Diritto e Giustizia Amministrativa

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Costituisce una mera clausola di stile l'espressione secondo la quale l'impugnazione concerne "ogni altro atto comunque presupposto, conseguente o connesso"

Tar Catania, Sez. III, sentenza del 16 gennaio 2012, n. 113
Data: 
16/01/2012

l'espressione indeterminata racchiusa nella clausola di stile secondo cui l'impugnazione concerne altresì "ogni altro atto comunque presupposto, conseguente o connesso a quello odiernamente impugnato" (o simili) è per sua natura priva di attitudine a manifestare quale debba, secondo l'interessato, essere l'oggetto del giudizio e dell'annullamento da parte del giudice, perché solo una inequivoca indicazione consente al giudice stesso di identificare l'oggetto della domanda e ai contraddittori di esercitare il loro diritto di difesa (Consiglio Stato , sez. VI, 13 gennaio 2011 , n. 177).

 


 
SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1264 del 2011, proposto da:
Istituto di Vigilanza Privata xxx. Srl, rappresentato e difeso dall'avv.xxx

contro

Azienda Servizi Municipalizzati di Taormina rappresentata e difesa dall'avv. Pietro Cami, con domicilio eletto presso l’avv. Maurizio Lisfera in Catania, via Leucatia, 26;

nei confronti di

Taosecurity Soc.Coop ., non costituita in giudizio;

per l'annullamento

previa dichiarazione di illegittimità, del provvedimento prot. n. 209/11 con il quale si aggiudica la gara per l’affidamento del servizio di vigilanza, prelievo e trasporto valori, del verbale 24 febbraio 2011, della scelta di aggiudicare alla controinteressata, e di ogni altro atto prodromico, connesso e conseguenziale.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Azienda Servizi Municipalizzati di Taormina;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2011 il dott. Maria Stella Boscarino e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il ricorso introduttivo, notificato il 25.3.2011 e depositato il 6.4.2011 parte ricorrente impugnava il provvedimento prot. n. 209/11 di aggiudicazione della gara per l’affidamento del servizio di vigilanza, prelievo e trasporto valori, il verbale 24 febbraio 2011, la scelta di aggiudicare alla controinteressata, ed ogni altro atto prodromico, connesso e conseguenziale.

La domanda cautelare veniva accolta nella C.C. del 19.4.2011, con ordinanza n. 550/2011 .

Con memoria depositata il 17.11.2011, parte ricorrente ha rappresentato che l’Amm.ne ha comunicato, in corso di giudizio, di aver annullato in autotutela l’affidamento del servizio, ma ha insistito per l’accoglimento del ricorso e la conseguente aggiudicazione della gara, previa riedizione del bando di gara.

Il Collegio ritiene che le citate domande vadano respinte, dovendosi anzitutto rivedere l’orientamento espresso nella (necessariamente) sommaria fase cautelare.

Infatti, parte ricorrente risulta aver impugnato esclusivamente gli atti della gara in questione e l’aggiudicazione alla controinteressata, non potendosi, al riguardo, ascrivere alcun particolare rilievo alla indicazione, nell’oggetto dell’impugnazione, contenuta nell'atto introduttivo del giudizio, di “ogni altro atto prodromico, connesso e consequenziale”, dichiarazione che assume il carattere di mera clausola di stile di per sé irrilevante (essendo necessario che il ricorrente indichi in maniera espressa gli atti che intende impugnare) ed sufficiente a far ricomprendere nell'oggetto del gravame atti non specificamente nominati, seppure direttamente lesivi.

In proposito, la Giurisprudenza ritiene, con condivisibile orientamento, che l'espressione indeterminata racchiusa nella clausola di stile secondo cui l'impugnazione concerne altresì "ogni altro atto comunque presupposto, conseguente o connesso a quello odiernamente impugnato" (o simili) è per sua natura priva di attitudine a manifestare quale debba, secondo l'interessato, essere l'oggetto del giudizio e dell'annullamento da parte del giudice, perché solo una inequivoca indicazione consente al giudice stesso di identificare l'oggetto della domanda e ai contraddittori di esercitare il loro diritto di difesa (Consiglio Stato , sez. VI, 13 gennaio 2011 , n. 177).

Peraltro, avverso il bando, non espressamente menzionato quale oggetto di impugnazione, non sono neppure state formulate specifiche censure: infatti, parte ricorrente con il primo ed il secondo motivo ha lamentato la carenza di motivazione nella scelta di aggiudicare alla controinteressata, con il terzo la violazione delle garanzie partecipative per avere l’Amm.ne trasmesso solo il verbale di aggiudicazione.

Conseguentemente, confermato che gli atti impugnati sono i verbali di gara e l’aggiudicazione, e che gli stessi sono stati annullati in autotutela, per quanto dichiarato da parte ricorrente, non permane alcun residuo interesse all’esame del ricorso, per cui non resta al Collegio che dichiarare il ricorso improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, con integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio, nella considerazione che non consta che l’autotutela sia stata determinata dall’accoglimento delle censure di cui al ricorso; ed avuto riguardo alla revisione dell’orientamento assunto in sede cautelare.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara improcedibile.

Spese compensate .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 6 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Calogero Ferlisi, Presidente

Gabriella Guzzardi, Consigliere

Maria Stella Boscarino, Primo Referendario, Estensore
   
L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
    
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/01/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Sussiste la giurisdizione del g.a in materia di finanziamento concesso in sede di approvazione di un patto territoriale

Tar Catania, Sez. IV, sentenza del 15 dicembre 2011, n. 3028
Data: 
15/12/2011

in materia di contributi e sovvenzioni pubbliche, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è da tempo orientata nel senso che occorre distinguere a seconda che la legge riconosca direttamente la spettanza del beneficio, ovvero la subordini ad una valutazione discrezionale della PA, in quanto se nel primo caso la posizione del privato è sempre qualificabile in termini di diritto soggettivo, nella seconda ipotesi è di interesse legittimo, come tale tutelabile dinanzi al giudice amministrativo, nella fase procedimentale anteriore all’emanazione del provvedimento attributivo dell’aiuto, oppure nel caso che tale provvedimento venga annullato in via di autotutela per vizi di legittimità o per un suo contrasto originario con il pubblico interesse; mentre è di diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, nella fase di attuazione del rapporto, cioè qualora si lamenti la mancata erogazione del contributo, o si contesti l’avvenuta revoca dello stesso in relazione a presunti inadempimenti del destinatario del contributo (cfr., fra le altre, Sez. Un., 2001/66, 2002/10689, 2003/5617, 2005/21000, 2006/16896, 2007/117 e 2007/8232.

Secondo tali criteri, quindi, nel caso in esame la giurisdizione dovrebbe astrattamente spettare al giudice ordinario, poiché i ricorrenti lamentano la mancata erogazione di un contributo già concesso, facendo valere il proprio relativo diritto soggettivo alla percezione delle somme dovute.

Tuttavia, è da precisare che nel caso di specie si discute di un finanziamento concesso in sede di approvazione di un patto territoriale che, ai sensi della L. n. 662/96, art. 2, commi 203 e segg., costituisce una delle possibili forme della c.d. programmazione negoziata, cui è dato ricorrere in caso di interventi che coinvolgono una molteplicità di soggetti pubblici e privati ed "implicano decisioni istituzionali e risorse finanziarie a carico delle amministrazioni statali, regionali e delle province autonome, nonchè degli enti pubblici".

 

 


 

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2531 del 2011, proposto da:
xxxxx, rappresentati e difesi dall'avv.

contro

Ministero dello Sviluppo Economico, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Catania, via Vecchia Ognina, 149;

per l'accertamento

della illegittimità del silenzio mantenuto sull’istanza del 12 ottobre 2010, notificata a mezzo Ufficiale giudiziario il 13 ottobre 2010, finalizzata ad ottenere che il Ministero autorizzasse la xxx a richiedere alla Cassa Depositi e Prestiti l’erogazione del saldo del contributo già concesso,

e per la condanna

del Ministero intimato all’adozione dei relativi provvedimenti.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dello Sviluppo Economico;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 7 dicembre 2011 il dott. Dauno Trebastoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con decreto n. 2573 del 27 settembre 2001 il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha approvato il Patto Territoriale per l’Agricoltura e la Pesca “dell’Alcantara e della riviera Jonica”, ed ha disposto l’impegno di spesa per un importo complessivo di € 6.598.434,10, di cui € 5.898.598,85 per iniziative imprenditoriali, € 379.218, 81 per la costruzione e l’ammodernamento dei pescherecci ed € 320.616,44 per interventi strutturali.

Con nota del 12 gennaio 2005, e successiva integrazione del 13 luglio 2006, la  xxxxx s.p.a., soggetto responsabile del Patto Territoriale, ha richiesto al Ministero dello Sviluppo Economico l’autorizzazione alla rimodulazione delle risorse liberatesi per rinunce e/o revoche, per il finanziamento di un nuovo intervento infrastrutturale.

Con decreto n. 6393 del 23 luglio 2007 il Ministero dello Sviluppo Economico ha autorizzato la chiesta rimodulazione delle risorse e, conseguentemente, ha disposto che la finanza del Patto Territoriale sia così articolata: “€ 5.098.689,84 per iniziative imprenditoriali ancora in essere, per una occupazione aggiuntiva residua di n. 99,65 unità; € 320.616,44 per interventi infrastrutturali ancora in essere; € 80.990,77 per APQ; € 600.238,53 per un nuovo intervento infrastrutturale comprensivo di oneri istruttori; € 150.059,63 per ritenuta nella misura del 20%; € 347.838,89 residuo economie di Patto”.

Con decreto n. PT6861 del 18 dicembre 2007 il Ministero ha “approvato gli esiti istruttori della rimodulazione del Patto Territoriale”, per l’importo di € 595.807,52.

A seguito dell’espletamento, da parte della xxx, di procedura di gara aperta, in data 4 aprile 2008 è stato stipulato il contratto con l’impresa aggiudicataria, Creativa Impresa di comunicazione S.r.l., per la realizzazione dell’intervento oggetto di finanziamento, per l’acquisizione del servizio di “Promozione dei comparti agrituristico ed eno-gastronomico nel contesto del Distretto Taormina Etna”.

Con successivo decreto n. 7020 del 21 aprile 2008 è stata prevista la copertura finanziaria con le somme già impegnate a favore della Cassa Depositi e Prestiti.

Come esposto nel ricorso, la Cassa Depositi e Prestiti ha effettuato erogazioni fino al 90% dell’importo finanziato, per complessivi € 536.226,76 (€ 481.435,20 in data 11 agosto 2008 ed € 54.791,56 in data 26 novembre 2008).

Con nota n. 91 del 29 marzo 2010, diretta alla xxx, quale ente attuatore, ed alla xxx, quale soggetto responsabile, il Ministero ha contestato il presunto utilizzo non autorizzato del ribasso d’asta, mediante l’inserimento fra le somme a disposizione nel nuovo quadro di spesa, manifestando anche “qualche perplessità sull’oggetto dell’opera infrastrutturale de qua nonché sulla riconducibilità della stessa alla categoria del lavori pubblici (così come definiti dalla legge 109/94)”.

Con la medesima nota le Società ricorrenti sono state invitate a fornire le proprie deduzioni, presentate con note del 12 aprile 2010 e del 17 maggio 2010, con le quali si è precisato che “le economie derivanti dal ribasso d’asta, pari a complessive € 977,50, non risultano essere state utilizzate in alcun modo”, trattandosi di importo da non poter utilizzare nell’ambito del finanziamento in assenza di specifica autorizzazione da parte del Ministero. È stato anche inviato un nuovo quadro di spesa, al fine di rendere ulteriormente chiaro il non utilizzo del ribasso d’asta.

Inoltre, in merito alle perplessità nate sull’oggetto dell’intervento finanziato, è stato puntualizzato che il Ministero, con il citato decreto n. 6861 del 18 dicembre 2007, aveva già positivamente valutato la coerenza dell’intervento proposto con la normativa riguardante i Patti Territoriali e le relative rimodulazioni, dal momento che sono stati approvati gli esiti istruttori.

Non ricevendo risposta da parte del Ministero, in data 13 ottobre 2010 le citate società hanno notificato al Ministero resistente un atto stragiudiziale, con il quale l’hanno invitato e diffidato ad autorizzare il Soggetto responsabile, xxxxxx, a richiedere alla Cassa Depositi e Prestiti l’erogazione del saldo spettante, pari ad € 58.591,20.

Protraendosi l’inerzia del Ministero, in data 20.07.2011 le società hanno notificato il ricorso in esame, depositato il successivo 03.08, al fine di chiedere la dichiarazione di illegittimità del silenzio mantenuto sulla propria istanza.

Alla Camera di Consiglio del 07.12.2011 il ricorso è passato in decisione.

DIRITTO

1) Preliminarmente, il Collegio ritiene opportuno, d’ufficio, precisare che nel caso in esame sussiste la propria giurisdizione.

Come è noto, in materia di contributi e sovvenzioni pubbliche, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è da tempo orientata nel senso che occorre distinguere a seconda che la legge riconosca direttamente la spettanza del beneficio, ovvero la subordini ad una valutazione discrezionale della PA, in quanto se nel primo caso la posizione del privato è sempre qualificabile in termini di diritto soggettivo, nella seconda ipotesi è di interesse legittimo, come tale tutelabile dinanzi al giudice amministrativo, nella fase procedimentale anteriore all’emanazione del provvedimento attributivo dell’aiuto, oppure nel caso che tale provvedimento venga annullato in via di autotutela per vizi di legittimità o per un suo contrasto originario con il pubblico interesse; mentre è di diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, nella fase di attuazione del rapporto, cioè qualora si lamenti la mancata erogazione del contributo, o si contesti l’avvenuta revoca dello stesso in relazione a presunti inadempimenti del destinatario del contributo (cfr., fra le altre, Sez. Un., 2001/66, 2002/10689, 2003/5617, 2005/21000, 2006/16896, 2007/117 e 2007/8232.

Secondo tali criteri, quindi, nel caso in esame la giurisdizione dovrebbe astrattamente spettare al giudice ordinario, poiché i ricorrenti lamentano la mancata erogazione di un contributo già concesso, facendo valere il proprio relativo diritto soggettivo alla percezione delle somme dovute.

Tuttavia, è da precisare che nel caso di specie si discute di un finanziamento concesso in sede di approvazione di un patto territoriale che, ai sensi della L. n. 662/96, art. 2, commi 203 e segg., costituisce una delle possibili forme della c.d. programmazione negoziata, cui è dato ricorrere in caso di interventi che coinvolgono una molteplicità di soggetti pubblici e privati ed "implicano decisioni istituzionali e risorse finanziarie a carico delle amministrazioni statali, regionali e delle province autonome, nonchè degli enti pubblici".

Nel quadro di tale più ampia categoria, i patti territoriali (già previsti dal D.L. n. 244/95, convertito in L. n. 341/95) rappresentano più specificamente gli accordi promossi dagli enti locali, dalle parti sociali o da altri soggetti pubblici o privati "per attuare un programma d'interventi caratterizzato da specifici obiettivi di promozione dello sviluppo locale"; in vista di ciò, il patto territoriale deve, fra l'altro, indicare: 1) le attività e gli interventi da realizzare, con i relativi tempi e modalità di attuazione e con i termini ridotti per gli adempimenti procedimentali; 2) i soggetti responsabili della loro realizzazione; 3) gli eventuali accordi di programma ai sensi della L. n. 142/90; 4) le eventuali conferenze di servizi o convenzioni necessarie per l'attuazione dell'accordo; 5) gli impegni di ciascun soggetto, nonchè del soggetto cui competono poteri sostitutivi in caso d'inerzie, ritardi o inadempienze; 6) i procedimenti di conciliazione o definizione di conflitti fra i partecipanti; 7) le risorse finanziarie occorrenti; 8) le procedure e i soggetti responsabili per il monitoraggio e la verifica dei risultati.

A questo proposito è stata prevista non soltanto la nomina di un Soggetto responsabile, con l'incarico di supervisionare tutte le attività e accertarne la regolare esecuzione, ma, prima ancora, la stipulazione di un'intesa fra tutte le componenti coinvolte, al fine di concordare l'obiettivo e ripartire i compiti dei vari partecipanti, per impegnarli fra loro e coagularne le volontà sul raggiungimento di traguardi condivisi ed interdipendenti.

Sotto questo profilo, i patti territoriali hanno dunque portato ad ulteriori sviluppi l'utilizzazione del modello consensuale sia nei rapporti della Pubblica Amministrazione con i privati che quale strumento di coordinamento dei vari enti pubblici fra loro, assommando, in una sorta di sintesi evolutiva, le diverse ipotesi disciplinate dagli artt. 11 e 15 della L. n. 241/1990, che peraltro devolvono alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ogni controversia in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi da esse contemplati (per le precisazioni di cui sopra, cfr. Cass., Sez. Un., 23 marzo 2009 n. 6960, nonché, nella medesima materia dei suddetti patti, Id., sez. un., 8 luglio 2008 n. 18630, in un caso di revoca, per contestate inadempienze, del contributo concesso).

Pertanto, anche nel caso in esame, va affermata la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

2) Nel merito, il Collegio ritiene che il ricorso debba essere accolto.

Il giudizio camerale prima previsto dall’art. 21-bis della L. 1034/71 (introdotto dall’art. 2 della L. 205/2000), ed ora disciplinato dall’art. 31 del D.Lgs. n. 104/2010, finalizzato alla decisione dei ricorsi “avverso il silenzio dell'amministrazione”, è correlato alla previsione dell’art. 2, comma 1, della L. n. 241/90, il quale ha sancito l’obbligo per ogni Amministrazione, nel caso in cui il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, di concluderlo “mediante l'adozione di un provvedimento espresso”, senza necessità di apposita diffida.

Vale a dire che, nelle fattispecie di silenzio, il giudice è chiamato ad accertare la sussistenza di un obbligo dell’Amministrazione a provvedere sull’istanza dell’interessato, a fronte di una sua posizione qualificata a chiedere un certo provvedimento, mentre può verificare la fondatezza della pretesa sostanziale sottesa soltanto nelle ipotesi in cui si tratti di attività amministrativa vincolata.

Infatti, per quanto riguarda tale ultimo aspetto, il comma 3 del citato art. 31, del D.Lgs. 104/2010, precisa ora, nel recepire analogo orientamento giurisprudenziale, che “il giudice può pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall’amministrazione”.

Nel caso in esame, il Collegio ritiene che tale obbligo sussista, in relazione alla posizione differenziata delle ricorrenti, derivante loro dall’avere interesse che il procedimento di erogazione delle varie rate del contributo si concluda, e che il progetto a suo tempo approvato dal Ministero trovi definitiva realizzazione.

Pertanto, le ricorrenti vantano un preciso interesse, giuridicamente rilevante, ad ottenere una pronuncia con la quale l’Amministrazione, esercitando il potere discrezionale attribuitole dalla legge, al fine di accogliere o rigettare la loro istanza, porti a termine il procedimento volto ad accertare se sussistono le condizioni per la concessione del saldo del contributo in questione.

Mantenendosi inerte sul descritto obbligo, quindi, il Ministero intimato è venuto meno ad un proprio preciso dovere giuridico, correlato all’obbligo di concludere il procedimento “mediante l'adozione di un provvedimento espresso”.

Nei termini precisati, il ricorso può pertanto ritenersi fondato e meritevole di accoglimento, per cui va dichiarato l’obbligo del Ministero di portare a termine la procedura descritta, entro il termine di sessanta giorni dalla data di notificazione della sentenza ad opera di parte, o dalla sua comunicazione in via amministrativa.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania – Sezione Quarta definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei termini di cui in motivazione, e per l’effetto dichiara illegittimo il silenzio tenuto dal Ministero intimato, e gli ordina di definire il citato procedimento, entro il termine di sessanta giorni dalla data di notificazione della sentenza ad opera di parte, o dalla sua comunicazione in via amministrativa.

Condanna il Ministero al pagamento delle spese di giudizio nei confronti delle ricorrenti, che si liquidano in € 750,00 per ciascuna, oltre accessori e al rimborso del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 7 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Cosimo Di Paola, Presidente

Francesco Brugaletta, Consigliere

Dauno Trebastoni, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
    
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/12/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Giudizio di ottemperanza: è inammissibile il ricorso allorchè sia stata omessa la notifica del titolo esecutivo

Tar Palermo Sez. III, sentenza n. 2084 del 10 novembre 2011
Data: 
10/11/2011
N. 02084/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00657/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 657 del 2011, proposto da ***, rappresentato e difeso dall'avv. Maria Passanante, con domicilio eletto presso l’avv. Sergio Mango in Palermo, via E. Restivo 82;

contro

-il Ministero della Giustizia, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria per legge in Palermo, via A. De Gasperi n. 81;

per l'esecuzione

-DEL DECRETO DI EQUA RIPARAZIONE N. 215/2009 DELLA CORTE D'APPELLO DI CALTANISSETTA.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 novembre 2011 il Presidente dott. Nicolo' Monteleone e udita l’Avvocatura dello Stato, come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO e DIRITTO
Premesso che i giudizi di ottemperanza vanno decisi, ai sensi dell’art. 114, comma 3, del codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), con “sentenza in forma semplificata”, osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile.

Ed invero, il ricorrente ha omesso di notificare all’Amministrazione intimata il titolo esecutivo (decreto della Corte di Appello di Caltanissetta n. 215/2009 del 29.10.2009, recante la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento della somma di € 11.100,00, a titolo di equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, oltre interessi e spese processuali).

Al riguardo, deve ritenersi che la previsione dell’art. 14 del d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 e s.m.i., secondo cui l’esecuzione forzata e la notifica di atto di precetto devono essere precedute dalla “notificazione del titolo esecutivo”, sia applicabile anche al giudizio di ottemperanza avanti al Giudice amministrativo, sulla base di una sostanziale identità di ratio con l’esecuzione forzata regolamentata dal c.p.c., trattandosi di due istituti che, se pure per vie diverse e con risultati diversificati, s'incentrano entrambi sull'adempimento dell'obbligazione pecuniaria scaturente dal comando del giudice (cfr. fra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 12 maggio 2008, n. 2160; T.a.r. Sicilia, sez. III, 13 luglio 2011, n. 1361, 8 giugno 2011, n. 1068; T.a.r. Campania, sez. IV, 17 gennaio 2011, n. 234; 29 giugno 2010, n. 16434; T.A.R. Lazio, Roma, III, 24 gennaio 2008, n. 531; T.A.R. Lazio Latina, I, 10 gennaio 2008, n. 25).

Il ricorso va, quindi dichiarato inammissibile.

In considerazione della natura della controversia, le spese di giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza), dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe indicato (n. 657/2011).

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 4 novembre 2011, con l'intervento dei signori magistrati:

Nicolo' Monteleone, Presidente, Estensore

Maria Cappellano, Referendario

Anna Pignataro, Referendario
 
IL PRESIDENTE, ESTENSORE   
    
    

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/11/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

E' inammissibile per carenza di interesse il ricorso dal cui accoglimento non possa derivare alcun vantaggio sostanziale

Tar Palermo Sez. I, sentenza n. 2053 del 10 novembre 2011
Data: 
10/11/2011
Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nel processo amministrativo l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti, che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità, che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato. È stato, pertanto, affermato che il ricorso deve essere considerato inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio sostanziale al ricorrente, neppure di carattere strumentale, precisando che quest'ultimo sussiste allorquando le censure dedotte siano tali da determinare, in caso di accoglimento, la rinnovazione dell'intera procedura (per tutte Consiglio di Stato, V, 4 marzo 2011, n. 1398).
 

N. 02053/2011 REG.PROV.COLL.

N. 01894/2011 REG.RIC.
 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA


ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 1894 del 2011, proposto da:
***, rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso, dal prof. avv. Alfredo Galasso, presso il cui studio in Palermo, via G. Pacini, n. 67, è elettivamente domiciliata;

contro

- Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione “Civico di Cristina Benfratelli” di Palermo, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, giusta procura in calce alla memoria di costituzione, sia congiuntamente che disgiuntamente, dagli avv. Caterina Rizzotto e Francesco Palma, elettivamente domiciliato presso l’ufficio legale dell’azienda in Palermo, piazza N. Leotta, n. 4;
- Assessorato Regionale della Salute, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici, in via Alcide De Gasperi, n. 81, è domiciliato per legge;

per l'annullamento

- della deliberazione n. 816 del 4 luglio 2011 dell'Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione "Civico - Di Cristina - Benfratelli", affissa all'albo dell'ARNAS il successivo 10 luglio, avente per oggetto l'indizione di una "selezione pubblica per titoli e colloquio per il conferimento di incarichi a tempo determinato. Ruolo ‘Amministrativo’ Dirigenza P. T.A. ";

- del relativo bando di concorso pubblico per titoli e colloquio a n. 4 posti di Dirigente Amministrativo da destinare rispettivamente n. 1 unità alla U.O.C. Economico finanziario e Patrimoniale; n. 1 unità alla U.O.C. Provveditorato; n. 1 unità alla U.O.C. Risorse Umane, Sviluppo Organizzativo, Affari generali/tecnico; n. 1 unità alla U.O.C. Facility Management/Staff, emanato dall'Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione "Civico-Di Cristina-Benfratelli".

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Azienda Ospedaliera di Rilievo Nazionale e di Alta Specializzazione Civico di Cristina Benfratelli di Palermo e dell’Avvocatura dello Stato per l’Assessorato Regionale della Salute;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2011 il primo referendario Aurora Lento e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

La controversia ha ad oggetto la selezione per l’assunzione a tempo determinato di quattro dirigenti amministrativi indetta dall’Azienda Ospedaliera “Civico – Di Cristina – Benfratelli” ed è stato proposto da una dipendente della stessa amministrazione, avente la qualifica di collaboratore amministrativo, categoria D, che ha presentato istanza di partecipazione e non poteva evidentemente accedere a tale posto se non per concorso.

Il ricorso è inammissibile per carenza di interesse.

Secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale, nel processo amministrativo l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti, che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità, che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato. È stato, pertanto, affermato che il ricorso deve essere considerato inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l'annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio sostanziale al ricorrente, neppure di carattere strumentale, precisando che quest'ultimo sussiste allorquando le censure dedotte siano tali da determinare, in caso di accoglimento, la rinnovazione dell'intera procedura (per tutte Consiglio di Stato, V, 4 marzo 2011, n. 1398).

Per quanto riguarda le procedure selettive, sempre secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, può aversi l’immediata impugnazione degli atti di indizione delle stesse solo con riferimento alle disposizioni, che si riferiscono a requisiti soggettivi e comportano un'immediata preclusione della partecipazione, ossia per le clausole immediatamente e direttamente lesive dell’interesse sostanziale dell’interessato alla selezione. Le ulteriori questioni inerenti l'applicazione delle norme regolamentari generali, così come l'impugnazione di norme del bando devono essere proposte unitamente agli atti applicativi, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto danneggiato dal provvedimento e a rendere attuale e concreta la lesione della sua situazione soggettiva (ex plurimis Consiglio Stato, V, 4 marzo 2011, n. 1380 e T.A.R. Lazio Roma, II, 17 settembre 2010, n. 32351).

Nella specie la ricorrente è in possesso dei requisiti richiesti dal bando ed ha presentato domanda di partecipazione alla selezione, che non è stata ancora espletata, cosicchè, facendo applicazione dei principi su enunciati, deve escludersi che abbia interesse alla proposizione del ricorso, che, pertanto, come detto, va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Pone a carico della parte soccombente le spese del presente giudizio, che liquida in complessivi € 1.000,00 (Mille/00), oltre accessori, se e in quanto dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 12 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Nicola Maisano, Presidente FF

Aurora Lento, Primo Referendario, Estensore

Pier Luigi Tomaiuoli, Referendario
 
    
L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
 
     
      

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 10/11/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

La motivazione del provvedimento amministrativo non può essere integrata nel corso del giudizio

Tar Catania, Sez. IV, sentenza del 7 novembre 2011, n. 2647
Data: 
07/11/2011

E' inammissibile l'integrazione postuma della motivazione di un atto amministrativo, realizzata  mediante gli atti difensivi predisposti dall’Amministrazione resistente, e ciò anche dopo le modifiche apportate alla l. n. 241/90 dalla l. 15/2005, rimanendo sempre valido il principio secondo cui la motivazione del provvedimento non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo, a tutela del buon andamento amministrativo e dell’esigenza di delimitazione del controllo giudiziario (vedi, ex multis, Cons. St., sez. VI, 29 maggio 2008 n. 2555, e la motivazione ivi contenuta).

 


SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1988 del 2010, proposto da:
Harun Sorder, rappresentato e difeso dall'avv. Rosa Emanuela Lo Faro, con domicilio eletto presso Rosa Emanuela Lo Faro in Catania, via Asiago, n. 23;
contro
Ministero dell'Interno - Prefettura della Provincia di Catania, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, domiciliata per legge in Catania, via Vecchia Ognina, n. 149;
per l'annullamento,previa sospensione dell’efficacia,
del decreto del Prefetto di Catania del 31/5/2010, di rigetto della domanda di regolarizzazione presentata ai sensi della legge 102/09 dal sig. Puglisi Paolo, in favore del ricorrente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno - Prefettura della Provincia di Catania;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2011 il dott. Dauno Trebastoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il ricorso in esame, notificato il 15.07.2010, depositato il successivo 20.07, il ricorrente ha impugnato il provvedimento, del 31.05.2010, con cui la Prefettura di Catania ha rigettato la domanda di regolarizzazione presentata ai sensi della legge 102/09 dal sig. Puglisi Paolo in favore del ricorrente.
Con ordinanza n. 1196 del 30.09.2010 questa Sezione ha accolto l’istanza cautelare.
Alla pubblica udienza del 26.10.2011 la causa è stata posta in decisione.
Il Collegio ritiene di dover accogliere il motivo di ricorso con cui è stata fatta valere l’assoluta carenza di motivazione del provvedimento impugnato.
Infatti, quest’ultimo riporta solamente la precisazione che “il dichiarante presenta motivi ostativi”, senza alcuna altra spiegazione.
È quindi evidente che è stata palesemente violata la disposizione di cui all’art. 3 della L. 241/90, ai sensi del quale “ogni provvedimento amministrativo…deve essere motivato…. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria”.
Il Collegio rileva che non può neppure trovare applicazione l’art. 21 octies L. 241/90 (introdotto dalla l. 15/2005), nella parte in cui, nella prima parte del comma 2, dispone che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”; infatti, è facile dimostrare che questa norma non è applicabile al caso di specie, almeno per tre ordini di motivi.
Innanzitutto, perché la motivazione di un provvedimento non ha nulla a che fare con la “forma degli atti”, né con le “norme sul procedimento”. Motivo per il quale in giurisprudenza viene ribadita l’inammissibilità dell’integrazione postuma della motivazione di un atto amministrativo, realizzata, come nel caso di specie, mediante gli atti difensivi predisposti dall’Amministrazione resistente, e ciò anche dopo le modifiche apportate alla l. n. 241/90 dalla l. 15/2005, rimanendo sempre valido il principio secondo cui la motivazione del provvedimento non può essere integrata nel corso del giudizio con la specificazione di elementi di fatto, dovendo la motivazione precedere e non seguire ogni provvedimento amministrativo, a tutela del buon andamento amministrativo e dell’esigenza di delimitazione del controllo giudiziario (vedi, ex multis, Cons. St., sez. VI, 29 maggio 2008 n. 2555, e la motivazione ivi contenuta).
In secondo luogo, l’art. 21 octies non è applicabile perché, come chiaramente precisato dalla stessa disposizione, deve trattarsi di provvedimenti aventi “natura vincolata”, mentre nel caso in esame trattasi, in modo più che evidente, di provvedimento discrezionale.
In terzo luogo, perché, anche per il caso di provvedimento avente “natura vincolata”, deve essere “palese” che il suo contenuto dispositivo “non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”. Ed anche tale presupposto non è, nel caso in esame, rilevabile.
In conclusione, assorbiti ulteriori motivi di ricorso non esaminati, il ricorso va accolto, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
Le spese seguono la soccombenza, e vengono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – sezione staccata di Catania – Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei termini di cui in motivazione, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.
Condanna l’Amministrazione al pagamento in favore del ricorrente delle spese di giudizio, liquidate in € 1.000,00 oltre accessori, ed al rimborso del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:
 
Cosimo Di Paola, Presidente
Rosalia Messina, Consigliere
Dauno Trebastoni, Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/11/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 
 
 
 

Il termine di 120 giorni assegnato alle PA per l'esecuzione dell'obbligo di pagamento di una somma di denaro decorre dalla notifica del titolo esecutivo presso l'Amministrazione e non presso l'Avvocatura dello Stato

Tar Palermo Sez. III, sentenza n. 1989 del 3 novembre 2011
Data: 
03/11/2011
Ai fini del decorso del termine di cui all’art. 14 l. n. 30/96, il titolo esecutivo munito della formula esecutiva deve essere notificato presso la sede dell’Amministrazione anche quando detta Amministrazione si avvalga del patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura erariale.
 


N. 01989/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00145/2011 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso con il numero di registro generale 145 del 2011, proposto da ***, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Pietro Maniscalco Bacile, presso il cui studio, sito in Palermo, Piazza Sacro Cuore, n. 3, è elettivamente domiciliato;

contro

l’Assessorato Regionale dell’Istruzione e della formazione professionale, in persona dell’Assessore pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui Uffici, siti in Palermo, via A. De Gasperi, n. 81, è domiciliato ex lege;

per l'ottemperanza:

del decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Palermo in data 23/11/2009, con il quale è stato ordinato il pagamento della somma di € 31.479,64 in favore dell’***;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione regionale intimata;

Visti tutti gli atti della causa;

Designato relatore alla camera di consiglio del giorno 23 settembre 2011 il Presidente F.F., Consigliere Federica Cabrini;

Uditi i difensori delle parti, come da verbale;

Vista l’ordinanza collegiale n. 1746/2011;

Vista la memoria difensiva depositata in giudizio dalla ricorrente in data 13/10/2011;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso notificato in data 11/1/2011 e depositato in data 20/1/2011, l’Associazione ricorrente ha chiesto l’ottemperanza del decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Palermo 23/11/2009, n. 4757, passato in giudicato per mancata opposizione in data 23/11/2010, con la quale all’Assessorato è stato ingiunto il pagamento, in favore della ricorrente, di € 31.479,64, oltre interessi e spese.

L’Amministrazione si è costituita in giudizio con memoria di mera forma.

Nel corso della camera di consiglio del 23 settembre 2011, il Collegio ha rilevato una possibile causa di inammissibilità del ricorso in relazione alla mancata notifica del decreto ingiuntivo non opposto prima della proposizione del ricorso per l’ottemperanza.

Uditi i difensori delle parti, come da verbale, il ricorso è stato quindi posto in decisione.

Dopo il passaggio in decisione del ricorso il Collegio ha rilevato una ulteriore possibile causa di inammissibilità in ragione del luogo della notifica del decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo e ha concesso alle parti, ai sensi dell’art. 73, c. 3, c.p.a., termine di giorni quindici per il deposito di memorie.

Il ricorso è stato quindi deciso alla camera di consiglio del giorno 3 novembre 2011.

DIRITTO

Risulta dalla documentazione in atti che il decreto ingiuntivo n. 4757/2009 è stato dichiarato provvisoriamente esecutivo in data 4/12/2009 e notificato all’Assessorato presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato in data 14/12/2009.

Stante la mancata opposizione nei termini, il decreto ingiuntivo è passato in giudicato, come risultante dall’attestazione della Cancelleria del Tribunale resa in data 23/11/2010.

La ricorrente ha quindi notificato atto di precetto e atto di diffida all’Assessorato personalmente e presso l’Avvocatura dello Stato.

Successivamente ha notificato il ricorso per l’ottemperanza.

Osserva preliminarmente il Collego che ai sensi dell’art. 112, c. 2, lett. c), c.p.a., applicabile ratione temporis, il giudizio di ottemperanza può essere proposto per ottenere l’esecuzione delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario (non è quindi possibile agire in giudizio a fronte di un provvedimento privo di esecutorietà o munito di provvisoria esecutorietà, ma solo di un provvedimento munito dell’autorità di cosa giudicata).

Sotto tale profilo ritiene il Collegio che il ricorso sia ammissibile essendo sufficiente, per come rilevato anche dalla difesa della ricorrente nel corso della camera di consiglio del giorno 23/9/2011 che il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo non opposto si sia verificato prima della proposizione del ricorso per l’ottemperanza, essendo invece irrilevante che il titolo esecutivo sia stato rinotificato all’Amministrazione intimata dopo il passaggio in giudicato.

D’altra parte, osserva il Collegio che l’art. 14, cc. 1-1 bis, d.l. n. 669/96, conv. in l. n. 30/96 s.m.i., recita: “1.Le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di danaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere ad esecuzione forzata né alla notifica di atto di precetto. 1-bis Gli atti introduttivi del giudizio di cognizione, gli atti di precetto nonché gli atti di pignoramento e sequestro devono essere notificati a pena di nullità presso la struttura territoriale dell'Ente pubblico nella cui circoscrizione risiedono i soggetti privati interessati e contenere i dati anagrafici dell'interessato, il codice fiscale ed il domicilio.”.

Costituisce ormai ius receptum l’applicabilità di detta norma anche al giudizio di ottemperanza, il quale ha come obiettivo, in modo analogo all'esecuzione forzata disciplinata dal c.p.c., se pure per vie diverse, l'adempimento dell'obbligazione scaturente dal comando del giudice (v. in tal senso la prevalente giurisprudenza amministrativa: T.A.R. Sicilia-Palermo, sez. III, 13 luglio 2011, n. 1361; T.A.R. Sicilia-Palermo, sez. III, 8 giugno 2011, n. 1068; T.A.R. Campania-Napoli, sez. IV, 17 gennaio 2011, n. 234; T.A.R. Campania-Napoli, sez. IV, 29 giugno 2010, n. 16434; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 24 gennaio 2008, n. 531; T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 10 gennaio 2008, n. 25; T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 21 dicembre 2005, n. 2956 e T.A.R. Veneto Venezia, sez. I, 12 giugno 2003, n. 3302).

Resta da chiarire se, per come prospettato nell’ordinanza collegiale n. 1746/2011, ai fini del decorso del termine di cui all’art. 14 l. n. 30/96, il titolo esecutivo munito della formula esecutiva debba essere notificato presso la sede dell’Amministrazione anche quando, come nel caso di specie, detta Amministrazione si avvalga del patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura erariale, ovvero se, per come sostenuto dalla difesa della parte ricorrente nella memoria depositata in giudizio in data 13/10/2010, la notifica debba essere effettuata presso l’Avvocatura dello Stato.

Ritiene il Collegio che debba essere seguita la prima opzione interpretativa.

Invero, la ratio dell’art. 14 l. n. 30/96 è quella di consentire all'Amministrazione, la quale va direttamente compulsata, di attivare e concludere il procedimento di pagamento nell'arco temporale assegnato dalla legge, e ciò prima che sia introdotta la procedura giudiziale di esecuzione che può comportare anche un ulteriore aggravio di spese processuali (così T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 21 dicembre 2005, n. 2956).

Segue da ciò che la notifica del titolo esecutivo al fine di ottenere il pagamento di somme di denaro da parte di Amministrazioni statali ed enti pubblici, va effettuata direttamente all’Amministrazione tenuta ad avviare le procedure di pagamento, valendo invece la notifica presso l’Avvocatura ai sensi dell’art. 11 r.d. n. 1611/1933 solo ai fini del decorso del termine per la proposizione dell’eventuale giudizio di impugnazione del provvedimento (nel caso di specie opposizione del decreto ingiuntivo) (v. in tal senso l’ampia ordinanza del Trib. di Napoli 18 aprile 2002).

Ne deriva quindi l’inammissibilità del ricorso proposto.

Ritiene peraltro il Collegio che, quanto alle spese del giudizio, sussistano le eccezionali ragioni di cui all’art. 92, c. 2, c.p.c., per poterle compensare tra le parti tenuto conto della circostanza che l’Avvocatura erariale non ha svolto difese, nemmeno a seguito dell’ordinanza collegiale n. 1746/2011.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sezione terza, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato, lo dichiara inammissibile.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Palermo nelle camere di consiglio dei giorni 23 settembre, 7 ottobre e 3 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:

Federica Cabrini, Presidente FF, Estensore

Maria Cappellano, Referendario

Anna Pignataro, Referendario

    
IL PRESIDENTE, ESTENSORE   
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/11/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Sulla risarcibilitĂ  del danno da ritardo

C.G.A. sentenza n. 684 del 24 ottobre 2011
Data: 
24/10/2011
Materia: 
Danno da ritardo
L'art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/1990 statuisce il principio secondo il quale  anche il tempo è un bene della vita per il cittadino. Sulla base di tale principio la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica. In questa prospettiva ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell’aumento del c.d. “rischio amministrativo” e, quindi, in maggiori costi, attesa l’immanente dimensione diacronica di ogni operazione di investimento e di finanziamento.

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, ha pronunciato la seguente
d e c i s i o n e
sul ricorso in appello n.1339/2010, proposto dal
COMUNE DI VENETICO,
in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Antonio Saitta ed elettivamente domiciliato in Palermo, via Gioacchino Ventura, n. 4, presso lo studio dell’avv. Andrea Piazza;
c o n t r o
la ASTRA s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Manlio Nicosia ed elettivamente domiciliata in Palermo, via Mariano Stabile, n. 203, presso lo studio dell’avv. Roberto Ficili;
per l’annullamento
della sentenza del T.A.R. della Sicilia, sezione staccata di Catania (sez. int. I), 16 agosto 2010, n. 3459.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della società appellata;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Relatoreil Consigliere Guido Salemi;
Uditi, altresì, alla pubblica udienza del 16 marzo 2011, l’avv. A. Saitta per il comune appellante e l’avv. G. Monforte, su delega dell’avv. M. Nicosia, per la società appellata;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
1) - La società Astra s.r.l. adiva il T.A.R. della Sicilia, sezione staccata di Catania, chiedendo la condanna del Comune di Venetico al risarcimento dei danni conseguenti alla ritardata conclusione del procedimento amministrativo relativo all’approvazione di un piano di lottizzazione convenzionata, finalizzato alla realizzazione di alcuni capannoni industriali, progetto per il quale il Ministero delle attività produttive aveva concesso un finanziamento ex L. n. 448/1992 subordinatamente all’ultimazione dei lavori entro 48 mesi dal decreto di finanziamento (datato 23 giugno 2003).
La società ricorrente stimava il danno in € 1.241.605,54, articolandolo nelle seguenti voci: a) - perdita del finanziamento, originariamente concessole (pari a € 359.463,00), e il connesso obbligo di pagamento degli interessi sulle somme da restituire, ammontanti a Euro 150.000,00 circa; b) - perdita di € 220.356,00 a causa della mancata realizzazione dell’investimento; c) - perdita di € 532.270,00 a titolo di lucro cessante; d) - danno patrimoniale e all’immagine per € 100.000,00.
2) - Con sentenza 16 agosto 2010, n. 3450, il giudice adito dichiarava fondato il ricorso solo in parte.
In via preliminare, detto giudice respingeva l’eccezione con la quale si addossava alla ricorrente la responsabilità per non aver evitato (ex art. 1227 c.c.) il lamentato evento lesivo, attivando i poteri sostitutivi di competenza regionale, previsti dall’art. 27 della L. R. n. 71/1978 per le ipotesi di inerzia nella gestione dei procedimenti amministrativi disciplinati dalla medesima legge regionale.
Analoga conclusione valeva per l’eccezione che addebitava alla ricorrente la mancata impugnazione e/o contestazione delle richieste istruttorie e degli altri atti addebitati dal Comune, che avevano contribuito a ritardare la conclusione del procedimento.
Passando all’esame delle singole inerzie e/o delle richieste speciose opposte dal Comune nel procedimento, il T.A.R. riteneva che, comparando le argomentazioni sostenute in ricorso con le giustificazioni fornite nella memoria difensiva del Comune, alcuni ritardi risultavano giustificabili; altri, invece, apparivano privi di accettabile spiegazione.
In particolare, pur ammettendo la necessità di richiedere il primo parere del Consorzio A.S.I. di Messina, il lungo tempo intercorso tra l’ottenimento di quest’ultimo e l’approvazione dello schema di convezione da parte del Consiglio comunale - peraltro inframmezzato da una iniziativa giurisdizionale a scopo sollecitatorio - appariva francamente ingiustificabile.
In secondo luogo non era spiegabile la ragione per la quale il Comune avesse sottoscritto la convenzione di lottizzazione soltanto nel settembre 2006.
Infine, dalla data del collaudo delle opere di urbanizzazione primaria (6 marzo 2007) a quella del rilascio della concessione edilizia (21 maggio 2007) erano decorsi senza giustificato motivo altri due mesi che, nell’economica della vicenda, avevano avuto un peso rilevante.
In conclusione - rilevava il T.A.R. - i tempi di approvazione della lottizzazione e rilascio della relativa concessione avevano subito alcuni ingiustificati allungamenti, stimabili in un lasso di tempo superiore all’anno.
Passando a verificare la sussistenza degli ulteriori elementi costitutivi dell’illecito, aquiliano, necessari a fondare la responsabilità dell’Amministrazione per il c.d. danno da ritardo, espressamente codificato dall’art. 2-bis della legge n. 241/1990, il T.A.R. rinveniva il requisito della colpa, attraverso presunzioni semplici, nei ripetuti comportamenti omissivi e/o dilatori tenuti dal Comune, che non erano stati giustificati neanche ex post.
Quanto alla quantificazione del danno, la stessa, ad avviso del T.A.R., poteva essere accolta solo nella misura di € 143.479,00, atteso che l’intero danno lamentato non appariva - allo stato - adeguatamente provato.
Infatti, la ricorrente, dando per scontata la revoca del finanziamento - allegava una nota della Banca agricola popolare di Ragusa (concessionaria del Ministero delle attività produttive), datata 2 aprile 2008, nella quale, da una parte, era chiesta alla ricorrente solo la restituzione della prima tranche (oltre a rivalutazione e interessi) di finanziamento fino ad allora erogata, appunto per un importo di € 143.478,00.
Appariva, quindi, evidente che - almeno allo stato, e salve ulteriori decisioni dell’Amministrazione competente - nessuna revoca fosse stata definitivamente deliberata e che fosse stata solo attivata l’azione di restituzione della quota di finanziamento fino allora anticipata.
In conclusione, il T.A.R. reputava che il risarcimento dovuto dal Comune aveva a oggetto solo la predetta somma e che tutte le ulteriori voci di danno non erano assistite da sufficiente prova, non essendo stato ancora emesso il provvedimento di revoca e dell’agevola-zione finanziaria, fermo, peraltro, restando il principio che gli even-tuali ulteriori e successivi danni, se provati, avrebbero potuto essere richiesti con azioni successive, entro il termine del relativo diritto.
3) - Il Comune di Venetico ha proposto appello contro la summenzionata sentenza, deducendo i seguenti motivi di censura:
a) - la domanda risarcitoria doveva essere integralmente rigettata, non essendovi agli atti la prova né dell’avvenuta restituzione della prima rata del finanziamento a fondo perduto, né della definitiva revoca del beneficio a suo tempo erogato;
b) - nella produzione dell’evento vi è stato il concorso del fatto colposo della ricorrente creditrice (art. 1227 c.c.), la quale ha omesso di chiedere l’intervento sostitutivo dell’Assessorato regionale al territorio e ambiente ai sensi dell’art. 27 della L.R. 27 dicembre 1978, n. 71;
c) - acquiescenza della ricorrente alle richieste istruttorie del Comune;
d) - erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che fossero ingiustificate le asserite inerzie nello svolgimento dell’attività procedimentale.;
e) - insussistenza dell’elemento della colpa.
4) - La società Astra ha controdedotto ai motivi di appello e ha proposto appello incidentale.
A suo avviso, la sentenza è errata nella parte in cui non ha riconosciuto l’intervenuta perdita del rilevante contributo ottenuto, con conseguente condanna del Comune al risarcimento di tutte le voci di danno.
Ciò perché, come stabilito da questo Consiglio in un caso analogo (sentenza n. 1368/2010), “la disciplina che regola il finanziamento contemplava una causa di disimpegno automatico della concessione provvisoria delle agevolazioni nel caso di mancato completamento dei lavori entro termine che, nella specie, erano trascorsi al momento della concessione edilizia …”
La sentenza appellata è, inoltre, ingiusta ove ha statuito che l’importo di € 143.478,00 “è dovuto solo ove quest’ultima dimostri di aver restituito tale importo”.
5) - Con successive memorie le parti hanno ribadito le rispettive tesi difensive.
La difesa del Comune ha, inoltre, eccepito che l’appello incidentale è tardivo.
6) - Alla pubblica udienza del 16 marzo 2011, l’appello è stato trattenuto in decisione.
D I R I T T O
1) - L’appello è infondato.
Non può, invero, porsi in dubbio che, come rettamente rilevato dal giudice di prime cure, i tempi di approvazione della lottizzazione di rilascio della relativa concessione abbiano subito alcuni ingiusti-ficati allungamenti stimabili in un lasso di tempo superiore all’anno. Né può condividersi il tentativo della difesa dell’Amministrazione, reiterato in sede di appello, di addossare all’appellata la responsabilità per il superamento del limite di tempo fissato per la conclusione del procedimento.
Come è stato recentemente osservato dal Consiglio di Stato (cfr. sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1271), la giurisprudenza è pacifica nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/1990, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi della p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati siano tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa e colposa del termine di conclusione del procedimento
La norma presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica. In questa prospettiva ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell’aumento del c.d. “rischio amministrativo” e, quindi, in maggiori costi, attesa l’immanente dimensione diacronica di ogni operazione di investimento e di finanziamento (cfr. questo C.G.A., 4 novembre 2010, n. 1368).
Nel caso di specie va escluso che vi sia stato il concorso del fatto colposo del creditore ex art. 1227 c.c. in relazione alla mancata richiesta dell’intervento sostitutivo regionale, previsto dall’art. 27 della legge regionale n. 71 del 1978.
A prescindere dal rilievo, che pure potrebbe farsi, in ordine all’irrilevanza del summenzionato intervento sostitutivo ai fini della dimostrazione della colpa del creditore, non prescrivendo la norma un obbligo comportamentale a carico del creditore stesso, è, in ogni caso, risolutiva di qualsiasi dubbio la constatazione del giudice di prime cure, che “il danno subito dalla ricorrente non avrebbe potuto essere eliminato attraverso la richiesta di intervento sostitutivo, tendente a ottenere una rapida conclusione del procedimento avviato a domanda, atteso che il pregiudizio denunciato si è manifestato non in unica soluzione, ma è frutto della sommatoria di singoli ritardi, inerzie e rallentamenti, che hanno costellato nel corso del quadriennio ogni singola fase endoprocedimentale e hanno avuto l’effetto complessivo di allungare oltre misura i tempi di adozione del provvedimento”.
Per ragioni analoghe va escluso che il prolungamento dei tempi sia dipeso da un comportamento acquiescente della società alle richieste istruttorie dell’Amministrazione, senza contare che v’è stato da parte della società medesima un ricorso al T.A.R. ai sensi dell’art. 21-bis L. n. 1034/1971 avverso una delle denunciate inerzie.
Per altro verso, va evidenziato che il T.A.R. ha minuziosamente elencate le inerzie dell’Amministrazione ritenute ingiustificate in relazione alle quali non è stata sollevata in questa sede alcuna deduzione difensiva.
Infine, va respinta la doglianza secondo cui la domanda risarcitoria avrebbe dovuto essere integralmente rigettata in relazione alla circostanza che non era stata data dimostrazione dell’avvenuta restituzione della prima rata del finanziamento a fondo perduto né della definitiva revoca del beneficio a suo tempo erogato.
Avendo il giudice di prime cure circoscritto il danno risarcibile a una somma corrispondente all’importo della prima rata erogata alla società appellata, è solo su questo aspetto della questione che occorre soffermarsi.
Come è stato osservato dalla giurisprudenza (cfr., di recente, Cass. Civ., sez. III, 27 aprile 2010, n. 10072), in ambito risarcitorio, il danno futuro rispetto al momento della decisione, sia esso emergente (quali le spese non ancora affrontate) o da lucro cessante, in realtà non può mai essere declinato in termini di assoluta certezza, che esclusivamente si attaglia al pregiudizio già completamente verificatosi al momento del giudizio. Come è stato efficacemente osservato in dottrina, “la certezza che deve sussistere per rendere risaricibile il danno futuro non è la stessa di quella che caratterizza il danno presente”. E la giurisprudenza ha da tempo chiarito che se non basta la mera eventualità di un pregiudizio futuro per giustificare la condanna al risarcimento, per dirlo immediatamente risarcibile è invece sufficiente la fondata attendibilità che esso si verifichi secondo la normalità e la regolarità dello sviluppo causale (ex multis, Cass., nn. 1637/2000, 1336/1999, 495/1987, 2302/1965).
Dovendo, quindi affermarsi che la rilevante probabilità di conseguenze pregiudizievoli è configurabile come danno futuro immediatamente risarcibile quante volte l’effettiva diminuzione patrimoniale appaia come il naturale sviluppo di fatti concretamente accertati e inequivocamente sintomatici di quella probabilità, secondo un criterio di normalità fondato sulle circostanze del caso concreto, non sembra dubbio che il pregiudizio lamentato dalla società appellata abbia siffatte caratteristiche.
2) - Può, quindi, procedersi all’esame dell’appello incidentale.
Prima, però, occorre verificare  se tale appello sia ricevibile, avendo l’appellante sostenuto che l’impugnazione è stata proposta dopo il termine di sessanta giorni decorrente dalla notificazione della sentenza impugnata.
L’eccezione è infondata per la considerazione che l’art. 96 del codice del processo amministrativo ha espressamente consentito, ai commi quarto e quinto, la proposizione contro capi autonomi della sentenza impugnata dell’impugnazione incidentale tardiva, da esperirsi dalla parte nel termine, qui rispettato, “di sessanta giorni dalla data in cui si è perfezionata nei suoi confronti la notificazione dell’impu-gnazione principale …”.
3) - Nel merito, l’appellante incidentale ribadisce la tesi che la disciplina che regolava il finanziamento contemplava una causa di disimpegno automatico della concessione provvisoria delle agevolazioni nel caso di mancato completamento dei lavori entro termini che, nella specie, erano trascorsi al momento di rilascio della concessione edilizia.
Tale assunto non può essere condiviso.
Come risulta dal decreto ministeriale di finanziamento, la revoca delle agevolazioni può essere evitata nel concorso di “gravi e giustificati motivi derivanti da cause di forza maggiore”.
Appare, quindi, ineccepibile la conclusione del giudice di prime cure che “tutte le ulteriori voci di danno elencate non appaiono allo stato assistite da sufficiente prova, atteso che non è stato ancora emesso il provvedimento di revoca dell’agevolazione finanziaria”.
Pure infondato, è l’ultimo motivo di appello con cui si lamenta che la sentenza ha erroneamente sostenuto che l’importo di € 143.478,00 “è dovuto solo ove quest’ultimo dimostri di aver restituito tale importo”.
Tale statuizione, che sta a significare che il danno deve concretamente emergere attraverso la dimostrazione della restituzione della prima tranche di contributo concesso, si palesa legittima, posto che il danno non può essere presunto, ma deve essere rigorosamente provato dal creditore.
4) - In conclusione, per le suesposte considerazioni, sia l’appello principale che quello incidentale devono essere respinti.
Ritiene il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.
Si ravvisano giustificati motivi per compensare tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, respinge il ricorso principale e il ricorso incidentale come in epigrafe proposti rispettivamente dal Comune di Venetico e dalla s.r.l. Astra.
Compensa tra le parti le spese, le competenze e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo il 16 marzo 2011, dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, riunito in camera di consiglio con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Antonino Anastasi, Guido Salemi, estensore, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, componenti.
F.to Riccardo Virgilio, Presidente
F.to Guido Salemi, Estensore
Depositata in Segreteria
il 24 ottobre 2011

Non è autonomamente impugnabile il silenzio su uni'stanza di annullamento in autotutela

Tar Palermo Sez. III, sentenza n. 1859 del 17 ottobre 2011
Data: 
17/10/2011
Materia: 
Silenzio

Il privato non può  diffidare l'amministrazione ad esercitare il potere discrezionale di annullamento in autotutela di un propio provvedimento, al fine di impugnare l'eventuale silenzio rifiuto formatosi sull'istanza.

Tale escamotage infatti si traduce in una inammissibile elusione del termine decadenziale di impugnazione degli atti amministrativi atteso che il privato, ormai decaduto dall'azione di annullamento avverso il provvedimento lesivo grazie ad un uso distorto dell'azione avverso il silenzio - rifiuto , sarebbe sostanzialmente rimesso in termini semplicemente notificando un'istanza, volta a sollecitare l'esercizio dei poteri di autotutela della p.a. competente.

 

N. 01859/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01599/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ai sensi degli articoli 31, commi 1-3 e 117, c.p.a.
sul ricorso con il numero di registro generale 1599 del 2011, proposto da ***
per la dichiarazione di illegittimità
- del silenzio rifiuto mantenuto dal Comune di Serradifalco riguardo alla richiesta del 23 marzo 2011, reiterata il 29 aprile e il seguente 16 giugno 2011, di revoca della determinazione dirigenziale n. 174 del 15 aprile 2009 di autorizzazione all’attività di rimessaggio con autolavaggio a favore di impresa terza.
VISTO il ricorso con i relativi allegati;
VISTA la documentazione tutta in atti, ad eccezione di quella tardivamente depositata il 26 settembre 2011, oltre termine dimezzato dei 20 giorni precedenti l’udienza di trattazione, ai sensi dell’art.87, comma 3, c.p.a.;
RELATORE il Referendario Anna Pignataro;
Nessun difensore presente alla camera di consiglio del 7 ottobre 2011.
CONSIDERATO che con il ricorso in epigrafe notificato e depositato il 26 luglio 2011, il sig. *** ha chiesto l’accertamento della sussistenza dell’obbligo del Comune di Serradifalco di pronunciarsi con provvedimento espresso sull’istanza di revoca della determinazione dirigenziale n. 174 del 15 aprile 2009 di autorizzazione all’attività di rimessaggio con autolavaggio a favore di impresa terza, nonché della fondatezza dell’istanza stessa;
RILEVATO che identica domanda (soggetti, petitum e causa petendi) era stata già proposta e decisa da questa sezione con sentenza n. 1577 del 31 agosto 2011, con la quale ne è stata dichiarata l’irricevibilità per deposito tardivo, e, ad colorandum, precisata anche l’inammissibilità per le ragioni che il Collegio non può che reiterare riguardo al presente gravame;
RITENUTO, dunque, che il ricorso è inammissibile poiché, per principio consolidato, l’autotutela costituisce esercizio di attività discrezionale riservata all'amministrazione, per cui il privato - il quale abbia sollecitato l'adozione di un provvedimento di ritiro di una precedente determinazione amministrativa - non può, per ciò solo, vantare una posizione soggettiva qualificata da azionare in sede giurisdizionale mediante l'impugnazione del silenzio formatosi sulla diffida a provvedere; ciò, in quanto tale diffida non è idonea a trasformare una posizione originaria di interesse semplice in posizione qualificata di interesse legittimo.
Diversamente opinando, nel senso che fosse possibile per il privato mettere in mora l'amministrazione quanto all'esercizio del potere discrezionale di autotutela, al fine di impugnare l'eventuale silenzio rifiuto formatosi sull'istanza, si consentirebbe l'elusione del termine decadenziale di impugnazione degli atti amministrativi e il privato, ormai decaduto dall'azione di annullamento avverso il provvedimento lesivo (nel caso di specie la determinazione dirigenziale n. 174 del 15 aprile 2009), grazie ad un uso distorto dell'azione avverso il silenzio - rifiuto , sarebbe sostanzialmente rimesso in termini semplicemente notificando un'istanza, volta a sollecitare l'esercizio dei poteri di autotutela della p.a. competente.
Nulla si dispone in merito alle spese processuali in ragione della mancata costituzione in giudizio del Comune intimato.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza), dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe indicato.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente
Federica Cabrini, Consigliere
Anna Pignataro, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 17/10/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)