado, non sono né sentenze “pronunciate in grado d'appello” né sentenze pronunciate “in unico grado” (di talché sarebbe stato eventualmente più opportuno espungere detto rinvio dal c. 1 ed effettuare un richiamo all’art. 395, nn. 4 e 5, c.p.c., nel c. 2 dell’art. 28 l. T.a.r. con riferimento ai motivi dell’appello, con una formulazione del tipo: “Contro le sentenze medesime è ammesso, altresì, ricorso al Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, anche per i motivi di cui all’art. 395, nn. 4 e 5, c.p.c.”;
2) l’art. 106, c. 3, c.p.a. (norma entrata in vigore dopo la proposizione del ricorso deciso con la presente sentenza, ma che avvalora comunque l’opzione ermeneutica prescelta) risolve espressamente la questione dei rapporti tra revocazione ed appello in linea con i principi propri del processo civile, e recita: “Contro le sentenze dei tribunali amministrativi regionali la revocazione è ammessa se i motivi non possono essere dedotti con l’appello”.
Segue dalle considerazioni che precedono che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Sussistono comunque le eccezionali ragioni di cui all’art. 92, c. 2, c.p.c., tenuto conto della particolarità della controversia, per disporre la compensazione, tra le parti costituite, delle spese del giudizio.
Nulla per le spese nei confronti delle parti non costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione in epigrafe indicato, lo dichiara inammissibile.
Spese del giudizio compensate tra le parti costituite.
Nulla per le spese nei confronti delle parti non costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 4 maggio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Calogero Adamo, Presidente
Federica Cabrini, Consigliere, Estensore
Maria Cappellano, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/06/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)