Diritto e Giustizia Amministrativa
Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato delle p.a.
Non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 3, l. 241/1990) perché isffatto potere di controllo, generale e preliminare, è del tutto ultroneo alla norma sull’accesso, che non conferisce ai singoli funzioni di vigilanza, ma solo la pretesa individuale a conoscere dei documenti collegati a situazioni giuridiche soggettive. Immaginare un “potere esplorativo” significa non solo eccedere la dimensione comunque soggettiva del diritto di accesso, aprendo gli orizzonti a fenomeni di giurisdizione di diritto oggettivo, ma soprattutto trascurare gli equilibri sottesi alla disposizione dell’art.22; ciò perché l’interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi è destinato alla comparazione con altri interessi rilevanti, tra i quali anche l’interesse dell’amministrazione a non subire eccessivi intralci nella propria azione gestoria, che, nei limiti del predetto equilibrio tra valori, trova rispondenza anche nel catalogo dei principi costituzionali: su tutti quelli previsti agli artt.41 e 97 Cost. (Cons. Stato, 555/2006). In altre parole, la disciplina sull'accesso tutela solo l'interesse alla conoscenza e non l'interesse ad effettuare un controllo sull'amministrazione, allo scopo di verificare eventuali e non ancora definite forme di lesione della sfera dei privati (cfr. Sezione V, n. 5636 del 25 settembre 2006; Cons. Stato, 11 maggio 2007 n. 2314).
N. 00621/2011 REG.PROV.COLL.
N. 03518/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3518 del 2010, proposto da Salvatore Puglisi, rappresentato e difeso dall'avv. Fabio Rossi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Catania, via Orto Limoni, 7/H;
contro
Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca - Dir. Gen. Reg. per la Sicilia – Ufficio Scolastico Provinciale di Ragusa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
nei confronti di
Michele Sammito, Giovanni Roccasalva, Carmelo Fratantonio, Pietro Cappello, Loredana Corallo, Pasqualino Rovetto, Gianfranco Modica, Pietro Rendo, Tiziana Corvo, Salvatore Russotto, Rosaria Rizza, Giovanni Di Giacomo, Giovanni Piero Covato, Giuseppina Pluchino, Antonino Canto, Emanuele Tumino, Michela Romeo, Roberto Licitra.
per l'annullamento
della nota 4 novembre 2010 n. 584 di diniego dell’accesso agli atti; della successiva nota del 29.11.2010, n. 6375 e per il contestuale accertamento del diritto del ricorrente ad ottenere copia degli atti e delle informazioni di cui sopra.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca - Dir. Gen. Reg. per la Sicilia – Ufficio Scolastico Provinciale di Ragusa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2011 il dott. Vincenzo Neri e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con l’atto introduttivo del giudizio il ricorrente esponeva:
a) di essere assistente tecnico inserito nelle graduatorie di circolo e di istituto di terza fascia della provincia di Ragusa nelle aree laboratorio AR02 e AR08;
b) di aver appreso che “numerosi” colleghi avevano ottenuto l’inserimento in graduatoria benché sforniti del necessario titolo d’accesso;
c) che alcuni dei colleghi prima indicati era stati “depennati” dalle relative graduatorie;
d) che non gli risultava che analoga attività di verifica fosse stata condotta dall’USP di Ragusa con riferimento alle graduatorie provinciali dallo stesso predisposte;
e) di aver assunto informazioni riguardo ad alcuni colleghi e di aver richiesto – “…al fine di avere un riscontro sui dubbi circa il possesso del necessario titolo d’accesso alle graduatorie…” – copia integrale dei fascicoli relativi ad alcuni assistenti tecnici nominativamente indicati nella richiesta (e di poi nel ricorso introduttivo);
f) che l’amministrazione aveva respinto l’istanza e che successivamente aveva negato l’accesso ai dati relativi alla residenza dei controinteressati onde provvedere alla notifica del ricorso.
Tutto ciò premesso impugnava gli atti in epigrafe indicati per: Erronea e pretestuosa motivazione. Violazione artt. 22 e seguenti l. 241/1990. Violazione dei principi di imparzialità e buon andamento della p.a. (artt. 3 e 97 Cost.). Violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost., arrt. 24, comma 7 l. 241/1990).
Si costituiva l’amministrazione intimata chiedendo il rigetto del ricorso.
Alla camera di consiglio del 23 febbraio 2011 la causa passava in decisione.
DIRITTO
L'art. 22 della L.7 agosto 1990, n. 241, definisce interessati all’accesso " ... tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso ..."; la stessa norma poi precisa che per "documento amministrativo" si intende ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale.
L’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza. Per tale ragione tutti i documenti amministrativi sono accessibili fatto salvo quanto espressamene stabilito all’art. 24 legge cit.
Giova ricordare infine che l'accesso ai documenti amministrativi va consentito anche quando la relativa istanza sia preordinata alla loro utilizzazione in un giudizio, senza che sia possibile operare alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda o della censura che sia stata proposta o si intenda proporre, la cui valutazione spetta solo al giudice chiamato a decidere (Cons. Stato, Ad. Plen., 28/04/1999, n. 6).
Ai fini della decisione della controversia, in primo luogo, va rilevato che l’art. 22, comma 4, l. 241/1990 prevede: «non sono accessibili le informazioni in possesso di una pubblica amministrazione che non abbiano forma di documento amministrativo, salvo quanto previsto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, in materia di accesso a dati personali da parte della persona cui i dati si riferiscono»; l’art. 2, comma 2, d.P.R. 184/2006 stabilisce inoltre che «il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti alla stessa data da una pubblica amministrazione, di cui all'articolo 22, comma 1, lettera e), della legge, nei confronti dell'autorità competente a formare l'atto conclusivo o a detenerlo stabilmente. La pubblica amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso».
Ai sensi dell’art. 5, comma 2, d.P.R. 184/2006 il richiedente deve indicare inoltre gli estremi del documento oggetto della richiesta ovvero gli elementi che ne consentano l'individuazione, specificare e, ove occorra, comprovare l'interesse connesso all'oggetto della richiesta, dimostrare la propria identità e, ove occorra, i propri poteri di rappresentanza del soggetto interessato.
Occorre infine specificare che non sono ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni (art. 24, comma 3, l. 241/1990) perché “…siffatto potere di controllo, generale e preliminare, è del tutto ultroneo alla norma sull’accesso, che non conferisce ai singoli funzioni di vigilanza, ma solo la pretesa individuale a conoscere dei documenti collegati a situazioni giuridiche soggettive …omissis... Immaginare un “potere esplorativo” significa non solo eccedere la dimensione comunque soggettiva del diritto di accesso, aprendo gli orizzonti a fenomeni di giurisdizione di diritto oggettivo, ma soprattutto trascurare gli equilibri sottesi alla disposizione dell’art.22; ciò perché l’interesse alla conoscenza dei documenti amministrativi è destinato alla comparazione con altri interessi rilevanti, tra i quali anche l’interesse dell’amministrazione a non subire eccessivi intralci nella propria azione gestoria, che, nei limiti del predetto equilibrio tra valori, trova rispondenza anche nel catalogo dei principi costituzionali: su tutti quelli previsti agli artt.41 e 97 Cost…” (Cons. Stato, 555/2006). In altre parole, la disciplina sull'accesso tutela solo l'interesse alla conoscenza e non l'interesse ad effettuare un controllo sull'amministrazione, allo scopo di verificare eventuali e non ancora definite forme di lesione della sfera dei privati (cfr. Sezione V, n. 5636 del 25 settembre 2006; Cons. Stato, 11 maggio 2007 n. 2314).
Venendo al caso di specie, a parere del Tribunale, il ricorso deve essere rigettato.
In primo luogo va rilevato che, in modo generico, è stata chiesta “copia integrale dei fascicoli relativi…” (si veda istanza inoltrata all’amministrazione ed allegata al ricorso) e non specifici documenti concernenti gli iscritti nella graduatoria provinciale.
In secondo luogo occorre sottolineare che l’operato dell’amministrazione appare immune da vizi perché, per le ragioni prima indicate, è escluso che il diritto di accesso possa essere finalizzato all'esercizio di un controllo esplorativo dell'agire della p.a. allo scopo di verificare eventuali e non ancora definite forme di lesione della sfera dei privati. Nel caso di specie, infatti, l’istante ha chiesto di accedere ai fascicoli personali di altri soggetti per verificare la legittimità di una graduatoria alla quale egli non è iscritto; né, in senso contrario, può ritenersi idoneamente interessato in ragione della mera eventualità che, dopo avere depennato un certo (e non meglio preventivabile) numero di iscritti, si possa poi arrivare al suo nominativo che, come detto, risulta inserito in altra graduatoria. In altri termini non è chiaro quale tipo di illegittimità vizierebbe l’operato dell’amministrazione e, anche a supporre un’illegittima formazione della graduatoria, rimane del tutto eventuale il vantaggio (se non in termini di mera legittimità dell’operato dell’amministrazione) ricavabile dall’istante.
In conclusione per le motivazioni sino a qui esposte il ricorso deve essere rigettato; la peculiarità della controversia costituisce giusta ragione per compensare tra le parti le spese di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando rigetta il ricorso.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Giamportone, Presidente
Francesco Brugaletta, Consigliere
Vincenzo Neri, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Assunzione di cittadino straniero e capacitĂ economica del datore di lavoro
Il nulla osta al lavoro per l’assunzione di cittadino straniero presuppone, non solo la regolarità formale della domanda e l'osservanza delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro indicato dal datore di lavoro, ma altresì la capacità economica dell'impresa e le sue esigenze in rapporto al numero di istanze di assunzione presentate.
N. 00448/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00263/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso con il numero di registro generale 263 del 2009, proposto da HUANG Ynxiang, elettivamente domiciliata in Palermo, via G. Bonanno, 67, presso lo studio dell’Avv. Marina Bonfiglio, rappresentata e difesa dagli Avvocati Giuseppe Marino e Paola Marino;
contro
- il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege in Palermo, via A. De Gasperi, 81, presso gli uffici dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;
- l’Assessorato regionale del lavoro (ora Assessorato regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro), in persona dell’Assessore pro tempore, non costituito in giudizio;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia
- del provvedimento di diniego del nulla osta al lavoro per l’assunzione di cittadino straniero, chiesto dalla ricorrente con istanza prot. n. P-CL/L/Q/2007/100529, adottato dallo Sportello Unico per l’Immigrazione di Caltanissetta, comunicato con nota raccomandata del 29 ottobre 2008, dell’Assessorato regionale al lavoro, Dipartimento lavoro, ricevuta in data 12 novembre 2008.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura dello Stato per il Ministero dell’interno;
Vista l’ordinanza n. 268 del 2 marzo 2009, di rigetto della domanda di sospensione cautelare del provvedimento impugnato;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Referendario Anna Pignataro;
Uditi, nella udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2011, l’Avv. A. Paleologo, giusta delega dell'Avv. G. Marino, per la ricorrente, e l’Avvocato dello Stato R. Di Maggio, per l'amministrazione statale resistente;
Considerato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato in data 12 gennaio 2009 e depositato il successivo 10 febbraio, la ricorrente ha impugnato, chiedendone l’annullamento, previa sospensione cautelare, il provvedimento dello Sportello unico per l’immigrazione di Caltanissetta del 24 ottobre 2008, notificatole (asseritamente) il 12 novembre seguente, con cui è stata disattesa l'istanza di rilascio di nulla-osta al lavoro subordinato ai sensi dell’art. 22 del D.lgs. 25 luglio 1998 e ss.mm.ii. e dell’art. 30 del D.p.r. n. 349 del 1999 e ss.mm.ii., per la cittadina cinese Xiangman Huang - che ella avrebbe assunto presso la propria azienda commerciale con le mansioni di operaio comune, livello sesto -, con la motivazione dell’insufficienza del reddito.
La ricorrente deduce “Violazione dell’art. 3 l.241/90. Violazione di norme interne con riferimento alla circolare del ministero del lavoro n. 55/2000 e di norme regolamentari con riferimento all’art. 30 bis d.p.r. 394/99 e succ. modifiche. Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione. Erronea valutazione dei fatti e dei presupposti”.
In sostanza, l’insufficienza del reddito dichiarato dalla ricorrente, non sarebbe motivazione sufficiente a supportare il diniego della domanda, poiché non consentirebbe di capire le ragioni per le quali l’amministrazione ha rigettato l’istanza.
Si è costituito in giudizio il Ministero dell’interno, senza spiegare difese scritte.
Non si è costituita in giudizio l’Amministrazione regionale intimata.
Con ordinanza n. 268/2009 l’istanza cautelare di sospensione del provvedimento impugnato è stata respinta per il ritenuto difetto di fumus e periculum.
All’udienza pubblica dell’11 febbraio 2011, su richiesta conforme delle parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Quanto al profilo procedimentale, va, innanzitutto, rilevato che in seno alla motivazione del diniego impugnato è specificato che, in data 24 settembre 2008, era stato dato dall’ufficio procedente il preavviso del diniego ai sensi dell’art. 10-bis della l. n. 241 del 1990, con l’indicazione del termine entro il quale la ricorrente avrebbe potuto produrre ulteriori chiarimenti o elementi di valutazione utili ai fini di un eventuale riesame della pratica.
Tale diritto partecipativo, tuttavia, non risulta essere stato esercitato dalla ricorrente.
A fronte di tale inerzia, si pone, invece, la chiarezza e la non equivocabilità della ragione del diniego, supportata sia dalle norme e direttive applicative invocate dalla ricorrente, sia dalla documentazione fiscale dalla stessa prodotta in atti al fine di evidenziare la “capacità economica” della propria impresa commerciale.
Giova, a questo punto, richiamare i riferimenti normativi, in parte invocati anche dalla ricorrente, cui ricondurre la vicenda concreta, ossia gli articoli 22 del D.Lgs. n. 286/98 e 30 bis del D.P.R. n. 394/1999, così come modificati dalle leggi successive.
Dette norme delineano il quadro di riferimento per l’ingresso in Italia di cittadini extracomunitari a titolo di lavoro subordinato sulla base delle esigenze manifestate dai futuri datori di lavoro, che debbono, al riguardo, ottenere una specifica autorizzazione; quest’ultima può essere, poi, rilasciata sulla base degli impegni da assumere nei confronti del lavoratore e nei limiti consentiti in materia di flussi migratori in base alle esigenze e alla capacità di accoglienza della nazione.
A questo scopo l’art. 30 bis del D.P.R. n. 394/98, in particolare, stabilisce che “lo Sportello unico, fermo quanto previsto dall'articolo 30-quinquies, procede alla verifica della regolarità, della completezza e dell'idoneità della documentazione presentata ai sensi del comma 1, nonché acquisisce dalla Direzione provinciale del lavoro, anche in via telematica, la verifica dell'osservanza delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro applicabile alla fattispecie e la congruità del numero delle richieste presentate, per il medesimo periodo, dallo stesso datore di lavoro, in relazione alla sua capacità economica e alle esigenze dell'impresa, anche in relazione agli impegni retributivi ed assicurativi previsti dalla normativa vigente e dai contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria applicabili…” (comma 8).
“Nei casi di irregolarità sanabile o di incompletezza della documentazione, lo Sportello unico invita il datore di lavoro a procedere alla regolarizzazione ed all'integrazione della documentazione. In tale ipotesi, i termini previsti dagli articoli 22, comma 5, e 24, comma 2, del testo unico, per la concessione del nullaosta al lavoro subordinato e per il rilascio dell'autorizzazione al lavoro stagionale decorrono dalla data dell'avvenuta regolarizzazione della documentazione…”(comma 9).
L’ufficio procedente è, quindi, chiamato a valutare sulla base del sopraccitato art. 30 bis del D.P.R. n. 394/1999, oltre la regolarità formale della domanda e l'osservanza delle prescrizioni del contratto collettivo di lavoro indicato dal datore di lavoro, anche la capacità economica dell'impresa e le sue esigenze in rapporto al numero di istanze di assunzione presentate.
La circolare n. 55 /2000, prot. n. 3566 del 28 luglio 2000, diramata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con oggetto “Autorizzazioni al lavoro per ingresso dall'estero - artt. 22 e 24 del T.U. n. 286/98, artt. 30 e 38 del regolamento di attuazione D.P.R. n. 469/97. Autorizzazioni al lavoro domestico”, a proposito della documentazione da allegare alla domanda di autorizzazione al lavoro per consentire alle Direzioni provinciali del lavoro di valutarne la possibilità del rilascio, precisa che ai sensi dell'art. 30, 3° comma, lett. c del D.P.R. n. 394/99 – il cui contenuto è stato poi trasfuso nel vigente e seguente art. 30 bis, aggiunto dall'art. 24, D.P.R. 18 ottobre 2004, n. 334 - va allegata copia della documentazione prodotta dal datore di lavoro ai fini fiscali, attestante la sua capacità economica; quindi, chiarisce che “la documentazione citata consiste nelle copie delle denunce IRPEF/IRPEG (Mod. UNICO), nel registro dei corrispettivi (in mancanza delle precedenti denunce), nel bilancio d'esercizio,nelle ricevute dei contributi previdenziali versati ed in ogni altra documentazione utile ad attestare la capacità economica del datore di lavoro istante.
Conformemente agli indirizzi di semplificazione della attività amministrativa, si ritiene facoltà del datore produrre gli originali o la autocertificazione, laddove quest'ultima sia possibile secondo quanto precisato di seguito.
La facoltà di autocertificazione del datore di lavoro, laddove questi intenda avvalersene e purché riferita a stati, fatti e qualità, si sostanzia in una dichiarazione complessiva in cui il datore di lavoro attesta, oltre ai principali indicatori di risultato ai fini fiscali per supportare e motivare la capacità economica dell'azienda, anche l'iscrizione alla Camera di Commercio (anche ai fini dell'art. 9 D.P.R 252/98) ed il possesso dei requisiti richiesti dall'art. 30 [ n.d.r.: oggi 30 bis] di che trattasi, riguardanti l'applicazione del contratto collettivo e la congruità della richiesta rispetto sia alla capacità economica, sia all'esigenza dell'impresa. Tale capacità economica dell'imprenditore va valutata caso per caso, comunque, dalla Direzione Provinciale del Lavoro in relazione sia al numero dei lavoratori da assumere sia all'esigenza dell'impresa, anche a mezzo di motivata relazione a cura del datore di lavoro richiedente…”.
Appare chiaro, allora, che sussiste un onere di dimostrazione documentale della sufficienza della capacità economica dell’impresa gravante sul richiedente che, poi, viene valutata caso per caso dall’ufficio titolare dell’istruttoria; nel caso concreto, quest’ultimo ha anche – doverosamente - sollecitato la richiedente ad integrare la documentazione già esibita, facoltà però negletta.
In altre parole, atteso che l’Amministrazione, una volta in possesso degli elementi utili all'assunzione della propria determinazione, non è tenuta a sollecitare il richiedente a produrre ulteriori documenti a suo favore, oltre quanto imposto nella fase istruttoria seguente al preavviso di rigetto, essendo onere di chi richiede il titolo legalizzante il soggiorno di terzi, fornire gli elementi atti allo scopo, non si riscontra nel caso in esame alcun difetto di motivazione, né violazione di legge, né eccesso di potere per difetto dei presupposti o valutazione dei fatti.
1.2. Per completezza, con riguardo al possesso del requisito del reddito sufficiente, si deve sottolineare che quello percepito dalla odierna ricorrente non appare ragionevolmente idoneo a finanziare il rapporto di lavoro subordinato con un operaio di sesto livello.
Risulta dalla documentazione fiscale versata in atti, invero, che la ricorrente, titolare di ditta individuale operante nel settore del commercio, con due figli e marito a carico, non possiede altre fonti di guadagno oltre il reddito d’impresa (lordo) dichiarato, pari a € 9.400 per l’anno 2006, a € 7.400 per l’anno 2007, a € 10.000 alla data del 30 ottobre 2008.
Il trattamento economico minimo mensile di un operaio di sesto livello, infatti, corrisponde a € 1.192,19 mensili (così come previsto dal C.C.N.L. del settore commercio in vigore, per la parte economica, dal 1° febbraio 2008).
I costi per l'assunzione di un operaio di sesto livello non appaiono, dunque, compatibili con la situazione reddituale dichiarata ai fini fiscali ed esibita della ricorrente.
1.3. Conclusivamente il ricorso è infondato e va respinto.
2. In ragione della materia trattata e della limitata attività difensiva svolta dall’amministrazione statale resistente, le spese possono essere eccezionalmente compensate, mentre, in merito, nulla va disposto nei confronti dell’amministrazione regionale non costituitasi in giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese del giudizio compensate nei confronti del Ministero dell'interno.
Nulla per le spese nei confronti dell’Assessorato regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Calogero Adamo, Presidente
Federica Cabrini, Consigliere
Anna Pignataro, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
l'Autorità Portuale può richiedere le informazioni prefettizie anche qualora non ne abbia l'obbligo
Anche se la richiesta delle informazioni antimafia non è obbligatoria, non sussiste però un divieto assoluto, normativamente previsto, di richiedere le informazioni stesse, di tal che la richiesta deve essere considerata quale legittimo esercizio della discrezionalità della p.a. (cfr. C.G.A. Sicilia , sez. giurisd., 17 gennaio 2011, n. 26; T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 01 agosto 2007 , n. 829 ).
N. 00586/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01423/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1423 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
CALF Impresa Portuale s.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Massimo Giuffrida, Enrico R. Scuderi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Catania, largo Rosolino Pilo, 14;
contro
Autorita' Portuale di Catania, Ministero dell'Interno, Ufficio Territoriale del Governo di Catania, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria ex lege in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
per l'annullamento
- del provvedimento adottato dal Presidente dell'Autorità Portuale di Catania in data 17 maggio 2010, con il quale è stata rigettata l'istanza presentata in data 18 dicembre 2009 della società CALF Impresa Portuale s.r.l., intesa ad ottenere il rinnovo dell'autorizzazione ad esercitare in porto l'attività di impresa portuale per l'anno 2010;
- della nota n. 0026240 dell'11 maggio 2010 dell’Ufficio Territoriale di Governo della Provincia di Catania e del decreto contenente il rapporto informativo antimafia avente per oggetto la CALF Impresa Portuale s.r.l., allegato alla nota stessa;
- del parere espresso dal Comitato Portuale nella seduta del 21 dicembre 2009, nella parte in cui il rilascio della richiesta autorizzazione è stato subordinato all'acquisizione del nulla osta ex art. 10 del D.P.R. 252/98;
- delle note protocollo rispettivamente n. 1235 del 23 febbraio 2010, n. 2382 dell'8 aprile 2010 e n. 2561 del 14 aprile 2010, con le quali il Dirigente dell'ufficio lavoro portuale ha richiesto alla Prefettura il nulla osta ex art. 10 D.P.R. n. 252/98; nonché con i motivi aggiunti :
- dei decreti n. 26240 e n. 26273 dell'11 maggio 2010, con i quali la Prefettura di Catania ha ritenuto la sussistenza del pericolo di infiltrazioni mafiose nei confronti della ricorrente;
- della nota Cat. Q.2/2.09/PA/UA.25 del 13 aprile 2010 della Questura di Catania;
- della nota n. 125/CT/1°Sett. I.P./B9/54 del 6 maggio 2010, con cui la D.I.A. di Catania ha trasmesso all'U.T.G. di Catania informazioni ai sensi dell'art. 10 D.P.R. n. 252/98.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Autorita' Portuale di Catania, del Ministero dell'Interno e dell’Ufficio Territoriale del Governo di Catania;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2011 il dott. Giuseppa Leggio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
In data 17 dicembre 2009 la società ricorrente, all’epoca “CALF Immobiliare s.r.l. con unico socio”, acquistava dalla “Compagnia Portuale di Catania Società Cooperativa” la piena proprietà del ramo di azienda esercente l'attività di impresa portuale nel porto di Catania.
Con verbale di assemblea del 22 dicembre 2009 a ministero notaio Di Giorgi di Catania, l'assemblea della “CALF Immobiliare s.r.l. con unico socio” deliberava di modificare la denominazione sociale della società in quella di “CALF Impresa Portuale s.r.l.”, odierna ricorrente, modificando integralmente l'oggetto sociale per poter svolgere la nuova attività di impresa portuale.
Con atto di “cessione di quota di s.r.l.”, sempre in data 22 dicembre 2009, la Sig.ra Franca Calandra, in qualità di socio unico della “CALF Impresa Portuale s.r.l.” e titolare dell'intera partecipazione al capitale sociale della detta società, cedeva una parte della quota di partecipazione nella società, del valore nominale di € 2.500,00, al Sig. Rizzotto Salvatore.
Con nota prot. n. 10220 del 30/12/2009, l’Autorità Portuale di Catania prendeva atto dell’avvenuto trasferimento del ramo d'azienda inerente l'attività di impresa portuale di cui all'art. 16 Legge 84/94 dalla cedente CPC Impresa portuale alla cessionaria CALF Impresa Portuale s.r.l., nonché del possesso, da parte della ricorrente, “ di ogni legittimo requisito di legge per continuare l'attività di impresa portuale in luogo della cedente CPC S.r.l. fino al 31.12.2009”.
In data 18 dicembre 2009 la società ricorrente, in prosecuzione della cessione del ramo di azienda dalla cedente impresa portuale CPC soc. coop., chiedeva il rinnovo dell’autorizzazione ad esercitare nel porto di Catania l’attività di impresa portuale per l’anno 2010, ma con il provvedimento del 17.05.2010, quivi impugnato, l’Autorità Portuale di Catania rigettava l’istanza di autorizzazione, a seguito dell’acquisizione di informativa antimafia relativa alla ricorrente da parte della Prefettura di Catania.
Con il ricorso in decisione, notificato il 27.05.2010 e depositato il giorno successivo, la CALF Impresa Portuale s.r.l. ha impugnato il predetto provvedimento per i seguenti motivi di diritto:
1) Eccesso di potere per illogicità e travisamento dei fatti in relazione all'art. 10 D.P.R 252/98. Violazione di tale norma.
2) Eccesso di potere per difetto di motivazione e per difetto di presupposti procedimentali, in relazione all'art. 16 della legge 28 gennaio 1994, n. 84 ed agli artt. 4 e 5 del Regolamento per l'esercizio dell’attività nell'ambito del Demanio Marittimo nel Porto di Catania, adottato dall'Autorità Portuale di Catania con sua ordinanza n. 13/09 del 31 dicembre 2009. Violazione di tali norme procedimentali.
3) Eccesso di potere per illogicità e difetto di motivazione in relazione all'art. 1 l. n. 241/90 ed all’art. 1 l. r. n. 10/91. Violazione di tali norme.
4) Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione.
L’Autorita' Portuale di Catania e la Prefettura di Catania, costituite in giudizio, hanno chiesto rigettarsi il ricorso.
Con motivi aggiunti al ricorso introduttivo, la ricorrente ha impugnato i provvedimenti con i quali la Prefettura di Catania, sulla base delle comunicazioni della Questura e della D.I.A. di Catania, ha reso l’informativa antimafia relativa alla CALF, ravvisando la sussistenza del pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata nei confronti della ricorrente. Avverso tali atti ha dedotto censure di eccesso di potere per travisamento dei fatti, illogicità, contraddittorietà e difetto di motivazione.
All’odierna udienza pubblica la causa è passata in decisione.
DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Non meritano accoglimento i primi due motivi del ricorso introduttivo del giudizio, con i quali la società ricorrente ha denunciato il vizio di eccesso di potere per illogicità e travisamento dei fatti, nonché per difetto di motivazione e per difetto di presupposti procedimentali in relazione all'art. 10 D.P.R 252/98, sull’assunto che illegittimamente l'Autorità Portuale di Catania avrebbe fatto richiesta dell’informativa antimafia di cui all'art. 10 del D.P.R. citato.
Ad avviso della ricorrente, tale disciplina non troverebbe applicazione nel caso di specie in ragione della natura dell’atto di autorizzazione in argomento, per il quale, trattandosi di autorizzazione di commercio, troverebbe invece applicazione esclusivamente la disciplina meno rigorosa relativa al nulla osta ex art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575, di cui la società è in possesso.
Con l’ulteriore conseguenza che l’Autorità portuale avrebbe violato le disposizioni procedimentali che regolano il rilascio della chiesta autorizzazione.
Osserva il Collegio che l’attività di impresa portuale, allo svolgimento della quale ha interesse la società ricorrente, rientra tra le attività soggette ad autorizzazione dell'Autorità portuale, nonché all’iscrizione dell’impresa autorizzata in apposito registro istituito ai sensi dell’art. 68 del codice della navigazione, secondo quanto previsto dall’art. 16, comma 3, della L. n. 84/1994 e dall’art. 1 del Regolamento per l’esercizio delle attività nell’ambito del demanio marittimo nel porto di Catania, adottato con ordinanza dell’Autorità portuale n. 13 del 2009.
Ora, contrariamente a quanto ritenuto dalla ricorrente, trova applicazione nella fattispecie de qua l’informativa prefettizia di cui agli artt. 4 d.lgs. n. 490/94 e 10 DPR n. 252/98, in quanto l’autorizzazione richiesta dalla ricorrente, riguardando lo svolgimento di attività imprenditoriale all’interno del porto di Catania, rientra nella previsione dell’allegato 3 lettera e) del D.lgs n. 490 citato.
Peraltro, la prospettazione di parte ricorrente non tiene conto di quanto disposto dall’art. 1, comma 2, del D.P.R. n. 252 del 1998, a termini del quale, per quanto di interesse nella presente controversia, la documentazione circa la sussistenza di una delle cause di decadenza, di divieto o di sospensione di cui all'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575 , e dei tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490, “non è comunque richiesta: (…)
c) per il rilascio o rinnovo delle autorizzazioni o licenze di polizia di competenza delle autorità nazionali e provinciali di pubblica sicurezza” e, dunque, è invece necessaria per gli altri provvedimenti a contenuto autorizzatorio, comunque denominati, tra cui anche le autorizzazioni di competenza dell’Autorità Portuale di Catania.
Inoltre, anche a voler ammettere che nella fattispecie in esame non ricorresse l’obbligo di richiedere l’informativa antimafia, non si può escludere che una tale iniziativa, in quanto rientrante nelle prerogative della P.A., sia legittima anche laddove l’obbligo in argomento non sussista.
In questo senso, del resto, si è espressa recentemente la giurisprudenza, anche del Giudice di appello siciliano, in relazione a controversie relative a contributi o appalti al di sotto della soglia obbligatoria prevista per la richiesta delle informazioni, e i cui principi devono considerarsi di portata generale, e dunque applicabili in tutte le ipotesi in cui, anche se la richiesta delle informazioni antimafia non è obbligatoria, non sussiste però un divieto assoluto, normativamente previsto, di richiedere le informazioni stesse, di tal che la richiesta deve essere considerata quale legittimo esercizio della discrezionalità della p.a. (cfr. C.G.A. Sicilia , sez. giurisd., 17 gennaio 2011, n. 26; T.A.R. Calabria Reggio Calabria, 01 agosto 2007 , n. 829 ).
Le superiori conclusioni sono coerenti con il dettato normativo che, in materia di comunicazioni e informazioni antimafia, trova applicazione nei confronti di tutte le pubbliche amministrazioni ed enti pubblici, nonché in generale di tutti gli altri soggetti quali aziende vigilate e società o imprese comunque controllate dallo stato o da altro ente pubblico (art. 1 d.lgs. n. 490/94 e artt. 1 e 10 DPR n. 252/98), e con la “ratio” della speciale normativa in argomento che, in quanto funzionale alla peculiare esigenza di mantenere un atteggiamento intransigente contro rischi di infiltrazione mafiosa, idonei a condizionare le scelte delle imprese chiamate a stipulare contratti o comunque ad instaurare rapporti con la p.a., determina l'esclusione dell'imprenditore, sospettato di detti legami, dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti quei benefici, che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l'utilizzo di risorse della collettività (Consiglio di Stato, sez. VI, 18 agosto 2010, n. 5880 ).
Nella fattispecie in esame, poi, l’acquisizione delle informazioni antimafia nei confronti della ricorrente è legittima anche in base al protocollo di legalità sottoscritto dall'Autorità portuale di Catania con il Prefetto ed il Sindaco di Catania nell’aprile 1999, che riguarda espressamente i “soggetti ai quali si intendono affidare eventuali subappalti,subcontratti, noli, o altri tipi di servizio” (punto 9 ), tenuto conto che la ricorrente è subentrata nell’attività di impresa portuale attraverso una cessione di ramo d’azienda.
Non si può dunque ritenere che la richiesta al Prefetto delle informazioni antimafia possa, nella specie, costituire vizio del provvedimento impugnato.
Per le considerazioni appena esposte deve essere respinto altresì il terzo motivo del ricorso, con il quale la ricorrente ha lamentato l’aggravamento da parte dell’Autorità del procedimento di rilascio dell’autorizzazione.
Anche le altre censure circa l’assoluto difetto di motivazione in ordine alle ragioni poste a fondamento dell’informativa e l'insussistenza di elementi di particolare rilevanza atti a sostenere il rischio di infiltrazione mafiosa, proposte con l’ultimo motivo del ricorso introduttivo e con i motivi ad esso aggiunti, non sono fondate.
Come è stato più volte ribadito dalla giurisprudenza amministrativa, la c.d. informativa antimafia non richiede la prova della intervenuta infiltrazione mafiosa, né presuppone l'accertamento di responsabilità penali in capo ai titolari dell'impresa sospettata, essendo sufficiente che dalle informazioni acquisite tramite gli organi di polizia si evinca un quadro indiziario sintomatico del solo pericolo di collegamento tra l'impresa e la criminalità organizzata.
E ciò in quanto il legislatore, attraverso la normativa in questione ha inteso realizzare una tutela avanzata nel contrasto di certa criminalità, tale da anticipare ogni altra misura preventiva, oltre che la fase della repressione penale.
A legittimare l'adozione della informativa prefettizia è pertanto sufficiente che ad esito di una adeguata attività istruttoria siano emersi elementi indiziari che, complessivamente considerati, rendano attendibile l'ipotesi del tentativo di ingerenza da parte delle organizzazioni criminali (C.G.A. Sicilia, sez. giurisd. 19 ottobre 2010, n. 1292 ); con la conseguenza, sul piano del sindacato giurisdizionale che, stante l'ampia discrezionalità riservata all'Autorità prefettizia, tale sindacato resta necessariamente circoscritto alla verifica dei vizi sintomatici di una illogicità manifesta o di un travisamento dei fatti (in termini, Cons. Stato, sez. VI, 22 giugno 2007 n. 3470).
Facendo applicazione degli anzidetti principi giurisprudenziali al caso in esame, gli esiti della attività investigativa svolta dalla Questura e dalla D.I.A. di Catania forniscono, ad avviso del Collegio, idoneo supporto al provvedimento emesso dal Prefetto nei confronti della ricorrente.
La Sig.ra Franca Calandra, già socio unico della società CALF Immobiliare s.r.l., oggi socio di maggioranza della CALF Impresa portuale s.r.l., risulta infatti coniugata con il Sig. Conti Salvatore, imprenditore, personaggio ritenuto “vicino” alla cosca mafiosa dei Santapaola, condannato in primo grado, fra l’altro, per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. (Trib. Catania, 9 dicembre 2003).
Ora, se è pur vero che in linea generale il mero rapporto di parentela o di coniugio non può essere di per sé sufficiente per configurare il pericolo di infiltrazione mafiosa, tuttavia ritiene il Collegio che, nella fattispecie, il rapporto di coniugio, unitamente alla personalità del Conti ed al ruolo svolto dallo stesso per conto dell’organizzazione mafiosa - come delineati nella sentenza penale di condanna in atti - , nonché il fatto che egli ha sempre svolto attività imprenditoriale, siano elementi che legittimano l'indicazione interdittiva data dal Prefetto.
Il quadro fattuale sul quale si è correttamente basata l’informativa impugnata non è intaccato dalla circostanza che con la sentenza di condanna non sia stato accertato un collegamento tra l’attività imprenditoriale svolta dall’imputato e la partecipazione al reato associativo, né dall’ulteriore circostanza che il decreto del Tribunale di Catania del 25.03.2002, che ha rigettato la misura di prevenzione patrimoniale, non abbia ravvisato “ elementi certi che permettano di ricondurre tutte le attività dei Conti ad una matrice mafiosa”, atteso che l’informativa, per il suo carattere di tutela molto avanzata contro il fenomeno mafioso, non deve fondarsi su prove in senso tecnico o fatti assolutamente certi, ma piuttosto su un quadro fattuale di insieme, in base al quale non sia illogico od inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento dell’impresa con organizzazioni mafiose o di un condizionamento dell’impresa da parte di queste.
In relazione a tutto quanto precede il ricorso ed i motivi aggiunti in esame si appalesano infondati e devono, quindi, essere respinti.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
Respinge il ricorso in epigrafe ed i motivi ad esso aggiunti.
Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2500,00, oltre il rimborso delle spese generali, IVA e CPA come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Rosalia Messina, Presidente
Dauno Trebastoni, Primo Referendario
Giuseppa Leggio, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Emersione del lavoro nero: prima di rigettare l'istanza lo Sportello Unico per l'Immigrazione deve effettuare la comunicazione di cui all'art. 10 bis della legge sul procedimento
Le circostanze accertate durante detti accertamenti, con la precisazione degli orari e dei giorni in cui essi furono effettuati, e con la verbalizzazione di eventuali dichiarazioni, devono trovare ingresso nel procedimento, poiché proprio su tali circostanze si basano le determinazioni dell’amministrazione, ed esse devono quindi essere rese note ai destinatari del provvedimento finale e devono poter essere apprezzate dal giudice in sede di vaglio della legittimità del procedimento e del provvedimento.
N. 00587/2011 REG.PROV.COLL.
N. 02081/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 2081 del 2010, proposto da:
Rosa Motta, rappresentato e difeso dall'avv. Alessandro Palermo, con domicilio eletto presso Alessandro Palermo in Catania, via Milano, 6;
contro
Ministero dell'Interno, Prefettura di Catania, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Distr.le Catania, domiciliataria in Catania, via Vecchia Ognina, 149;
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
Sorhab Mera, rappresentato e difeso dall'avv. Angelo Patanè Di Fede, con domicilio eletto presso Angelo Pataneè Di Fede in Catania, via Finocchiaro Aprile, 140;
per l'annullamento
del provvedimento n. p-CT/L/N/2009/101632 emesso dallo Sportello unico per l'immigrazione, con il quale é stata rigettata l'istanza volta all'emersione del lavoro nero;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di:
- Ministero dell'Interno
- Prefettura di Catania;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2011 il dott. Rosalia Messina e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Ritenuto che sussistono i presupposti per la definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata;
Considerato che l’art. 10-bis della L. 241/1990 – di cui la ricorrente lamenta la violazione - prevede a carico dell’amministrazione una sequenza di adempimenti, con la specifica previsione dell’obbligo di comunicare tempestivamente agli istanti, “prima della formale adozione di un provvedimento negativo, i motivi che ostano all'accoglimento della domanda”, di recepire, “entro il termine di dieci giorni dal ricevimento della comunicazione”, le eventuali osservazioni scritte degli istanti, e di dare ragione dell'eventuale mancato accoglimento di tali osservazioni “nella motivazione del provvedimento finale”;
Considerato che, nonostante nel diniego di emersione impugnato si faccia richiamo ad una non meglio precisata nota di comunicazione dei motivi ostativi e a dichiarazioni dell’interessata “inadeguate”, tuttavia nel rapporto informativo allegato dalla difesa erariale si conferma la circostanza asserita da parte ricorrente, precisandosi da parte dell’amministrazione che per esigenze di celerità non vi è stata alcuna comunicazione ai sensi del su citato art. 10-bis della legge sul procedimento;
Considerato che nel rapporto dell’amministrazione si menziona altresì un non meglio identificato verbale, redatto a seguito di accertamenti effettuati da ufficiali e agenti della polizia giudiziaria, che non viene allegato, come sarebbe stato onere della parte resistente, al fine di comprovare le proprie affermazioni;
Ritenuto, infatti, che le circostanze accertate durante detti accertamenti, con la precisazione degli orari e dei giorni in cui essi furono effettuati, e con la verbalizzazione di eventuali dichiarazioni, devono trovare ingresso nel procedimento, poiché proprio su tali circostanze si basano le determinazioni dell’amministrazione, ed esse devono quindi essere rese note ai destinatari del provvedimento finale e devono poter essere apprezzate dal giudice in sede di vaglio della legittimità del procedimento e del provvedimento;
Ritenuto pertanto di dover accogliere il ricorso in epigrafe, con conseguente annullamento del diniego impugnato e obbligo dell’amministrazione di provvedere ex novo sull’istanza in questione alla luce dei principi di cui alla presente decisione;
Ritenuto che le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo;
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei sensi precisati in motivazione.
Spese a carico dell’amministrazione resistente, liquidati in favore della ricorrente in euro duemila/00 oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
Rosalia Messina, Presidente, Estensore
Dauno Trebastoni, Primo Referendario
Giuseppa Leggio, Primo Referendario
IL PRESIDENTE, ESTENSORE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 11/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Diritto di accesso e interesse giuridicamente rilevante
La nozione di « situazione giuridicamente rilevante » (contenuta nell'art. 22, l. 1990 n. 241), per la cui tutela è attribuito il diritto di accesso, è diversa e più ampia rispetto all'interesse all'impugnativa e non presuppone necessariamente una posizione soggettiva qualificabile in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo
N. 00423/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01997/2010 REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1997 del 2010, proposto da Alaimo Alfonso, rappresentato e difeso dagli avv.ti Girolamo Rubino e Calogero Marino, con domicilio eletto presso lo studio del primo in Palermo, via G. Oberdan, n. 5;
contro
Il Comune di Agrigento, in persona del Sindaco p.t., non costituitosi in giudizio;
per l'annullamento
“ del silenzio rifiuto formatosi, ai sensi dell’art.5 c.IV della l. n.241/90 in ordine all’istanza di accesso agli atti inoltrata dall’odierno ricorrente ed assunta al protocollo ( prot. n.51064 ) del Comune di Agrigento in data 14.09.2010 …”;
nonché per l’emanazione
di un ordine di esibizione al Comune di Agrigento, della documentazione richiesta con la predetta istanza;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2011 il Consigliere Cosimo Di Paola e uditi per le parti l'avv. C.Marino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Con istanza pervenuta al Comune di Agrigento il 14/09/2010, il Sig. Alaimo Alfonso chiedeva di prendere visione ed estrarre copia dei provvedimenti in forza dei quali taluni operai incaricati dal medesimo Comune avevano proceduto alla demolizione di alcune parti di un fabbricato di sua proprietà sito in Agrigento, cortile Noto, via Caracciolo n. 14, individuato al N.C.E.U. al foglio n.142 , part. n.1695, sub.13.
In assenza di riscontro a detta richiesta, proponeva ricorso a questo T.A.R., notificato il 09/11/2010 e depositato il giorno 15 seguente, col quale chiedeva l’adozione di un ordine di esibizione a carico del Comune della documentazione richiesta, in virtù degli artt. 22 e segg. della L. n.241/1990, di cui per l’appunto deduceva la violazione.
1.2. Alla Camera di consiglio del 04/02/2011 il procuratore del ricorrente chiedeva che il ricorso venisse posto in decisione.
2. Il ricorso è fondato.
Posto che la nozione di « situazione giuridicamente rilevante » (contenuta nell'art. 22, l. 1990 n. 241), per la cui tutela è attribuito il diritto di accesso, è diversa e più ampia rispetto all'interesse all'impugnativa e non presuppone necessariamente una posizione soggettiva qualificabile in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo ( Cons. Stato , sez. VI, 27 ottobre 2006 , n. 6440 ) deve riconoscersi che nella fattispecie il ricorrente dimostra, senza essere smentito dal Comune – che sebbene ritualmente intimato, ha ritenuto di non costituirsi in giudizio, per eventualmente contrastare le deduzione avversarie – di avere un interesse, giuridicamente tutelabile, ad accedere agli atti richiesti con la domanda, ricevuta dal Comune di Agrigento il 14/09/2010, rimasta inevasa.
Il ricorso va pertanto accolto e si deve di conseguenza ordinare al Comune predetto di consentire al ricorrente di accedere agli atti indicati nella ripetuta istanza e di estrarne copia, previo pagamento dei diritti previsti dall’art. l'art. 7 comma 4, L. n.241/1990 ( cfr. anche Cons. Stato , sez. V, 25 ottobre 1999 , n. 1709 ) con le modalità ed i tempi che indicherà il Comune medesimo, nel termine di giorni trenta dalla comunicazione in via amministrativa ovvero dalla notificazione a cura di parte della presente sentenza.
3.Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, ordina al Comune di Agrigento di consentire al ricorrente l’accesso agli atti, come specificato in motivazione.
Condanna il Comune di Agrigento al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio che liquida in complessivi € 1.000, 00 ( mille/00 ) oltre IVA e CPA, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente
Cosimo Di Paola, Consigliere, Estensore
Roberto Valenti, Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il risarcimento del danno da ritardo richiede la positiva verifica della sussistenza dell'elemento soggettivo e del nesso causale oltre che della lesione dell'interesse tutelato
Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale, richiedendo la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, della sussistenza della colpa o del dolo dell'Amministrazione e del nesso causale tra l'illecito e il danno subito ( cfr. ex plurimis, Consiglio Stato , sez. V, 15 settembre 2010 , n. 6797)
N. 00427/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00231/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 231 del 2006, proposto da Tim Italia S.p.A, rappresentata e difesa dall'avv. Biagio Marotta, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Palermo, via J. Tintoretto, n.4;
contro
Il Comune di Raffadali, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Terrazzino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Antonino Casalicchio in Palermo, via Salamone Marino, n. 39/A;
per l'annullamento
1) dell’ordinanza del Responsabile del Settore 7° Territorio e Urbanistica, n.6 del 24/11/2005, notificata il 29 seguente, con la quale si è ordinata la sospensione dei lavori per la modifica ed implementazione della stazione radio base per la telefonia cellulare, già esistente nella via Spoleto del Comune, necessari per l’introduzione della tecnologia UMTS;
2) del regolamento comunale per l’installazione di stazione radio base approvato con delibera consiliare n.10 del 20/04/2001, conosciuto dalla ricorrente per essere richiamato nell’ordinanza predetta;
3) dell’ordinanza n.7 del 09/12/2005, notificata il 28 seguente, emessa dal medesimo Ufficio, con la quale si è ingiunto alla ricorrente di demolire le opere di modifica/trasformazione delle antenne per il servizio UMTS dell’impianto esistente nella via Spoleto del Comune di Raffadali;
4) di tutti gli atti e provvedimenti ad essi prodromici e/o consequenziali;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Raffadali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2011 il Consigliere Cosimo Di Paola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1. Con ricorso notificato il 18/01/2006 e depositato il 02/02/2006 la Tim Italia S.p.A. impugnava i provvedimenti indicati in epigrafe e ne chiedeva, l’annullamento, previa sospensione, per i motivi seguenti.
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 86, comma 3, ed 87 comma 3, del D.Lgs. n.259/2003.
2) Violazione e falsa applicazione della L. n.249/1997, della L. n.36/2001, del D.M. 381/98, dell’art.87 del D.Lgs. n.259/2003, dell’art.41 Cost. Eccesso di potere sotto il profilo dell’errore sui presupposti dell’atto.
3) Eccesso di potere per incompetenza, violazione dell’art.1, comma 4 lett. c) della L. n.59/97 e dell’art. 83, comma 1 del D.Lgs. 112/98.
4) Violazione dell’art.7 della L. n.241/1990 e dell’art. 8 L.r. n.10/1991.
5) Eccesso di potere per omessa motivazione, contraddittorietà con provvedimenti autorizzativi emanati dall’organo tecnico competente.
1.2. Chiede inoltre la ricorrente che il Comune intimato sia condannato al risarcimento del danno, da determinarsi in via equitativa, “ prudenzialmente “ indicato in € 500.000,00 per ogni mese di ritardo nell’attivazione del servizio, derivante dalla perdurante efficacia degli atti impugnati.
1.3. Il Comune di Raffadali si costituiva in giudizio, con memoria depositata alla C.C. del 26/02/2006, con la quale si opponeva alla concessione della domanda di sospensiva e, nel merito, sosteneva la legittimità dei provvedimenti impugnati, concludendo per il rigetto del ricorso.
1.4.Con ordinanza n. 206 del 17/02/2006 ( riformata dal C.G.A. ) veniva accolta la domanda di sospensiva.
1.5.Alla pubblica udienza del 21/02/2011 il ricorso veniva posto in decisione.
2.1.Il ricorso è fondato.
Riguardo all’impugnativa del regolamento comunale, deve osservarsi che la Sezione, in fattispecie analoghe alla presente (fra le tante, 21 luglio 2006, n. 1743; 12 marzo 2008, n. 340; 6 aprile 2009, n. 661; 27 ottobre 2010, 1379; 10 novembre 2010, n. 14024, e da ultimo, 14 febbraio 2011, n.267), ha rilevato che l’art. 8, comma 6, della legge 22 febbraio 2001, n. 36, prevede la possibilità che i Comuni adottino un regolamento c.d. di minimizzazione finalizzato a garantire “il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.
In ordine alla interpretazione di tale disposizione si è ormai consolidato in giurisprudenza il condiviso orientamento giurisprudenziale, secondo il quale le previsioni dei regolamenti c.d. di minimizzazione possono ritenersi legittime solo qualora indirizzate al perseguimento delle finalità indicate dalla norma e non anche quando tendono a scopi differenti.
Sulla base di tale criterio viene ammesso, ad esempio, che vengano introdotte regole finalizzate, per quanto riguarda il profilo urbanistico, a tutelare zone e beni di particolare pregio paesaggistico/ambientale o storico/artistico ovvero, con riferimento alla minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici, alla individuazione di siti particolari e determinati, i quali, per destinazione d’uso e qualità degli utenti, possono essere considerati particolarmente sensibili alle immissioni radioelettriche. Antitetica è, invece, la valutazione relativamente a quelle previsioni, che si sostanziano in "limitazioni alla localizzazione" degli impianti di telefonia mobile relativamente ad intere ed estese porzioni del territorio comunale, senza che sia ravvisabile una plausibile ragione giustificativa (cfr. Corte Costituzionale, 7 novembre 2003, n. 331; 7 ottobre 2003, n. 307; 27 luglio 2005, n. 336).
Si è, in particolare, ritenuto, che il Comune non possa, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino. Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 15 giugno 2006, n. 3534, C.G.A. 12 novembre 2009, n. 929; T.A.R. Sicilia, sez. II, 6 aprile 2009, n. 661).
Ora, nella fattispecie in esame, l’impugnata ordinanza di demolizione n.7 del 09/12/2005 è motivata con riferimento alla delibera consiliare n.10 del 20/04/2001 – recante il regolamento per l’installazione di stazioni radio base – “ in base alla quale l’installazione della stazione radio base di che trattasi non risulta ammissibile “.
Appare evidente anzitutto che il provvedimento – come pure si duole la ricorrente, col 5° motivo – non tiene conto del fatto che si tratta non di un nuovo impianto, bensì di lavori di adeguamento di stazione radio base esistente e quindi già autorizzata.
Ma, oltre a ciò, va principalmente detto che il regolamento in questione, pone tra le condizioni per il conseguimento dell’autorizzazione, che l’impianto “ disti dal perimetro del centro edificato delimitato con delibera G.M. n.201 del 20/03/1996 non meno di 500,00 ml; “ e che “ Disti dai fabbricati esistenti non meno di ml. 200,00 “.
Tali prescrizioni si risolvono, sostanzialmente, in un generalizzato divieto di localizzazione di impianto UMTS ( nell’intero perimetro del centro abitato ) e nella introduzione di una distanza fissa, per la collocazione dell’opera, sicchè la disposizione deve ritenersi illegittima e va annullata, unitamente – per illegittimità derivata – alla determinazione dirigenziale n. 7 del 09/12/2005.
2.2. La domanda di risarcimento dei danni deve essere rigettata in quanto formulata in modo labiale e generico in violazione del principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. dal quale essa è regolata, e in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, per cui grava sul danneggiato l'onere di provare, ai sensi del citato articolo, tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (danno, nesso causale e colpa); sicché il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale, richiedendo la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, della sussistenza della colpa o del dolo dell'Amministrazione e del nesso causale tra l'illecito e il danno subito ( cfr. ex plurimis, Consiglio Stato , sez. V, 15 settembre 2010 , n. 6797).
3.Le spese del giudizio si possono compensare tra le parti, a ciò sussistendo valide ragioni, anche in relazione alla natura della controversia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla, per quanto di ragione, i provvedimenti impugnati.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente
Cosimo Di Paola, Consigliere, Estensore
Roberto Valenti, Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Diritto di accesso: l'amministrazione deve consentire l'accesso anche nei confronti di quei documenti di cui non ha la disponibilitĂ materiale?
Fermo restando che l’amministrazione può e (in carenza di ostacoli giuridici) deve consentire l’accesso ai documenti dei quali ha la disponibilità, osserva che, nei procedimenti complessi che richiedono intervento interno di più organi o soggetti di p.a. , il dovere ostensivo previsto dalla legge non può ritenersi limitato a quei documenti dei quali l’amministrazione abbia la disponibilità di fatto o, come suol dirsi “materiale” (in quanto titolare del procedimento oggetto della domanda), ma comprende anche l’ostensione di quelli che essa deve acquisire in forza della sua posizione di titolare anche del procedimento ostensivo come regolata dalla legge ; in tale doppia veste l’Amministrazione non può che essere giuridicamente tenuta ad avere la disponibilità di tutti i documenti che già risultino esistenti alla data della domanda di accesso ed emessi da organi od uffici interni che siano intervenuti nel procedimento cui la domanda di accesso si riferisce.
N. 01512/2011REG.PROV.COLL.
N. 06114/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 6114 del 2010, proposto da:
Pasqualino Marco Sautariello, rappresentato e difeso dagli avv. Giorgio Carta e Antonio Ielo, con domicilio eletto presso Giorgio Carta in Roma, viale Bruno Buozzi, 87;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I BIS n. 03474/2010, resa tra le parti, concernente SILENZIO DINIEGO SULL'ISTANZA DI ACCESSO AI DOCUMENTI - RICORSO EX ART. 25 L. 241/90
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2010 il Cons. Raffaele Potenza;
Udito l’avvocato Giorgio Carta;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- Con ricorso al TAR proposto ai sensi dell’art. 25 legge n. 241/90, il Sig. Pasqualino Marco Santariello, Maresciallo dei Carabinieri in servizio permanente, proponeva azione di annullamento del parziale silenzio-diniego formatosi sull’istanza di accesso agli atti amministrativi presentata l’1/10/2009 al Comando Regione Carabinieri Lazio, S.M. – Ufficio Personale, e , all’occorrenza, della nota n. 1/751-3 del 30.10.2009, mediante la quale l’Amministrazione asseriva di aver accolto la predetta istanza di accesso del ricorrente; il militare proponeva altresì azione di accertamento del suo diritto ad accedere agli atti richiesti.
1.1.- Il ricorrente faceva presente di aver presentato domanda al Comando Regione Carabinieri Lazio –Ufficio Personale affinché fosse riconosciuta la dipendenza da causa di servizio dell’infermità in relazione ad un incidente stradale (e conseguente ricovero ospedaliero) subìto nel tragitto tra il reparto di appartenenza e la propria abitazione.
In data 1/10/2009 il ricorrente, al fine di essere “informato circa l’andamento del procedimento dal medesimo avviato”, inoltrava una istanza di accesso alla Legione Carabinieri Lazio – Stazione di Roma – Città Giardino, ai sensi degli artt. 22 e seguenti della legge n. 241/90.
1.2.- Con nota n. 1/751-3 del 30 ottobre 2009 l’Amministrazione comunicava al ricorrente l’accoglimento della suddetta istanza, ma successivamente (il 16.11.2009) il ricorrente, esaminando la documentazione messa a sua disposizione, constatava l’accoglimento solo parziale della istanza presentata, in quanto mancavano alcuni atti relativi al procedimento di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio della infermità.
2.- Da tutto ciò l’azione proposta innanzi al TAR che, con la sentenza epigrafata, ha ritenuto il ricorso infondato.
2.1.- Nella sentenza (impugnata dal Sautariello con l’appello in esame) il TAR, dopo aver riconosciuto l’istanza di accesso attinente ad una posizione soggettiva giuridicamente rilevante e qualificata dall’ordinamento come meritevole di tutela (nella specie l’ostensione gli atti del procedimento di riconoscimento causa di servizio dell’ infermità insorta), ha respinto il ricorso confermando la tesi svolta dall’amministrazione, secondo la quale quella parte di documentazione richiesta (e non ostesa) non era nella materiale disponibilità dell’Amministrazione alla data di presentazione della istanza stessa e della sua definizione.
Il primo giudice ha anche precisato che il verbale della visita medica del ricorrente stilato dalla C.M.O. e datato 24 giugno 2009 risulta essere stato trasmesso dalla stessa con nota del 3.11.2009, ossia in epoca successiva alla definizione della domanda di accesso, così come anche la successiva lettera di trasmissione al Ministero della Difesa per gli ulteriori incombenti istruttori.
2.3.- L’appello contrasta l’orientamento del TAR osservando anzitutto che il cennato il verbale della visita medica effettuata presso la CMO, e la relativa lettera di trasmissione, sono stati stilati oltre tre mesi prima della istanza di accesso (datata 1.10.2009), sicchè del tutto erronea appare al ricorrente la tesi che detti documenti non erano nella disponibilità dell’amministrazione.
2.4.- Il ricorso è fondato.
Deve “in primis” confermarsi che, come emerge chiaramente dalle date degli atti, il verbale della visita medica presso la CMO (datato 24.6.2009), e la relativa lettera di trasmissione di pari data, sono stati stilati oltre tre mesi prima della istanza di accesso (datata 1.10.2009).
Sotto il profilo dei principi regolanti il procedimento di accesso, il Collegio, fermo restando che l’amministrazione può e (in carenza di ostacoli giuridici) deve consentire l’accesso ai documenti dei quali ha la disponibilità, osserva che, nei procedimenti complessi che richiedono intervento interno di più organi o soggetti di p.a. , il dovere ostensivo previsto dalla legge non può ritenersi limitato a quei documenti dei quali l’amministrazione abbia la disponibilità di fatto o, come suol dirsi “materiale” (in quanto titolare del procedimento oggetto della domanda), ma comprende anche l’ostensione di quelli che essa deve acquisire in forza della sua posizione di titolare anche del procedimento ostensivo come regolata dalla legge ; in tale doppia veste l’Amministrazione non può che essere giuridicamente tenuta ad avere la disponibilità di tutti i documenti che già risultino esistenti alla data della domanda di accesso ed emessi da organi od uffici interni che siano intervenuti nel procedimento cui la domanda di accesso si riferisce.
Vero è che l’art. 25, comma secondo, dispone che la richiesta di accesso ai documenti deve essere rivolta all’amministrazione che ha formato il documento, ma la disposizione non può essere applicata alla lettera per l’accesso ad atti di procedimenti che vedono l’intervento interno di più soggetti o uffici riconducibili ad un’unica p.a.; in queste tipologie procedimentali, l’interpretazione letterale della norma condurrebbe illogicamente ad accollare all’istante un dovere di rivolgere tante singole istanze quanti sono soggetti di p.a. che, formando atti, intervengono all’interno nella sequenza amministrativa interessata. Ciò, oltre a contrastare col principio (art.1, c.2, della legge) che impone di non aggravare il procedimento amministrativo, collide con con la figura stessa del “responsabile del procedimento”, obbligatoriamente prevista e regolata dagli articoli 5 e 6 della legge n. 241/1990; in particolare (e premesso che in base al primo comma dell’art. 4 anche ai procedimenti di accesso sono applicabili gli altri principi della legge n. 241/1990), l’art. 6 lett.b , nell’indicare i compiti del responsabile del procedimento, dispone che egli “accerta d’ufficio i fatti…… e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria”.
In base alle citate norme può in definitiva affermarsi che, all’interno di un procedimento che veda più organi od uffici formare atti del medesimo, la domanda di accesso rivolta al responsabile del procedimento di accesso ed incardinato nella stessa amministrazione titolare del procedimento cui la domanda si riferisce, determina il dovere istruttorio di acquisire la disponibilità di tutti i singoli documenti oggetto di richiesta e che, in quanto già esistenti nel mondo giuridico alla data della domanda, compongano oggettivamente la documentazione inerente il procedimento interessato.
In tale quadro, ed ai fini di un formalmente corretto comportamento dell’amministrazione, si comprende, conclusivamente, come debba reputarsi del tutto irrilevante che i documenti in questione fossero stati trasmessi dalla CMO dopo la data della domanda, e quindi a quel momento non in disponibilità materiale dell’ufficio destinatario della richiesta.
3.- Conclusivamente l’appello deve essere accolto, con le conseguenze di legge, dovendosi quindi ordinare all’amministrazione l’esibizione di tutti i documenti richiesti dal ricorrente in relazione al procedimento di riconoscimento di causa di servizio.
4,. Le spese del presente giudizio seguono il principio della soccombenza (art. 91 c.p.c).
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, accoglie l’appello proposto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado e, conseguentemente, ai sensi dell’art. 25,comma 6, della legge n. 241/1990, ORDINA al Ministero della Difesa-Comando Regione carabinieri Lazio l’esibizione degli atti di cui al punto n.3 in motivazione.
Condanna il Ministero della difesa-Comando Regione Carabinieri Lazio, al pagamento, in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida complessivamente in Euro tremila, oltre accessori.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giaccardi, Presidente
Anna Leoni, Consigliere
Salvatore Cacace, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)