Urbanistica ed Ambiente

  • strict warning: Non-static method view::load() should not be called statically in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/views.module on line 879.
  • strict warning: Declaration of views_handler_argument::init() should be compatible with views_handler::init(&$view, $options) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/handlers/views_handler_argument.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_handler_filter::options_validate() should be compatible with views_handler::options_validate($form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/handlers/views_handler_filter.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_handler_filter::options_submit() should be compatible with views_handler::options_submit($form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/handlers/views_handler_filter.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_handler_filter_boolean_operator::value_validate() should be compatible with views_handler_filter::value_validate($form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/handlers/views_handler_filter_boolean_operator.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of date_api_filter_handler::value_validate() should be compatible with views_handler_filter::value_validate($form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/date/includes/date_api_filter_handler.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_plugin_style_default::options() should be compatible with views_object::options() in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/plugins/views_plugin_style_default.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_plugin_row::options_validate() should be compatible with views_plugin::options_validate(&$form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/plugins/views_plugin_row.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_plugin_row::options_submit() should be compatible with views_plugin::options_submit(&$form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/plugins/views_plugin_row.inc on line 0.
  • strict warning: Non-static method view::load() should not be called statically in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/views.module on line 879.
  • warning: Creating default object from empty value in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/date/date/date.module on line 660.
  • strict warning: Non-static method view::load() should not be called statically in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/views.module on line 879.
  • strict warning: Non-static method view::load() should not be called statically in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/views.module on line 879.

Nuova procedura ablatoria e comunicazione di avvio del procedimento

Tar Catania, sez. II, sentenza n. 2750 del 11 novembre 2013
Data: 
11/11/2013
Tipo di Provvedimento: 
sentenza

1."Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (cfr., per tutte, Cons. St., IV, n. 8688/2010, Cons. St., Ad Plen., n. 7/2007 e Cons. St., IV, n. 2004/2003), qualora l’Amministrazione attivi una nuova procedura ablatoria, rinnovando la dichiarazione di pubblica utilità,sussiste l'obbligo di comunicare l’avviso di inizio del procedimento, per stimolare l’eventuale apporto collaborativo del privato, che ben potrebbe, ad esempio, contestare la persistenza dell’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera o proporne una diversa e più adeguata collocazione".

2. "Nell’ipotesi in cui, come nella specie, alla dichiarazione di pubblica utilità non abbia fatto seguito, come nella specie, l’emanazione di un tempestivo decreto di esproprio, in base all’attuale quadro normativo l’Amministrazione ha l’obbligo giuridico di far venir meno l’occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, restituendo l’immobile al legittimo titolare dopo aver demolito quanto ivi realizzato, atteso che la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato costituisce un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto e come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, in quanto tale trasferimento può dipendere solo da un formale atto di acquisizione dell’Amministrazione, mentre deve escludersi che il diritto alla restituzione possa essere limitato da altri atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà o da altri comportamenti, fatti o contegni (sul punto, cfr. Cons. St., IV, n. 4833/2009 e n. 676/2011, nonché, fra le tante, Tar Catania, II, n. 1220/2013 e n. 1974/2012)".

 

N. 02750/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00298/2010 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 298 del 2010, integrato da motivi aggiunti, proposto da: 
RICORRENTE e proseguito dagli eredi ******, ******, ******* e ******, rappresentati e difesi dall’Avv. **********, con domicilio presso lo stesso, in Catania, Via ******** 9; 

contro

A.N.A.S., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria in Catania, Via Vecchia Ognina 149; 

per l’annullamento

a) della delibera n. 128 del 16 novembre 2004, con cui l’A.N.A.S. ha nuovamente approvato il progetto esecutivo relativo allo “svincolo Regalsemi - innesto strada stradale 117-bis”; b); della comunicazione di approvazione del progetto pervenuta al ricorrente in data 22 dicembre 2010; c) del decreto dell’A.N.A.S. prot. CPA - 0073741-3 in data 3 dicembre 2010, con cui è stata disposta l’occupazione d’urgenza del fondo di proprietà del ricorrente; b) della comunicazione relativa all’immissione in possesso in data 31 gennaio 2011, c) del verbale di immissione in possesso in data 8 febbraio 2011;

e per la condanna

dell’A.N.A.S. s.p.a. alla restituzione del bene ed al risarcimento del danno.

 

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’A.N.A.S. s.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 ottobre 2013 il dott. Daniele Burzichelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

     

FATTO e DIRITTO

Nel ricorso introduttivo, notificato in data 27 gennaio 2010, si rappresenta che: a) con provvedimento n. 578 del 10 luglio 1997 l’Ente Nazionale per le Strade (oggi A.N.A.S. s.p.a.) ha approvato il progetto per la costruzione della strada di scorrimento veloce “Licodia Eubea - A 19 Palermo-Catania” (“svincolo Regalsemi - innesto strada stradale 117-bis”); b) con decreto del Prefetto di Catania n. 325/1.20 A.2/Sett. 1 in data 18 febbraio 1999 è stata disposta, per tre anni dall’immissione in possesso, l’occupazione temporanea e d’urgenza di una porzione, estesa metri quadri 1741, di un fondo di proprietà del ricorrente, sito in Contrada San Bartolomeo di Calatagirone, censito in catasto al foglio 901, particelle 129, 130 e 131; c) in data 12 maggio 1999 è intervenuta l’immissione in possesso; d) con nota n. 15369 del 7 settembre 2001 l’Ente Nazionale per le Strade ha offerto l’indennità di espropriazione, determinata in £. 504.90 (tuttora depositata, per quanto consta, presso la Cassa Depositi e Prestiti); e) non è stato mai emanato il conclusivo provvedimento di esproprio; f) l’opera non è stata eseguita e l’area in questione non ha subito alcuna trasformazione.

Il ricorrente ha, quindi, chiesto al Tribunale di condannare l’A.N.A.S. alla restituzione dell’immobile ed al risarcimento per il periodo di occupazione illegittima, nonché di fare salvo il diritto del ricorrente di conseguire nella competente sede giudiziale ordinaria le indennità di occupazione legittima.

Con motivi aggiunti, notificati in data 27 gennaio 2011, il ricorrente ha impugnato: a) la delibera n. 128 del 16 novembre 2004, con cui l’A.N.A.S. ha nuovamente approvato il progetto esecutivo relativo allo “svincolo Regalsemi - innesto strada stradale 117-bis”; b) la comunicazione di approvazione del progetto pervenuta al ricorrente in data 22 dicembre 2010.

Le censure di cui ai motivi aggiunti possono essere sintetizzate come segue: a) violazione degli artt. 16 e 17 d.p.r. n. 327/2001, 7, primo comma, legge n. 241/1990, 8, primo comma, legge regionale n. 10/1991, illegittimità derivata per insussistenza di perdurante efficacia del vincolo preordinato all’esproprio, in quanto l’Amministrazione ha omesso di comunicare al ricorrente l’avvio del procedimento per la nuova approvazione del progetto e perché la citata delibera n. 128 del 16 novembre 2004 non indica gli estremi dell’atto dal quale sarebbe sorto il vincolo preordinato all’esproprio; b) violazione dell’art. 13 d.p.r. n. 327/2001, illegittimità derivata, difetto di motivazione e carenza di attività amministrativa, per omessa indicazione delle ragioni che avevano impedito di concludere il primo procedimento espropriativo e mancata valutazione dell’attualità e della concretezza dell’interesse pubblico posto a fondamento della nuova procedura.

Con ulteriori motivi aggiunti, notificati in data 14 marzo 2011, il ricorrente ha impugnato: a) il decreto dell’A.N.A.S. prot. CPA - 0073741-3 in data 3 dicembre 2010, con cui è stata disposta l’occupazione d’urgenza (anche) del fondo di proprietà del ricorrente; b) la comunicazione relativa all’immissione in possesso in data 31 gennaio 2011, c) il verbale di immissione in possesso in data 8 febbraio 2011.

Con i secondi motivi aggiunti sono state formulate censure identiche a quelle di cui ai primi motivi aggiunti e si è, inoltre, lamentata violazione degli artt. 22-bis e 24 d.p.r. n. 327/2001 e difetto di motivazione, in quanto: a) l’area di proprietà del ricorrente era già nella disponibilità dell’A.N.A.S.; b) l’immissione in possesso è intervenuta in assenza dei presupposti di cui al citato art. 22-bis e l’Amministrazione ha omesso di indicare le ragioni di urgenza poste a fondamento dell’occupazione.

Con atto depositato in data 22 gennaio 2013 gli eredi del ricorrente hanno presentato istanza di fissazione dell’udienza ai sensi dell’art. 80, secondo comma, c.p.a..

L’ANAS si è costituito in giudizio, depositando una memoria di mera forma.

Nella pubblica udienza del 23 ottobre 2013, sentiti i difensori delle parti come indicato in verbale, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso introduttivo e quelli per motivi aggiunti sono fondati.

Il procedimento espropriativo di cui all’approvazione del progetto mediante provvedimento n. 578 del 10 luglio 1997 non si è concluso con l’emanazione di un tempestivo decreto di esproprio, di talché, con delibera n. 128 del 16 novembre 2004, l’A.N.A.S. ha avviato una nuova procedura espropriativa, approvando per la seconda volta il progetto esecutivo relativo all’opera di cui si tratta.

Non risulta, però, che l’Amministrazione abbia comunicato al ricorrente originario l’avvio del procedimento volto alla nuova approvazione del progetto.

Come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (cfr., per tutte, Cons. St., IV, n. 8688/2010, Cons. St., Ad Plen., n. 7/2007 e Cons. St., IV, n. 2004/2003), qualora l’Amministrazione attivi una nuova procedura ablatoria, rinnovando la dichiarazione di pubblica utilità, essa deve indefettibilmente comunicare l’avviso di inizio del procedimento, per stimolare l’eventuale apporto collaborativo del privato, che ben potrebbe, ad esempio, contestare la persistenza dell’interesse pubblico alla realizzazione dell’opera o proporne una diversa e più adeguata collocazione.

Risultano, quindi, illegittimi, assorbita ogni altra censura, i provvedimenti impugnati con i primi ed i secondi motivi aggiunti.

Il ricorso introduttivo è, a sua volta, fondato, per le ragioni di seguito indicate, che vengono sinteticamente enunciate (art. 3, secondo comma, c.p.a.) facendo riferimento, ai fini dell’assolvimento dell’onere motivazionale (anche ai sensi dell’art. 74 c.p.a.), a precedenti pronunce giurisdizionali.

Nell’ipotesi in cui, come nella specie, alla dichiarazione di pubblica utilità non abbia fatto seguito, come nella specie, l’emanazione di un tempestivo decreto di esproprio, in base all’attuale quadro normativo l’Amministrazione ha l’obbligo giuridico di far venir meno l’occupazione sine titulo e di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto, restituendo l’immobile al legittimo titolare dopo aver demolito quanto ivi realizzato, atteso che la realizzazione dell’opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato costituisce un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell’acquisto e come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, in quanto tale trasferimento può dipendere solo da un formale atto di acquisizione dell’Amministrazione, mentre deve escludersi che il diritto alla restituzione possa essere limitato da altri atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà o da altri comportamenti, fatti o contegni (sul punto, cfr. Cons. St., IV, n. 4833/2009 e n. 676/2011, nonché, fra le tante, Tar Catania, II, n. 1220/2013 e n. 1974/2012).

Nel caso in esame, peraltro, non risulta se, a seguito della nuova immissione in possesso in data 8 febbraio 2011, l’opera sia stata realizzata e se l’A.N.A.S. stia o meno utilizzando l’immobile per scopi di interesse pubblico (art. 42-bis d.p.r. n. 327/2001).

Per siffatta ipotesi, deve evidenziarsi che i principi derivanti dall’interpretazione sistematica e le possibilità insite nel principio di atipicità delle pronunce di condanna, di cui all’art. 34, primo comma, lett. c), c.p.a., consentono una formulazione della sentenza che non pregiudichi la possibilità per l’Amministrazione di acquisire il bene ai sensi dell’art. 42-bis d.p.r. n. 327/2001 (sul punto, cfr. Cons. St., IV, n. n. 1514/2012, Tar Palermo, II, n. 428/2012, Tar Napoli, V, n. 1171/2012, nonché, fra le tante, Tar Catania, II, n. 1220/2013 e n. 1974/2012).

La Sezione deve, quindi, ordinare all’Amministrazione di restituire il bene, previa sua eventuale riduzione in pristino stato, ovvero di acquisirlo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 42-bis.

Nell’ipotesi di restituzione del bene previa riduzione in pristino stato, l’Amministrazione dovrà anche risarcire il danno per l’occupazione illegittima (a far data dal 18 febbraio 2002 sino alla restituzione effettiva del bene ai proprietari).

Il risarcimento del danno da occupazione illegittima, nel caso in cui l’Amministrazione proceda alla restituzione del bene previa eventuale riduzione in pristino stato, dovrà consistere negli interessi legali calcolati sul valore - all’epoca in cui ha avuto inizio l’occupazione illegittima (cioè in data 18 febbraio 2002) - dell’immobile occupato (sul punto cfr. Tar Campania, Salerno II, n. 1539/2001).

La somma così determinata dovrà, poi, essere rivalutata anno per anno e sugli importi cosi rivalutati dovranno essere corrisposti agli eredi dell’originario ricorrente gli interessi legali, in base ai principi generali sulla liquidazione dell’obbligazione risarcitoria (sul punto, cfr., per tutte, Cass. Civ. I, n. 19510/2005).

In alternativa alla restituzione e al risarcimento per l’illegittima occupazione nei termini appena illustrati, l’Amministrazione dovrà attivarsi perché il possesso illegittimo si converta in possesso legittimo a seguito di un valido titolo di acquisto, che, in primo luogo, potrà essere quello previsto dall’art. 42-bis d.p.r. n. 327/2001.

Nel caso in cui l’Amministrazione ritenga di fare applicazione del citato art. 42-bis, essa dovrà corrispondere agli eredi dell’originario ricorrente un indennizzo corrispondente al valore venale dell’immobile occupato al momento dell’adozione del provvedimento di acquisizione, oltre il 10% di tale valore per il ristoro del danno non patrimoniale (art. 42-bis, primo e terzo comma).

Nell’ipotesi di acquisizione ai sensi del citato art. 42-bis, l’Amministrazione dovrà, inoltre, corrispondere il risarcimento per l’occupazione illegittima, da computare con la decorrenza sopra specificata (cioè a far data dal 18 febbraio 2002) e che consisterà nell’interesse del 5% sul valore venale del terreno occupato al momento dell’adozione del provvedimento di acquisizione (art. 42-bis, terzo comma) in ragione del periodo di privazione effettiva nel godimento del bene.

E’ chiaro che dalle somme dovute agli eredi dell’originario ricorrente, sia nel caso di restituzione previa riduzione in pristino che nel caso di acquisizione ai sensi del citato art. 42-bis, dovranno esser detratte, secondo i criteri di imputazione di cui agli artt. 1993 e 1194 c.c., quelle eventualmente già corrisposte all’originario ricorrente od ai suo eredi a titolo di indennità di esproprio o di indennità di occupazione.

Riassumendo le fila del discorso sin qui svolto, l’A.N.A.S., in applicazione della disciplina attualmente vigente, è tenuto:

a) a restituire ai proprietari il terreno effettivamente occupato, previa riduzione in pristino stato, corrispondendo, inoltre, agli eredi dell’originario ricorrente il risarcimento per il periodo di occupazione illegittima, consistente negli interessi legali calcolati sul valore, alla data del 18 febbraio 2002, dell’immobile occupato, oltre rivalutazione e interessi nei sensi di cui in motivazione, previa detrazione, nei sensi sopra indicati, di somme eventualmente già corrisposte e tenendo conto del periodo di effettiva privazione nel godimento del bene in danno dell’originario ricorrente o dei suoi eredi;

b) a procedere, in alternativa all’ipotesi di cui alla precedente lettera a), all’acquisizione dell’immobile di cui si è detto mediante un valido titolo di acquisto, e, in primo luogo, tramite quello disciplinato dall’art. 42-bis d.p.r. n. 327/200; nell’ipotesi in cui l’Amministrazione ritenga di acquisire il bene ai sensi e per gli effetti di cui al citato art. 42-bis, dovrà corrispondere agli eredi del ricorrente l’indennizzo di cui al primo comma della disposizione indicata (corrispondente al valore venale della superficie occupata al momento dell’adozione del provvedimento di acquisizione, oltre il 10% di tale valore per il ristoro del danno non patrimoniale), nonché il risarcimento per il periodo di occupazione illegittima, consistente nell’interesse del 5% sul valore venale della superficie occupata alla data del 24 novembre 1997 (come prescritto dal citato art. 42-bis, terzo comma), previa detrazione, nei sensi sopra indicati, di somme eventualmente già corrisposte e tenendo conto del periodo di effettiva privazione nel godimento del bene in danno dell’originario ricorrente o dei suoi eredi.

Ai sensi dell’art. 34, primo comma, lett. c), cod. proc. amm., è anche opportuno disporre che l’A.N.A.S: si determini in ordine alla restituzione o all’acquisizione del bene entro sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, della presente decisione e che l’eventuale provvedimento di acquisizione sia tempestivamente notificato ai proprietari e trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’Amministrazione procedente, nonché comunicato alla Corte dei Conti.

E’ ovviamente fatta salva ogni altra ipotesi di acquisto legittimo del bene stesso da parte dell’Amministrazione (cessione volontaria, donazione, usucapione, etc.).

E’, infine, opportuno precisare che non risulta comprensibile - ed è pertanto inammissibile - la richiesta dell’originario ricorrente e dei suoi eredi di fare salvo il diritto… di conseguire nella competente sede giudiziale ordinaria le indennità di occupazione legittima.

In conclusione, il ricorso originario va accolto, nei termini e nei limiti di cui in motivazione, come vanno parimenti accolti i due ricorsi per motivi aggiunti, con annullamento degli atti impugnati.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.     

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto: 1) accoglie i due ricorsi per motivi aggiunti ed annulla i provvedimenti impugnati; 2) accoglie il ricorso introduttivo nei termini e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, condanna l’A.N.A.S. s.p.a. a restituire agli eredi dell’originario ricorrente, previa eventuale riduzione in pristino, l’immobile occupato e a risarcire il danno per l’occupazione illegittima, ovvero, in alternativa, ad acquisire il bene e risarcire il danno derivante dall’occupazione illegittima ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 42-bis d.p.r. n. 327/2001, salva ogni altra ipotesi di acquisto legittimo del bene stesso; 3) dispone che l’A.N.A.S. s.p.a. si determini in ordine alla restituzione o all’acquisizione dell’immobile entro sessanta giorni dalla comunicazione o notificazione, se anteriore, della presente sentenza e che l’eventuale provvedimento di acquisizione sia tempestivamente notificato ai proprietari e trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura dell’Amministrazione procedente, nonché comunicato alla Corte dei Conti; 4) condanna l’A.N.A.S. alla rifusione, in favore di parte ricorrente, delle spese di lite, liquidate in complessivi € 2.000,00 (euro duemila/00), oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 23 ottobre 2013 con l’intervento dei magistrati:

Salvatore Veneziano, Presidente

Rosalia Messina, Consigliere

Daniele Burzichelli, Consigliere, Estensore

 

   

 

   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/11/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Espropriazione illegittima: la costruzione dell'opera non preclude la tutela in forma specifica del proprietario

Tar Palermo, sez. III, sentenza n. 1657 del 9 settembre 2013
Data: 
09/09/2013
Tipo di Provvedimento: 
sentenza

"La realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni"

 

N. 01657/2013 REG.PROV.COLL.

N. 01356/2008 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1356 del 2008, proposto da ********* e *********, rappresentati e difesi dagli Avv. ********* e ********, con domicilio eletto presso la Segreteria del Tar in Palermo, via Butera n. 6; 

contro

Azienda Servizi Sanitari n.2 di Caltanissetta, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. ********, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. *********, sito in Palermo, p.zza V.E. Orlando n. 6/A; Comune Di Caltanissetta, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall'Avv. *********, con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. **********, sito in Palermo, via *********** n. 3;

per il risarcimento

del danno derivante dall’occupazione sine titulo usurpativa e/o appropriativa di aree di proprietà dei ricorrenti

e/o per la restituzione

delle aree di proprietà dei ricorrenti costituite da terreni indivisi identificati in catasto al foglio 112 part. 185, per mq. 1630 e part. 188 per mq. 1360, siti in territorio di Caltanissetta, contrada S. Elia-Babbaurra, fronteggianti la via Luigi Monaco ed oggetto di occupazione per i lavori di costruzione della residenza sanitaria assistenziale per gli anziani in Caltanissetta; e per il risarcimento dei danni ai sensi del comma 6 dell’art. 43 del D.P.R. 327/2001.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda Servizi Sanitari n.2 Caltanissetta e del Comune di Caltanissetta;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 luglio 2013 il dott. Pier Luigi Tomaiuoli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO

Con ricorso ritualmente notificato alle Amministrazioni resistenti e depositato il 13.6.2003, *********, ********* ed *********, premesso di essere proprietari, in quota indivisa, dei terreni siti in Caltanissetta, contrada S.Elia-Babbaurra e distinti in catasto al foglio 112, partt. 185 e 188; che il Comune resistente, con apposita variante al P.R.G. adottata intorno agli anni 69/70, aveva vincolato i terreni in questione a zona di attrezzature per istituzioni sanitarie ed assistenziali; che il vincolo era stato reiterato in sede di adozione del nuovo P.R.G., approvato con DD.AA., n. 345 del 30 settembre 1982 e n. 1091 del 24 dicembre 1986; che, a richiesta dell’U.S.L. di Caltanissetta, il Comune resistente, nel 1993 sull’area in questione e su alcune particelle limitrofe, aveva localizzato un edificio destinato a residenza sanitaria per anziani; che nel gennaio 1996 l’Azienda sanitaria aveva trasmesso al Comune il progetto dell’opera per il visto di conformità urbanistica, che però era stato negato essendo intervenuto parere negativo della Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Caltanissetta alla luce di un sopravvenuto vincolo paesaggistico sui luoghi; che si erano espressi in maniera condizionata anche l’Ufficio tecnico, l’Ufficio sanitario della stessa A.S.L. e la Commissione edilizia comunale; che il Consiglio comunale di Caltanissetta, tuttavia, con deliberazione del 23 luglio 1996 n. 61 aveva approvato il progetto in questione ai fini urbanistici, facendo carico all’Azienda sanitaria di rielaborarlo per adeguarlo alle prescrizioni imposte da tutti gli organi intervenuti nel procedimento; che il Sindaco di Caltanissetta, su richiesta dell’Azienda sanitaria, aveva quindi emesso l’ordinanza n. 936 del 13 maggio 1998 di occupazione d’urgenza, riguardante “i lavori di costruzione della residenza sanitaria assistenziale per gli anziani in Caltanissetta”, sull’erroneo presupposto che fosse stata perfezionata la dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza dei lavori; che l’Azienda sanitaria aveva dato in appalto i lavori de quibus ed eseguito l’ordinanza del Sindaco occupando le aree dei ricorrenti, ma lasciando libero un relitto di mq. 270 inutilizzabile tanto a fini edificatori quanto agricoli; che l’area in questione, al momento dell’occupazione, risultava condotta in affitto, come emerge dal relativo verbale di consistenza, dalla S.M.A.R. s.n.c., esercente attività di esposizione e vendita di mezzi agricoli nuovi ed usati, sicché all’occupazione dell’immobile conseguiva anche perdita del canone in danno dei ricorrenti; che essi avevano dunque proposto ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana a termini del D.P.R. 24 novembre 1971 n. 1199, impugnando tutti gli atti amministrativi sopra indicati; che il predetto ricorso si era concluso con l’accoglimento e l’annullamento dei predetti atti, in ragione della riscontrata insussistenza ab origine della dichiarazione di pubblica utilità; che medio tempore l’Azienda sanitaria aveva realizzato l’opera, con conseguente irreversibile trasformazione del suolo; che essi avevano dunque richiesto il risarcimento del danno mediante corresponsione del prezzo di mercato dei beni occupati; che solo con nota n. 49 del 13 gennaio 2004 l’Azienda Sanitaria aveva quindi rappresentato di avere dato alle aree occupate il valore unitario di € 25,43 per una superficie occupata complessiva di mq. 2838; che la richiesta di risarcimento era stata estesa all’intera superficie delle aree di loro proprietà, essendo la restante parte di mq. 118 inutilizzabile sia a fini agricoli che urbanistici; che, al fine di comporre transattivamente la controversia, avevano fatto redigere da un tecnico abilitato una perizia di stima del danno, dalla quale emergeva, alla mese di maggio 2004, un valore di mercato dell’area pari ad € 123,10 al mq; che si erano rivolti, dunque, al Tribunale civile di Caltanissetta, il quale, con la sentenza n. 772/07, aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione; tutto quanto sopra premesso, hanno concluso per la condanna delle Amministrazioni in solido al risarcimento dei danni, ovvero in via subordinata alla restituzione dei terreni ed al risarcimento del danno derivante dalla illegittima occupazione.

Si è costituita l’Azienda sanitaria provinciale di Caltanissetta, eccependo che il valore degli immobili occupati deve essere stimato con riferimento alla destinazione urbanistica al momento dell’acquisizione; che, pertanto, la valutazione del valore di mercato effettuata dai ricorrenti è errata e comunque sproporzionata; tutto quanto sopra eccepito, ha concluso per il rigetto delle domande avversarie.

Si è costituito anche il Comune di Caltanissetta, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, essendo l’Azienda sanitaria l’unico soggetto beneficiario del provvedimento ablativo, in quanto tale tenuto al risarcimento del danno conseguente all’occupazione illegittima; che la quantificazione del valore dell’immobile operata dagli attori è sproporzionata, come emerge dalle relazioni tecniche versate in atti ed depositate in alcuni giudizi civili aventi ad oggetto terreni siti in prossimità di quello dei ricorrenti; che, in ogni caso, l’Azienda sanitaria è tenuta a manlevarlo in ipotesi di condanna; tutto quanto sopra eccepito, ha concluso per il rigetto del ricorso avversario e, in via subordinata, per la condanna dell’Azienda sanitaria a manlevarlo di quanto sia eventualmente obbligato a corrispondere ai ricorrenti.

All’udienza del 19 luglio 2013 il ricorso, su concorde richiesta dei procuratori delle parti, è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Con il ricorso in epigrafe indicato i ricorrenti hanno chiesto la condanna delle Amministrazioni resistenti al risarcimento dei danni patiti in forza dell’illegittima procedura espropriativa subita in relazione ad un immobile di loro proprietà sito nel Comune Caltanissetta.

Sussiste la giurisdizione di questo Tribunale, per come correttamente ritenuto nella sentenza del Tribunale civile versata in atti, trattandosi di espropriazione illegittima per annullamento di atti emanati nell’esercizio della pubblica funzione espropriativa (ex multis: T.A.R. Puglia Bari, Sez. III, 4.5.2012, n. 8922; T.A.R. Lombardia Milano, Sez. II, 30 marzo 2011, n. 854, Consiglio di Stato, Sez. V, 2 novembre 2011, n. 5844).

E’ pacifico, in punto di fatto, che siamo di fronte ad una occupazione usurpativa per assenza ab origine della dichiarazione di pubblica utilità e che l’opera programmata è stata interamente realizzata sul fondo di proprietà dei ricorrenti.

La domanda risarcitoria per equivalente spiegata da costoro in via principale, tuttavia, non può essere accolta per le ragioni di cui appresso.

Come è stato bene osservato, “la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. IV, 2 settembre 2011, n. 4970) ha più volte chiarito che l'intervenuta realizzazione dell'opera pubblica non fa venire meno l'obbligo dell'amministrazione di restituire al privato il bene illegittimamente appreso. Ciò sulla base di un superamento dell'interpretazione, precedentemente seguita, che riconnetteva alla costruzione dell'opera pubblica e all'irreversibile trasformazione del suolo effetti preclusivi o limitativi della tutela in forma specifica del privato. Partendo dall'esame della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell'uomo, il Consiglio di Stato ha ritenuto che il quadro normativo e giurisprudenziale nazionale previgente non fosse aderente alla Convenzione europea e, in particolare, al Protocollo addizionale n. 1 (sentenza 30 maggio 2000, ric. 31524/96, Società Belvedere Alberghiera)…. La realizzazione dell'opera pubblica sul fondo illegittimamente occupato è, dunque, in sé un mero fatto, non in grado di assurgere a titolo dell'acquisto, come tale inidoneo a determinare il trasferimento della proprietà, per cui solo il formale atto di acquisizione dell'amministrazione può essere in grado di limitare il diritto alla restituzione, non potendo rinvenirsi atti estintivi (rinunziativi o abdicativi, che dir si voglia) della proprietà in altri comportamenti, fatti o contegni. Nella fattispecie, l'Amministrazione non ha esercitato il potere acquisitivo, a sanatoria dell'illecita occupazione del terreno, conferitole dalla legge, dapprima dall'art. 43 del TU delle espropriazioni e successivamente, in seguito all'accertata illegittimità costituzionale della norma recata da tale diposizione, dal vigente art. 42 bis del medesimo testo unico” (T.A.R. Calabria, Sez. II, 20.11.2012, n. 1125).

Ne deriva che i ricorrenti sono tuttora legittimi proprietari del fondo occupato dalla PA su cui è stata realizzata l'opera pubblica, non essendosi mai perfezionata la costituzione del diritto di proprietà pubblica sul bene immobile.

La domanda risarcitoria per equivalente, pertanto, non può trovare accoglimento, poiché, per l’appunto, manca l’elemento costitutivo della fattispecie aquiliana dato dalla perdita del diritto reale, mentre, per converso, è fondata la domanda di restituzione dell’immobile illegittimamente occupato dalle Amministrazioni resistenti, sicché deve essere ordinato alle medesime di procedere a tale restituzione con le precisazioni e nei termini che seguono.

La restituzione dell’immobile dovrebbe essere preceduta dalla sua riduzione in pristino mediante abbattimento dell’opera pubblica illegittimamente realizzata, con conseguenti notevoli esborsi economici a carico della Pubblica Amministrazione e ulteriore potenziale sacrificio dello svolgimento dei servizi pubblici che con tale opera vengono assicurati.

Rientra, tuttavia, nella valutazione discrezionale dell’Amministrazione titolare della funzione espropriativa (che dovrà assolutamente ponderare con la necessaria attenzione gli importanti e significativi elementi di giudizio di cui al capoverso che procede) la scelta se procedere alla restituzione dell’immobile, previa sua rimessione in pristino, o ricondurre a legittimità il proprio operato procedendo alla stipulazione di un negozio consensuale di acquisizione dell’immobile ovvero, ancora, laddove il consenso della controparte non venisse acquisito, avvalersi dell’opzione di cui all’attuale art. 42 bis del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (T.U. espropriazione per p.u.) che consente l’acquisizione dell’immobile per il tramite di una procedura espropriativa semplificata.

E’ anche ovvio che, laddove l’Amministrazione espropriante dovesse scegliere la strada dell’espropriazione postuma semplificata di cui all’art. 42bis, dovranno essere rigorosamente adottati i criteri indennitari ivi espressamente previsti.

A tale proposito, il valore venale complessivo del bene (per la sola estensione effettivamente incisa dall’occupazione) – questione, questa, oggetto di contestazione tra le parti – dovrà essere individuato facendo riferimento alle stime contenute in atti di vendita, ovvero in relazioni tecniche estimative esperite in giudizi civili, di fondi limitrofi aventi le medesime caratteristiche urbanistiche, ovvero, in via alternativa, mediante ricorso alla consultazione di un agenzia di vendite immobiliari operante sul territorio.

Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, deve assegnarsi all’Amministrazione espropriante il termine di 3 mesi decorrenti dalla comunicazione o notificazione (se anteriore) della presente sentenza per provvedere alla restituzione dell’immobile ai ricorrenti, previo abbattimento dell’opera pubblica realizzata, ovvero, in via alternativa, per l’acquisizione del predetto immobile nei modi legittimi sopra indicati.

Deve essere esaminata, poi, l’autonoma domanda di condanna al risarcimento del danno subito dai ricorrenti per effetto dell'occupazione senza titolo, occupazione che si protrae dal momento dell’immissione in possesso sino al dì dell’effettiva restituzione dell’immobile ovvero acquisizione dello stesso (nei modi sopra specificati).

Essa è fondata, essendo evidente che l’occupazione del bene privato altrui è illegittima perché realizzata senza valido titolo e fonte di danno patrimoniale in re ipsa per la parte ricorrente.

Per la relativa liquidazione del ristoro, che rimane risarcitorio per l'articolo 42 bis, terzo comma citato, può farsi riferimento ai criteri di cui alla medesima disposizione, sicché ex art. 34, comma 4, del c.p.a. (T.A.R., Sicilia, Sez. III, 21.1.2013, n. 152) il danno dovrà essere liquidato dall’amministrazione nella misura pari all'interesse del cinque per cento annuo sul valore venale dei beni (T.A.R. Calabria, Sez. II, 20.11.2012, n. 1125; T.A.R. Puglia Bari, Sez. III, 4.5.2012 n. 8922; T.A.R. Liguria, Sez. I, 12 dicembre 2011, n. 1756) per ciascun anno del periodo di occupazione illegittima; le somme calcolate, anno per anno, andranno poi separatamente incrementate, per interessi e rivalutazione monetaria, fino al dì del pagamento, trattandosi di obbligazione risarcitoria da fatto illecito, per cui sono dovuti sia la rivalutazione monetaria, essendo per i debiti di valore la svalutazione monetaria una delle voci del danno emergente sofferto, sia gli interessi al tasso legale, a titolo di risarcimento del lucro cessante.

Come è pacifico, tutte le questioni che dovessero insorgere nella fase di conformazione alla presente decisione potranno formare oggetto di giudizio d'ottemperanza e risolte, se del caso, tramite commissario ad acta.

Quanto alla individuazione del soggetto passivo dell’obbligazione risarcitoria in esame, va ritenuta la responsabilità solidale dell’Amministrazione comunale espropriante e del soggetto beneficiario A.S.P. di Caltanissetta, dal momento che l’occupazione illegittima si è realizzata per il concorso dell’opera colposa dell’ente espropriante che ha provveduto all’emanazione di un decreto di occupazione ed urgenza pure in assenza del fondamentale atto impositivo del vicolo ablativo (la dichiarazione di pubblica utilità) e dell’ente beneficiario che ha materialmente inglobato l’immobile nel suo dominio, di fatto utilizzandolo arbitrariamente (sulla responsabilità solidale si vedano Cass. Civ., Sez. I, 28.5.2010, n. 13087; Cass. Civ., Sez. I, 9.10.2007, n. 21096; Cass. Civ., Sez. I, 27 ottobre 2006, n. 23279).

Le spese di lite seguono la soccombenza delle Amministrazioni resistenti e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei sensi e nei limiti di cui in parte motiva e per l’effetto:

1) condanna le Amministrazioni resistenti alla restituzione dell’immobile ai ricorrenti, previo abbattimento dell’opera pubblica realizzata, ovvero, in via alternativa, all’acquisizione del predetto immobile nei modi legittimi indicati in motivazione nel termine di mesi 3 decorrenti dalla comunicazione ovvero notificazione, se anteriore, della presente sentenza;

2) condanna le Amministrazioni resistenti, in solido, al risarcimento in favore dei ricorrenti dei danni da occupazione illegittima secondo i criteri indicati in parte motiva;

3) condanna le predette Amministrazioni, in solido, a rifondere alla parte ricorrente le spese di lite che liquida in € 3.000,00 oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 19 luglio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Nicola Maisano, Presidente FF

Pier Luigi Tomaiuoli, Primo Referendario, Estensore

Anna Pignataro, Primo Referendario

 

   

 

   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/09/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Il silenzio sull'istanza di sanatoria equivale a rigetto

Tar Palermo, sez. II, sentenza del 21 giugno 2013, n. 1358
Data: 
21/06/2013
Tipo di Provvedimento: 
sentenza

"L’Amministrazione comunale non ha alcun obbligo di provvedere sulle istanze di sanatoria ex art. 13 l. 47/85 (ora, art. 36 del d.P.R. 380/2001), in quanto il silenzio è qualificabile come silenzio provvedimentale con contenuto di rigetto e non come silenzio inadempimento all' obbligo di provvedere (ex multis, Tar Napoli, sez. VI, 05 giugno 2012 n. 2644; Tar Milano, sez. II, 08 giugno 2011 n. 1470)".

 

N. 01358/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00595/2013 REG.RIC.

http://www.giustizia-amministrativa.it/DocumentiGA/Palermo/Sezione%202/2013/201300595/Provvedimenti/stemma.jpg

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 595 del 2013, proposto da ***** *******, rappresentato e difeso dagli avv.********* e *********, con domicilio eletto presso il loro studio in Palermo, via ****** n. 171, 

contro

Comune di Palermo in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio,

per l'annullamento

silenzio-rifiuto su richiesta rilascio concessione edilizia in sanatoria.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

viste le memorie difensive;

visti tutti gli atti della causa;

relatore nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2013 il Primo Referendario dott.ssa Maria Barbara Cavallo e udito l'Avv. *********;

ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

1. Con ricorso notificato il 15 marzo 2013, ***** ******* ha chiesto che venga dichiarato in giudizio l’obbligo del Comune di Palermo di concludere il procedimento di cui alla nota n. 317077 del 26 aprile 2012, nella quale il servizio Edilizia privata si determinava a rilasciare la concessione edilizia in sanatoria ex art. 13 l. 47/85, relativa a un progetto di variante edilizia alla concessione edilizia n. 13 del 1980, riguardante un lotto di terreno facente parte del lotto di terreno denominato “lotto B”, al cui interno sono stati realizzati alcuni edifici, uno dei quali è di proprietà della odierna ricorrente (fg. 29, part. 1655).

2. Il Comune non si è costituito.

3. Alla camera di consiglio del 22 maggio 2013, il collegio ha trattenuto la causa in decisione.

4. Il ricorso non può essere accolto.

L’Amministrazione comunale, infatti, non ha alcun obbligo di provvedere sulle istanze di sanatoria ex art. 13 l. 47/85 (ora, art. 36 del d.P.R. 380/2001), in quanto il silenzio è qualificabile come silenzio provvedimentale con contenuto di rigetto e non come silenzio inadempimento all' obbligo di provvedere (ex multis, Tar Napoli, sez. VI, 05 giugno 2012 n. 2644; Tar Milano, sez. II, 08 giugno 2011 n. 1470).

Nel caso concreto, la circostanza che con la nota del 26 aprile 2012 il Comune abbia comunicato di aver deciso di rilasciare la concessione in sanatoria (senza, peraltro, averlo fatto) non può rilevare ai fini dell’affermazione, in sede giurisdizionale, di un obbligo inesistente.

5. Nulla sulle spese in quanto il Comune non è costituito.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 22 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Giamportone, Presidente

Roberto Valenti, Consigliere

Maria Barbara Cavallo, Primo Referendario, Estensore

 

   

 

   

L'ESTENSORE

 

IL PRESIDENTE

 

   

 

   

 

   

 

   

 

   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 21/06/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

L'irreversibile trasformazione del bene non spoglia il privato del suo diritto di proprietĂ 

Tar Catania, sez. II, sentenza n. 1684 del 4 giugno 2013
Data: 
04/06/2013
In assenza di un valido ed efficace provvedimento di natura ablatoria, il proprietario dell’area occupata resta tale a dispetto dell’intervenuta irreversibile trasformazione

 


 

N. 01684/2013 REG.PROV.COLL.

N. 03103/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3103 del 2009, proposto da ***, rappresentato e difeso dall'avv. Mario Di Mauro, con domicilio eletto presso il suo studio, in Catania, viale M. Rapisardi 186;

contro

il Comune di Castel di Iudica, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Anna Arena, con domicilio eletto presso il suo studio, in Catania, via Firenze, 20;

per l'annullamento,

previa misura cautelare,

- della determina dirigenziale del 20.10.09 di espropriazione definitiva di terreno;

- della deliberazione di Giunta municipale n. 23 del 22.02.01, con cui è stato approvato il progetto dei lavori pubblici;

- di tutti gli atti della procedura di esproprio;

nonché per il risarcimento dei danni per la perdita del fondo e per il periodo in cui questo è stato occupato legittimamente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Castel di Iudica;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 marzo 2013 il dott. Diego Spampinato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso notificato il 24 novembre 2009 e depositato il 7 dicembre 2009, parte ricorrente espone:

- di essere proprietario di un terreno situato nel territorio del Comune di Castel di Iudica, in catasto al foglio 46, particelle 514 e 100;

- che il Comune resistente, con deliberazione della Giunta municipale n. 23 del 22 febbraio 2001, ha dichiarato la pubblica utilità di lavori di recupero urbano della Frazione Giumarra, da realizzare su tale fondo, senza indicare il termine entro il quale avrebbe dovuto essere emanato il decreto di esproprio;

- che il Comune resistente, con ordinanza sindacale n. 5682 del 21 giugno 2001, ha provveduto alla autorizzazione alla occupazione d’urgenza del fondo, occupazione eseguita in data 18 luglio 2001, successivamente procedendo alla irreversibile trasformazione del fondo;

- che il Comune resistente, con determina del dirigente l’ufficio tecnico comunale n. 1334 del 20 ottobre 2009, provvedeva alla emanazione del decreto di esproprio.

Tanto premesso, affida il ricorso ai seguenti motivi.

1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 7 legge 241/1990 per mancata comunicazione di avvio del procedimento.

2. Violazione e falsa applicazione del TU espropriazioni; eccesso di potere per travisamento dei fatti e carenza assoluta di motivazione. Il decreto di esproprio sarebbe intervenuto oltre il termine di cinque anni dalla data della citata deliberazione di Giunta municipale n. 23/2001, ciò che lo renderebbe del tutto illegittimo.

Tanto premesso, chiede il risarcimento dei danni consistenti nella perdita della proprietà del fondo in conseguenza della intervenuta irreversibile trasformazione; precisando che il valore del bene andrebbe individuato alla data di tale irreversibile trasformazione, ovvero dalla scadenza del periodo di occupazione legittima.

Il Comune si è costituito spiegando difese in rito e nel merito.

In particolare, deduce il difetto di giurisdizione del ricorso relativamente al risarcimento dei danni per il periodo di occupazione legittima (memoria depositata il 13 gennaio 2010), nonché la sua irricevibilità per mancata impugnazione nell’ordinario termine decadenziale della deliberazione di Giunta municipale n. 23/2001, dell’ordinanza sindacale 5682/2001 e del provvedimento del 6 febbraio 2002, con cui sarebbe stata stabilita l’indennità provvisoria di esproprio.

Con ordinanza 14 gennaio 2010, n. 69, questa Sezione II interna ha rigettato la domanda cautelare proposta con il ricorso.

All’udienza pubblica del 27 marzo 2013 la causa è stata trattata e trattenuta per la decisione.

DIRITTO

Preliminarmente, va esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione della domanda di condanna al pagamento della indennità di occupazione legittima, proposta dal Comune resistente.

L’eccezione deve essere accolta sussistendo, al riguardo, pacificamente, la giurisdizione del giudice ordinario ai sensi dell'art. 34, comma 3, lett. b), D. Lgs. 80/98, come modificato dall’art. 7, Legge 205/2000, e dell’art. 20, Legge 22 ottobre 1971, n. 865 (ex multis, Cass. civ., Sez. I, 22 dicembre 2011, n. 28456; Cons. Stato, Sez. IV, 22 luglio 2010, n. 4825; Cassazione, SU civili, 5 agosto 2009, n. 17944; TAR Lazio – Roma, Sez. I, 15 gennaio 2009, n. 220; TAR Sicilia – Catania, Sez. II, 24 novembre 2009, n. 1945).

Il periodo di occupazione legittima, riguardo al quale sussiste la giurisdizione della Corte di Appello in ordine alla determinazione della indennità, va dalla immissione in possesso, avvenuta il 18 luglio 2001, giusto verbale redatto dall’incaricato del Comune resistente (allegato al ricorso sub 4), fino al 18 luglio 2006.

Infatti, l'ordinanza sindacale n. 5682 del 21 giugno 2001 (allegata al ricorso sub 3) ha stabilito che l’occupazione d’urgenza «…dovrà avvenire entro tre mesi dalla data della presente Ordinanza e non potrà protrarsi oltre il termine di anni 5 (cinque) dalla data di immissione in possesso…».

In proposito, il Consiglio di Stato ha avuto condivisibilmente modo di affermare che «…In relazione al termine iniziale [del periodo di occupazione illegittima], questo deve essere identificato nel momento in cui l'occupazione dell'area privata è divenuta illegittima, il che significa che decorre dalla prima apprensione del bene, ossia dalla sua occupazione, qualora l'intera procedura espropriativa sia stata annullata, oppure dallo scadere del termine massimo di occupazione legittima, qualora invece questa prima fase sia rimasta integra. Ciò in considerazione che il fatto iniziale di occupazione, se non sono stati annullati tutti gli atti a decorrere dalla dichiarazione di pubblica utilità, diviene illegittimo solo successivamente, ed in ragione degli ulteriori vizi del procedimento, normalmente collegati alla mancata tempestiva emanazione del decreto di esproprio…» (Cons. Stato, Sez. IV, 20 luglio 2011, n. 4408; in tema, anche TAR Sicilia – Catania, Sez. II, 3 agosto 2012, n. 1988).

Pertanto, tale domanda ricade nell’ambito della giurisdizione del Giudice Ordinario, e specificamente in quella della Corte d’Appello in unico grado competente per territorio, avanti alla quale, ai sensi dell’art. 11, comma 2, cpa, è consentito riproporre il giudizio entro il termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente sentenza.

L’eccezione di tardività può invece essere superata, essendo gli atti che il Comune ritiene tardivamente impugnati presupposti dell’impugnato provvedimento di esproprio.

Il Collegio ritiene quindi di precisare come alla vicenda per cui è giudizio non si applichi il TU espropriazioni, essendo stata dichiarata la pubblica utilità dell’opera con la citata delibera 22 febbraio 2001, n. 23; ciò tuttavia non osta alla applicazione alla presente vicenda dell’art. 42-bis di tale TU, atteso il disposto del comma 8 di tale articolo, secondo cui le disposizioni di tale articolo trovano applicazione ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore (sul punto TAR Sicilia – Catania, Sez. II, 26 aprile 2013, n. 1220).

Occorre adesso passare all’esame del merito del ricorso, a fondamento del quale è posto il passaggio della proprietà del fondo al Comune resistente, verificatosi per effetto dell’istituto di origine pretoria denominato “accessione invertita” o “occupazione appropriativa”.

Fino a non molto tempo fa, la giurisprudenza riconduceva vicende analoghe a quella oggetto dell’odierno ricorso all'istituto della c.d. occupazione “appropriativa” o “acquisitiva”, che determinava l'acquisizione della proprietà del fondo a favore della Pubblica Amministrazione per “accessione invertita”, allorché si fosse verificata l'irreversibile trasformazione dell'area; come noto, tale istituto, di origine pretoria, è sorto con la sentenza della Corte di Cassazione del 26 febbraio 1983, n. 1464 (sul punto, Corte costituzionale, 24 ottobre 2007 , n. 349).

Oggi, non potendosi più considerare conforme al nostro ordinamento giuridico l’istituto di conio giurisprudenziale della cd. occupazione appropriativa (sul punto, ex plurimis, CGARS 18 febbraio 2009, n. 49, e, per una ricostruzione dell’istituto e della evoluzione giurisprudenziale, TAR Sicilia – Catania, Sez. II, 7 dicembre 2011, n. 2911), nel solco della recente giurisprudenza della Sezione, deve ritenersi invece che la proprietà del bene non sia passata al Comune resistente in ragione della irreversibile trasformazione degli immobili.

Ad oggi, l’orientamento della giurisprudenza è infatti nel senso di ritenere che, in assenza di un valido ed efficace provvedimento di natura ablatoria, il proprietario dell’area occupata resta tale a dispetto dell’intervenuta irreversibile trasformazione (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. IV, 16 marzo 2012, n. 1514).

Ciò però non conduce necessariamente al rigetto della domanda di risarcimento dei danni derivanti dalla perdita della proprietà dei terreni in conseguenza della irreversibile trasformazione da essi subita.

Sul punto, questa Sezione II interna ha avuto infatti modo di statuire come la domanda di risarcimento basata su tali presupposti possa trovare accoglimento, mediante una pronuncia che obblighi l’Amministrazione alla cessazione della illegittima detenzione del bene attraverso l’utilizzo dell’istituto di cui all’art. 42-bis del TU espropriazioni, puntando la domanda risarcitoria per equivalente comunque alla tutela della situazione proprietaria (sul punto, fra le altre, sentenze 4 luglio 2012, n. 1652, e, da ultimo, 26 aprile 2013, n. 1220, alle cui motivazioni, ai sensi dell’art. 88, comma 2, cpa, si rinvia).

In particolare, la citata sentenza 1220/2013 ha avuto modo di precisare come «…se il giudice non può rilevare fatti non prospettati dalle parti ed esprimere statuizioni che non trovino corrispondenza nelle prospettate domande, allo stesso non è preclusa, nell’ambito della situazione di fatto indicata dal ricorrente, una valutazione giuridica autonoma rispetto a quella prospettata dall’interessato (…) tale valutazione giuridica autonoma consiste, per l’appunto, nel ritenere che - a differenza di quanto formalmente prospettato dai ricorrenti - nella specie non risulti applicabile la disciplina di cui all’istituto di origine giurisprudenziale della cosiddetta occupazione acquisitiva e debbano, quindi, affermarsi i diversi obblighi restitutori e risarcitori, anche alternativi fra loro, che sono posti a carico dell’Amministrazione in base alla disciplina vigente (sia quella di diritto comune che quella di cui all’art. 42-bis d.p.r. n. 327/2001…)».

Nel caso di specie, la citata delibera 22 febbraio 2001, n. 23, prevedeva che i lavori e le espropriazioni dovessero avere inizio entro due anni dalla data della delibera ed essere ultimate entro tre anni dalla data di inizio; l’immissione in possesso è avvenuta in data 18 luglio 2001, per cui il provvedimento di esproprio avrebbe dovuto essere emanato entro il 18 luglio 2004; essendo stato emanato in data successiva, il provvedimento di esproprio è tardivo e quindi inidoneo a modificare in via autoritativa l’assetto proprietario (ex plurimis, TAR Sicilia – Catania, Sez. II, 26 aprile 2013, n. 1220, alle cui motivazioni sul punto, ai sensi dell’art. 88, comma 2, cpa, si rinvia).

Né a diversa decisione potrebbe peraltro indurre la circostanza che, con deliberazione di Giunta municipale n. 13 del giovedì 23 febbraio 2006 (allegata alla memoria di costituzione del Comune sub 17), il progetto è stato nuovamente approvato; anche a voler ritenere che il termine fosse di cinque anni, e non di tre, la delibera sarebbe comunque intervenuta dopo la scadenza dei 5 anni dalla precedente (esattamente, il giorno dopo; sul punto, Cass. civ., Sez. lavoro, 27 gennaio 1987, n. 757), ciò che comporta la sua inidoneità a prorogare il termine, essendo questo già scaduto (in proposito, ex plurimis, TAR Sicilia – Catania, Sez. II, 7 dicembre 2011, n. 2911).

Per tali motivi, la domanda di risarcimento dei danni derivanti dalla perdita della proprietà dei terreni in conseguenza della irreversibile trasformazione da essi subita deve essere accolta ordinando al Comune di Castel di Iudica, in base al disposto dell’art. 42-bis, TU espropriazioni, di restituire (previa sua riduzione in pristino) il bene irreversibilmente trasformato, ovvero di acquisirlo ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 42-bis TU espropriazioni.

Il Collegio ritiene opportuno disporre che il Comune di Castel di Iudica si determini in ordine alla restituzione o all’acquisizione del bene nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa o notificazione di parte, se anteriore, della presente sentenza.

Resta ovviamente salva ogni altra ipotesi di acquisto legittimo del bene di cui si tratta.

Le spese seguono la soccombenza, venendo liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania (Sezione II interna), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, in parte lo dichiara inammissibile, ed in parte lo accoglie, ai sensi e nei limiti di cui in motivazione; per l’effetto: 1) condanna il Comune di Castel di Iudica a restituire a parte ricorrente, previa riduzione in pristino, i terreni di sua proprietà ancora illegittimamente occupati, ovvero, in alternativa, ad acquisire l’immobile ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 42-bis TU espropriazioni, salva ogni altra ipotesi di acquisto legittimo del bene di cui si tratta; 2) dispone che il Comune di Castel di Iudica si determini in ordine alla restituzione o all’acquisizione della superficie di cui si tratta entro sessanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa o notificazione di parte, se anteriore, della presente sentenza e che l’eventuale provvedimento di acquisizione sia tempestivamente notificato ai proprietari e trascritto presso la conservatoria dei registri immobiliari a cura di tale Comune, nonché comunicato alla Corte dei Conti.

Condanna altresì il Comune di Castel di Iudica al pagamento, nei confronti di parte ricorrente, delle spese processuali del presente grado di giudizio, che liquida, in via equitativa, in complessivi euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge, nonché alla rifusione del contributo unificato corrisposto da parte ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:

Salvatore Veneziano, Presidente

Rosalia Messina, Consigliere

Diego Spampinato, Referendario, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/06/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Oneri di urbanizzazione: quando sorge il diritto alla restituzione?

Tar Catania, Sez. I, sentenza del 18 gennaio 2013, n. 159
Data: 
18/01/2013

"Allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ex artt. 2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente".

 

 

N. 00159/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00437/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 437 del 2012, proposto da:
************************, rappresentati e difesi dall'avv. ********, con domicilio eletto presso lo stesso, in Catania, ***************************;

contro

Il Comune di Tremestieri Etneo, non costituito in giudizio;

per l'accertamento

del diritto dei ricorrenti alla restituzione della complessiva somma di euro 158.000,00, versati al Comune di Tremestieri Etneo quale prima rata degli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione per la realizzazione di una struttura riabilitativa , la cui concessione edilizia non è stata ritirata, nè è stato dato corso ai relativi lavori,

nonché per la condanna del Comune medesimo al pagamento della suddetta somma maggiorata da interessi legali dall’1.01.2001 al soddisfo.

 


 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 64 e 74 c.p.a.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 dicembre 2012 il dott. Salvatore Schillaci e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO e DIRITTO

I ricorrenti sono comproprietari di un lotto di terreno sito nel territorio del Comune di Tremestieri Etneo, distinto in Catasto al Foglio 7 particelle 239, 600 e 885.

Con istanza del 17.03.2 006 hanno presentato un progetto edilizio per la realizzazione di una struttura riabilitativa con poliambulatorio specialistico che sarebbe dovuta sorgere su detto lotto di terreno.

Il progetto era previsto in variante al P.R.G. in quanto l'area oggetto dell'intervento ricade, secondo il vigente programma di fabbricazione e piano particolareggiato di recupero, in Zona F1-attrezzature scolastiche ed in Zona F4 - verde pubblico.

Per l'approvazione della variante urbanistica richiesta è stata indetta la Conferenza di Servizi che ha espresso parere favorevole alla realizzazione del progetto edilizio.

Il Consiglio Comunale, con deliberazione del 6.08.2 009 n. 59, ha approvato la variante urbanistica richiesta dagli odierni ricorrenti fissando espressamente " ... nel termine di Dicembre 2009 la data di ritiro della relativa concessione edilizia stabilendo nel termine di un anno, dal rilascio della stessa, l'inizio dei lavori e tre anni, dalla comunicazione d'inizio, per la relativa ultimazione, decorsi i quali la variante urbanistica connessa al progetto approvato deve intendersi decaduta, con l'automatica acquisizione della destinazione urbanistica originaria dell'area interessata in atto prevista dal vigente strumento urbanistico. Sono fatti salvi i termini e le condizioni fissate dall 'art. 36 della L.R. n. 71/78, relativi alla validità della necessaria concessione edilizia e la eventuale proroga della stessa... ".

In vista del ritiro della concessione edilizia, gli odierni ricorrenti provvedevano a versare al Comune di Tremestieri Etneo la prima rata degli oneri di urbanizzazione e costo di costruzione dell'importo complessivo pari ad € 158.000,00 tramite bonifico bancario del 29.12.2009, con causale "...prima rata oneri urbanistici delibera Comune di Tremestieri Etneo (CT) n. 59 del 6.08.2009 concessione edilizia... " .

Gli odierni ricorrenti non hanno poi ritirato la concessione edilizia per la realizzazione della struttura riabilitativa con poliambulatorio specialistico, né hanno dato corso ai relativi lavori.

Essendo ormai definitivamente scaduta la variante urbanistica in questione, i ricorrenti, con nota raccomandata A/R del 4.08.2011 recapitata il successivo 9.08.2011, hanno chiesto al Comune di Tremestieri Etneo di volere provvedere alla restituzione della complessiva somma di € 158.000,00 senza ricevere, però, alcun positivo riscontro in merito.

Successivamente il legale dei ricorrenti, con nota raccomandata A/R dell'11.11.2011, recapitata il successivo 14.11.2011, invitava il Comune di Tremestieri Etneo a procedere al pagamento in favore dei germani Grasso della somma di € 158.000,00 avvertendo che, in difetto, si sarebbe adita l'Autorità Giudiziaria .

Il Comune di Tremestieri Etneo non rispondeva neanche a tale successiva richiesta, né ha

provveduto alla restituzione delle somme richieste.

I ricorrenti concludono insistendo per l’accoglimento della domanda come formulata in epigrafe.

Alla pubblica udienza del 20.12.2012, la causa è stata assegnata a sentenza.

Il ricorso merita accoglimento.

Allorché il privato rinunci o non utilizzi il permesso di costruire ovvero anche quando sia intervenuta la decadenza del titolo edilizio, sorge in capo alla p.a., anche ex artt. 2033 o, comunque, 2041 c.c., l’obbligo di restituzione delle somme corrisposte a titolo di contributo per oneri di urbanizzazione e costo di costruzione e conseguentemente il diritto del privato a pretenderne la restituzione. Il contributo concessorio è, infatti, strettamente connesso all'attività di trasformazione del territorio e quindi, ove tale circostanza non si verifichi, il relativo pagamento risulta privo della causa dell’originaria obbligazione di dare cosicché l’importo versato va restituito; il diritto alla restituzione sorge non solamente nel caso in cui la mancata realizzazione delle opere sia totale, ma anche ove il permesso di costruire sia stato utilizzato solo parzialmente (cfr: CS, V, 2.02.1988 n.105, 12.06.1995 n.894 e 23.6.2003 n.3714; TAR Lombardia, Sez. II°, 24.03.2010,n.728 e TAR Abruzzo 15.12.2006 n.890, TAR Parma 7.04.1998 n.149).

Sulle somme da restituire vanno applicati gli interessi al tasso legale con decorrenza, nella peculiare fattispecie, dalla data di ricezione da parte del Comune (9.08.2011) della richiesta di restituzione inviata dagli odierni ricorrenti, atteso che questi ultimi, pur avendo inutilmente dato luogo ad una complessa ed articolata attività amministrativa, hanno poi tenuto un comportamento non significativo che in ipotesi avrebbe potuto sfociare anche in un riutilizzo del titolo abilitativo edilizio.

In conclusione, va dichiarato il diritto dei ricorrenti alla restituzione, da parte del Comune di Tremestieri Etneo, della somma di € 158.000,00 oltre interessi al tasso legale a partire dal 9 agosto 2011 all’effettivo soddisfo, con conseguente condanna del Comune medesimo al pagamento di tali importi.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima),

definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso, come in epigrafe proposto, e, per l’effetto, dichiara il diritto dei ricorrenti alla restituzione, da parte del Comune intimato, della somma di € 158.000,00, oltre interessi come da motivazione, con correlata condanna del Comune intimato al pagamento dei relativi importi in favore dei ricorrenti.

Condanna altresì il Comune di Tremestieri Etneo al pagamento dei compensi del giudizio, che liquida in complessivi € 1.400,00 (millequattrocento/00), oltre iva, cpa e rimborso del contributo unificato e spese di notifica.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Biagio Campanella, Presidente

Salvatore Schillaci, Consigliere, Estensore

Giuseppa Leggio, Consigliere

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 

Accesso agli atti: il proprietario di un terreno confinante con un’area oggetto di interventi edilizi ha diritto di accedere a tutti i documenti amministrativi abilitativi per l’esecuzione delle opere

Tar Catania, Sez. I, sentenza del 18 gennaio 2013, n. 157
Data: 
18/01/2013

N. 00157/2013 REG.PROV.COLL.

N. 00107/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 107 del 2010, proposto da:
***************, rappresentato e difeso dall'avv.*******************, con domicilio eletto presso la Segreteria del TAR in Catania, via Milano 42a;

contro

Comune di Meri';

nei confronti di

*********************;

per l'annullamento

del silenzio - rigetto serbato dal Comune di Merì sull'istanza di accesso presentata dal ricorrente in data 10/11/2009.

 


 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2012 il dott. Agnese Anna Barone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO e DIRITTO

Il ricorrente è proprietario di un immobile nel Comune di Merì ( già interessato da un progetto di variante per la realizzazione di una strada) e confinante con il fabbricato dei controinteressati ai quali è stata rilasciata la concessione edilizia n. 7/2009.

Con istanza del 10/11/2009, il ricorrente ha chiesto l’accesso agli atti richiamati nella predetta concessione edilizia, motivando la richiesta di accesso con la necessità di verificare la legittimità del titolo edilizio.

La richiesta di accesso non è stata mai riscontrata e il ricorrente ha proposto il presente ricorso per l'accertamento del diritto all’accesso agli atti richiesti, ai sensi dell'art. 25 della legge n. 241/1990.

Alla camera di consiglio del 20 dicembre 2012, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è fondato.

E’ infatti pacifico che il proprietario di un terreno confinante con un’area oggetto di interventi edilizi ha diritto di accedere a tutti i documenti amministrativi abilitativi per l’esecuzione delle opere, e ,nel caso di specie, la richiesta di accesso risulta sufficientemente circostanziata e motivata.

Pertanto, il ricorso è fondato e va accolto con conseguente ordine al Comune di Merì di esibire al ricorrente gli atti richiesti con l’istanza del 10/11/2009 entro il termine di 30 giorni decorrenti dalla notificazione della presente sentenza ad opera del ricorrente, o dalla sua comunicazione in via amministrativa.

Le spese seguono la soccombenza secondo la liquidazione operata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

accoglie il ricorso in epigrafe e, per l'effetto, ordina al Comune di Merì di esibire al ricorrente gli atti richiesti con l’istanza del 10/11/2009, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, ovvero dalla sua notificazione ad opera di parte.

Condanna l'Amministrazione al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in complessivi € 1000,00 ( euro mille/00), oltre IVA, CPA e oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 20 dicembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Biagio Campanella, Presidente

Salvatore Schillaci, Consigliere

Agnese Anna Barone, Primo Referendario, Estensore

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Piano di lottizzazione in violazione di preesistente servitĂą di passaggio: la giurisdizione spetta al g.a. quando si fa valere la violazione del diritto a partecipare al procedimento amministrativo

Tar Catania, Sez. I, sentenza del 17 gennaio 2013, n. 125
Data: 
17/01/2013

"L’Amministrazione comunale ha il dovere di verificare se chi ha chiesto l’approvazione di un piano di lottizzazione ed il relativo titolo edificatorio ne abbia titolo legittimante (art. 11 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), nel senso che non solo il permesso di costruire può essere rilasciato a chi è proprietario dell'area utilizzabile per la costruzione, ma che lo stesso può essere rilasciato solo a coloro la cui facoltà edificatoria non sia soggetta a limitazioni.

I ricorrenti, confinanti con l'area interessata dall'intervento per cui è causa, lamentano un pregiudizio correlato alla prevista soppressione della stradella che consente loro il passaggio pedonale e veicolare su tale area fino al congiungimento con la pubblica via, ed in questa sede contestano la violazione da parte dell’Amministrazione comunale delle regole che garantiscono l’effettività della partecipazione procedimentale. Essi sostengono di essere stati esclusi dal procedimento di formazione del piano di lottizzazione impugnato, lamentando inoltre di non aver ricevuto alcun riscontro da parte dell’ente pubblico alla opposizione presentata a tutela della loro situazione di vantaggio, asseritamente compromessa dal più volte richiamato piano di lottizzazione

Si tratta all’evidenza di censure che debbono essere esaminate dal Giudice Amministrativo, poiché attengono all'interesse al corretto esercizio dell'azione amministrativa procedimentale"

 

N. 00125/2013 REG.PROV.COLL.

N. 01210/2011 REG.RIC.

     

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA     

sul ricorso numero di registro generale 1210 del 2011, proposto da:
*********, *************, rappresentati e difesi dall'avv. **********, con domicilio eletto presso avv. ************in Catania, *********************;

contro

Comune di Vittoria, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Tamburello, con domicilio eletto presso avv. Giuseppe Tamburello in Catania, via Ventimiglia, 145;

nei confronti di

Immobiliare *********** s.a.s., rappresentato e difeso dall'avv.**********, con domicilio eletto presso avv. ******************in Catania, via ***************;

per l'annullamento

- della delibera del Consiglio Comunale di Vittoria n. 158 del 30/11/2010;

- del “piano di lottizzazione in zona C1 del PRG, ai sensi dell’art. 28 della legge 1150/42 s.m.i. e dell’art. 14 della l.r. n. 71/78 s.m.i. e relativo schema di convenzione. Ditta: “Immobiliare Caggia Germano s.a.s.” e di ogni atto allo stesso allegato;

- ogni altro atto o provvedimento, antecedente o successivo, comunque connesso, presupposto o consequenziale, compresi gli atti regolamentari richiamati nel suindicato provvedimento.

 


 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Comune di Vittoria e della Immobiliare Caggia Germano s.a.s.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22 novembre 2012 il dott. Giuseppa Leggio e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 


 

FATTO

Con il ricorso in esame, notificato il 02.03.2011 e depositato in data 31.03.2011, i ricorrenti Sig.ri Paolo Belfiore e Concetta Di Pietro hanno impugnato la deliberazione del Consiglio Comunale di Vittoria n. 158 del 30/11/2010, con la quale è stato approvato il piano di lottizzazione presentato dalla società “Immobiliare Caggia Germano s.a.s.”, da realizzarsi su terreno di proprietà della società stessa in c.da Boscopiano del Comune di Vittoria, ricadente in zona C1 (zona di espansione ) del P.R.G. di Vittoria.

I ricorrenti sono proprietari di un lotto di terreno limitrofo al terreno oggetto della lottizzazione impugnata, identificato in catasto al foglio n. 67, ex particelle 62 e 1305, e vantano una preesistente servitù di passaggio su parte del fondo di proprietà della società controinteressata ( ex particelle 851 e 1304, lungo il confine con la ex particella 1145), che consente loro l’accesso alla pubblica via (strada di circonvallazione, oggi via Giuseppe Impastato).

Essi, con atto prot. 59474 del 24.12.2010, hanno proposto formale opposizione avverso l’approvazione dell’indicato piano di lottizzazione, che a loro dire, non tenendo conto della preesistente servitù di passaggio in loro favore, avrebbe previsto la soppressione della stradella privata che in atto consente l’esercizio della servitù, al confine con l’ex p.lla 1145, ed avrebbe modificato la viabilità in modo tale da impedire l’accesso alla via pubblica ed intercludere di fatto il fondo di loro proprietà, il quale in definitiva verrebbe ad essere penalizzato quanto alle proprie caratteristiche urbanistiche, con conseguenti ricadute anche di carattere economico sul valore commerciale del fondo che, non avendo più sbocco sulla via pubblica, vedrebbe irrimediabilmente compromessa la propria destinazione urbanistica quale fondo classificato in zona C1 del P.R.G. del Comune di Vittoria, come tale suscettibile di essere lottizzato al pari di quello della controinteressata.

Non avendo ricevuto alcun riscontro da parte dell’amministrazione comunale, i ricorrenti hanno dunque proposto il ricorso in epigrafe, affidato ai seguenti motivi:

1) Violazione degli artt. 3, 7 e 8, della legge 7 agosto 1990, n. 241. Difetto di istruttoria.

2) Violazione dell'art. 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150. Falso ed erroneo presupposto di fatto e di diritto. Eccesso di potere per travisamento dei fatti.

3) Violazione della legge 7 agosto 1990, n. 241; violazione dei principi di buon andamento ed efficienza dell’azione amministrativa.

4) Violazione dell’art 28 della legge 17 agosto 1942, n. 1150, violazione dell’art. 14 della Legge regionale 27/12/1978 n. 71. Falso ed erroneo presupposto di fatto e di diritto.

5) Violazione della legge 17 agosto 1942, n. 1150. Falso ed erroneo presupposto di fatto e di diritto. Eccesso di potere per sviamento dall’interesse pubblico.

6) Violazione della legge 17 agosto 1942, n. 1150. Falso ed erroneo presupposto di fatto e di diritto. Eccesso di potere per difetto di istruttoria.

7) Eccesso di potere per difetto di istruttoria, illogicità ed incongruità manifeste; eccesso di potere per sviamento dall’interesse pubblico; violazione delle norme di corretta progettazione inerenti alle strade.

8) e 9) Eccesso di potere, illogicità ed incongruità manifesta; Violazione dei principi di buon andamento ed efficienza dell’azione amministrativa.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Vittoria e la controinteressata “ Immobiliare Caggia Germano s.a.s.”, che hanno preliminarmente sollevato eccezione di difetto di giurisdizione del Giudice amministrativo, sull’assunto che i ricorrenti lamenterebbero nella fattispecie una lesione al loro diritto soggettivo di servitù di passaggio e pertanto la questione, attenendo ad un rapporto privatistico, esulerebbe dalla giurisdizione di questo Giudice; hanno eccepito altresì la irricevibilità del ricorso per tardività della sua notificazione.

Le parti resistenti hanno chiesto nel merito una declaratoria di infondatezza del ricorso.

Con ordinanza collegiale istruttoria n. 1067/11 del 29.04.2011 la Sezione ha disposto consulenza tecnica d’ufficio e con successiva ordinanza n. 1349/11 del 10.11.2011 ha accolto l’istanza di sospensione degli effetti dei provvedimenti impugnati.

All’odierna udienza pubblica la causa è passata in decisione.

DIRITTO

Va preliminarmente esaminata l’eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dalle costituite parti resistenti sull’assunto che i ricorrenti lamenterebbero nella fattispecie in esame una lesione al loro diritto soggettivo di servitù di passaggio, e pertanto la questione, attenendo ad un rapporto privatistico, esulerebbe dalla giurisdizione di questo Giudice.

L’argomentazione non può trovare condivisione.

Il Collegio riconosce sussistere la giurisdizione del Giudice Amministrativo, tenuto conto che materia dell'impugnativa è l'esercizio dei pubblici poteri procedimentali e propedeutici alla deliberazione di approvazione del piano di lottizzazione e non l'accertamento di un diritto soggettivo, vantato dai ricorrenti, che inibisca la facoltà edificatoria di parte controinteressata.

Invero i ricorrenti affermano l'esistenza di una servitù di passaggio posta a loro vantaggio sul terreno confinante, ma indicandola come elemento eziologico a fondamento della deduzione con la quale essi contestano il corretto esercizio dei poteri istruttori dell'Amministrazione comunale nella pratica avviata dalla società controinteressata con la richiesta di concessione per l’attuazione del piano di lottizzazione convenzionato in argomento.

In sostanza, i sig.ri Belfiore e Di Pietro non chiedono al Giudice Amministrativo l'accertamento della servitù reale a loro vantaggio, bensì che sia valutato l'esercizio della potestà amministrativa di verifica, da esercitare a cura degli organi preposti al procedimento di esame della domanda di approvazione del piano di lottizzazione presentato, quanto ai requisiti utili come dichiarati dalla società richiedente.

E’ con riguardo a detto esercizio che sono dedotti i vizi di legittimità indicati in narrativa, posto che l’Amministrazione comunale ha il dovere di verificare se chi ha chiesto l’approvazione di un piano di lottizzazione ed il relativo titolo edificatorio ne abbia titolo legittimante (art. 11 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), nel senso che non solo il permesso di costruire può essere rilasciato a chi è proprietario dell'area utilizzabile per la costruzione, ma che lo stesso può essere rilasciato solo a coloro la cui facoltà edificatoria non sia soggetta a limitazioni.

I ricorrenti, confinanti con l'area interessata dall'intervento per cui è causa, lamentano un pregiudizio correlato alla prevista soppressione della stradella che consente loro il passaggio pedonale e veicolare su tale area fino al congiungimento con la pubblica via, ed in questa sede contestano la violazione da parte dell’Amministrazione comunale delle regole che garantiscono l’effettività della partecipazione procedimentale. Essi sostengono di essere stati esclusi dal procedimento di formazione del piano di lottizzazione impugnato, lamentando inoltre di non aver ricevuto alcun riscontro da parte dell’ente pubblico alla opposizione presentata a tutela della loro situazione di vantaggio, asseritamente compromessa dal più volte richiamato piano di lottizzazione ( la risposta del Comune è in effetti intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso giurisdizionale, con relazione del Dirigente del Settore Urbanistica n. 2222 del 15.03.2011).

Si tratta all’evidenza di censure che debbono essere esaminate dal Giudice Amministrativo, poiché attengono all'interesse al corretto esercizio dell'azione amministrativa procedimentale.

Va rigettata altresì l’eccezione di tardività del ricorso, sollevata dalle parti resistenti sul presupposto che i ricorrenti avrebbero avuto la piena conoscenza della deliberazione di approvazione del piano di lottizzazione in contestazione già a far data dal 24.12.2010, data in cui gli stessi hanno presentato opposizione avverso la delibera, con la conseguenza che il ricorso notificato il 2 marzo 2011 sarebbe tardivo e perciò irricevibile.

L’art. 41, comma 2, del codice del processo amministrativo stabilisce che in tutti i casi in cui non sia necessaria la notificazione individuale del provvedimento e sia al contempo prescritta da una norma di legge o di regolamento la pubblicazione dell'atto in un apposito albo, il termine di sessanta giorni per proporre l'impugnazione decorre dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione ( analoga formulazione aveva anche l'abrogato art. 21 della L. n. 1034 del 1971).

Nella vicenda che ci occupa, la deliberazione comunale di approvazione del piano di lottizzazione in questione è stata pubblicata all’Albo Pretorio comunale dal 19.12.2010 al 02.01.2011, ed è da questo giorno, l’ultimo giorno di pubblicazione dell'atto impugnato mediante affissione all'Albo pretorio comunale, che decorre il termine di sessanta giorni per la notificazione del ricorso giurisdizionale, essendo irrilevante che i ricorrenti abbiano avuto conoscenza del provvedimento in questione mentre era in corso la sua pubblicazione ( il 24.12.2010 ).

Ne consegue che il ricorso in esame, notificato il 2 marzo 2011, è tempestivo e ricevibile.

Nel merito, il ricorso deve essere accolto, stante la sostanziale fondatezza della prima e della terza censura.

I ricorrenti, come già esposto in fatto, sono confinanti con l'area interessata dall'intervento per cui è causa e lamentano un pregiudizio correlato alla soppressione, prevista nel piano di lottizzazione impugnato, della preesistente stradella che in atto consente loro il passaggio pedonale e veicolare sulle particelle gravate dalla servitù, fino al congiungimento con la pubblica via.

Essi, perciò, hanno titolo ad intervenire nel procedimento di formazione della volontà amministrativa in ordine alla domanda di concessione per l’attuazione del predetto piano di lottizzazione sull’area confinante, su parte della quale grava la preesistente servitù di passaggio, e l'Amministrazione ha l'obbligo di garantire la loro partecipazione al procedimento e di valutare gli scritti e i documenti da essi presentati in merito all'oggetto del procedimento.

I ricorrenti rivestono infatti un interesse contrario alla realizzazione del piano di lottizzazione presentato dalla ditta controinteressata ed approvato dal Comune, per quanto concerne il tracciato della viabilità, che modificando l’originaria servitù di passaggio gravante su una parte dell’area da lottizzare ha di fatto determinato, con l’eliminazione dell’accesso alla via pubblica, l’interclusione del loro fondo, così come risulta dalla relazione di c.t.u. ( allegato 4 : “ a seguito dell’approvazione del piano di lottizzazione il fondo dei ricorrenti sarebbe raggiungibile solo mediante passaggio da strade private e, a meno di una ridefinizione di una nuova servitù di passaggio, in punto di fatto il fondo è da ritenersi intercluso” ) ; ed in tale posizione antitetica gli stessi avevano proposto al Comune di Vittoria l’opposizione del 24.12.2010,

L’esistenza della servitù, peraltro, era nello specifico immediatamente conoscibile da parte dell’Amministrazione comunale, atteso che la stessa risulta dal rogito di stipula della compravendita del terreno in questione da parte della società controinteressata, nel quale “la parte acquirente dichiara di essere a conoscenza che parte del suolo in oggetto rappresentato dalle particelle 851 e 1304 predette è attraversato, lungo il confine con la particella 1145, da stradella privata larga metri 5, che inizia dalla strada circonvallazione fino a immettersi nel lotto di terreno rappresentato in catasto dalle particelle 1305 e 62 del detto foglio 67;…” ( quello di proprietà dei ricorrenti).

Il vincolo gravante sull’area interessata dalla realizzanda lottizzazione è inoltre riconosciuto dalla stessa controinteressata, che nelle proprie controdeduzioni all’opposizione dei ricorrenti riconosce espressamente che nel piano di lottizzazione la servitù risulta spostata rispetto al percorso originario, anche se nella prospettazione della controinteressata lo spostamento risulterebbe migliorativo per i ricorrenti.

Risulta, infine, dalla espletata c.t.u. che la preesistente servitù di passaggio è stata modificata attraverso un nuovo tracciato che, così come lamentato dai ricorrenti, rende impossibile agli stessi l’accesso alla strada pubblica, in quanto il piano prevede, al posto della stradella in atto esistente, una strada più larga di quella attuale, la quale “si collega non direttamente alla via pubblica ma tramite strade private di accesso ai vari lotti” (relazione di CTU sub punto 6). La C.T.U. conferma, dunque, che “la viabilità non rispecchia lo stato delle servitù private di passaggio e non sfrutta la via pubblica per il fondo dei ricorrenti”.

Risultano pertanto fondati i motivi di ricorso incentrati sulla violazione del contraddittorio procedimentale.

All’omessa partecipazione al procedimento dei ricorrenti confinanti non pone rimedio la risposta dell’Amministrazione comunale all’opposizione del 24.12.2010, intervenuta in corso di causa, né le deduzioni della società controinteressata alla quale il Comune, con nota del 19.01.2011, aveva trasmesso l’opposizione predetta, che erroneamente escludono che l'Amministrazione chiamata ad esprimersi in merito alle richieste di titoli abilitanti all'esercizio delle facoltà edificatorie debba compiere valutazioni diverse dal controllo della regolarità urbanistica, poiché oggetto della valutazione dell'Autorità pubblica deve essere altresì la legittimazione soggettiva allo ius aedificandi ed i suoi limiti nei casi concreti (art. 11 D.P.R. n. 380 del 2001).

La fondatezza delle censure esaminate è sufficiente a determinare l'annullamento, in questa sede, dei provvedimenti impugnati.

Le spese del giudizio sono poste a carico dell'Amministrazione comunale di Vittoria e liquidate a favore dei ricorrenti nella misura di cui in dispositivo, mentre possono essere compensate con la società controinteressata.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

accoglie il ricorso in epigrafe e, per l'effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Condanna il Comune di Vittoria a corrispondere ai ricorrenti la somma di Euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) per le spese processuali, oltre accessori di legge e rimborso del contributo unificato.

Spese compensate con la parte controinteressata.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 22 novembre 2012 con l'intervento dei magistrati:

 

 

Biagio Campanella, Presidente

Francesco Bruno, Consigliere

Giuseppa Leggio, Consigliere, Estensore

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Espropriazione e responsabilità derivanti dall’esecuzione della procedura: sussiste o no responsabilità solidale tra ente concedente e ente concessionario?

Tar Catania, Sez. II, sentenza del 17 gennaio 2013, n. 79
Data: 
17/01/2013

"Nell’ipotesi di opere realizzate in regime di concessione, la responsabilità per le indennità ed i risarcimenti nei confronti di terzi sono esclusivamente a carico del soggetto concessionario, qualora tale conclusione risulti conforme alle previsioni contenute nella disciplina del titolo concessorio. In questi casi l’ente sostituto (cioè il concessionario) agisce per l’esecuzione dell’opera non in rappresentanza dell’Amministrazione sostituita, ma per competenza propria e spendendo il proprio nome di persona giuridica diversa, assumendo quindi di fronte all’espropriato o al titolare del bene occupato tutti gli obblighi relativi o derivanti dal procedimento (inclusi quelli risarcitori), con esclusione della legittimazione passiva del concedente, anche nel caso in cui quest’ultimo risulti il beneficiario delle opere realizzate.

 

N. 00079/2013 REG.PROV.COLL.

N. 03413/2010 REG.RIC.

N. 01258/2011 REG.RIC.

    

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA    

sul ricorso numero di registro generale 3413 del 2010, proposto da:
***************, rappresentata e difesa dall’Avv. ****************, con domicilio presso la Segretaria del Tar di Catania, in Catania, Via Milano 42/a;

contro

- Consorzio per le Aree di Sviluppo Industriale della Provincia di Messina, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli Avv.ti Giovanna Monaco e Lucrezia Zingale, con domicilio presso la prima, in Catania, Via F. Crispi, 239;
- Comune di San Piero Patti, non costituito in giudizio;

nei confronti di

Domenico Venuti, rappresentato e difeso dall’Avv. Giuseppa Giannetto, con domicilio presso Gea Basile, in Catania, Via Canfora 135;

 

sul ricorso numero di registro generale 1258 del 2011, proposto da:
Adele Venuti ed Armando Venuti, rappresentati e difesi dall’Avv. Nazareno Pergolizzi, con domicilio presso la Segreteria del Tar Catania, in Catania, Via Milano 42/a;

contro

- Assessorato alle Attività Produttive della Regione Siciliana, in persona dell’Assessore pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria in Catania, Via Vecchia Ognina 149;
- Consorzio per L'Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Messina, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Lucrezia Zingale, con domicilio presso Giovanna Monaco, in Catania, Via F. Crispi 239;
- Comune di San Piero Patti, in persona del Sindaco pro- tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Fulvio Cintioli, con domicilio presso Carmelo Toscano, in Catania, Via della Scogliera 1;
 

per la condanna

quanto al ricorso n. 3413 del 2010:

delle Amministrazioni intimate alla restituzione del bene ed al risarcimento del danno;

e per la condanna

quanto al ricorso n. 1258 del 2011:

delle Amministrazioni intimate al risarcimento del danno.

 


 

Visti i ricorsi e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Consorzio per le Aree di Sviluppo Industriale della Provincia di Messina, di Domenico Venuti, dell’Assessorato alle Attività Produttive della Regione Siciliana e del Comune di San Piero Patti;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 5 dicembre 2012 il dott. Daniele Burzichelli e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 


 

FATTO e DIRITTO

1) Venuti Adele, in proprio e quale erede di Speciale Maria e tutore di Venuti Armando, e Venuti Domenico, in proprio e quale erede di Speciale Maria e Venuti Nicolò, hanno evocato in giudizio innanzi al Tribunale di Patti il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Messina, la Cooperativa Edilter a r.l. ed il Comune di San Piero Patti, chiedendo la restituzione di un terreno di loro proprietà occupato, a seguito di provvedimento emanato dal Comune di Patti, per la realizzazione di un nucleo agro-industriale, ovvero, in subordine, per conseguire le indennità dovute per la perdita del bene, oltre il risarcimento del danno.

Con sentenza n. 215/10 in data 16 giugno 2010 il Tribunale di Patti ha dichiarato l’improcedibilità della domanda formulata nei confronti della Cooperativa Edilter a r.l. (essendo intervenuta rinuncia all’azione da parte degli attori nel corso dell’udienza in data aprile 2005) ed il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, fissando il termine di sei mesi dalla comunicazione della decisione per la riassunzione del giudizio innanzi al giudice amministrativo.

2) Con ricorso iscritto al n. 3413/2010, proposto nei confronti del Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Messina e del Comune di Patti e notificato - anche a Venuti Domenico, indicato come controinteressato - in data 11 dicembre 2010, Venuti Adele, anche nella qualità di erede pro-quota di Venuti Nicolò, ha riassunto innanzi a questo Tribunale il giudizio già proposto innanzi al Tribunale di Patti, richiamandosi integralmente a quanto già dedotto in tale sede, e cioè che: a) con ordinanza n. 61 in data 30 settembre 1988, il Sindaco del Comune di San Piero Patti ha disposto l’occupazione d’urgenza di parte di un immobile di proprietà degli attori, facendo riferimento ad un progetto approvato dal Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Messina con provvedimento n. 142 del 29 giugno 1988; b) con atto in data 24 gennaio 1989, il Sindaco del Comune ha avvisato gli attori che in data 27 febbraio 1989 sarebbe intervenuta l’immissione in possesso; c) il fondo è stato effettivamente occupato in data 27 febbraio 1989 ed è stato successivamente trasformato in modo irreversibile; d) in data 8 settembre 1989 la Cooperativa Edilter a r.l., nella qualità di concessionaria dei lavori, ha formulato offerta per l’indennità di espropriazione ai sensi dell’art. 12, secondo comma, legge n. 865/1981. Trattandosi di una procedura espropriativa funzionale alla realizzazione di un impianto produttivo e commerciale di valenza sovracomunale, la competenza a disporre l’occupazione del bene non apparteneva al Sindaco, si chiedeva, in conseguenza, la restituzione dell’immobile o, in subordine, le indennità dovute per la perdita del terreno, nonché il risarcimento dei danni subiti..

Si è costituito nel presente giudizio Venuti Domenico, richiamandosi anch’egli a quanto dedotto nel corso del giudizio innanzi al Tribunale di Patti e insistendo nelle domande in quella sede formulate.

Il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Messina, costituitosi in giudizio, chiede il rigetto del ricorso, osservando che: a) la procedura di cui si tratta è stata posta in essere in parte dal Comune di San Piero Patti ed in parte della Cooperativa Edilter, giusta convenzione in data 8 novembre 1988; b) il Cooperativa Edilter è, pertanto, un litisconsorte necessario ed i ricorrenti avrebbero dovuto riassumere il giudizio anche nei confronti di tale parte; c) nell’ipotesi di concessione traslativa il concessionario si sostituisce al concedente e risponde nei confronti dei terzi di ogni obbligazione che derivi dall’esecuzione del rapporto; d) il ricorso avrebbe dovuto essere riassunto nei confronti della Cooperativa Edilter anche tenendo conto di quanto previsto dall’art. 59 legge n 69/2009; e) ad ogni buon conto, ai sensi dell’art. 29 legge regionale n. 21/1985, il Sindaco del Comune interessato dalla realizzazione dell’opera è l’unico soggetto legittimato ad emettere il provvedimento di occupazione d’urgenza; f) la riassunzione del giudizio è nulla in quanto il ricorso è stato depositato il giorno stesso della sua notifica; g) per quanto attiene alla restituzione del terreno, deve reputarsi prevalente l’interesse pubblico alla conservazione del bene in capo al soggetto beneficiario dell’esproprio e degli effetti dell’intervenuta trasformazione; h) come risulta dalle consulenze tecniche di cui al giudizio innanzi al Tribunale di Patti, la realizzazione del nucleo industriale non ha cagionato danni al fabbricato di proprietà dei ricorrenti; i) la particella n. 72 non è mai stata oggetto di occupazione; l) per quanto attiene alla richiesta dell’indennità, la giurisdizione appartiene al giudice ordinario; m) ad ogni buon conto, il terreno in questione, a differenza di quanto ritenuti dai ricorrenti, ha destinazione agricola.

Anche l’Assessorato Regionale alle Attività Produttive si è costituito in giudizio, senza però depositare scritti difensivi.

Con apposite memorie Venuti Adele e Venuti Domenico hanno ribadito le loro difese, evidenziando in particolare la natura solidale della responsabilità del Consorzio e della Cooperativa, da cui discende la possibilità di intentare nei confronti di qualsiasi obbligato eventuali azioni restitutorie e risarcitorie, senza alcuna necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti degli obbligati solidali non evocati in giudizio.

Con ulteriore memoria, il Consorzio, oltre a ribadire le precedenti difese, ha eccepito l’improcedibilità del ricorso a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 42-bis d.p.r. n. 327/2001.

Con ordinanza istruttoria n. 1969 in data 4 luglio 2012, il Collegio ha ordinato, ai sensi dell’art. 51 c.p.a., la notificazione del ricorso introduttivo all’Istituto Regionale per lo Sviluppo delle Attività Produttive, atteso che: a) la legge regionale n. 8/2012 (art. 1, primo comma) ha istituito tale soggetto; b) ai sensi del secondo comma della medesima disposizione, le aree destinate allo svolgimento delle attività produttive sono quelle già attribuite ai Consorzi per le Aree di Sviluppo Industriale di cui alla legge regionale n. 1/1984; c) secondo quanto previsto dal successivo art. 19, primo comma, a decorrere dall’entrata in vigore della legge regionale n. 8/2012 i Consorzi per le Aree di Sviluppo Industriale sono soppressi e posti in liquidazione; d) ai sensi dell’art. 19, quarto comma, le operazioni di liquidazione devono concludersi entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della citata legge regionale e, trascorso tale termine, la gestione dei singoli Consorzi per le Aree di Sviluppo Industriale transita all’Istituto.

Il Collegio ha inoltre ordinato al Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Messina (o, in alternativa, al subentrante Istituto Regionale per lo Sviluppo delle Attività Produttive) di versare in atti la convenzione in data 8 novembre 1988 in notaro Bruni, n. 40749 di Repertorio e n. 8818 della Raccolta, ed ogni altro atto o documento utile a comprendere la natura e la disciplina del rapporto intercorrente fra il Consorzio stesso e la Cooperativa Edilter a r.l. in relazione ai fatti di causa.

Gli incombenti disposti dal Tribunale sono stati ritualmente eseguiti e nella pubblica udienza del 5 dicembre 2012, sentiti i difensori delle parti come indicato in verbale, la causa è stata trattenuta in decisione.

3) Con ricorso iscritto al n. 1258/2011, notificato all’Assessorato Regionale delle Attività Produttive, al Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Messina ed al Comune di San Piero Patti, Venuti Adele e Venuti Armando, sempre in relazione alla vicenda di cui all’occupazione disposta con ordinanza del Sindaco del Comune di San Piero Patti n. 61 in data 30 settembre 1988, hanno chiesto l’accertamento dell’illegittimità dell’occupazione e la condanna delle Amministrazioni intimate al pagamento delle somme derivanti dall’illecita occupazione, osservando che nella procedura di cui si tratta non era mai intervenuto il prescritto decreto di esproprio.

Si è costituito in giudizio il Comune di San Piero Patti, eccependo l’inammissibilità del gravame e, comunque, la sua infondatezza sulla scorta dei seguenti rilievi: a) il credito dei ricorrenti è prescritto; b) esso è comunque infondato per non essere stata tempestivamente impugnata l’ordinanza con cui si è disposta l’occupazione dell’immobile; c) l’art. 21 legge regionale n. 1/1984 riserva all’Assessorato Regionale all’Industria (oggi Assessorato Regionale alle Attività Produttive) ogni competenza ablatoria relativa alle opere di competenza dei Consorzi, da cui l’insussistenza di qualsivoglia responsabilità del Comune di San Piero Patti in relazione alla presente controversia; d) le obbligazioni risarcitorie derivanti dalle procedure espropriative gravano sul Consorzio; e) in ogni caso non meritano condivisione le consulenze tecniche disposte nel giudizio innanzi al Tribunale di Patti.

Si è costituito in giudizio anche il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale della Provincia di Messina, chiedendo il rigetto del ricorso sulla scorta delle argomentazioni difensive già svolte nel ricorso n. 3413/2010 ed osservando, inoltre, che il ricorso n. 1258/2011 risultava inammissibile in quanto identico al già menzionato ricorso n. 3413/2010.

Con memorie di contenuto identico a quelle depositate nel ricorso n. 3413/2010, le parti hanno ulteriormente sviluppato le rispettive difese.

Con ordinanza istruttoria n. 1970 in data 4 luglio 2012 il Collegio ha ordinato i medesimi incombenti di cui alla citata ordinanza istruttoria n. 1969 in data 4 luglio 2012.

Gli incombenti disposti dal Tribunale sono stati ritualmente eseguiti e nella pubblica udienza del 5 dicembre 2012, sentiti i difensori delle parti come indicato in verbale, la causa è stata trattenuta in decisione.

4) Il Collegio deve in primo luogo disporre la riunione dei due ricorsi per evidenti ragioni di connessione oggettiva e soggettiva.

5) E’ infondata l’eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata dal Consorzio resistente per quanto attiene alla richiesta dei ricorrenti in ordine all’indennità.

Il Consorzio ritiene, evidentemente, che con tale espressione i ricorrenti abbiano inteso riferirsi all’indennizzo espropriativo, ovvero all’indennizzo per l’occupazione legittima (che i ricorrenti, peraltro, escludono essere mai intervenuta).

Al riguardo deve invece precisarsi che, nell’atto di citazione con cui è stato instaurato il giudizio innanzi al Tribunale di Patti (e alle cui conclusioni gli odierni ricorrenti si sono integralmente riportati con il ricorso n. 3413/2010) gli attori hanno richiesto la restituzione del bene, ovvero “le indennità dovute per la perdita del bene, oltre il risarcimento del danno”.

Come risulta dall’espressione appena indicata, nonché dal complessivo contenuto dell’atto di citazione, con l’espressione “indennità dovute per la perdita del bene” gli attori hanno inteso far riferimento al pregiudizio economico derivante dall’eventuale perfezionamento dell’accessione invertita a seguito della trasformazione irreversibile dell’immobile, mentre, con l’espressione “risarcimento del danno”, hanno inteso riferirsi al pregiudizio economico cagionato in danno di un fabbricato di proprietà dei ricorrenti a seguito della realizzazione del nucleo industriale.

L’espressione “indennità” è stata quindi utilizzata dai ricorrenti in una accezione non rigorosamente tecnica, atteso che, secondo la ricostruzione giurisprudenziale in materia di accessione invertita, il ristoro dovuto al proprietario per la perdita della proprietà del bene doveva essere formalmente qualificato come risarcimento da illecito aquiliano.

Al di là del “nomen juris” utilizzato, tuttavia, è chiaro che i ricorrenti hanno richiesto al Tribunale esattamente ciò che la giurisprudenza in materia di accessione invertita ha sempre formalmente qualificato come un risarcimento per la perdita delle proprietà del bene (e non l’indennità di espropriazione o quella da occupazione legittima, su cui, come già indicato, sussiste, pur dopo il passaggio della giurisdizione esclusiva in materia espropriativa in favore del giudice amministrativo, la giurisdizione del giudice ordinario).

Non è necessario, inoltre, per quanto si dirà nel seguito, verificare se le conseguenze che i ricorrenti ricollegano all’occupazione, alla trasformazione irreversibile e all’utilizzo del bene da parte dell’Amministrazione siano effettivamente quelle di cui all’istituto giurisprudenziale dell’occupazione acquisitiva (e non, invece, quelle attualmente contemplate, in alternativa alla restituzione, dall’art. 42-bis d.p.r. n. 327/2001).

E’ sufficiente, invece, rilevare che nel ricorso n. 3413/2010 non è stato effettuato alcun riferimento sostanziale ai due soli ambiti (indennità di espropriazione ed indennità di occupazione legittima) su cui persiste tuttora, nella materia espropriativa, la giurisdizione del giudice ordinario.

Con il ricorso n. 1258/2011, inoltre, i ricorrenti, oltre a ribadire parzialmente le richieste già formulate con il ricorso n. 3413/2010, hanno chiesto il risarcimento del danno anche per il periodo di occupazione - non legittima, ma - illegittima (questione sulla quale parimenti sussiste, come è noto la giurisdizione del giudice amministrativo), evidenziando altresì un’ulteriore “causa petendi” (cioè la mancata emanazione del prescritto provvedimento di esproprio) al fine di sostenere l’illegittimità della procedura ablatoria.

Ne consegue che in relazione ad entrambi i ricorsi deve affermarsi la giurisdizione del giudice amministrativo.

E’ anche infondata l’eccezione sollevata dal Consorzio in merito alla presunta inammissibilità dei due gravami per mancata notifica dei ricorsi alla Cooperativa Edilter, sia in quanto, per ciò che si dirà nel proseguo (e a prescindere da ulteriori rilievi), nel caso in esame non viene in rilievo un’ipotesi di obbligazione solidale, sia in quanto la disciplina della “translatio judicii” di cui all’art. 59 legge n. 69/2009 non prevede affatto che, a seguito della declinatoria sulla giurisdizione, il giudizio debba essere necessariamente riproposto nei confronti di tutte le originarie parti del processo (spettando tale valutazione al soggetto onerato di operare la “translatio” e potendo questi ben ritenere che tale riproposizione non sia necessaria nei confronti di alcune parti del processo originario che siano state erroneamente evocate - o che non sia più necessario evocare - in giudizio).

Ciò premesso e prescindendo dall’esame di ogni ulteriore eccezione, i due ricorsi devono essere rigettati per le ragioni di seguito indicate.

La giurisprudenza di legittimità ha, infatti, chiarito, confermando sul punto un consistente indirizzo della giurisprudenza di merito, che, nell’ipotesi di opere realizzate in regime di concessione, la responsabilità per le indennità ed i risarcimenti nei confronti di terzi sono esclusivamente a carico del soggetto concessionario, qualora tale conclusione risulti conforme alle previsioni contenute nella disciplina del titolo concessorio.

In particolare, la Suprema Corte (cfr. Cass. Civ., Sez. I, n. 5630/2012; Cass. Civ., Sez. I, n. 26261/2007; Cass. Civ., Sez. I., n. 11139/2003 e Cass. Civ., Sez. Un., n. 388/2000) ha affermato che in questi casi l’ente sostituto (cioè il concessionario) agisce per l’esecuzione dell’opera non in rappresentanza dell’Amministrazione sostituita, ma per competenza propria e spendendo il proprio nome di persona giuridica diversa, assumendo quindi di fronte all’espropriato o al titolare del bene occupato tutti gli obblighi relativi o derivanti dal procedimento (inclusi quelli risarcitori), con esclusione della legittimazione passiva del concedente, anche nel caso in cui quest’ultimo risulti il beneficiario delle opere realizzate.

Nel caso all’esame di questo Collegio, l’art. 13 della convenzione fra il Consorzio per l’Area di Sviluppo Industriale di Messina e la società concessionaria Edilter, mandataria del raggruppamento di imprese Edilter-Edilfer s.p.a., prevede espressamente che “gli oneri e le procedure per le espropriazioni e le occupazioni degli immobili occorrenti per l’esecuzione dell’opera e per la funzionalità della stessa (anche se erroneamente non compresi negli elaborati d’esproprio) sono a totale cura e spese del concessionario, essendo tale onere valutato nel corrispettivo della concessione”. Il successivo art. 19, primo comma, dispone inoltre che “l’Amministrazione non assume alcuna responsabilità per danni ed altro che dovessero derivare al Concessionario…, ritenendosi a tale riguardo qualsiasi onere compreso e compensato nel corrispettivo della concessione”. L’art. 19, secondo comma, dispone, infine, che “il Concessionario assume ogni responsabilità per danni alle persone ed alle cose che potessero derivare.. a terzi per fatto del Concessionario…, tenendo perciò sollevata ed indenne l’Amministrazione da qualsiasi pretesa o molestia che al riguardo venisse ad essa mossa”.

Dalle disposizioni sopra indicate, ed in particolare dal citato art. 13, risulta quindi che ogni “onere” (inclusi quelli di natura restitutoria o risarcitoria) derivante dalle occupazioni effettuate per eseguire l’opera è posto, nel caso di specie, a carico del Concessionario, con la conseguenza che va fatta applicazione del principio giurisprudenziale sopra enunciato, ritenendo che i ricorrenti non abbiano titolo per far valere la loro pretesa nei confronti del Consorzio intimato (risultando passivamente legittimato il solo soggetto Concessionario).

La pretesa risarcitoria dei ricorrenti, ovviamente, non può neppure esser fatta valere nei confronti del Comune di San Piero Patti o dell’Assessorato Regionale alle Attività Produttive, in quanto - a prescindere da ulteriori rilievi - le puntuali ed inequivocabili previsioni di cui alla menzionata convenzione radicano in capo al soggetto Concessionario qualsiasi “onere” derivante dalle occupazioni finalizzate alla realizzazione dell’opera.

E’ opportuno chiarire che tale conclusione non contrasta con quanto affermato da questa stessa Sezione con la recente sentenza n. 2877 del 17 ottobre 2012.

Con tale pronuncia si è, infatti, affermato che sussiste “la responsabilità solidale fra ente concedente ed ente concessionario - salva una diversa ripartizione nei rapporti interni sulla base del titolo o dell’effettivo contributo causale alla produzione del danno - in ragione del dovere che incombe sul primo di cooperare e di effettuare i controlli del caso ai fini del tempestivo e regolare svolgimento della procedura ablativa (App. Bari, Sez. I, 18 gennaio 2006; App. Napoli, Sez. I, 10 gennaio 2006, Trib. Bologna, 7 febbraio 2008)”.

Tale affermazione trovava giustificazione nel fatto che, nel corso di quel giudizio, non è emersa la sussistenza di un regime concessorio che trasferisse sul Concessionario le responsabilità derivanti dall’esecuzione della procedura, mente nel caso in esame tale regime risulta espressamente dalle previsioni cui si è già fatto ampio riferimento.

In conclusione, i due ricorsi devono essere riuniti e vanno entrambi rigettati in quanto le domande risarcitorie avrebbero dovuto essere formulate nei confronti del Consorzio concessionario, invece in questa sede non evocato in giudizio.

Tenuto conto che in relazione alle questioni di cui si è detto l’orientamento della giurisprudenza di merito non risulta del tutto univoco, le spese di giudizio devono essere compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Staccata di Catania (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sui ricorsi come in epigrafe proposti: 1) riunisce i ricorsi n. 3413/2010 e n. 1258/2011; 2) rigetta entrambi i ricorsi; 3) compensa fra le parti costituite le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 5 dicembre 2012 con l’intervento dei magistrati:

 

 

Salvatore Veneziano, Presidente

Daniele Burzichelli, Consigliere, Estensore

Diego Spampinato, Referendario

 

 

 

 

 

     
     
L'ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 17/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.) 

Costituisce un vincolo preordinato all'espropriazione la destinazione a verde pubblico attrezzato

C.G.A. sentenza n. 212 del 27 febbraio 2012
Data: 
27/02/2012
Diversamente da altre solo in apparenza simili destinazioni urbanistiche (tra cui quelle a “verde privato” o “verde agricolo”), che invece effettivamente conformano il diritto dominicale dei proprietari dei fondi interessati, senza però sopprimerlo in toto – la destinazione a “verde pubblico attrezzato” (al pari di quella a “verde pubblico”) è radicalmente incompatibile con la permanenza del fondo in proprietà privata.
Sussiste un vincolo preordinato alla espropriazione le volte in cui la destinazione della area permetta la realizzazione di opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica, nel senso di riferita esclusivamente all’ente esponenziale della collettività territoriale. E pertanto nel caso  di parcheggi pubblici, strade e spazi pubblici, spazi pubblici attrezzati, parco urbano, attrezzature pubbliche per l’istruzione. In tali casi, evidentemente, l’utilizzatore finale dell’opera non può che essere l’ente pubblico di riferimento ed essa, in nessun caso, può essere posta sul mercato per soddisfare una domanda differenziata che, semplicemente, non esiste.
   
 

REPUBBLICA ITALIANA   
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO  
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, ha pronunciato la seguente   
S E N T E N Z A
sul ricorso in appello n. 354/2011, proposto da
[***], rappresentati e difesi dagli avv.ti Giovanni e Giuseppe Immordino, elettivamente domiciliati in Palermo, via Libertà 171, presso lo studio degli stessi;
c o n t r o
il [***], in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Sicilia - Sede di Palermo (sez. II) - n. 7421 dell’11 giugno 2010.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Relatore, alla pubblica udienza del 10 novembre 2011, il Con-sigliere Ermanno de Francisco;
Udito altresì l’avv. Giovanni Immordino per gli appellanti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
F A T T O
Viene in  decisione l’appello  avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha dichiarato inammissibile il ricorso degli odierni ap-pellanti per l’annullamento della nota prot. n. 12962 del 29 dicem-bre 2008, recante rigetto dell’istanza dei suindicati soggetti tesa a ottenere l’emanazione di una specifica disciplina pianificatoria relativamente a un fondo di loro proprietà (fg. 6, part. 1096 e 1097), sull’assunto che il medesimo fosse divenuto “zona bianca” sin dal 23 maggio 2008, per effetto della scandenza del vincolo derivante dalla destinazione dell’area a “verde pubblico attrezzato”.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
D I R I T T O
1. – La sentenza appellata ha escluso che la nota gravata avesse inteso esercitare qualunque potestà amministrativa, essa avendo solo affermato la natura conformativa, e non già espropriativa, del vincolo di cui si è detto nella narrativa in fatto che precede, e ricavandone – in una con la perpetuità della zonizzazione attribuita al terreno con tale destinazione urbanistica – l’insussistenza di un obbligo di provvedere; sicché, non essendo stato aperto alcun procedimento, il primo giudice ha dichiarato insussistente l’interesse ad agire in annullamento.
2. – Il primo motivo di appello deduce la sussistenza dell’inte-resse ad agire: sia in quanto l’atto impugnato osterebbe alla realizza-zione dell’interesse pretensivo fatto valere dai ricorrenti; sia in quanto, ove pure si trattasse di un atto di valenza non provvedimentale, la domanda avrebbe dovuto riqualificarsi d’ufficio come impugnazione del silenzio-rifiuto ed essere come tale scrutinata.
Il motivo è fondato.
L’atto impugnato, in esito a una valutazione della situazione giuridica dedotta con l’istanza-diffida notificata il 26 novembre 2008, ha affermato non esservi luogo a provvedere, in ragione della perpetuità della zonizzazione attribuita al terreno dei ricorrenti con la sua destinazione a “verde pubblico attrezzato” e della conseguente insussistenza dell’obbligo di attribuirgli una nuova destinazione.
Ciò, rispetto alla pretesa dei ricorrenti, integra indubbiamente un atto di arresto procedimentale, come tale immediatamente lesivo e perciò impugnabile (laddove, nel diverso caso di inerzia, sarebbe stata invece proponibile l’azione di accertamento ex art. 31 C.P.A.).
Perciò, essendovene interesse, il ricorso va scrutinato in merito.
3. – Il secondo motivo di appello, reiterativo dell’unico motivo di ricorso in prime cure, censura il provvedimento impugnato per non aver riconosciuto la natura espropriativa del vincolo di un’area a “verde pubblico attrezzato”, ossia per aver considerato detto vincolo meramente conformativo; ricavandone, in luogo di una coessenziale temporaneità, il carattere di tendenziale e potenziale perpetuità.
Anche tale motivo è fondato.
3.1. – Ritiene questo Consiglio che – diversamente da altre solo in apparenza simili destinazioni urbanistiche (tra cui quelle a “verde privato” o “verde agricolo”), che invece effettivamente conformano il diritto dominicale dei proprietari dei fondi interessati, senza però sopprimerlo in toto – la destinazione a “verde pubblico attrezzato” (al pari di quella a “verde pubblico”) sia radicalmente incompatibile con la permanenza del fondo in proprietà privata.
Non si ignora l’orientamento, prevalentemente contrario, della giurisprudenza di secondo grado, da ultimo espresso da C.d.S., IV, 12 maggio 2010, n. 2843, e in C.d.S., IV, 3 dicembre 2010, n. 8531.
Si ritiente tuttavia preferibile, perché assai più perspicuo e convincente, l’orientamento di questo Consiglio, da ultimo espresso da C.G.A., 25 gennaio 2011, n. 95, secondo cui “sussiste un vincolo preordinato all’espropriazione tutte le volte in cui la destinazione dell’area permetta la realizzazione di opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica”.
3.2. – Siffatta conclusione muove dall’ampia riconsiderazione del sistema operata da C.G.A., 19 dicembre 2008, n. 1113, che – sulla scorta di “un’interpretazione evolutiva, ma coerente con i principi in più occasioni affermati dalla C.E.D.U., delle statuizioni recate nella … sentenza della Corte costitituzionale n. 179 del 12 maggio 1999 in ordine alla distinzione tra previsioni urbanistiche conformative e previsioni espropriative” (come rileva C.G.A. n. 95/2011, cit.) – ha rivisitato i principi basilari della nostra materia nei termini seguenti.
«La sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 12 maggio 1999 ha precisato che sono fuori dello schema ablatorio i vincoli che importano una destinazione di contenuto specifico realizzabile ad iniziativa privata o promiscua (pubblico-privato) che non comportino, quindi, necessariamente espropriazioni o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica».
«La sentenza prosegue indicando, a mo’ di esempio, parcheggi, impianti sportivi, mercati ed altro».
«In disparte la considerazione che l’elencazione esemplificativa operata dalla Corte non costituisce oggetto specifico del dictum, si deve altresì osservare che la realizzabilità dell’opera o del servizio esclusivamente per opera della mano pubblica o anche del privato (cui va assimilato l’intervento misto) deve essere giudicata non con riferimento all’oggetto specifico della realizzazione (in altre parole all’opus da realizzare), ma alla destinazione di esso e quindi alla sua idoneità a soddisfare anche il diritto soggettivo di proprietà, oltre che l’interesse pubblico».
«Ed, infatti, nella citata sentenza della Corte si afferma espres-samente che non si è alla presenza di uno schema ablatorio le volte in cui le “iniziative (siano) suscettibili di operare in regime di libero mercato”. In tale sede la Corte ha citato, quale esempio, “gli impianti sportivi, i mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali”».
«All’evidenza si tratta di opere materiali la cui utilizzazione non è riservata alla mano pubblica, sebbene è la loro destinazione che serve un interesse pubblico. Esse possono ben essere realizzate dal privato e poste sul mercato, trovando una domanda di soggetti interessati alla apertura di una clinica sanitaria, di un supermercato di una palestra etc., in grado, in sostanza, di determinare un mercato (incontro tra domanda ed offerta in scarsità di risorse)».
«Non contraddice la tesi la citazione dei parcheggi contenuta nella medesima motivazione or ora citata. È, infatti, evidente che la Corte intendeva riferirsi a parcheggi privati a pagamento, che determinano un interesse commerciale al loro sfruttamento. Ciò è agevolmente ricavabile proprio dalla assimilazione che di tali parcheggi la Corte ha operato alle altre opere chiaramente destinate allo sfrutta-mento da parte di privati (cliniche, supermercati, zone artigianali)».
«Ben diversa è la situazione per i parcheggi pubblici, quand’anche destinati alla concessione a tariffa “calda”. In tal caso, infatti, l’erogazione del servizio pubblico è pur sempre riservata all’Ente territoriale, il quale, appunto, la esercita mediante la concessione dei propri poteri, sia pure assicurando l’introito della tariffa».
«L’interpretazione ora esposta è l’unica, peraltro, coerente con i principi generali».
«La proprietà privata, ai sensi dell'articolo 42 della Costituzione e della CEDU, costituisce diritto fondamentale dell’uomo. Come è noto, il contenuto, e quindi le facoltà, inerenti al detto diritto sono le più ampie previste dall’ordinamento giuridico (italiano ed europeo ed in genere occidentale), e si sostanziano nella utilizzazione a fini economici del bene, segnatamente del bene immobile e, nella specie, di area non ancora edificata. L’utilizzazione naturale di tali aree, quindi, è l’edificabilità, cioè la realizzazione di un opus suscettibile di valutazione economica, sia per la fruizione personale del proprietario, sia per la disposizione onerosa a favore di terzi».
«Nel sistema delineato dalla Costituzione e dalla CEDU la norma conformatrice dello jus aedificandi non costituisce annullamento del diritto di proprietà e dunque non è riguardata con sfavore (nei limiti della ragionevolezza e del rispetto della natura stessa dei luoghi), mentre la norma ablatoria è considerata eccezione di stretto diritto al principio fondamentale della inviolabilità della proprietà. Tale eccezione è legata alla sussistenza di motivi di interesse pubblico tali da necessitare una deviazione dalla funzione propria della proprietà e quindi una finalizzazione di essa a scopi non economicamente conformi con tale diritto».
«Sotto questo profilo la distinzione tra norme conformative e norme ablatorie non può più seguire i criteri tradizionali elaborati dalla giurisprudenza amministrativa sino ad oggi. Si deve, infatti, avere riguardo al tasso di deviazione dalla finalità ordinaria dell’area in questione rispetto alla sua vocazione naturale, che è sicuramente quella di dare luogo ad un opus economicamente e commercialmente idoneo a procurare il massimo profitto al proprietario».
«La norma conformativa, che impone standard di distanze, cubatura, altezza, tipologia etc., si inserisce in un mercato immobiliare omogeneo, stabilendo restrizioni uguali per gli appartenenti alla classe (proprietari della zona omogenea) e determinando, quindi, i parametri di mercato (valore dell’immobile realizzabile e quindi dell’area edificabile) in relazione alle restrizioni omogenee. Si tratta, nel mercato che si crea, di vincoli economici esterni, accettabili e compatibili con l’economia di mercato e con i principi di uguaglianza, nella misura in cui operino, sostanzialmente, come limiti esterni allo jus aedificandi. Non costituisce, giuridicamente, una restrizione del diritto di proprietà la diminuzione di valore di un’area sita, ad esempio, in zona umida e malsana, rispetto alla analoga area sita in collina, o di un’area allocata distante dal mare rispetto ad una posta nelle vicinanze della riva, atteso, appunto, che tali limitazioni sono insite ed ontologicamente connaturate alle aree stesse. Allo stesso modo, non costituisce restrizione al diritto di proprietà ed allo jus aedificandi l’obbligo conformativo che opera quale limite generale, quasi naturale, alle facoltà della classe di aree insistenti in zona omogenea».
«L’interesse pubblico, quindi, opera ab extrinseco non incidendo sul diritto di proprietà, ma sulla sua valorizzazione di mercato, a fronte di un potere conformativo, eccezionale ma accettabile, riconosciuto per il bene della collettività».
«Viceversa, ove ci si trovi innanzi ad una potestà conformativa che imponga realizzazioni difformi dalla naturale destinazione dell’area, ne consegue, di fatto, l’ablazione di una precisa facoltà inerente al diritto di proprietà. In tal caso non giova la considerazione che l’opus necessario (ad esempio un parcheggio) possa anche essere realizzato dal medesimo privato, poiché è fin troppo evidente che la diminuzione di valore dell’opera realizzabile non risponde ad una conformazione omogenea del mercato della zona, ma ad un intervento autoritario del pubblico che si propone quale terzo indefettibile del successivo rapporto. In altri termini, se l’opera realizzabile, sia pure con le limitazioni dovute alla conformazione, può comunque essere posta sul mercato scontando il meccanismo usuale della domanda ed offerta per la determinazione del prezzo, la destinazione indefettibile ad opera o servizio pubblico individua, necessariamente e senza pos-sibilità di eccezione, il soggetto (pubblico) cui l’opera stessa non potrà che essere destinata. In tal guisa che l’opera non è finalizzata ad essere posta sul mercato, ma necessariamente ad esser posta a disposizione di un solo soggetto. Ciò anche nella ipotesi in cui l’opera sia realizzata dallo stesso privato, magari in convenzione con il soggetto pubblico, poiché ciò che rileva non è chi materialmente la realizzi (il privato o il pubblico dopo l’espropriazione), ma chi concretamente può essere il solo destinatario della sua utilizzazione. Non vi è mercato, come è noto, quando uno dei contraenti si pone in posizione di monopolio (nel caso monopolista per l’acquisto)».
Tale ultima conclusione – giova qui evidenziarlo – è stata ribadita anche da C.G.A. n. 95/2011, cit., che ha infatti “ritenuto … che, in presenza di un monopsonio non c’è mercato”.
Tornando a C.G.A. n. 1113/2008, cit., in riferimento alla specifica vicenda che tale decisione ebbe a esaminare, così prosegue: «Corollario di questa impostazione è che l’area in questione, se effettivamente serve allo scopo di realizzare gli standard urbanistici, non potrà, alla fine, che essere espropriata, proprio in virtù del fatto che su di essa non può che essere realizzata altro che l’opera in questione asservita a un interesse pubblico e riferita all’ente pubblico».
«Nella specie, la dimostrazione dell’assunto è in re ipsa. Infatti, l’area corrispondente alla osservazione n. 107 (destinata a parcheggi) per la quale il TAR aveva accolto il ricorso considerandola gravata da vincolo preordinato alla espropriazione, è stata di poi espropriata dal Comune dando luogo alla cessazione della materia del contendere preliminarmente pronunciata».
«L’applicazione dei principi sopra enunciati conduce necessa-riamente  alla conclusione  che sussiste un vincolo preordinato alla espropriazione le volte in cui la destinazione della area permetta la realizzazione di opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica, nel senso di riferita esclusivamente all’ente esponenziale della collettività territoriale. E pertanto nel caso (per quanto qui di interesse) di parcheggi pubblici, strade e spazi pubblici, spazi pubblici attrezzati, parco urbano, attrezzature pubbliche per l’istruzione. In tali casi, evidentemente, l’utilizzatore finale dell’opera non può che essere l’ente pubblico di riferimento ed essa, in nessun caso, può essere posta sul mercato per soddisfare una domanda differenziata che, semplicemente, non esiste.”».
3.3. – È noto che le sentenze non si contano, ma si ponderano.
Ebbene, l’orientamento quantitativamente dominante si limita – assiomaticamente e acriticamente – a postulare, tralatiziamente, che “il vincolo a "verde pubblico attrezzato", di cui si discute, non ha natura espropriativa, qualificandosi come vincolo di natura conformativa della proprietà, conseguente alla zonizzazione effettuata dagli strumenti urbanistici per definire i caratteri generali dell'edificabilità in ciascuna delle zone in cui è suddiviso il territorio comunale, ponendo limitazioni in funzione dell'interesse pubblico generale … Trattasi … di vincolo derivante da limiti non ablatori, posti normalmente dalla pianificazione urbanistica, derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l'iniziativa privata, in regime di economia di mercato, quali quelle elencate, a titolo peraltro meramente esemplificativo, dalla sentenza del Giudice delle leggi n. 179 del 1999” (così C.d.S., IV, 2843/2010, cit.).
Viceversa, le ricordate sentenze di questo Consiglio hanno ef-fettivamene cercato di inquadrare – come è doveroso, nonché ormai imposto dallo stesso art. 117, I comma, della Costituzione – le affer-mazioni di Corte cost. 179/1999 nell’ambito del sistema europeo di cui l’ordinamento italiano ormai fa indissolubilmente parte.
Né può aver senso – come talvolta sembra accadere soprattutto in ambito urbanistico – sforzarsi di leggere le novità legislative e giurisprudenziali (tra queste ultime collocandosi anche Corte cost. n. 176/1999; nonché tutta intera l’elaborazione giurisprudenziale della C.E.D.U. in materia di diritto di proprietà) in modo preconcettamente restrittivo, al fine di continuare ad applicare vecchie categorie concettuali, non più in linea con il sistema giuridico dei paesi di civiltà occidentale, a cui quello  italiano è tenuto a  integrarsi: è ben  noto, per esempio, che aver tentato per decenni di far finta che il diritto di proprietà potesse essere espropriato a valori simbolici non ha avuto altro effetto che posporre di qualche decina di anni il costo di quelle espropriazioni, che ora però sta ricadendo sulle finanze pubbliche, ampiamente moltiplicato, proprio per opera della C.E.D.U..
3.4. – Tornando al nostro caso, non convince l’argomento per cui “la contestata destinazione [“verde pubblico attrezzato”] consente la realizzazione e gestione delle attrezzature previste all’interno di tale zona (pur con i significativi limiti di edificabilità ivi previsti) "oltre che dal Comune o da altri enti pubblici, anche da privati, sulla base di una convenzione con il comune"” (C.d.S., 2843/10, cit.).
Se, infatti, un terreno è destinato a “verde pubblico” (e, magari, “attrezzato”) potrà divenire un parco aperto all’uso pubblico generale; è ovvio che al suo interno il privato possa essere autorizzato a gestirvi, per esempio, una giostra o un impianto sportivo; ma – quand’anche si tratti accidentalmente del proprietario del suolo – è palese che ciò non è un’estrinsecazione, sia pur minima, del suo diritto dominicale; né, infine, la realizzazione (ossia l’attrezzatura dell’area di verde pubblico) potrà porsi a carico del proprietario, di norma privo di ogni interesse, sicché essa deriverà necessariamente da iniziative pubbliche (dirette o tramite concessionari), ovviamente previa espropriazione.
3.5. – Essendo, allora, rimesso all’interprete il delicato compito di distinguere, volta per volta, tra i vincoli conformativi e i vincoli espropriativi, tale attività va certamente svolta assumendo a costante parametro di riferimento il contenuto minimo essenziale del diritto dominicale.
D’altra parte, tale contenuto minimo non può più parametrarsi a concezioni diffuse a metà del secolo scorso, essendo invece necessario tenere nel debito conto le ricordate sollecitazioni anche di matrice sovranazionale; che – senza il ricorso a una legittima espropriazione, con conseguente indennizzo ormai a valori di mercato (Corte cost. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349) – non ne consentono la compressione fino a far destinare un fondo privato ad un uso soggettivamente pubblico (nella specie, generale).
3.6. – Ne deriva, dunque, che se l’ente pubblico vuol destinare un’area a uso pubblico (generale) deve procurarne l’espropriazione, non potendo altrimenti costringere il proprietario a comprimere il suo godimento al di là del contenuto minimo essenziale della proprietà.
Ciò implica natura ineluttabilmente espropriativa, essendo esso preordinato all’esproprio, del vincolo consistente nella destinazione di un’area privata a “verde pubblico” (nella specie “attrezzato”, ciò che ovviamente avverrà a cura e spese del soggetto pubblico espropriante, o di soggetti concessionari).
3.7. – Tale natura ne comporta, naturalmente, la temporaneità; con l’effetto che detto vincolo, con l’inutile decorso di un quinquennio e in difetto di una sua legittima reiterazione, viene meno.
In tal caso, l’area già vincolata non riacquista automaticamente la propria antecedente destinazione urbanistica, ma si configura come area non urbanisticamente disciplinata, ossia come c.d. zona bianca.
Rispetto a tali zone, allorché cessino gli effetti dei preesistenti vincoli, l’amministrazione comunale deve esercitare la discrezionale propria potestà urbanistica, attribuendo loro una congrua destinazione.
4. – Ne deriva la fondatezza del ricorso, nella parte in cui cen-sura il rifiuto (espresso) dell’amministrazione ad attribuire all’area per cui è causa una nuova congrua destinazione urbanistica.
In conclusione, l’appello è integralmente fondato, e va pertanto accolto.
Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.
5. – Le spese del doppio grado seguono ex lege la soccombenza (art. 26 C.P.A.), e vengono liquidate nella misura di cui in dispositivo.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione sicilia-na, in sede giurisdizionale, accoglie l’appello e annulla l’atto impu-gnato, nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Spese del doppio grado a carico del Comune appellato, liquidate in complessivi € 6.000,00, oltre accessori di legge, s.g. e c.u.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità am-ministrativa.
Così deciso in Palermo dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale nella camera di consiglio del 10 novembre 2011, con l’intervento dei signori: Paolo Turco, Presidente, Ermanno de Francisco, estensore, Gabriele Carlotti, Giuseppe Mineo, Alessandro Corbino, Componenti.
F.to Paolo Turco, Presidente
F.to Ermanno de Francisco, Estensore
Depositata in Segreteria
  27 febbraio 2012

E' illegittimo il silenzio serbato dall'Amministrazione sulla diffida volta ad ottenere una nuova destinazione urbanistica a seguito della decadenza dei vincoli preordinati all'espropriazione

Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 2118 dell'11 novembre 2011
Data: 
11/11/2011

E' illegittimo il silenzio serbato dall'Amministrazione rispetto alla diffida volta ad ottenere l'emanazione degli atti necessari a conferire una nuova destinazione urbanistica ad aree divenute prive di disciplina a causa della decadenza di vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione, o che comportino l'inedificabilità del suolo, o che comunque privino il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico, determinata dall'inutile decorso del termine quinquennale di cui all'art. 2, comma 1, L. n. 1187 del 1968, decorrente dall'approvazione del Piano Regolatore Generale.


 


N. 02118/2011 REG.PROV.COLL.

N. 01109/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1109 del 2011, proposto da:
***, rappresentato e difeso dall'avv. Giovanni Immordino, con domicilio eletto presso Giovanni Immordino in Palermo, via Liberta', 171;

contro

Comune di Palermo in Persona del Sindaco P.T., rappresentato e difeso dall'avv. Anna Maria Impinna, con domicilio eletto presso Ufficio Legale Del Comune - Pa in Palermo, piazza Marina N.39;

per la declaratoria

dell’illegittimità del silenzio e del conseguente obbligo dell’Amministrazione di provvedere in ordine all’istanza avanzata dal ricorrente con atto extragiudiziario di diffida e costituzione in mora notificato il 29.3.2011, al fine di dotare il fondo di proprietà dello stesso di apposita disciplina pianificatoria, ad integrazione della lacuna determinatasi negli strumenti urbanistici.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Palermo in Persona del Sindaco P.T.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2011 il dott. Maria Ada Russo e uditi per le parti i difensori E' presente l'Avv. G.Immordino;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Il ricorrente espone quanto segue :

a) è comproprietario delle porzioni di terreno site nel territorio del comune di Palermo, prospicienti il Viale delle Tre Grazie, catasto foglio n. 11, particelle 1598,1600,1966, 1969;

b) in sede di approvazione del vigente PRG, Decreto del Dirigente generale dell’Assessorato territorio e ambiente, n. 125 del 13.3.2002 e successivo d. dir. di rettifica n. 558 del 29.7.2002, l’area sulla quale insistono le suddette particelle veniva destinata, in parte zona IC9, case di riposo, e in parte zona territoriale omogenea Cb;

c) le suddette destinazioni costituiscono vincolo espropriativo; ma la previsione di PRG non ha avuto attuazione;

d) in forza dell’art. 9, 2, TU espropri n. 327/2001 il vincolo è attualmente decaduto e i lotti in questione risultano sprovvisti di regolamentazione urbanistica;

e) infine, con atto di diffida notificato il 29.3.2011, ha invitato la PA a dotare il fondo di apposita disciplina pianificatoria.

Successivamente, stante l’inerzia della PA, l’interessato ha proposto il presente ricorso per la declaratoria dell’illegittimità del silenzio e del conseguente obbligo di provvedere in ordine alla sua istanza del 29.3.2011, al fine di dotare il fondo di proprietà di apposita disciplina pianificatoria, ad integrazione della lacuna determinatasi negli strumenti urbanistici.

In data 21.20.2011 si è costituito il Comune che ha precisato che <con deliberazione GM n. 57 del 27.5.2011 è stato approvato il provvedimento avente per oggetto la redazione del quadro conoscitivo e delle direttive generali per la revisione del PRG….ai fini della revisione del PRG si sta rivedendo la dotazione dei servizi sul territorio .. ed è stata compiuta una puntuale ricognizione dei servizi esistenti e di progetto attraverso il loro censimento e l’elaborazione di un catalogo dei servizi; in questa fase sono stati censiti anche i lotti di proprietà del ricorrente ..in tal senso si sta procedendo a una riformulazione del contenuto dell’art. 19 delle NTDA con l’esplicito obiettivo di concedere al privato la gestione e la titolarità del bene>.

Tanto premesso, il ricorso è fondato e deve essere accolto.

L'Amministrazione resistente, pur in presenza di un quadro complesso di normativa urbanistica, non ha fornito risposta alcuna alla domanda del ricorrente.

Va in proposito rilevato come la giurisprudenza amministrativa ha costantemente affermato l'illegittimità del silenzio serbato dall'Amministrazione rispetto alla diffida volta ad ottenere l'emanazione degli atti necessari a conferire una nuova destinazione urbanistica ad aree divenute prive di disciplina a causa della decadenza di vincoli urbanistici preordinati all'espropriazione, o che comportino l'inedificabilità del suolo, o che comunque privino il diritto di proprietà del suo sostanziale valore economico, determinata dall'inutile decorso del termine quinquennale di cui all'art. 2, comma 1, L. n. 1187 del 1968, decorrente dall'approvazione del Piano Regolatore Generale.

L'istanza formulata appare dunque supportata da idonea giustificazione, ed è decorso il termine di legge entro il quale l'Amministrazione avrebbe dovuto rispondere: ciò comporta la declaratoria di illegittimità del silenzio rifiuto.

Pertanto, deve essere accolto il ricorso proposto, con la precisazione che l'accoglimento del gravame comporta esclusivamente l'obbligo dell'Amministrazione di provvedere sull'istanza del soggetto interessato attribuendo all'area una specifica e appropriata destinazione urbanistica.

Ne consegue la declaratoria dell'obbligo del Comune di Palermo, di provvedere - nei suddetti termini - sulla istanza del ricorrente nel termine di 90 (novanta) giorni dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore, della presente sentenza.

Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese tra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda):

a) dichiara illegittimo l'impugnato silenzio rifiuto;

b) dichiara l'obbligo del Comune di Palermo di provvedere sull'istanza presentata dal ricorrente entro e non oltre 90 (novanta) giorni dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza, ovvero dalla sua notificazione se anteriore;

c) compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 11 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Giamportone, Presidente

Davide Ponte, Consigliere

Maria Ada Russo, Consigliere, Estensore

 
    
L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
    
    
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/11/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)