Diritto e Giustizia Amministrativa

  • strict warning: Non-static method view::load() should not be called statically in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/views.module on line 879.
  • strict warning: Declaration of views_handler_argument::init() should be compatible with views_handler::init(&$view, $options) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/handlers/views_handler_argument.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_handler_filter::options_validate() should be compatible with views_handler::options_validate($form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/handlers/views_handler_filter.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_handler_filter::options_submit() should be compatible with views_handler::options_submit($form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/handlers/views_handler_filter.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_handler_filter_boolean_operator::value_validate() should be compatible with views_handler_filter::value_validate($form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/handlers/views_handler_filter_boolean_operator.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of date_api_filter_handler::value_validate() should be compatible with views_handler_filter::value_validate($form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/date/includes/date_api_filter_handler.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_plugin_style_default::options() should be compatible with views_object::options() in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/plugins/views_plugin_style_default.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_plugin_row::options_validate() should be compatible with views_plugin::options_validate(&$form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/plugins/views_plugin_row.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_plugin_row::options_submit() should be compatible with views_plugin::options_submit(&$form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/plugins/views_plugin_row.inc on line 0.
  • strict warning: Non-static method view::load() should not be called statically in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/views.module on line 879.
  • warning: Creating default object from empty value in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/date/date/date.module on line 660.
  • strict warning: Non-static method view::load() should not be called statically in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/views.module on line 879.
  • strict warning: Non-static method view::load() should not be called statically in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/views.module on line 879.

Non è consentito l'accesso agli atti dell'attività ispettiva in materia di lavoro solo in caso di effettivo pericolo di pregiudizio per i lavoratori

Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 febbraio 2011, n. 920
Data: 
11/02/2011
Materia: 
Accesso

La sottrazione all’accesso degli atti dell’attività ispettiva in materia di lavoro postula che risulti un effettivo pericolo di pregiudizio per i lavoratori, sulla base di elementi di fatto concreti, e non per presunzione assoluta. Si può anche ritenere che il pericolo di pregiudizio sia presunto, ma la presunzione va ritenuta relativa e suscettibile di prova contraria da parte del richiedente l’accesso.

 

 

 

N. 00920/2011REG.PROV.COLL.

N. 08409/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8409 del 2010, proposto dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

contro

Il signor Vasile Anechiforesei, rappresentato e difeso dall'avv. Felicetta De Gregorio, con domicilio eletto presso la signora Maria Letizia Marinelli in Roma, via Urbana, n. 90;

per la riforma della sentenza del T.A.R. ABRUZZO - SEZ. STACCATA DI PESCARA, SEZIONE I, n. 842/2010, resa tra le parti, concernente ACCESSO AGLI ATTI RELATIVI A INDAGINE ISPETTIVA

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Vasile Anechiforesei;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 116, co. 4, cod. proc. amm.;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2011 il Cons. Rosanna De Nictolis e uditi per le parti l'avvocato dello Stato Palmieri e l'avvocato De Gregorio;

1. Con la sentenza in epigrafe, il TAR Abruzzo, Sezione di Pescara, ha accolto un ricorso avente ad oggetto un diniego di accesso agli atti di un verbale ispettivo relativo a violazioni giuslavoristiche.

1.1. Il diritto di accesso era stato negato dall’Amministrazione in applicazione dell’art. 2, lett. c), del d.m. 4 novembre 1994, n. 757, che sottrae all’accesso tutti i documenti contenenti notizie acquisite nel corso dell’attività ispettiva in quanto dalla loro divulgazione possano derivare pregiudizi a carico di lavoratori e di terzi.

1.2. La sentenza ritiene invece che – rispetto alle esigenze di tutela dei lavoratori - debbano prevalere le esigenze di difesa del datore di lavoro, tanto più che nella specie non sussisterebbe il pericolo di pregiudizio per i lavoratori, essendo incontestabilmente cessato il rapporto di lavoro.

L’accesso è stato peraltro ordinato dal T.a.r. “con il limite del necessario oscuramento di quelle parti delle dichiarazioni dei dipendenti e collaboratori idonee a identificarli con certezza”.

1.3. Avverso la sentenza, notificata in data 30 luglio 2010, l’Amministrazione ha proposto rituale e tempestivo appello notificato il 4 ottobre 2010 e depositato il successivo 11 ottobre 2010.

L’amministrazione lamenta che, secondo il costante orientamento del Consiglio di Stato, in casi come quello di specie l’accesso andrebbe negato, anche se è cessato il rapporto di lavoro.

Inoltre, Le modalità di accesso ‘con oscuramento’ sarebbero inidonee a impedire l’identificazione dei lavoratori, stante le esigue dimensioni nel caso di specie dell’impresa.

1.4. Si è costituito l’appellato, replicando che – per la giurisprudenza del Consiglio di Stato – è consentito l’accesso ai verbali ispettivi se non ne risulti pregiudizio per i lavoratori e con modalità che ne impediscano l’identificazione.

Inoltre, l’appellato ha osservato che l’art. 3 del citato d.m. n. 757 del 1994 vieta l’accesso ai verbali ispettivi solo in costanza del rapporto di lavoro.

2. L’appello va respinto.

2.1. L’art. 2, lett. c), del d.m. n. 757/1994 vieta l’accesso ai documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi.

2.2. La più recente giurisprudenza della Sezione, che considera tale norma valida e non disapplicabile, comunque ha richiamato l’esigenza di evitare possibili pregiudizi per i lavoratori (Cons. St., sez. VI, 9 febbraio 2009 n. 736; Cons. St., sez. VI, 22 aprile 2008 n. 1842), così superando la precedente giurisprudenza secondo cui le norme regolamentari (che precludono l’accesso alla documentazione contenente le dichiarazioni rese in sede ispettiva da dipendenti delle imprese che richiedono l’accesso - fondate su un particolare aspetto della riservatezza, quello cioè attinente all’esigenza di preservare l’identità degli autori delle dichiarazioni per sottrarli a potenziali azioni discriminatorie, pressioni indebite o ritorsioni da parte del datore di lavoro) recedono a fronte dell’esigenza contrapposta di tutela della difesa dei propri interessi giuridici, essendo la realizzazione del diritto alla difesa garantita “comunque” dall’art. 24, comma. 7, della legge n. 241/1990 (Cons. St., sez. VI: 29 luglio 2008 n. 3798; 10 aprile 2003 n. 1923; 3 maggio 2002 n. 2366, 26 gennaio 1999 n. 59).

Si afferma infatti che le disposizioni in materia di diritto di accesso mirano a coniugare la ratio dell’istituto, quale fattore di trasparenza e garanzia di imparzialità dell’Amministrazione – nei termini di cui all’art. 22, l. n. 241/1990 – con il bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi contrapposti e fra questi – specificamente – quelli dei soggetti “individuati o facilmente individuabili”…che dall’esercizio dell’accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza” (art. 22 cit., co. 1, lett. c).

Il successivo art. 24 della medesima legge, che disciplina i casi di esclusione dal diritto in questione, prevede al comma 6 i casi di possibile sottrazione all’accesso in via regolamentare e fra questi – al punto d) – quelli relativi ai “documenti che riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale di cui siano in concreto titolari, ancorché i relativi dati siano forniti all’Amministrazione dagli stessi soggetti a cui si riferiscono”.

In rapporto a tale quadro normativo, si è osservato che se è vero che, in via generale, le necessità difensive – riconducibili ai principi tutelati dall’art. 24 della Costituzione – sono ritenute prioritarie rispetto alla riservatezza di soggetti terzi (Cons. St., ad plen., 4 febbraio 1997 n. 5) ed in tal senso il dettato normativo richiede l’accesso sia garantito “comunque” a chi debba acquisire la conoscenza di determinati atti per la cura dei propri interessi giuridicamente protetti (art. 20, co. 7, l. n. 241/1990); la medesima norma tuttavia – come successivamente modificata tra il 2001 e il 2005 (art. 22 l. n. 45/2001, art. 176, comma 1, d.lgs. n. 196/2003 e art. 16 l. n. 15/2005) – specifica come non bastino esigenze di difesa genericamente enunciate per garantire l’accesso, dovendo quest’ultimo corrispondere ad una effettiva necessità di tutela di interessi che si assumano lesi ed ammettendosi solo nei limiti in cui sia “strettamente indispensabile” la conoscenza di documenti, contenenti “dati sensibili e giudiziari”.

Ferma restando, dunque, una possibilità di valutazione “caso per caso”, che potrebbe talvolta consentire di ritenere prevalenti le esigenze difensive in questione (cfr. Cons. St., sez. VI, n. 3798/2908 del 29 luglio 2008, che ammette l’accesso al contenuto delle dichiarazioni di lavoratori agli ispettori del lavoro, ma “con modalità che escludano l’identificazione degli autori delle medesime”), non può però dirsi sussistente una generalizzata soccombenza dell’interesse pubblico all’acquisizione di ogni possibile informazione, per finalità di controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro (a cui sono connessi valori, a loro volta, costituzionalmente garantiti), rispetto al diritto di difesa delle società o imprese sottoposte ad ispezione.

Il primo di tali interessi, infatti, non potrebbe non essere compromesso dalla comprensibile reticenza di lavoratori, cui non si accordasse la tutela di cui si discute, mentre il secondo risulta comunque garantito dall’obbligo di motivazione per eventuali contestazioni, dalla documentazione che ogni datore di lavoro è tenuto a possedere, nonché dalla possibilità di ottenere accertamenti istruttori in sede giudiziaria.

2.3. Alla luce dell’orientamento della Sezione si deve pertanto affermare che la sottrazione all’accesso degli atti dell’attività ispettiva in materia di lavoro postula che risulti un effettivo pericolo di pregiudizio per i lavoratori, sulla base di elementi di fatto concreti, e non per presunzione assoluta. Si può anche ritenere che il pericolo di pregiudizio sia presunto, ma la presunzione va ritenuta relativa e suscettibile di prova contraria da parte del richiedente l’accesso.

2.4. Va poi considerato che il successivo art. 3, co. 1, lett. c), del citato d.m. del 1994 dispone specificamente che la sottrazione all’accesso permane finché perduri il rapporto di lavoro, salvo che le notizie contenute nei documenti di tale categoria risultino a quella data sottoposti al segreto istruttorio penale.

Nel caso di specie non è in contestazione che il rapporto di lavoro sia cessato, né è stato altrimenti dimostrato, al di là della generica deduzione, che in concreto il pericolo di pregiudizio per i lavoratori si protrarrebbe oltre la cessazione del rapporto lavorativo.

L’Amministrazione – nel proporre l’appello – ha pertanto agito ‘contra factum proprium’, invocando, in sostanza e impropriamente, la disapplicazione di una norma regolamentare da essa stessa adottata, e rispetto alla quale è titolare del potere di modifica (sulla base del prescritto procedimento ai sensi dell’art. 17 della legge n. 400 del 1988, ove non la ritenga adeguata), ma che è tenuta, come Amministrazione attiva, ad osservare, finché in vigore.

2.5. Inoltre le modalità di oscuramento disposte dal T.a.r. garantiscono con sufficienza la non identificabilità dei lavoratori che hanno reso le dichiarazioni durante la visita ispettiva.

2.6. Deve pertanto ritenersi prevalente, nel caso specifico, il diritto di difesa, cui è strumentale la domanda di accesso, rispetto alle esigenze di riservatezza dei terzi, stante il difetto di prova di un pericolo di pregiudizio per i lavoratori.

3. L’appello va per l’effetto respinto, ma le spese del secondo grado del giudizio possono essere compensate in considerazione della non univocità dell’orientamento della giurisprudenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 8409 del 2010, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa interamente tra le parti le spese e gli onorari del secondo grado di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Rosanna De Nictolis, Consigliere, Estensore

Roberto Garofoli, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/02/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Sono devolute alla giurisdizione del g.o. le procedure di selezione volte alla stabilizzazione

Tar Catania, Sez. II, sentenza del 10 febbraio 2011, n. 370
Data: 
10/02/2011
Materia: 
Stabilizzazione

Spettano alla giurisdzione del g.o. le controversie inerenti le procedure di selezione volte alla stabilizzazione, non avendo natura di procedure concorsuali e  il cui petitum sostanziale da parte dei soggetti interessati si atteggia a diritto soggettivo alla partecipazione a tali procedure e, attraverso queste, all'assunzione a tempo indeterminato.

 

 



N. 00370/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00247/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 247 del 2011, proposto da:
Giovanni Arena, Carmela Diolosa', Jose' Antonio Maieli Diaz, Chiara Gambadoro, Alfredo Mazzarino, Caterina Ledda, Matteo Zuccarello, Salvuccio Trovato, Concetta Venticinque e Pietro Zuccarello, rappresentati e difesi dall'avv. Carmelo Giurdanella, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Catania, via Trieste, 36;

contro

l’Universita' degli Studi di Catania, rappresentata e difesa dagli avv. Giuseppina Coniglione e Vincenzo Reina, con domicilio eletto presso l’Avvocatura dell’Ateneo, in Catania, p.zza Universita', 2;
il Ministero dell'Istruzione, dell'Universita' e della Ricerca, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria per legge;

nei confronti di

Enrica Pizzo, Alfio Russo, Domenico Nicotra, non costituitisi in giudizio;

per l'annullamento

1) dell'avviso dell'Università degli Studi di Catania, n. 6190 del 7 ottobre 2010, recante procedure di stabilizzazione del personale tecnico – amministrativo in servizio con contratto di lavoro a tempo determinato, ai sensi dell'articolo 22, co. 5, del CCNL comparto università per il quadriennio normativo 2006-2009 e il biennio economico 2006-2007;

2) della delibera del Consiglio di Amministrazione del 7 settembre 2010, di approvazione del suddetto avviso, nonché, ove occorra, del parere legale ivi citato, del 31 agosto 2010;

3) dell'elenco dei destinatari della procedura di stabilizzazione del personale tecnico- amministrativo, a firma del dirigente del personale e del direttore amministrativo, del 24 novembre 2010;

4) della nota dell'Università di Catania, del 24 novembre, inviata ai ricorrenti, con cui si comunica che sono stati esclusi dall'elenco di cui al punto precedente;

5) ove occorra, della nota dell'Università di Catania del 17 novembre 2010 prot. n. 79191 e della delibera del C.d.A. del 28 ottobre 2010;

6) di ogni altro o provvedimento, antecedente o successivo, comunque connesso, presupposto o conseguenziale, ivi compresa, ove esistente, la delibera di approvazione della procedura in oggetto.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Universita' degli Studi di Catania e del Ministero dell'Istruzione, dell'Universita' e della Ricerca;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2011 il dott. Filippo Giamportone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto che sussistono i presupposti per la decisione in forma succintamente motivata del ricorso in epigrafe, poiché la causa si presenta di agevole definizione in quanto inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, come da puntuale eccezione sollevata dall’Università resistente;

Considerato, infatti, che nel nuovo riparto della giurisdizione delineato dall’art. 63 del D. L.vo n. 165/2001 sono state devolute alla cognizione del giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle Pubbliche Amministrazioni (salvo quelle relative alle procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti nonchè quelle concernenti il personale in regime di diritto pubblico), incluse le controversie concernenti le assunzioni al lavoro, gli incarichi dirigenziali e le indennità di fine rapporto, anche se vengono in questione atti presupposti che, qualora siano rilevanti, vanno disapplicati se illegittimi;

Considerato in particolare che secondo la giurisprudenza costante delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, la giurisdizione amministrativa contemplata dall’art. 63, comma 4, del D. Lgs. 165/2001 è limitata alle procedure che iniziano con l’emanazione di un bando e sono caratterizzate dalla valutazione comparativa dei candidati con compilazione di una graduatoria la cui approvazione, individuando i vincitori, rappresenta l’atto terminale del procedimento e che detta giurisdizione amministrativa non riguarda invece le controversie circa l’inserimento degli aspiranti in graduatorie ad utilizzazione soltanto eventuale, nelle quali il privato fa valere il suo diritto al lavoro costituzionalmente garantito, chiedendone la realizzazione ad una pubblica amministrazione dotata di potere di accertamento( ex multis, Cass. SU, 20 giugno 2007, n. 14290);

Ritenuto quindi che nella giurisdizione amministrativa non resta ricompresa la fattispecie dell’inserimento in apposita graduatoria, in base a criteri fissi e prestabiliti, di tutti coloro che siano in possesso di determinati requisiti, e che aspirano alla stabilizzazione, essendo la stessa ricompresa nella giurisdizione del giudice ordinario (in termini, Cons. Stato, Sez. V, 26 novembre 2008, n. 5844, T.A.R. Sicilia-Catania, Sez. II, 21 dicembre 2010 n. 4796)), a nulla rilevando l’eventualità che l’instaurazione del rapporto di lavoro rimanga subordinato al superamento di prove finalizzate all’accertamento della professionalità richiesta per il posto da coprire;

Ritenuto che anche di recente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con ordinanza n. 19552 del 15.9.2010 hanno avuto modo di riaffermare che deve ritenersi devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia avente ad oggetto atti di gestione e di organizzazione del personale di una P.A., adottati successivamente al 30 giugno 1998, emanati dagli organi preposti alla gestione nell'esercizio dei poteri direttivi che competono al datore di lavoro, con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 5, comma 2, i quali incidano sulle situazioni giuridiche soggettive dei dipendenti dell'ente, non potendo attribuirsi rilievo, al fine di escluderla, alla discrezionalità delle valutazioni spettanti alla P.A. e all'attinenza degli atti all'organizzazione;

Ritenuto, in altre parole, che in tale ambito rientrano le procedure di selezione volte alla stabilizzazione - che non hanno natura di procedure concorsuali-, il cui petitum sostanziale da parte dei soggetti interessati si atteggia a diritto soggettivo alla partecipazione a tali procedure e, attraverso queste, all'assunzione a tempo indeterminato;

Ritenuto pertanto che, alla luce delle superiori considerazioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, rientrando la controversia nella giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi del richiamato art. 63 del D. L.vo n. 16572001;

Ritenuto che sussistono giusti motivi, in relazione alla natura della controversia, per compensare le spese del giudizio;

P.Q.M.

dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso in epigrafe.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Giamportone, Presidente, Estensore

Francesco Brugaletta, Consigliere

Vincenzo Neri, Primo Referendario

Il diritto di accesso si estende anche agli atti relativi ai rapporti di lavoro intrattenuti da soggetti privati concessionari di servizi pubblici

Consiglio di Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2011, n. 783
Data: 
03/02/2011
Materia: 
Accesso

Il Consiglio di Stato ha più volte affermato ( da ultimo, Cons. Stato, IV, 12 marzo 2010, n. 1470) che possono formare oggetto di accesso tutti gli atti di gestione del personale dipendente degli enti pubblici e dei soggetti agli stessi equiparati (quali, appunto, i soggetti privati concessionari di servizi pubblici), in quanto, pur essendo tali atti adottati iure gestionis, le esigenze di buon andamento e imparzialità riguardano allo stesso modo l’attività volta all’emanazione di provvedimenti e quella con cui sorgono o sono gestiti i rapporti di lavoro disciplinati dal diritto comune.

Anche la documentazione afferente vicende relative ai rapporti di lavoro intrattenuti da soggetti privati concessionari di servizi pubblici non può ritenersi di suo sottratta all’accesso, dato che la ottimale organizzazione del personale dipendente è propedeutica (e quindi direttamente connessa) alla più proficua erogazione del servizio pubblico da parte del concessionario.

 

 


N. 00783/2011REG.SEN.

N. 08270/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8270 del 2010, proposto da:
Ugo Rhò, rappresentato e difeso dall'avv. Simone Ciccotti, con domicilio eletto presso Simone Ciccotti in Roma, via Lucrezio Caro, 62;

contro

Rfi - Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall'avv. Enzo Morrico, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via L. Giuseppe Faravelli, 22;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE III TER n. 12515/2010, resa tra le parti, concernente DINIEGO DI ACCESSO AGLI ATTI RELATIVI ALLA POSIZIONE LAVORATIVA

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di RFI - Rete Ferroviaria Italiana Spa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2010 il Consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e udito per l’appellante l’avvocato Ciccotti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

E’ impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio n. 12515 del 20 maggio 2010, che ha respinto il ricorso dell’ing. Ugo Rhò avverso il diniego tacito di accesso opposto da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. ( d’ora in avanti, RFI), cui il ricorrente è legato da rapporto di lavoro dipendente, sull’istanza prodotta dall’interessato il 22 dicembre 2009, per l’esibizione: a) di tutti i documenti contenenti valutazioni sul dipendente ing. Rhò, i suoi dati personali, nonché gli atti ed i documenti riguardanti la sua vita privata; b) della memoria riepilogativa del rapporto tra l’ing. Rho e l’ing. Camponeschi firmata da quest’ultimo e richiesta dal responsabile della Direzione patrimonio FS; c) tutte le comunicazioni di RFI a Trenitalia riguardanti l’ing. Rhò; d) dei documenti da cui risultino i criteri di valutazione delle posizioni dirigenziali, con riferimento alle posizioni occupate dal ricorrente.

L’appellante Rhò insiste nella richiesta di ostensione della documentazione indicata e chiede che, in riforma della gravata decisione, sia ordinata a RFI l’esibizione degli atti richiesti.

Si è costituita in giudizio la intimata società per resistere al ricorso in appello e per chiederne la reiezione. La stessa società ha altresì proposto appello incidentale avverso il capo della sentenza che ha riconosciuto l’accessibilità in astratto alla tipologia di documentazione richiesta dall’odierno appellante sul presupposto implicito che si tratti di documentazione concernente attività di pubblico interesse.

All’udienza del 17 dicembre 2010 il ricorso in appello è stato trattenuto per la sentenza.

Anzitutto, per ragioni di priorità logica, va esaminato il ricorso in appello incidentale col quale RFI censura la gravata decisione nella parte in cui, pur negandone successivamente la fondatezza nel merito, ha ritenuto ammissibile la domanda di accesso proposta a suo tempo dall’odierno appellante.

L’impugnativa incidentale è affidata al motivo secondo cui, ai sensi della l. 7 agosto 1990, n. 241 (in particolare, art. 22, comma 1, lett. d) ed e)), non tutta la documentazione in possesso di soggetti privati gestori di un pubblico servizio può formare oggetto di domanda di accesso, ma soltanto quella concernente attività di pubblico interesse; e tale non sarebbe, secondo la prospettazione dell’appellante incidentale, quella oggetto della domanda dell’ing. Rhò, relativa a vicende afferenti il rapporto di lavoro privatistico intercorrente tra l’accedente ed essa società RTI.

La censura non è meritevole di favorevole apprezzamento.

Il Consiglio di Stato ha più volte affermato ( da ultimo, Cons. Stato, IV, 12 marzo 2010, n. 1470) che possono formare oggetto di accesso tutti gli atti di gestione del personale dipendente degli enti pubblici e dei soggetti agli stessi equiparati (quali, appunto, i soggetti privati concessionari di servizi pubblici), in quanto, pur essendo tali atti adottati iure gestionis, le esigenze di buon andamento e imparzialità riguardano allo stesso modo l’attività volta all’emanazione di provvedimenti e quella con cui sorgono o sono gestiti i rapporti di lavoro disciplinati dal diritto comune.

Il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi da tale orientamento, ritenendo che anche la documentazione afferente vicende relative ai rapporti di lavoro intrattenuti da soggetti privati concessionari di servizi pubblici non può ritenersi di suo sottratta all’accesso, dato che la ottimale organizzazione del personale dipendente è propedeutica (e quindi direttamente connessa) alla più proficua erogazione del servizio pubblico da parte del concessionario.

Da tanto si evince che non è corretto dedurre dalla assimilazione ai rapporti di diritto privato degli atti di gestione del rapporto di lavoro con concessionari di servizi o beni pubblici, l’estraneità oggettiva degli atti stessi dalla disciplina in tema di accesso, atteso che anche quegli atti sono espressione di attività di interesse pubblico, nella misura in cui la efficiente organizzazione del personale è funzionale al perseguimento di efficienza ed economicità dell’azione oggettivamente pubblica (nella lata dimensione che oggi la normativa nazionale e comunitaria riconnette a tale espressione). Ne consegue che anche tale attività non può dirsi sottratta all’applicazione delle regole sull’accesso, visto che anche in relazione alla stessa ricorrono le esigenze di trasparenza e di par condicio sottese alla scelta legislativa di favorire l’ostensione della documentazione amministrativa, con un capovolgimento di prospettiva (in tal senso, Cons. Stato, Ad. plen. 5 settembre 2005, n. 5) rispetto alla regola applicata prima dell’entrata in vigore della legge sul procedimento (in cui la segretezza degli atti era la regola, e la esibizione l’eccezione).

Da quanto detto discende che, anche nel caso di specie, in cui è controversa la esibizione di documentazione afferente il rapporto di lavoro dell’ing. Rhò con la società che gestisce la rete ferroviaria nazionale, ricorre quella particolare connotazione di <pubblico interesse> che delimita l’ambito applicativo dell’istituto dell’accesso e che è riferibile, sul piano oggettivo (art. 22 cit., lett. d)), alla nozione di <documento amministrativo> e, sul piano soggettivo, a quella di <pubblica amministrazione> ( art. 22 cit., lett. e)).

L’appello incidentale deve essere pertanto respinto.

Quanto all’appello principale, ritiene il Collegio che lo stesso sia fondato e meriti accoglimento.

Il primo giudice, dopo aver riconosciuto la accessibilità in astratto alla categoria di documenti richiesti dall’odierno appellante ( in quanto assimilabili alla <documentazione amministrativa> di cui all’art. 22, per le implicazioni e la stretta inerenza con il servizio pubblico disimpegnato da RFI), ha negato in concreto fondamento al ricorso sul presupposto: 1) del carattere risalente ed inattuale della documentazione richiesta, riferibile agli anni 1991-1997; 2) della carenza di un interesse attuale alla acquisizione della documentazione da parte del ricorrente, il quale sarebbe venuto incidentalmente a conoscenza del possesso da parte di RFI della documentazione oggetto d’accesso solo in esito ad un giudizio civile tra le parti, conclusosi favorevolmente per il Rhò.

L’appellante ha censurato la decisione, prospettando l’ininfluenza del dato temporale inerente la formazione della documentazione richiesta, nonché la possibile rilevanza della documentazione in vista del suo utilizzo per la difesa di suoi interessi giuridici.

Ritiene il Collegio che l’appello sia fondato.

Come è noto, l’accesso cd. defensionale , cioè propedeutico alla miglior tutela delle proprie ragioni in giudizio (già pendente o da introdurre), ovvero nell’ambito di un procedimento amministrativo, riceve protezione preminente dall’ordinamento atteso che, per espressa previsione normativa (art. 24, u.c., l. n. 241 del 1990), prevale su eventuali interessi contrapposti (in particolare sull’interesse alla riservatezza dei terzi, financo quando sono in gioco dati personali sensibili e, in alcuni casi, anche dati ultrasensibili).

Nel caso in esame, dove non sussistono interessi contrapposti di terzi controinteressati, la richiesta proposta dal Rhò appare meritevole di accoglimento, posto che la documentazione indicata si riferisce, direttamente o indirettamente, al rapporto di lavoro inter partes ed è ostensibile all’interessato, nella misura in cui si trovi tuttora in possesso di RFI. In fatti l’appellante potrebbe trarre dalla ’acquisizione elementi utili alla sua difesa, nel che sussiste il suo interesse, attuale e concreto, ad entrarne in possesso.

Non rileva in contrario il fatto, ritenuto ostativo dal primo giudice, che si tratterebbe di documentazione risalente e che l’interessato avrebbe dovuto a suo tempo chiederne la acquisizione, dato che potrebbe oggi non essere più nella disponibilità della RFI. Trattandosi infatti di un diniego formatosi in via tacita e non avendo mai dichiarato la società RFI di non essere in possesso della documentazione richiesta dall’odierno appellante, appare allo stato arbitrario ravvisare ragioni ostative all’accesso sulla base di valutazioni fondate su ipotesi prive di idonei riscontri istruttori.

D’altra parte l’interesse all’acquisizione va riguardato con riferimento all’epoca in cui viene proposta la domanda ostensiva e va correlato alla situazione giuridicamente rilevante (nel caso di specie, la posizione di lavoro) che l’interessato intende tutelare a mezzo della acquisizione documentale. Quell’interesse prescinde dall’epoca di formazione della documentazione detenuta dal soggetto compulsato con la istanza ostensiva.

Nemmeno, da ultimo, può ritenersi carente l’interesse del proponente l’istanza, per il sol fatto che avrebbe già da tempo avviato giudizi civili in confronto di RFI e che, in relazione ad alcuni di essi, sarebbero già intervenute decisioni a lui favorevoli. Invero, siffatte osservazioni non sono ostative all’accoglimento dell’actio ad exibendum, attesa l’autonomia del giudizio sull’accesso (e sui presupposti legittimanti) rispetto alle sorti dei giudizi già avviati, in relazione ai quali la documentazione potrebbe anche non svolgere un ruolo servente ed essere piuttosto funzionale all’avvio di ulteriori iniziative giudiziali (la cui introduzione non può che essere riservata alla libera scelta dell’interessato).

In definitiva, l’appello va accolto e, in riforma della impugnata sentenza, deve essere ordinato a RFI di esibire la documentazione richiesta dall’ing. Rhò nell’istanza del 17 dicembre 2009, nel termine di giorni trenta dalla comunicazione, ovvero dalla notificazione, della presente sentenza.

Le spese di lite possono essere compensate tra le parti, in considerazione della particolarità della controversia trattata.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della impugnata sentenza, ordina a Rete Ferroviaria Italiana di esibire all’odierno appellante la documentazione richiesta nella istanza del 17 dicembre 2009 nel termine di gg. 30 dalla comunicazione ovvero dalla notifica della presente decisione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Bruno Rosario Polito, Consigliere

Manfredo Atzeni, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
   
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/02/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Sull'obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso e sui casi in cui tale obbligo viene meno

Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 176 del 1 febbraio 2011
Data: 
01/02/2011
Materia: 
Silenzio

Secondo l’orientamento qui condiviso della giurisprudenza amministrativa, anche in relazione alle ineludibili esigenze di economicità ed efficacia dell'azione amministrativa, salvaguardate dalla legge n. 241 del 1990, può ritenersi che l'obbligo della P.A. di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, venga meno:
a) in presenza di richieste aventi il medesimo contenuto, qualora sia già stata adottata una formale risoluzione amministrativa inoppugnata (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 11 giugno 2002, n. 3256; 20 novembre 2000, n. 6181), e non siano sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto o di diritto (cfr. sez. IV, n. 3256 del 2002 cit.);
b) in presenza di domande manifestamente assurde (cfr. sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181; sez. IV, 28 novembre 1994, n. 950), o totalmente infondate (cfr. sez. V, 3 agosto 1993, n. 838; 7 maggio 1994, n. 418);
c) al cospetto di pretese illegali, non potendosi dare corso alla tutela di interessi illegittimi (cfr. sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181). (cfr. Da ultimo Consiglio di Stato sez. IV 5 luglio 2007 n.3824).


 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1210 del 2010, proposto da:
Societa' Autolinee Cavaleri Giuseppe S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avv. Filippo Alosi e Giuseppina Mirotta, con domicilio eletto presso lo studio del primo sito in Palermo, via della Liberta' 112;
contro
Regione Sicilia, Assessorato per le Infrastrutture, la Mobilità e il Trasporto, in persona del legale rappresentante pro tempore,, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici è domiciliata per legge in Palermo, via A. De Gasperi 81;
per l'annullamento
SILENZIO-RIFIUTO SU ISTANZA PER OTTENERE L'AUTORIZZAZIONE ALL'ESERCIZIO DI LINEA REGOLARE SPECIALIZZATA E DESTINATA AL TRASPORTO PUBBLICO DI UTENZA SCOLASTICA E STUDENTESCA
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato per l’Amministrazione intimata;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2010 il dott. Roberto Valenti e uditi per le parti i difensori Sono presenti l'Avv. G. Mirotta e l'Avvocato dello Stato L. La Rocca;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato il 28/06/2010 e depositato l’8/07/2010, parte ricorrente impugna il silenzio rifiuto serbato dall’Amministrazione sull’istanza del 29/05/2009 tendente al il rilascio di una autorizzazione all’esercizio di una linea regolare specializzata (Camastra-Naro-Palermo e viceversa) destinata al trasposto pubblico dell’utenza scolastica, universitaria e parauniversitaria gravitante sul capoluogo regionale e proveniente da Camastra e Naro.
Il gravame è affidato alle seguenti censure di diritto:
1)-Violazione di legge per mancata conclusione del procedimento ex art.2 L.241/1990 in relazione all’art.21-bis L.1034/1971: illegittimamente l’Amministrazione perdura nell’inerzia nel riscontrare con un provvedimento espresso alla richiesta della società ricorrente anche oltre il termine per la conclusione del relativo procedimento;
2)-Violazione e falsa applicazione L.R.20/2002, dell’art.27 comma 13 L.R.19/2005 e delle disposizioni comunitarie di cui al Regolamento 11/CE/1998, eccesso di potere e violazione dei principi costituzionali di cui agli artt.3 e 34 Cost.: la l.r.20/2002 in materia di interventi per l’attuazione del diritto allo studio universitario in Sicilia stabilisce che la Regione, in attuazione dei principi costituzionali di cui agli artt.3 e 34 Cost., individua nelle facilitazioni per l’utilizzazione dei mezzi di trasporto anche per il raggiungimento delle sedi siciliane universitarie (all’art.2 lett.d) uno degli ambiti di intervento per concretizzare ed attuare il diritto allo studio in premessa. Ed invero l’art.27 co.13 L.R.19/2005 chiarisce che si considerano scolastiche anche le autolinee extraurbane in favore degli studenti universitari e parauniversitari tirocinanti in applicazione della L.R.20/2002 cit.;
3)-Violazione e falsa applicazione dell’art.70 co.3 L.R.20/2003 e degli artt. 4 e 5 L.68/1983, eccesso di potere: non potrebbe in specie trovare applicazione il “congelamento” della rete dei servizi di trasporto pubblico locale previsto dal citato art.70 co.3 L.R.20/2003 atteso che il suddetto blocco aveva durata limitata e temporanea a che la mancata adozione di ulteriori provvedimenti da parte della Regione non può essere di ostacolo oggi al rilascio della richiesta autorizzazione.
Ha chiesto parte ricorrente l’annullamento del silenzio serbato dall’Amministrazione sull’istanza di che trattasi, con conseguente declaratoria dell’obbligo di concludere il relativo procedimento, nominando in caso di inerzia ulteriore un Commissario ad Acta affinché provveda in via sostitutiva. Con vittoria di spese.
Resiste l’Avvocatura Distrettuale dello Stato per l’Amministrazione intimata chiedendo, con successiva memoria, il rigetto del gravame, siccome infondato, osservando che sulle medesime pretese la Società ricorrente aveva già in passato interposto ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento di diniego espresso, ricorso definito con sentenza di rigetto n.741/2007, passata in autorità di cosa giudicata.
Ciò posto, ritiene il Collegio che il ricorso sia fondato e vada quindi accolto nei sensi di cui d’appresso.
Risulta in primo luogo fondata la prima doglianza, con la quale parte ricorrente lamenta la violazione dell’art.2 L.241/90 per la mancata conclusione del procedimento.
Secondo l’orientamento qui condiviso della giurisprudenza amministrativa, anche in relazione alle ineludibili esigenze di economicità ed efficacia dell'azione amministrativa, salvaguardate dalla legge n. 241 del 1990, può ritenersi che l'obbligo della P.A. di concludere il procedimento con un provvedimento espresso, venga meno: a) in presenza di richieste aventi il medesimo contenuto, qualora sia già stata adottata una formale risoluzione amministrativa inoppugnata (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 11 giugno 2002, n. 3256; 20 novembre 2000, n. 6181), e non siano sopravvenuti mutamenti della situazione di fatto o di diritto (cfr. sez. IV, n. 3256 del 2002 cit.); b) in presenza di domande manifestamente assurde (cfr. sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181; sez. IV, 28 novembre 1994, n. 950), o totalmente infondate (cfr. sez. V, 3 agosto 1993, n. 838; 7 maggio 1994, n. 418); c) al cospetto di pretese illegali, non potendosi dare corso alla tutela di interessi illegittimi (cfr. sez. IV, 20 novembre 2000, n. 6181). (cfr. Da ultimo Consiglio di Stato sez. IV 5 luglio 2007 n.3824).
Ancora di recente il giudice amministrativo ha precisato che :
- L'art. 2, l. n. 241 del 1990 ha fissato un principio generale secondo cui, ove il procedimento consegue obbligatoriamente ad un'istanza del privato ovvero debba essere iniziato d'ufficio, la p.a. ha il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso. L'evoluzione giurisprudenziale ha portato a ritenere che l'obbligo in parola non sussiste soltanto nelle seguenti ipotesi: a) istanza di riesame dell'atto inoppugnabile per spirare del termine di decadenza; b) istanza manifestamente infondata; c) istanza di estensione ultra partes del giudicato (T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 16 maggio 2007 , n. 5245):
- In tema di formazione del silenzio-rifiuto, ove non esista una specifica norma di legge che preveda l'obbligo della p.a. di provvedere, per ritenere comunque sussistente tale obbligo bisogna operare una distinzione tra istanze volte ad ottenere rispettivamente: a) atti di contenuto favorevole in quanto ampliano la sfera giuridica del richiedente; b) il riesame di atti sfavorevoli precedentemente emanati; c) atti diretti a produrre effetti sfavorevoli nei confronti di terzi, dall'adozione dei quali il richiedente possa trarre indirettamente vantaggi (Consiglio Stato , sez. VI, 11 maggio 2007, n. 2318).
Nel caso di specie ritiene il Collegio che la questione già decisa con la sentenza n.741/2007 di questa Sezione non integri alcuna delle condizioni in narrativa in presenza delle quali non sussisterebbe per l’Amministrazione alcun un obbligo a provvedere.
Ciò nella rilevante considerazione che : a) quella avanzata in data 28-29 maggio 2009 dalla parte ricorrente non può essere in alcun modo qualificata quale istanza di riesame a fronte di un precedente provvedimento di diniego; b) rispetto alla questione già definita con Sent.n.741/2007 cit., con la nuova domanda parte ricorrente chiede infatti l’applicazione della normativa sopravvenuta (co.13 art.27 L.R.19/2005 che oggi considera “scolastiche anche le autolinee extraurbane in favore degli studenti universitari e parauniversitari tirocinanti, in applicazione della legge regionale 25 novembre 2002, n. 20, e successive modifiche ed integrazioni”) stante il carattere innovativo della stessa (tant’è che non era stata ritenuta applicabile nel precedente contenzioso: cfr. sempre sent.741/2007 cit. che ha disatteso la specifica censura articolata con i motivi aggiunti al ricorso R.G.4950/2004).
Ed invero, si osserva che il divieto di istituire nuovi servizi di linea in concessione, previsto dall’art. 70, co. 3 della l.r. n.20/2003, è stato ritenuto conforme alle previsioni comunitarie solo in ragione del suo carattere temporaneo, siccome valevole “fino alla data di entrata in vigore della riforma del trasporto pubblico locale in Sicilia e, comunque, sino alla data del 31 dicembre 2006…”.
Né la disposizione di cui al comma 6 dell’art.27 L.R.19/2005, richiamato dall’Avvocatura erariale, mercé il quale “non possono, comunque essere affidati o autorizzati nuovi servizi di trasporto pubblico locale e di gran turismo sino all'attuazione della riforma organica del settore”, può esentare l’Amministrazione dal concludere il procedimento (avviato su istanza di parte) con un provvedimento espresso. La medesima previsione normativa per altro prevede che, nelle more, “potranno unicamente essere adeguate il numero delle corse relative ai programmi di esercizio dei servizi oggetto del contratto di affidamento provvisorio o di autorizzazione, in funzione di mutate esigenze della mobilità”, tra le quali oggi sono da annoverare anche quelle degli studenti universitari e parauniversitari tirocinanti (in applicazione della legge regionale 25 novembre 2002, n. 20, e ss.mm. e ii.) di cui al successivo coma 13 dello stesso art. 27 L.R.19/2005.
Quanto sopra esposto, postula altresì la fondatezza delle ulteriori censure articolate dalla società ricorrente con il ricorso in esame.
In altri termini, rilevata la sussistenza di un obbligo a provvedere con un provvedimento espresso sull’istanza del ricorrente, il ricorso merita accoglimento con conseguente declaratoria a provvedere da parte dell’Amministrazione nel termine di sessanta giorni dalla notifica della presente sentenza.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, attesa l’accertata illegittimità del silenzio serbato dall’Amministrazione intimata, condanna quest’ultima a provvedere sull’istanza del ricorrente entro e non oltre sessanta giorni dalla comunicazione della presente sentenza (o dalla sua notifica a cura di parte se anteriore).
Condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese di lite, in favore della parte ricorrente, che liquida in €.1000,00 (Euro mille e zero centesimi), oltre I.V.A., C.P.A, nonché alla refusione del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente
Cosimo Di Paola, Consigliere
Roberto Valenti, Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/02/2011

Il dirigente dell'unitĂ  organizzativa risponde del danno subito dall'Amministrazione scaturito dalla condanna della stessa al risarcimento del danno da ritardo

Corte dei Conti Sez. giurisd. per la regione Sicilia, sentenza n. 282 del 28 gennaio 2011
Data: 
28/01/2011
Materia: 
Danno da ritardo
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE SICILIANA
composta dai magistrati:
Dott. Luciano PAGLIARO                             Presidente
Dott. Giuseppe COLAVECCHIO                  Componente
Dott. Roberto Rizzi                                       Componente relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA  282/2011
nel giudizio di responsabilità, iscritto al n. 53740 del registro di segreteria, promosso dal Procuratore Regionale
nei confronti di
DI MAGGIO GIUSEPPE, rappresentato e difeso, giusta delega a margine della memoria depositata in data 20/7/2009, dall’Avv. Francesco Paolo Salinas presso lo studio del quale in Palermo, P.za V.E. Orlando, n. 36 è elettivamente domiciliato.
Esaminatigli atti e documenti di causa.
Uditi, nella pubblica udienza del 15/12/2010, il relatore, Dott. Roberto Rizzi, il Pubblico Ministero, nella persona della Dott.ssa Anna Luisa Carra, e l’Avv. Francesco Paolo Salinas, in rappresentanza del convenuto.
FATTO
Con D.A. n. 25452 del 15.05.1998, pubblicato sulla G.U.R.S n. 26 del 23.05.1998, l’Assessorato alla sanità della Regione Siciliana approvava la revisione della pianta organica delle farmacie del Comune di Palermo.
Tale decreto disponeva, tra l’altro, il decentramento della sede farmaceutica n. 57, della quale era titolare il Dott. Di Mino (ubicata in via Papireto n. 47) nella zona «via dei Picciotti» carente di assistenza farmaceutica. Contestualmente, il territorio precedentemente assegnato alla suddetta sede n. 57 veniva accorpato al territorio della limitrofa sede farmaceutica n. 56, ubicata in via Cappuccinelle, della quale era titolare il Dott. Milisenna.
In data 1 agosto 1998, sulla G.U.R.S n. 37, veniva stato pubblicato il D.A. n. 25295, che, all'art. 6, disponeva che «entro e non oltre 30 giorni dalla pubblicazione del provvedimento di revisione della pianta organica il farmacista titolare dovrà reperire nella circoscrizione assegnata i locali per l'ubicazione del nuovo esercizio dandone comunicazione alla Azienda USL competente per territorio ed a questo Assessorato Regionale per la Sanità».
Il Dott. Di Mino pur avendo comunicato in data 1 settembre 1998 all'Assessorato Regionale Sanità di avere reperito idonei locali ubicati in via dei Picciotti n. 42,  non poneva in essere il prescritto trasferimento, continuando a svolgere la propria attività farmaceutica nella via Papireto n. 47, assegnata alla zona di pertinenza della vicina farmacia del Dott. Milisenna.
Quest’ultimo, onde far cessare tale situazione, già in data 11.11.1998, invitava l'Assessorato Regionale Sanità e l'Azienda USL n.6 di Palermo ad adottare i provvedimenti necessari affinché venisse data esecuzione al decreto assessoriale di revisione della pianta organica.
Seguivano una nota interlocutoria prot. n. 1N13/04562 del 18.12.1998 del Dirigente Coordinatore del Gr. 13A Farmacie dell'Assessorato Sanità ed una nota racc. del 21.12.1998, con la quale il Dott. Milisenna «faceva presente all'Assessorato Sanità, all'Azienda USL n. 6, al Sindaco di Palermo, al Prefetto ed al Procuratore della Repubblica» che  i locali segnalati dal Dott. Di Mino in via dei Picciotti n.42, erano occupati da altra impresa commerciale.
Nessun provvedimento veniva adottato e il Dott. Milisenna  con atto extragiudiziario notificato in data 25.02.1999, ritornava a diffidare l'Assessore alla Sanità, il Direttore Generale dell'Azienda USL n. 6 di Palermo ed il Sindaco di Palermo a far cessare l'illegittima attività del Dott. Di Mino.
Poiché anche tale atto non sortiva effetto alcuno il Dott. Milisenna, con nota racc. del 14.05.1999 chiedeva all'Assessore Regionale Sanità, ed al Direttore Generale dell'Azienda USL n. 6 di conoscere il nome dei responsabili dei procedimenti, in relazione ad eventuali azioni risarcitorie.
In esito a tali atti «il Dirigente Coordinatore del Settore Farmaceutico della Azienda USL n.6 di Palermo, con nota n. 4140/99 del 7 giugno 1999 diretta anche all'Assessorato Regionale Sanità, faceva presente che non aveva responsabilità alcuna, essendo le competenze del Settore Farmaceutico limitate a quanto disposto dalla L. n. 362/92 e precisava «che l'iter procedurale attivato risultava sospeso».
L'Assessorato Regionale Sanità non contestava tale nota ed il nuovo Dirigente Coordinatore del Gr. 13A Farmacie, con nota prot. n. 1N13/2041 del 10.06.1999, comunicava che «non era stato possibile dare riscontro alle istanze in quanto, stante il breve periodo di servizio attivo presso il gruppo, non aveva potuto accertare il contenuto e l'eventuale esito dei ricorsi prodotti dai titolari delle sedi decentrate ed in particolare dal titolare della sede in oggetto», evidenziando, altresì, che era stato chiesto apposito parere all'Avvocatura Distrettuale dello Stato con l'espressa richiesta che venissero indicati i possibili interventi e provvedimenti da porre in essere per il rispetto della rideterminazione delle sedi operata con la pianta organica.
L'Avvocatura Distrettuale dello Stato in data 12 giugno 1999, rendeva il parere evidenziando che poteva procedersi alla contestazione dell'addebito al Dott. Di Mino, e, in caso di persistente rifiuto di trasferimento, avviare un procedimento di decadenza dalla autorizzazione farmaceutica.
Il Dott. Milisenna, con racc. del 23.07.1999, richiedeva copia del parere reso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato.
Detta istanza che veniva respinta con nota prot. n. 1N13/2605 del 03.08.99  ed alla quale faceva seguito una ulteriore nota prot. n. 1N13/2606 di pari data (03.08.99) nella quale si assicurava il Dott. Milisenna che «erano stati predisposti i provvedimenti invocati».
Trascorsi oltre due mesi, il Dott. Milisenna, con nota racc. del 18 ottobre 1999, faceva «presente che nella via Saetta (rientrante nella zona assegnata al Dott. Di Mino) ai numeri civici 33-35-37-39-41-43-45-47-49 esistevano locali liberi e disponibili».
Il Dott. Di Mino, con propria dichiarazione sostitutiva in data 5 novembre 1999, segnalava all’Amministrazione regionale «che il trasferimento annunciato in viale dei Picciotti n. 42 non è avvenuto per la indisponibilità del proprietario all’affitto dell’immobile, dopo averne data la piena disponibilità, e di non essere ancora riuscito a reperire locali idonei».
Seguivano:
a) l’atto extragiudiziario, notificato in data 17.11.1999, col quale il Dott. Milisenna «dopo avere sottolineato che erano trascorsi 18 mesi dalla pubblicazione del D.A. 15.05.98 di revisione della pianta organica delle farmacie, diffidava tanto il Dott. Di Mino, quanto l'Assessorato Sanità, a trasferire la sede farmaceutica n. 57 nella zona alla stessa assegnata»;
b) la nota prot. n. 9603 del 30.11.1999, con la quale il Dirigente Responsabile del Gr. 13^ dell'Assessorato regionale Sanità comunicava al Sindaco di Palermo, ed all'ASL n. 6 di Palermo che il Dott. Milisenna, con nota del 17.11.99, aveva segnalato l'esistenza dì locali liberi e disponibili nella zona, ma «essendo tale segnalazione in contrasto con quanto affermato dal Dott. Di Mino richiedeva agli uffici in indirizzo apposita verifica relativamente all’idoneità dei suddetti locali a farmacia»;
c) la nota prot. n. 9055 del 23.12.99 con la quale l'Azienda USL, in riscontro alla succitata nota n. 9055 del 30.11.99, dichiarava di «non avere alcuna competenza tecnico-amministrativa» e la nota prot. n. 11795 del 22.12.1999, con cui il Sindaco di Palermo chiedeva all'Assessorato regionale Sanità notizie sull’argomento.
Il Dott. Milisenna con ulteriore nota racc. del 20.12.1999 (diretta all'Assessorato Regionale Sanità, all'Azienda USL n. 6 di Palermo e ad altre Autorità), dopo una succinta disamina dell'intero procedimento, tornava a richiedere l’adozione di provvedimenti che facessero cessare «l'illegittima attività del Dott. Di Mino in via Papireto».
Con successivo atto di diffida e messa in mora, notificato in data 18.01.2000, lo stesso Dott. Milisenna diffidava l'Assessore Regionale Sanità a porre in essere, entro il termine di gg. 30, tutti i provvedimenti necessari a fare cessare l’attività farmaceutica del Dott. Di Mino nei locali di via Papireto n. 47, con avvertimento che la mancata adozione dei richiesti provvedimenti sarebbe stata considerata silenzio-rifiuto da impugnare in via giurisdizionale.
Maturato il silenzio – rifiuto, il Dott. Milisenna adiva il T.A.R..
Detto Organo giudiziario, con sentenza n. 1879/2000, dichiarava l'obbligo dell'Assessorato a provvedere sull'atto di diffida del 18.1.2000, «con l'adozione degli atti necessari a far cessare l'attività farmaceutica in via Papireto».
La sentenza veniva appellata dal Dott. Di Mino (e dall'Assessorato Regionale Sanità con appello incidentale) ed il CGA, con decisione n. 325/2001, respingeva entrambi i gravami, disponendo anche la condanna alle spese a carico del Dott. Di Mino e dell'Assessorato Regionale alla Sanità.
In data 29 giugno 2001, con D.A. n. 35206 il Dirigente Generale del Dipartimento decretava la chiusura della farmacia Di Mino, entro e non oltre il 28 luglio 2001, in via Papireto.
Alla scadenza del termine assegnato, il Dott. Di Mino procedeva alla chiusura della sua farmacia.
A seguito di ciò il Dott. Milisenna trasferiva la propria sede farmaceutica in via Papireto.
Quest’ultimo adiva nuovamente il TAR asserendo che il comportamento palesemente ed assolutamente dilatorio ed elusivo mantenuto dall'Amministrazione Regionale nel procedimento di cui si discute gli aveva cagionato ingenti ingiusti danni materiali («mancato guadagno della farmacia» nel periodo di inerzia dell’Amministrazione pari a complessivi euro 339.750,00 quantificato applicando alla differenza tra il volume complessivo d'affari della farmacia Milisenna in via Cappuccinelle ed il volume d'affari della stessa farmacia in via Papireto l’utile medio di settore al netto dei costi di gestione) e morali patiti per effetto dei tre anni di attesa ad avere riconosciuto il diritto all'esecuzione del D.A. del 15 maggio 1998.
Il Tar, con sentenza 2458 del 4/11/2004, reputando che la mancata chiusura della farmacia Di Mino nella sede di via Papireto si fosse illegittimamente protratta per circa tre anni (1 agosto 1998 – 28/7/2001), e che la stessa fosse da ascriversi ad un ingiustificato comportamento omissivo e\o dilatorio dell’Amministrazione regionale, accoglieva la domanda risarcitoria limitatamente al  danno derivante dal mancato guadagno.
Più in dettaglio, tale danno veniva quantificato nella mancata percezione dell’utile di impresa (incrementato degli interessi compensativi) individuato applicando la percentuale reputata congrua (15%) dell’utile netto medio delle farmacie all’incremento del volume complessivo d'affari generato dalla farmacia del Dott. Milisenna registrato nel periodo nella nuova circoscrizione rispetto a quello registrato nella vecchia sede, decurtato dei costi di gestione.
Tale decisione veniva impugnata dall’Assessorato regionale alla Sanità ma il CGA, con sentenza 5/2009 del 14/1/2009, respingeva l’appello.
Con ricorso del 20/7/2005 gli eredi del Dott. Milisenna adivano nuovamente il TAR per l’ottemperanza della sentenza del TAR Sicilia- Palermo sez. II, n. 2458 del 4/11/2004 contestando l’esecuzione operata dall’Assessorato Regionale alla Sanità con nota prot. n. DIRS/5/3233 del 22 novembre 2005 con la quale era stato quantificato il danno in € 154.106,17.
In particolare, i ricorrenti, pur dichiarando di aderire al criterio di calcolo adottato, contestavano la quantificazione per la parte in cui non erano stati inclusi nel fatturato lordo i prodotti da banco ed i medicinali non in regime di convenzione.
Il Tar, con sentenza n. 71/2006 del 17/1/2006, dopo aver chiarito che ai fini del calcolo del quantum del risarcimento dovevano essere prese in considerazione solo le voci del fatturato riferibili a prodotti farmaceutici o specialità medicinali e non anche quelle relative a prodotti di tipo diverso, per i quali la farmacia doveva essere considerata un normale esercizio commerciale, ordinava all’Amministrazione di ottemperare.
Detta sentenza veniva impugnata dagli eredi del farmacista .
Con ordinanza n. 882/09 del 23/9/2009, il CGA sospendeva il giudizio, in attesa del deposito della decisione sul gravame proposto avverso la sentenza del TAR 2458/04 (poi definito con la citata sentenza 5/09) rinviando all’udienza del 16/12/2009.
La Procura presso questa Sezione, attivata da una puntuale denuncia presentata in data 26/2/1999, dopo aver ritualmente invitato a dedurre il Dott. Di Maggio Giuseppe, dirigente coordinatore del Gr. 13^ - Farmacie dell’Assessorato sanità, ed il farmacista Dott. Di Mino che aveva ritardato il trasferimento della propria farmacia nella zona assegnata con il DA 25452/1998, valutate le deduzioni presentate, disponeva l’archiviazione della vertenza limitatamente al Dott. Di Mino.
Con atto di citazione emesso in data 15/12/2008 citava, quindi, in giudizio il solo Dott. Di Maggio Giuseppe.
Assumeva l’Organo requirente che il Di Maggio in un contesto in cui era evidente l’esigenza di intervenire con estrema celerità, al fine di attuare l’assetto definito con il DA 25452/1998, con solerzia che dissimulava sostanziale immobilità operativa, ometteva di compiere interventi incisivi. Non proponeva, cioè, all’organo competente (Assessore), di assumere quelle iniziative, tecnicamente praticabili alla luce del rassicurante parere dell’Avvocatura dello Stato, che avrebbero consentito il raggiungimento della finalità di pubblico interesse connessa al trasferimento della farmacia del Dott. Milisenna nella nuova sede assegnata.
Tale sostanziale inerzia integrava, sempre ad opinione della Procura agente, una condotta gravemente colposa, al limite dell’intenzionalità, produttiva di un danno per l’erario regionale di € 159.614,17 (da incrementare degli interessi e rivalutazione monetaria) pari alla somma degli importi liquidati in data 7/3/2006 per sorte capitale ed interessi (rispettivamente, € 134.209,74 ed € 19.815,43) e di quelli liquidati in data 25/5/2006 per spese del giudizio (€ 5.508,00) innanzi al TAR.
In data 20/7/2009 si costituiva il Di Maggio con l’assistenza del Prof. Avv. Francesco Paolo Salinas con una articolata memoria con la quale, pregiudizialmente, deduceva l’inesistenza della notifica dell’invito a dedurre in quanto ai fini della notifica era stato indicato soltanto il comune di residenza e non anche gli altri dati necessari per individuare il luogo ove effettuare l’adempimento partecipativo.
Nel merito, dopo aver illustrato, con dovizia di particolari, tutti gli antecedenti fattuali che hanno poi generato la situazione pregiudizievole per il Dott. Milisenna, deduceva l’assenza di colpa grave.
Più in dettaglio, il resistente evidenziava circostanze tendenti ad escludere l’asserita grave negligenza, fra cui
  •  il trasferimento nel settore al Gruppo 13^ dell’Assessorato per la Sanità, in qualità di responsabile dell’unità organizzativa, in un momento in cui la vicenda del trasferimento della Farmacia del Dott. Di Mino presentava già rilevanti profili di criticità;
  •  la mancanza di professionalità specifica nel settore e di continuità operativa (dovuta ad una lunga assenza dal servizio per ragioni di salute);
  •  le deficienze organizzative del settore;
  •  la non chiara natura del provvedimento da adottare in conseguenza della perdurante inottemperanza al provvedimento di trasferimento (decadenza, mera chiusura, od altro) e la correlativa non incontrovertibile spettanza della competenza alla sua adozione (Assessorato o AUSL).
In subordine chiedeva una cospicua riduzione dell’addebito non superiore ad € 10.
Alle udienze del 14/10/2009, 24/3/2010 e del 7/7/2010 la trattazione del giudizio veniva differita in attesa della definizione del giudizio pendente innanzi al CGA iscritto al n. 82/2007 riguardante l’appello proposto dagli eredi del Dott. Milisenna avverso la sentenza del TAR 71/2006 finalizzato ad ottenere, in aggiunta all’importo già liquidato, la quota relativa ai prodotti da banco ed ai medicinali non mutuabili.
In data 11/10/2010, la Procura depositava la sentenza 1234/2010 del 21/9/2010.
Con tale pronuncia il CGA, dopo aver rilevato che con decisione n. 5/09, depositata in data 14 gennaio 2009, il medesimo Consiglio di Giustizia Amministrativa aveva rigettato l’appello proposto dalla Difesa erariale avverso la sentenza n. 2458/04 del T.A.R. Palermo, dichiarava fondato l’appello.
A tale conclusione perveniva affermando che, nel periodo di riferimento (antecedente l’entrata in vigore della disciplina di cui all’art. 5, comma 1, del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito con modificazioni in legge 4 agosto 2006, n. 248), i farmaci da banco o di automedicazione nonché i farmaci e prodotti non soggetti a prescrizione medica e, quindi, non a carico del S.S.N., potevano essere venduti esclusivamente in farmacia. La sussistenza di tale esclusiva, comportava, ad opinione del CGA, che tali  prodotti dovessero essere assimilati ai prodotti medicinali ai fini del calcolo del danno che pertanto, veniva elevato dell’importo di €  21.392,00 (da incrementare degli interessi in misura legale fino all’effettivo soddisfo).
All’udienza del 15/12/2010, il Pubblico Ministero, nella persona della Dott.ssa Anna Luisa Carra, e l’Avv. Francesco Paolo Salinas, in rappresentanza del convenuto, reiteravano le richieste rispettivamente rassegnate in atti.
La causa veniva, quindi, posta in decisione. 
DIRITTO
1. L’odierno giudizio è finalizzato all’accertamento della fondatezza della pretesa azionata dal Pubblico Ministero concernente un’ipotesi di danno erariale indiretto, asseritamente patito dalla Regione Siciliana. Detto danno è connesso all’esborso sostenuto dall’Amministrazione condannata dal G.A. a risarcire i danni patiti da un farmacista a causa dalla preclusione all’esercizio dell’attività farmaceutica nella sede assegnata a seguito della revisione dei relativi ambiti territoriali, determinata dal mancato trasferimento della farmacia che in quella medesima zona operava in regime di esclusiva legale.
Più in dettaglio, detto danno è stato individuato nell’importo che l’Amministrazione regionale ha corrisposto, in ottemperanza alla sentenza del TAR Palermo n. 2458 del 4/11/2004, agli eredi del farmacista Dott. Milisenna pari ad € 159.614,17 (di cui € 134.290,74 per sorte capitale , € 19.815,43 per interessi ed € 5.508,00 per spese di giudizio).
Di detto danno è stato chiamato a rispondere il Dott. Di Maggio Giuseppe, Dirigente coordinatore del Gruppo 13^ - Farmacie dell’Assessorato Sanità all’epoca dei fatti, al quale è stata imputata una condotta quantomeno gravemente colposa consistente nell’aver ritardato l’attuazione della nuova pianta organica delle farmacie del Comune di Palermo non intraprendendo quelle iniziative che avrebbero consentito al Dott. Milisenna di esercitare l’attività farmaceutica nell’ambito territoriale assegnatogli.
2.Notifica
In via preliminare, deve essere analizzata l’asserita nullità della notificazione dell’invito a dedurre.
La doglianza trae origine dalla constatazione che, nella poco chiara relazione di notificazione, il notificante ha inserito solo l’indicazione del Comune di residenza del destinatario, senza specificare gli ulteriori elementi per reperirlo (nome della strada, numero civico).
La doglianza è infondata.
Invero, la mancata indicazione, nella relazione di notificazione, di tutte le indicazioni di luogo necessarie per l’esecuzione dell’adempimento partecipativo non costituisce circostanza invalidante qualora sia possibile identificare con certezza il reale destinatario anche sulla scorta degli elementi contenuti nell’atto da notificare.
In particolare, costituisce orientamento ormai pacifico della Corte di Cassazione quello secondo cui è da escludere la nullità della notifica quando dal contesto dell'atto siano ricavabili indicazioni idonee a colmare le eventuali lacune (fra le tante Cass. Sentt. 9928/2005, 13468/2000).
Nel caso in esame, non vi era carenza degli elementi indispensabili per l’esecuzione della notifica.
D’altra parte la circostanza che fossero disponibili solo elementi relativi alla Provincia, al Comune, alla contrada ed alla denominazione dell’insediamento abitativo di residenza non costituisce un’anomalia sol che si consideri che tali sono gli stessi elementi identificativi dell’indirizzo di residenza contenuti nella memoria di costituzione.
Le considerazioni fin qui esposte inducono a ritenere manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 140 c.p.c., in relazione agli art. 111 e 24 Cost., nella parte in cui prevede che il contraddittorio si instauri all’atto della consegna al destinatario o a chi per esso della raccomandata informativa
3. Condotta dannosa e nesso causale
La condotta imputata all’odierno convenuto consiste nella «sostanziale inerzia in ordine all’esecuzione del D.A. 25452/1998».
L’asserita sostanziale immobilità operativa, ancorché dissimulata da apparente solerzia operativa, ha comportato la condanna dell’Amministrazione regionale a risarcire il pregiudizio patrimoniale subito dal Dott. Milisenna per effetto della mancata attuazione dei provvedimenti concernenti la nuova pianta organica delle farmacia della città di Palermo. L’adempimento della statuizione giudiziale di condanna ha generato il danno all’erario per il quale v’è causa.
Per verificare la configurabilità, nel caso in esame, della fattispecie della responsabilità amministrativa occorre in primo luogo verificare se, all’epoca dei fatti, sussistesse in capo all’Amministrazione regionale la competenza ad assumere iniziative per l’esecuzione del citato D.A. o se tale competenza fosse, come sostenuto dalla difesa del convenuto, radicata in altra Amministrazione (nella specie la AUSL).
Al riguardo, sembra utile evidenziare che la disciplina di settore, contenuta principalmente nel Titolo II del T.U. 27/7/1934, n. 1265 (artt. 104 e ss) e nelle Leggi 2/4/1968, n. 475 e 8/11/1991, n. 362, connota l’esercizio farmaceutico come un’attività ad elevato tenore pubblicistico.
Per quanto di rilievo in questa sede, lo spostamento di una farmacia da un ambito territoriale ad un altro sfugge alle ordinarie dinamiche della libertà imprenditoriale potendo avere luogo solo all’esito di una complessa procedura, governata dall’Amministrazione regionale ed attivata allo scopo di garantire l’assistenza farmaceutica nel territorio di riferimento, che ha il suo momento centrale nell’espletamento di un concorso. Tale procedura si conclude con un provvedimento che – sebbene non possa ascriversi alla categoria degli atti concessori, non essendo il servizio farmaceutico riservato, nel vigente ordinamento, alla suddetta autorità in regime di monopolio – ha natura di autorizzazione costitutiva.
Nella vicenda in esame l’Amministrazione regionale è pervenuta, tenendo conto dei desiderata dei candidati, sulla base dei criteri obiettivi ed in considerazione dell’adozione della nuova pianta organica delle farmacie (predisposta con il DA 25452 del 22/4/1988 in relazione agli intervenuti mutamenti della distribuzione della popolazione nel Comune, spostatasi massicciamente dal centro alla periferia della città), alla redistribuzione delle sedi farmaceutiche con il D.A. 25295 del 22/4/1988.
Orbene, ai sensi dell’art. 6 di tale provvedimento il farmacista che a termini del precedente articolo, aveva manifestato formale accettazione per la nuova circoscrizione, era tenuto a reperire, «entro e non oltre il termine di trenta giorni dalla pubblicazione» del medesimo provvedimento (avvenuta in data 23/5/1988), idonei locali.
Il provvedimento, per il tenore della formula impiegata («entro e non oltre»), non lasciava alcun margine di opinabilità circa la natura perentoria del termine entro cui il farmacista assegnatario di nuova sede farmaceutica avrebbe dovuto ottemperare agli oneri sul medesimo incombenti.
A ciò incontestabilmente consegue che la comunicazione di avvenuto reperimento dei locali nella sede di assegnazione non può essere intesa come manifestazione di una potenziale fruibilità di un immobile da adibire a farmacia bensì solo quale attestazione della concreta ed attuale materiale disponibilità di locali, come tale, imprescindibilmente fondata su ostensibili titoli giuridici idonei a legittimarne l’impiego per l’esercizio della attività di farmacia.
Dunque, nello scenario in cui si inserisce la vicenda (che, peraltro, non presenta alcuna peculiarità, rispondendo, con lineare coerenza, alle prescrizioni di settore), il farmacista destinato a cambiare sede, non avendo ottenuta la sospensione dell’efficacia del provvedimento di trasferimento (ancorché chiesta con il ricorso straordinario al Presidente della Regione Siciliana), avrebbe dovuto spostare l’attività nella zona di nuova assegnazione.
Il mancato trasferimento, quindi, non solo legittimava l’adozione di iniziative di reazione ma addirittura ne imponeva l’assunzione.
E ciò, da un lato, per garantire l’attuazione della pianta organica delle farmacie nella città, elaborata all’esito di un’articolata procedura impiantata per la composizione dei molteplici interessi coinvolti, soprattutto per la parte in cui assicurava la copertura del servizio farmaceutico in una zona carente; dall’altro, per non pregiudicare la posizione dell’assegnatario della sede precedentemente occupata dal Dott. Di Mino, il quale, fra l’altro, aveva reiteratamente manifestato l’interesse a svolgere l’attività nella nuova sede.
La competenza ad esercitare questo potere/dovere era indubitabilmente di pertinenza dell’Amministrazione regionale.
Anche a voler ignorare nozioni di buon senso comune secondo cui, ordinariamente, in assenza di una speciale previsione che diversamente distribuisca le competenze, il soggetto che decide è il medesimo che porta ad esecuzione la decisione, nel caso dei provvedimenti amministrativi, l’Amministrazione che adotta il provvedimento, in base a principi generali di intuitiva rilevabilità, è anche competente a curarne la esecuzione. Tant’è che essa, oltre a sospenderne l’efficacia, può imporre coattivamente l’adempimento degli obblighi nascenti dal provvedimento.
Né, a tale riguardo assume rilievo il fatto che tali poteri siano stati menzionati in disposizioni di legge emanate successivamente ai fatti di causa (art. 21 ter – Esecutorietà – ed art. 21 quater - Efficacia ed esecutività del provvedimento – della L. 241/1990, aggiunti dall'art. 14, L. 11 febbraio 2005) in quanto trattasi di  previsioni meramente ricognitive di principi immanenti nella disciplina dell’azione amministrativa di inveterato impiego.
Ulteriormente sintomatica della sussistenza della competenza a curare l’esecuzione del provvedimento emanato è poi la circostanza che, evocabile in giudizio per ottenere la sospensione giudiziale dell’efficacia, è proprio l’Amministrazione adottante il provvedimento asseritamente lesivo.
Dunque, nessun dubbio poteva ragionevolmente sorgere circa la distribuzione della competenza per l’adozione di misure attuative di quanto stabilito con il D.A. dell’aprile 1988.
Tale competenza, poi, nemmeno poteva ritenersi sterilizzata, come sostenuto dalla difesa del resistente, dal fatto che non era tipizzato lo strumento di reazione impiegabile per contrastare il mancato trasferimento della farmacia del Dott. Mino.
L’Amministrazione, attingendo dallo strumentario tipizzato nell’ordinamento di settore (art. 113 TU 12365/1934, L. 475/1968 e relativo regolamento di esecuzione adottato con DPR 1275/1971) o impiegando mezzi comunque disponibili in capo all’ente, in quanto proiezione naturale della funzione esercitata, aveva un ventaglio di possibilità che spaziava dalla decadenza dall’autorizzazione all’esercizio della farmacia, ove l’obiettivo reputato da perseguire prioritariamente fosse stato quello di tutelare le finalità di ordine pubblicistico alla localizzazione di un esercizio farmaceutico in una zona che ne era sprovvista (consentendo, dunque, lo scorrimento della graduatoria), alla ingiunzione di far cessare l’attività nella zona assegnata al altro farmacista (soluzione adottata con il DDG 35206 del 29/6/2001) ove l’intento ritenuto preminente fosse stato quello di evitare pregiudizi al reclamante la liberazione della sede di nuova assegnazione.
Dunque, in quel contesto, era indubitabile la possibilità di impiego di mezzi di reazione che avrebbero consentito di attuare celermente l’assetto degli esercizi farmaceutici delineato con i decreti assessoriali, per quanto di rilievo in questa sede, per la parte relativa alla rimodulata sede farmaceutica n. 56 e, di conseguenza, impedito che la censurabile condotta (tant’è che non è stata concessa l’auspicata sospensione cautelare del provvedimento che disponeva il trasferimento) del dott. Di Mino arrecasse gravi pregiudizi all’assegnatario di quella sede.
Perciò nell’incontroversa ricorrenza di condizioni che necessitavano l’impiego di strumenti risolutivi della situazione generata dal mancato trasferimento della sede farmaceutica, l’omesso impiego di quegli strumenti ha costituito l’antecedente causale diretto ed immediato dell’esborso sostenuto dall’Amministrazione regionale per ottemperare alla statuizione giudiziale di condanna a risarcire il danno patito dal Dott. Milisenna.
In altri termini, ove vi fosse stato un solerte ricorso ai poteri idonei ad evitare che il Dott. Di Mino continuasse ad esercitare l’attività farmaceutica nell’ambito territoriale assegnato in esclusiva ad altro farmacista, quest’ultimo non sarebbe stato pregiudicato nei suoi interessi imprenditoriali e la Regione non avrebbe dovuto, quale soggetto investito del munus pubblico di portare ad esecuzione il proprio provvedimento dotato dell’attributo della esecutorietà, rispondere del danno cagionato dalla sua inefficiente azione di esecuzione del provvedimento inerente il lungamente atteso riassetto della localizzazione delle farmacie nella città di Palermo.
Scendendo più nel dettaglio di tale relazione causale, appare condivisibile la valutazione compiuta dalla Procura agente secondo cui la condotta sostanzialmente omissiva che ha generato il danno erariale è quella del dirigente dell’unità organizzativa che, nell’ambito dell’Amministrazione regionale, era investita delle competenze per il servizio farmaceutico.
Invero, la complessità dell’organizzazione amministrativa induce a ritenere che solo per la struttura che aveva piena cognizione delle problematiche operative ed, in particolare, contezza delle criticità emerse in occasione dell’attuazione del provvedimento più volte citato, fosse chiaramente percepibile la necessità di intraprendere iniziative tese a rimuovere quelle criticità.
E dunque, è in capo al Dirigente di essa - il quale, sovraintendendo all’attività dei collaboratori, aveva una visione completa sull’intera vicenda avendo gestito la predisposizione della nuova pianta organica ed essendo a conoscenza delle problematiche che erano seguite, fra l’altro, all’assorbimento della sede farmaceutica n. 57 nella  sede n. 56 – che è ravvisabile un significativo nesso di derivazione tra la condotta omissiva ed il danno erariale.
Non v’è dubbio che il Dirigente non avesse la competenza ad adottare i provvedimenti richiesti per far fronte alle problematiche emerse in sede di attuazione del provvedimento di riassetto delle circoscrizioni territoriali entro le quali ai farmacisti assegnatari è concesso svolgere l’attività imprenditoriale in regime di esclusività. Tale competenza, pacificamente, si radicava sulla figura apicale dell’organizzazione competente per materia cioè sull’Assessore Regionale per la Sanità.
Tuttavia, solo ove vi fosse stata una iniziativa in tal senso assunta dalla competente unità organizzativa sarebbe stato possibile imputare l’omissione foriera di danno erariale all’Assessore.
Nel caso in esame è mancata proprio una simile iniziativa: dietro l’apparenza di una fattiva operosità vi è stata una sostanziale immobilità operativa.
Con un apprezzamento comunque rispettoso del limite del divieto di sindacato nel merito delle scelte discrezionali, le iniziative assunte erano manifestamente inidonee a porre efficace e risolutivo rimedio al mancato spostamento della farmacia del Dott. Di Mino in altra zona della città. In questa sede, cioè, valutando la mera congruità estrinseca delle iniziative assunte dal Dirigente, le stesse appaiono manifestamente inadeguate, palesemente inadatte ad assicurare il componimento degli interessi coinvolti in linea con quanto stabilito con il provvedimento di revisione della pianta organica ed il successivo provvedimento di proclamazione degli esiti del concorso per l’assegnazione delle rimodulate sedi.
La definizione della procedura di riassetto degli ambiti territoriali di competenza delle varie farmacie, in mancanza di una sospensione giudiziale dell’efficacia dei provvedimenti con i quali era stata realizzata ed in assenza di conclamate ragioni che avrebbero potuto suggerire all’Amministrazione atteggiamenti attendisti per non pregiudicare una ventilata rimeditazione della soluzione adottata, doveva essere attuata con la celerità che l’importanza dell’azione amministrativa aveva e che il coinvolgimento di interessi imprenditoriali imponeva. Ossia, senza indugio.
Le iniziative in concreto assunte, invece, seppur all’apparenza connotate da sufficiente tempismo, erano del tutto inadeguate rispetto all’obiettivo di portare ad esecuzione il provvedimento. In proposito, sono annoverabili tra le circostanze sintomatiche dell’infeconda solerzia operativa, fra l’altro: le reiterate richieste al Dott. Di Mino di fornire chiarimenti corredate di intimazioni rimaste senza seguito, il coinvolgimento (nota del 30/11/1999) di soggetti pubblici (Comune di Palermo e AUSL) per apporti collaborativi privi di apprezzabile utilità (richiesta di verifica della disponibilità di locali da adibire ad esercizio farmaceutico nella zona di pertinenza della sede assegnata al medesimo farmaciste che, peraltro, ha dato i suoi frutti, in assenza di qualunque ulteriore manifestazione di interesse ad ottenere una solerte collaborazione da parte dell’Ufficio richiedente, dopo oltre sei mesi dalla sua formalizzazione), l’attitudine a giustificare il mancato trasferimento della farmacia da parte del Dott. Di Mino riconosciuta alla dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà (allegata alla nota del 5/11/1999) con la quale il Dott. Di Mino attestava la sopravvenuta indisponibilità del proprietario a locare l’immobile in precedenza indicato quale sede della farmacia nella nuova zona, nonostante che, con nota del 31/8/1998, il farmacista avesse indicato, come prescritto dalla disciplina di settore (art. 9 del DPR 1275/1971), «gli estremi del locale dove (sarebbe stato)aperto l'esercizio».
Insomma, il dinamismo della complessiva azione amministrativa, oggettivamente, ostenta solo una infeconda solerzia. E ciò in un contesto nel quale sussistevano tutte le condizioni per portare ad esecuzione il nuovo assetto delle farmacie nel territorio comunale, tempestivamente e nel rispetto dei criteri di economicità e di efficacia.
Non poteva in altri termini essere ignorato che l’indicazione, da parte del Dott. Di Mino, dei locali in cui avrebbe dovuto trasferire la farmacia non poteva costituire una manifestazione di un desiderio imprenditoriale, mutabile al variare della convenienza economica della locazione (cfr. sentenza del CGA 325/2001, nella quale si evidenzia che a giustificazione del mancato trasferimento «dopo tre anni» è stata addotta la circostanza «con argomentazione ribadita alla pubblica udienza, che il canone richiesto - 3.000.000 (tremilioni) mensili - era a suo parere eccessivo per l’esercizio commerciale di una farmacia nella città di Palermo»). Quella dichiarazione di disponibilità di locali, cioè, non si atteggia come condizione meramente potestativa al trasferimento, il cui avveramento era rimesso ad un intimo apprezzamento del soggetto beneficiario degli effetti.
Al contrario, la comunicazione implicava, come chiarito, che la disponibilità dei locali fosse il titolo giuridico che conseguiva ad un’attività negoziale portata a termine. L’importanza di tale adempimento, peraltro, traspare dalla disciplina recata dall’art. 8 del DPR 1275/1971, la quale, oltre a concedere un congruo lasso di tempo per la precostituzione del titolo (30 giorni), qualifica come rinuncia alla sede per la quale il farmacista è risultato vincitore all’esito del concorso, la mancata trasmissione della dichiarazione.  
4. Danno
Il danno conseguente alla censurabile condotta del coordinatore del competente plesso organizzativo dell’Assessorato per la Sanità è quello scaturito dall’adempimento, da parte della Regione, della condanna al risarcimento del danno operata con Sentenza 2458/2004 del TAR Sicilia-Palermo, il cui appello è stato rigettato dal CGA con Sentenza 5/2009 del 14/1/2009.
A tale riguardo, appare opportuno chiarire che, nella vicenda in esame l’importo del risarcimento per il quale è stato intentato il presente giudizio si è elevato nelle more della sua celebrazione.
Ed infatti, avendo la citata Sentenza 2458/2004 solo dettato i criteri di quantificazione del danno senza fornire la specificazione, in numerario, della misura del risarcimento, gli aventi diritto hanno contestato l’esecuzione fattane dall’Amministrazione: in sede di giudizio di ottemperanza, il CGA, con sentenza del 21/9/2010 n. 1234/2010, nel chiarire le modalità di computo del risarcimento, ha incluso una componente del fatturato aziendale (relativo ai farmaci da banco o di automedicazione nonché ai farmaci e prodotti non soggetti a prescrizione medica) in precedenza esclusa dal calcolo dell’importo erogato.
Sicché l’importo del risarcimento è aumentato di € 21.392,00 (da incrementare degli interessi in misura legale fino all’effettivo soddisfo) passando da € 159.614,17, ad € 181.006,17.
La porzione aggiuntiva del risarcimento, tuttavia, sebbene causalmente connessa alla condotta per la quale v’è causa, in ossequio al principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato di cui all’art. 112 cpc, non può essere considerata nella determinazione del danno imputabile.
Quale frutto della evoluzione della medesima vicenda foriera di danno erariale, sopravvenuta alla instaurazione di questo processo, essa potrà, se la Procura reputerà di farlo, costituire oggetto di un separato giudizio.
5. Elemento soggettivo
Nella vicenda in esame, la condotta omissiva produttiva dell’indicato danno è imputabile al convenuto a titolo di colpa grave.
A tale conclusione induce, in primo luogo, la constatazione dell’assenza di qualsiasi giustificazione per la tolleranza della eclatante protervia del farmacista destinato, in base alla nuova pianta organica, ad operare in una zona della città diversa da quella nella quale il medesimo era precedentemente insediato: la mera applicazione della disciplina legislativa, infatti, avrebbe certamente fatto venir meno una situazione obiettivamente patologica.
In secondo luogo, depone in tal senso la agevole percepibilità delle pregiudizievoli conseguenze a cui veniva esposta l’Amministrazione regionale intraprendendo articolate e plurime iniziative innocue anziché lineari interventi risolutivi.
La canalizzazione verso quest’ultima modalità operativa della soluzione da proporre all’organo di vertice competente ad assumerla, indubbiamente, nel peculiare contesto di riferimento, era l’unica opzione perseguibile.
Ciò in considerazione del fatto che essa era l’unica coerente con le prescrizioni di settore, certamente note ad un soggetto altamente qualificato qual era il dirigente preposto al coordinamento di un Ufficio con competenze quantitativamente estese ma qualitativamente circoscritte da fonti limitate nel numero e prive di complesse stratificazioni.
Inoltre, la possibilità tecnica di utilizzare (rectius, di proporre all’organo di vertice di utilizzare), nello specifico caso, strumenti risolutivi era asseverata da un parere dell’Avvocatura dello Stato, reso in data 12/6/1999. In esso l’attivazione della procedura finalizzata alla dichiarazione di decadenza dall’autorizzazione era prospettata come unico rimedio esperibile a fronte di una «non solo grave, ma anche immotivata, (…) omessa apertura della farmacia nel contesto territoriale in cui è stata accertata la carenza di servizio».
Dunque, in capo all’odierno convenuto vi era, come il materiale documentario in atti dimostra, approfondita cognizione della problematica, consapevolezza della possibilità di proporre l’adozione di provvedimenti che avrebbero assicurato il raggiungimento dello scopo perseguito con la revisione della pianta organica (ottimizzazione della localizzazione delle farmacie) ed, al contempo, consentito al farmacista assegnatario della sede n. 56 (che aveva assorbito anche la sede n. 57) l’esercizio dell’impresa commerciale fruendo integralmente dei benefici rivenienti dall’operare in regime di esclusività territoriale, il tranquillizzante avallo del giudizio tecnico motivatamente fornito da un Organo pubblico di consulenza (Avvocatura di Stato). 
Da tali elementari constatazioni emerge, dunque, in modo palese, che la mancata solerte adozione di iniziative da parte del Di Maggio, integra una carenza nell’adempimento dei compiti inerenti l’ufficio ricoperto che supera abbondantemente la soglia di rilevanza della colpa grave.
6. L’addebito nemmeno può essere attenuato facendo ricorso al potere riduttivo di cui all’art. 52, comma 2, del RD 1214/1934.
I significativi scostamenti dai parametri normativi di riferimento e la circostanza che gli stessi hanno riguardato un segmento dell’agire pubblico assistito da prescrizioni imperative che non davano margini di opinabilità agli operatori soprattutto in un contesto che richiedeva iniziative efficaci, da assumere con solerzia, inducono a ritenere precluso l’esercizio dell’invocato potere.
Conclusivamente, il Collegio reputa sussistenti i presupposti per la configurabilità della responsabilità amministrativa in capo all’odierno convenuto.
In particolare, ritiene imputabile a quest’ultimo, a titolo di colpa grave, condotte omissive che hanno generato un danno per l’erario della Regione Siciliana pari ad € 159.614,17.
Atteso che la pretesa azionata ha ad oggetto un debito di valore, detto importo dovrà essere maggiorato della rivalutazione monetaria nel frattempo intervenuta, da calcolarsi secondo l'indice dei prezzi calcolato dall’ISTAT, dalla data del 7/3/2006 (data del pagamento del risarcimento agli eredi del Dott. Milisenna) alla data di pubblicazione della presente sentenza.
Sulla somma in tal modo rivalutata andranno corrisposti gli interessi nella misura legale, decorrenti dalla data di deposito della presente decisione e fino all’effettivo soddisfo. 
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano, in favore dello Stato, come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dei  Conti
Sezione Giurisdizionale per la Regione Siciliana
definitivamente pronunciando nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 53740 del registro di segreteria, condanna Di Maggio Giuseppe, nato ad Alimena (PA) il 3/5/1937:
-       al pagamento, in favore della Regione Siciliana, dell’importo di  €  159.614,17 (centocinquantanovemilaseicentoquattordici/17), somma da maggiorare della rivalutazione monetaria, da calcolarsi secondo l'indice dei prezzi calcolato dall’ISTAT, dalla data del 7/3/2006 alla data di pubblicazione della presente sentenza, nonché degli interessi legali maturandi, sull'importo rivalutato, dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino all’effettivo soddisfo;
-       al pagamento, in favore dello Stato, delle spese processuali che, sino al deposito della presente decisione, si liquidano in complessivi €. 392,77 (euro trecentonovantadue/77).
Manda alla Segreteria per gli adempimenti conseguenti.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 15 dicembre 2010.          
            L’Estensore                                            Il Presidente         
F.to Dott. Roberto Rizzi                       F.to Dott. Luciano PAGLIARO                                  
Depositata oggi in Segreteria nei modi di legge.
Palermo, 28 gennaio 2011
            Il Funzionario di Cancelleria
           F.to Dr.ssa Rita Casamichele

Sul diritto di accesso relativo a soggetti di diritto privato

Consiglio di Stato, Sez. IV, 27 gennaio 2011, n. 619
Data: 
27/01/2011
Materia: 
Accesso

Il diritto di accesso previsto dagli art. 22 e 23 l. n. 241 del 1990 relativo ai soggetti di diritto privato, che svolgono attività di pubblico interesse, riguarda non soltanto l'attività di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest'ultima da un nesso di diretta strumentalità (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 02 ottobre 2009, n. 5987; Consiglio Stato, sez. VI, 30 luglio 2010, n. 5062).

L'esercizio dell'"actio ad exhibendum" nei confronti di chi svolga un pubblico servizio concerne dunque anche l'ostensibilità degli atti di natura privatistica teleologicamente collegati, anche in via indiretta, alla gestione del servizio e alla cura dell'interesse pubblico (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1470).

 

 

 

 

N. 00619/2011REG.PROV.COLL.

N. 10171/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10171 del 2010, proposto da “2006 Scarl” in Liquidazione, rappresentato e difeso dagli avv. Carlo Marzano, Alessandro Mazza, con domicilio eletto presso Carlo Marzano in Roma, via Sabotino 45;

contro

Omba Impianti & Engineering S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv. Tomaso Galletto, Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso Gabriele Pafundi in Roma, viale Giulio Cesare 14a/4;

nei confronti di

Sitaf - Società Italiana Traforo Autostradale del Frejus - S.p.A., rappresentato e difeso dagli avv. Umberto Giardini, Mariano Protto, con domicilio eletto presso Mariano Protto in Roma, via Maria Cristina, 2;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. PIEMONTE - TORINO: SEZIONE I n. 04087/2010, resa tra le parti, concernente della sentenza del T.A.R. PIEMONTE - TORINO: SEZIONE I n. 04087/2010, resa tra le parti, concernente IL DINIEGO ACCESSO ALLA DOCUMENTAZIONE TECNICA PER LA REALIZZAZIONE DI OPERE IN ACCIAIO - MCP

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Omba Impianti & Engineering S.p.A. e di Sitaf - Società Italiana Traforo Autostradale del Frejus - S.p.A.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2011 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti gli avvocati Marzano, Pafundi, Resta su delega di Protto;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con il presente gravame la 2006 SOCIETÀ CONSORTILE a.r.l.. in liquidazione, impugna la sentenza del TAR Piemonte con cui, previo annullamento del diniego del 28.6.2010 era stata ordinata -- alla SOCIETA' ITALIANA TRAFORO AUTOSTRADALE DEL FREJUS- SITAF (società a capitale misto pubblico-privato concessionaria dell’ANAS per il traforo del Frejus e l’Autostrada A32 Torino-Bardonecchia) -- l’esibizione dei documenti richiesti dalla società OMBA - IMPIANTI & ENGINEERING S.P.A., la quale in qualità di subappaltatrice della odierna appellante Duemilasei Scarl, aveva eseguito alcune opere in acciaio, relative ad alcuni viadotti della quarta corsia dell’autostrada A32 nel tratto Savoulx-Bardonecchia.

In particolare, anche con la seconda domanda di accesso del 28 maggio 2010 l’OMBA aveva richiesto gli atti attestanti le quantità di acciaio impiegate nell'esecuzione dell'appalto pubblico, così come accertate dal direttore dei lavori e documentate dall'appaltatrice Duemilasei alla Concessionaria appaltante SITAF, al fine di ottenere il riconoscimento della “compensazione” per il maggior costo sopportato per l’acquisto dell’acciaio fornito ed utilizzato per la realizzazione delle opere oggetto del subappalto, secondo quanto previsto dall’art.1 comma 550 della L. n. 311/2004 (oggi trasfuso nell’art.133 IV co. del Codice dei Contratti).

La concessionaria SITAF si è costituta in giudizio ad adjuvandum, e con la propria memoria per la discussione ha rilevato, in linea preliminare, l’inammissibilità del ricorso di primo grado per intervenuta decadenza dall’impugnazione e, nel merito, l’infondatezza del gravame per l’assunta estraneità della richiesta al pubblico interesse ad una funzione pubblica.

L’Appellata OMBA, con la memoria di costituzione, ha replicato alle affermazioni di cui all’appello sottolineando a sua volta le proprie argomentazioni a sostegno della decisione gravata.

Con decreto cautelare presidenziale n. 5604 del 09/12/2010, è stata sospesa l’esecuzione della sentenza sul rilievo che i motivi di appello avrebbero dovuto essere approfonditi nella competente sede collegiale.

Alla Camera di Consiglio, uditi i patrocinatori delle parti il ricorso è stato ritenuto in decisione sia dell’istanza cautelare che del merito della causa

In conseguenza, con ord. cautelare n. 43/2011, la Sezione ha confermato “fino alla pubblicazione della sentenza di merito” il predetto decreto cautelare.

DIRITTO

___1. Con il primo motivo si censura il capo della sentenza che ha respinto l’eccezione preliminare di inammissibilità formulata in primo grado. Il ricorso sarebbe inammissibile per la sussistenza di un precedente diniego, la cui impugnazione si era conclusa con la declaratoria di inammissibilità dello stesso (sentenza TAR Piemonte n.2089/2010 in data 28.4.2010) per mancata notifica alla controinteressata Duemilasei Scarl. Per l’appellante, erroneamente il Giudice di prime cure ha ritenuto che il diniego impugnato sarebbe stato assunto a seguito di una rinnovata istruttoria.

La giurisprudenza consolidata (cfr. Adunanza plenaria nn. 6 e 7 del 19.4.2006) avrebbe definitivamente chiarito che la mancata impugnazione del diniego nel termine, cui dovrebbe essere necessariamente parificata la situazione di proposizione di ricorso inammissibile, renderebbe inoppugnabile il diniego e non consentirebbe la reiterabilità dell'istanza a meno che non vi siano fatti nuovi.

L’assunto va disatteso.

Del tutto arbitraria appare infatti l’equiparazione, prospettata dall’appellante, della situazione di chi negligentemente non ha provveduto ad adire nel termine decadenziale il presidente diniego, con quella del soggetto che ha tempestivamente impugnato l’atto negativo e poi puntualmente appellato anche la successiva sentenza declaratoria dell’inammissibilità.

La giurisprudenza ricordata dall’appellante non era certo diretta a frapporre artificiosi ostacoli processuali all’esercizio del diritto di difesa, ma ha voluto evitare, da un lato, l’aggiramento della cogenza del termine legislativamente imposto per l’esercizio dell’accesso e dall’altro, la strumentale continua reiterazione di istanze d’accesso, a fini esclusivamente defatigatori, dilatori o emulativi dell’attività amministrativa.

Nulla di ciò nel caso in esame: la OMBA appellata aveva tempestivamente impugnato il precedente diniego, e anche la successiva pronuncia di inammissibilità.

Pertanto non può dirsi che l’OMBA sia stata poco diligente e quindi sia incorsa nella decadenza.

L’assunto per cui il TAR avrebbe dovuto rilevare che OMBA aveva reiterato la medesima istanza di accesso, per le identiche motivazioni e sulla base del medesimo interesse giuridico, è inconferente perché la stessa non era incorsa in alcuna decadenza.

Esattamente la sentenza appellata ha dunque concluso che il secondo diniego oggetto della sentenza gravata era un atto autonomamente adottato dalla Concessionaria appaltante, in esito ad un rinnovato procedimento instaurato in seguito della nuova istanza.

Con l’attivazione spontanea ed autonoma di un nuovo procedimento sulla seconda domanda, la Concessionaria dei lavori non l’ha giudicata inammissibile, ma ha ritenuto di dover seguire l’indicazione della motivazione della prima sentenza n.2089/2010 del TAR Piemonte per cui, se la ricorrente avesse reiterato l'istanza di accesso, la Società concessionaria autostradale avrebbe dovuto comunicare l’avviso di avvio del procedimento d’accesso alla Duemilasei S.c.a.r.l., onde consentirle di tutelare il suo diritto alla riservatezza.

Il nuovo procedimento era differente proprio perché ha coinvolto, per la prima volta, il soggetto controinteressato; per questo il diniego successivamente assunto dall'amministrazione appaltante non può essere considerato “meramente confermativo” del primo atto negativo.

L’eccezione di decadenza, e quindi il primo motivo di gravame, sono infondati.

___ 2. Con il secondo capo di doglianza si chiede l’annullamento della sentenza impugnata assumendo l’erroneità del capo che, in violazione dell'art.22, comma 1°, L. n.241/1990 e s.m.i., ha ritenuto che i documenti richiesti fossero suscettibili di accesso mentre invece sarebbero stati attinenti alla sfera negoziale intercorrente tra SITAF e 2006 s.c.a.r.l., e quindi non qualificabili come "documenti amministrativi” seppure afferenti alla costruzione di un’opera pubblica.

Per l’appellante dunque, a norma dell'art. 10, comma 1, lett. b), L. n. 69/2009, (che ha modificato l’art. 29 della L. n. 241/1990 e s.m.i.) e dell’art. 2 del D.p.R. 12.4.2006, n. 184 i documenti richiesti da OMBA concernenti il c.d. “caro acciaio” non concernerebbero l’ “attività di pubblico interesse” ma atterrebbero al riconoscimento tra le parti di un adeguamento del prezzo del ferro: i rapporti creditori sarebbero del tutto estranei ai compiti istituzionali (cfr. C.d.S. 22.4.2002, n.186).

L’assunto va respinto.

Secondo univoca giurisprudenza, il diritto di accesso previsto dagli art. 22 e 23 l. n. 241 del 1990 relativo ai soggetti di diritto privato, che svolgono attività di pubblico interesse, riguarda non soltanto l'attività di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia collegata a quest'ultima da un nesso di diretta strumentalità (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 02 ottobre 2009, n. 5987; Consiglio Stato, sez. VI, 30 luglio 2010, n. 5062).

L'esercizio dell'"actio ad exhibendum" nei confronti di chi svolga un pubblico servizio concerne dunque anche l'ostensibilità degli atti di natura privatistica teleologicamente collegati, anche in via indiretta, alla gestione del servizio e alla cura dell'interesse pubblico (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1470).

Nel caso di specie, la funzione di stazione appaltante per la realizzazione di un lavoro pubblico affidato alla società concessionaria caratterizza la SITAF, sul versante soggettivo, per la intensa conformazione pubblicistica; è dunque evidente che tutti gli atti della Direzioni ed i relativi documenti contabili, concernenti l’esecuzione di un appalto di rilievo comunitario, finanziato con il pubblico danaro, concernevano direttamente ed immediatamente proprio l’attività istituzionale espressamente demandata al concessionario.

L’attività privatistica del concessionario è quella che attiene ad attività strumentali (come poteva essere ad es. l’acquisto di un autoveicolo) ovvero del tutto estranee al munus pubblico ricevuto.

In conclusione ha ragione il TAR quando afferma che, nel caso di specie, ricorressero sia la natura pubblica sia del concessionario, sia la legittimazione della ricorrente che la natura amministrativa della documentazione richiesta.

Il motivo va dunque respinto.

___ 3. Per l’appellante la società OMBA non avrebbe avuto alcun interesse diretto, concreto ed attuale e giuridicamente tutelato, in quanto il Tribunale Civile di Tortona, disattendendo tutte le richieste istruttorie, ha rigettato sia la domanda di riconoscimento delle somme, sia la subordinata richiesta di riconoscimento all’arricchimento senza causa in violazione dei principi di buona fede e dell’inserzione automatica delle clausole legali di cui all’art.1375 c.c. e 1339 c.c. ; ne discenderebbe il venir meno del carattere “necessario” della richiesta di accesso richiesta dall’art. 27 settimo co. della L. n.241/1990.

Inoltre,il carattere di non indispensabilità sarebbe dimostrato dalla possibilità della OMBA di richiedere alla Corte d’Appello di Torino, presso cui è stata gravata la sentenza del Tribunale di Tortona, di acquisire d’ufficio alla P.A. ai sensi dell’art. 213 c.p.c. .

Infine, si tratterebbe di informazioni riservate pertinenti esclusivamente ai rapporti tra SITAF e 2006 SCARL, il cui desiderio di conoscenza troverebbe una garanzia e un limite nella necessità di tutela della riservatezza.

L’assunto è privo di pregio.

Quanto alla legittimazione soggettiva della richiedente l’accesso, esattamente l’appellata rivendicava, nei confronti della odierna appellante, il diritto alla conoscenza in diretto ed immediato collegamento con la titolarità di un diritto di credito connesso con l’esecuzione di un appalto pubblico e con l’applicazione di una norma di legge sopravvenuta rispetto al contratto di subappalto.

Quanto all’attualità ed alla concretezza dell’interesse, a prescindere dal fatto che comunque l’OMBA ha gravato d’appello la predetta decisione, deve ricordarsi che il diritto di accesso non costituisce una pretesa meramente strumentale alla difesa in giudizio della situazione sottostante, essendo in realtà diretto al conseguimento di un autonomo bene della vita.

In conseguenza, la domanda giudiziale tesa ad ottenere l'accesso ai documenti è indipendente non solo dalla sorte del processo principale nel quale venga fatta valere l'anzidetta situazione, ma anche dall'eventuale infondatezza od inammissibilità della domanda giudiziale.

Il diritto di accesso non è ostacolato dalla pendenza di un giudizio civile o amministrativo nel corso del quale gli stessi documenti potrebbero essere richiesti, e l'accesso ai documenti va consentito anche quando la relativa istanza è preordinata alla loro utilizzazione in un giudizio, senza che sia possibile operare alcun apprezzamento in ordine alla ammissibilità ovvero alla fondatezza della domanda o della censura che sia stata proposta o che si intenda proporre, la cui valutazione spetta soltanto al giudice chiamato a decidere ( cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 28 settembre 2010 , n. 7183).

Ne deriva il pieno diritto dell’OMBA all’accesso alla documentazione richiesta e la infondatezza del secondo motivo.

___ 4. In conclusione l’appello è infondato e deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

___ 1. Respinge l’appello di cui in epigrafe.

___ 2. Condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio che vengono liquidate in € 1.500,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:

Sergio De Felice, Presidente FF

Sandro Aureli, Consigliere

Raffaele Greco, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
       
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 27/01/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Verificazione e CTU: mezzi di prova o mezzi di valutazione della prova?

C.G.A. sentenza n. 89 del 25 gennaio 2011
Data: 
25/01/2011

La verificazione e la C.T.U. non sono in senso stretto mezzi di prova (per i quali vige la regola dispositiva), ma mezzi di valutazione della prova  essendo entrambe finalizzate all'acquisizione, da parte del giudice, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze.

La scelta giudiziaria di ordinare una C.T.U. oppure una verificazione non può, pertanto, essere vincolata dalla domanda delle parti,  rientrando essa nel potere discrezionale del giudice amministrativo, che può provvedervi anche senza alcuna domanda di parte.

Del resto la differenza tra verificazione e C.T.U. non è apprezzabile sul piano della qualità dei relativi accertamenti, almeno ogniqualvolta la verificazione sia stata effettuata nel contraddittorio delle parti e sia stata affidata a un’amministrazione differente da quella coinvolta nella controversia.

A prescindere dunque dalle residue difformità procedurali, nel giudizio amministrativo l’istituto della verificazione, per effetto dell’ortopedia applicativa che ne ha fatto la giurisprudenza amministrativa, si è progressivamente avvicinato, nel corso degli anni, alla consulenza tecnica d’ufficio, rispetto alla quale presenta ormai due sole significative differenze:

-    il verificatore, contrariamente al C.T.U., è sempre un soggetto, sia esso una persona fisica o un organismo, appartenente al mondo della pubblica amministrazione e operante quale espressione dell’apparato incaricato per l’accertamento delegato;

-      l'attività del verificatore rispetto alla C.T.U., si connota prioritariamente per l’effettuazione di un accertamento tecnico, di natura non valutativa, piuttosto che nella formulazione di un giudizio tecnico



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, ha pronunciato la seguente
D E C I S I O N E
sul ricorso in appello n. 1634/09 proposto da
AGFA GEVAERT s.p.a.,
in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Agatino Cariola, elettivamente domiciliata in Palermo, via Trentacoste n. 89, presso lo studio Allotta;
c o n t r o
la ANDRA s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Michele Alì, elettivamente domiciliata in Palermo, via G. Serpotta n. 66, presso lo studio dell’avv. Rosaria Zammataro;
e nei confronti
dell’AZIENDA U.S.L. N. 8 DI SIRACUSA, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
dell’AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI SIRACUSA, in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Sicilia - Sezione staccata di Catania (sez. III) - n. 1536 del 21 settembre 2009.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Andra s.p.a. (d’ora in poi “Andra”);
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Vista l’ordinanza n. 98 del 5 febbraio 2010, con la quale è stata respinta la domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata;
Vista l’ordinanza n. 408 del 19 marzo 2010, con la quale sono stati disposti incombenti istruttori;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il Consigliere Gabriele Carlotti;
            Uditi alla pubblica udienza del 29 giugno 2010 l’avv. B. Fiorito, su delega dell’avv. A. Cariola, per la società appellante e l’avv. M. Alì per la società appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O    E    D I R I T T O
1. - Giunge in decisione l’appello, interposto dall’Agfa Gevaert s.p.a. (nel prosieguo soltanto “Agfa”), avverso la sentenza, di estremi specificati in epigrafe, con la quale il T.A.R. per la Sicilia, sezione staccata di Catania ha, tra l’altro, accolto l’impugnativa, promossa in primo grado dall’Andra avverso i seguenti atti:
- il verbale del 14.3.2006 con il quale fu disposta l’esclusione dell’Andra fu esclusa dal pubblico incanto indetto per la fornitura di pellicole radiografiche, prodotti chimici, buste per la conservazione di radiogrammi ed attrezzature in "service" per le strutture dell'Azienda Unità Sanitaria Locale n. 8 di Siracusa (dipoi anche “Azienda”);
- il provvedimento con il quale la gara fu provvisoriamente aggiudicata alla Agfa;
- l'aggiudicazione definitiva del suddetto pubblico incanto.
2. - L’Andra si è costituita in giudizio per resistere all’impugnazione.
3. - All’udienza del 29 giugno 2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
4. - Occorre ricostruire succintamente la vicenda sulla quale si è innestata la presente controversia.
Entro il termine ultimo per la presentazione delle offerte per la procedura sopra descritta pervennero all'Azienda i plichi di tre ditte: la Fuji Medical System Italia s.p.a., l’Agfa e l’Andra. Tuttavia, con successivo verbale dell’8 marzo 2006 la Commissione tecnica, su apposita richiesta del seggio di gara, intesa ad accertare se l’Andra e la Fuji avessero rispettato le caratteristiche minime richieste nel capitolato tecnico informativo, espresse l'avviso secondo cui le offerte delle suddette imprese difettavano dei requisiti minimi per alcune voci e, segnatamente, per il Sistema RIS e per le otto workstations; conseguentemente, alla luce delle predette risultanze, la Commissione di gara, con verbale del 14 marzo 2006, escluse dalla gara sia l’Andra sia la Fuji e, quindi, aperta la busta contenente l'offerta economica della Agfa, unica concorrente rimasta in gara, aggiudicò provvisoriamente la fornitura a quest'ultima.
L’Andra impugnò avanti al T.A.R. per la Sicilia, Sezione staccata di Catania, l’esclusione dalla gara.
Con una prima ordinanza collegiale istruttoria, n. 100/2007, il Tribunale dispose una verificazione, affidata al prof. Lorenzo Vita, al fine di accertare "la conducenza o meno, alla luce delle prescrizioni del capitolato di gara, dei rilievi tecnici formulati dalla ricorrente, con la seconda e la terza censura del gravame introduttivo, avverso l'esclusione dalla gara ed avverso la valutazione attribuita alla offerta della società controinteressata".
Con una seconda ordinanza collegiale istruttoria del 25 luglio 2007, n. 365, il primo Giudice, aderendo alla richiesta formulata dall'Amministrazione resistente e dall’odierna appellata, le quali si dolevano della circostanza che il verificatore non avesse tenuto in debita considerazione le osservazioni formulate dai rispettivi consulenti, ordinò un’inte-grazione delle operazioni di verificazione. Successivamente il Tribunale, con l’ulteriore ordinanza n. 147/2008, nominò un altro verificatore, conferendogli nuovamente l'incarico di accertare la conducenza e la fondatezza o meno, sulla scorta delle prescrizioni del capitolato di gara, dei rilievi tecnici formulati dall’Andra, con la seconda e la terza censura del gravame, contro l'esclusione dalla gara (come motivata principalmente in seno al verbale della Commissione tecnica dell'8 marzo 2006) e avverso la valutazione attribuita all'offerta dell’Agfa, nonché delle deduzioni avanzate dalla parte resistente.
5. - Il T.A.R. ha accolto l’impugnativa, avendo giudicato fondati i primi due motivi formulati con il ricorso, con i quali si era dedotta l’illegittimità degli atti impugnati per:
- eccesso di potere sotto i profili della contraddittorietà dei provvedimenti di espulsione con la precedente valutazione di merito tecnico e della illogicità; violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del capitolato speciale; illegittimità derivata;
- eccesso di potere sotto i profili dell'errore e della falsità dei presupposti e del difetto di istruttoria; violazione dell'art. 3 della L. n. 241 del 1990 e delle corrispondenti disposizioni della L.R. n. 10 del 1991, con riguardo ai motivi di esclusione dell’Andra dalla gara.
In questa parte della sentenza l’itinerario motivazionale percorso dal T.A.R. è così riassumibile:
-          entrambe le relazioni di verificazione hanno riscontrato la compatibilità dell’offerta dell’Andra con il capitolato speciale, pervenendo a conclusioni alquanto simili: ossia che il capitolato lasciava ampi spazi di scelta per la realizzazione dell’architet-tura dei vari sistemi;
-          in particolare, il progetto dell’Andra, in disparte ogni considerazione di carattere funzionale, risultava conforme a quanto prescritto dal capitolato, nonostante la concorrente avesse optato per un’architettura del sistema che, alla centralizzazione fisica, aveva sostituito una centralità soltanto logica e operativa;
-          sulla base delle risultanze delle verificazioni emerge in particolare che il progetto presentato dall’Andra corrispondeva alle specifiche richieste degli atti di gara e alle caratteristiche tecniche minime indicate nel capitolato, giacché “… viene offerto un sistema RIS centralizzato, con l'architettura HW e SW richiesta en soddisfacente a tutti i requisiti funzionali decritti nel CSRIS. Vengono offerte 8 workstation di refertazione con l'architettura I-1W e SW richiesta e soddisfacente a tutti i requisiti funzionali decritti nel CSRIS”.
Il Tribunale ha reputato fondato anche il terzo motivo di censura, con il quale l’Andra aveva dedotto il vizio di eccesso di potere sotto il profilo dell’errore di fatto, dell'illogicità manifesta, della disparità di trattamento e della mancata applicazione di criteri uniformi nella valutazione dell'elemento della qualità.
A tal riguardo il T.A.R. ha rilevato che, nella valutazione delle caratteristiche tecniche delle offerte, quella dell’Andra era stata immotivatamente sottostimata in relazione a plurimi profili e, quindi, ha stabilito che, in sede di rinnovazione della valutazione comparativa delle due offerte rimaste in gara, la Commissione tecnica dovesse farsi carico di esaminare tutte le utilità offerte dell’Andra.
Il T.A.R. ha infine:
- respinto il motivo con il quale l’Andra si era lamentata della mancata esclusione dell’Agfa per violazione del bando di gara e delle prescrizioni di capitolato e dell’art. F/6 del capitolato generale.
- accolto la domanda risarcitoria proposta nei confronti dell’ammi-nistrazione sanitaria.
6. - Avverso le statuizioni sopra succintamente riferite è insorta in appello l’Agfa la cui impugnazione è affidata a sei mezzi di gravame, articolati in molteplici censure di seguito sintetizzate:
a) il T.A.R. ha disposto una verificazione in luogo della C.T.U. richiesta dall’Andra e, soprattutto, ha omesso di specificare i quesiti posti al secondo verificatore, con la conseguenza che l’intera attività istruttoria si è di fatto svolta “al buio” e in violazione dei principi del giusto processo;
b) la prima verificazione è stata condotta senza rispettare il contraddittorio e tuttavia il T.A.R. ne ha contraddittoriamente utilizzato le risultanze, da ritenersi per contro nulle;
c) il Tribunale ha poi travisato i contenuti delle due verificazioni, ritenendo erroneamente che le relative relazioni fossero pervenute a conclusioni assai simili;
d) il secondo verificatore, prof. Scarpa, ha in più occasioni puntualizzato di non voler esprimere alcuna valutazione in ordine alla efficienza della soluzione proposta dall’Andra, così mettendone in luce il grave deficit di funzionalità: il verificatore non ha però considerato che l’esclusione dell’appellata dalla gara è stata anche disposta in ragione del predetto difetto di funzionalità, sebbene derivante da un vizio architetturale del progetto dell’Andra;
e) il Tribunale non ha tenuto conto delle osservazioni svolte dai tecnici delle parti resistenti e controinteressate;
f) correttamente l’Andra è stata esclusa dalla gara avendo essa presentato un progetto difforme dal capitolato di gara e privo delle caratteristiche tecniche minime richieste: in particolare, l’art. 1 del citato capitolato prevedeva un sistema RIS centralizzato e la presenza di work-stations anche presso il Centro di Senologia del Distretto di Siracusa, mentre nel progetto dell’Andra il sistema RIS non risultava impiantato all’interno del CED dei sistemi informativi dell’Azienda, ma presso il Centro di senologia, e i sistemi PACS erano quattro invece di cinque;
g) in questo modo l’Andra, non essendosi attenuta al capitolato, ha di fatto proposto unilateralmente una variante, non prevista e non autorizzata, dell’appalto messo a gara;
h) il T.A.R. ha indebitamente esercitato un sindacato intrinseco di tipo c.d. “forte” sulla discrezionalità tecnica esercitata dall’organo di gara, scelta cognitoria - asseritamente non consentita dall’ordinamento processuale amministrativo - che ha portato il Tribunale a sostituirsi arbitrariamente all’amministrazione, intercettando il merito delle valutazioni ad essa esclusivamente riservate;
i) la sentenza appellata ha erroneamente accolto la generica istanza risarcitoria formulata in prime cure dall’odierna appellata, incorrendo perfino in un vizio di ultrapetizione per essere state riconosciute e liquidate voci di danno nemmeno richieste:la circostanza, pur non essendo di diretto interesse dell’Agfa, nondimeno costituisce espressione sintomatica della complessiva ingiustizia della decisione gravata.
7. - Delle riferite censure le prime cinque di cui sub §. 6, lett. a), b), c) d) ed e) sono dirette a contestare sia la legalità procedurale dell’istruttoria compiuta in primo grado sia la valutazione delle relative risultanze da parte del T.A.R..
Le doglianze sono infondate.
8. - Non ha pregio dedurre (§. 6, lett. a) che il T.A.R. abbia disposto una verificazione in luogo della C.T.U. richiesta dall’Andra: ed invero, sia la verificazione sia la C.T.U. non sono in senso stretto mezzi di prova (per i quali vige la regola dispositiva), ma mezzi di valutazione della prova (sul punto la giurisprudenza è consolidata; v., tra le più recenti, Cass. civ., sez. lav., 21 aprile 2010, n. 9461), essendo entrambe finalizzate all'acquisizione, da parte del giudice, di un parere tecnico necessario, o quanto meno utile, per la valutazione di elementi probatori già acquisiti o per la soluzione di questioni che comportino specifiche conoscenze.
Il verificatore e il C.T.U. sono difatti ausiliari del giudice amministrativo e lo coadiuvano nella valutazione di fatti prodromica alla successiva attività, prettamente giurisdizionale, di riconduzione dei medesimi fatti entro coordinate di natura giuridica. Trattandosi dunque di porre in essere un’attività, oggettivamente giurisdizionale, seppure soggettivamente delegata a terzi qualificati, e comunque strumentale (e coessenziale) a quella propriamente decisoria è giocoforza ritenere che la scelta giudiziaria di ordinare una C.T.U. oppure una verificazione non possa essere vincolata dalla domanda delle parti, ben potendo il giudice amministrativo optare autonomamente - anche in forza del principio dispositivo con metodo acquisitivo che governa l’istruttoria nel processo amministrativo su questioni di legittimità (quand’anche rientranti in ambiti di giurisdizione esclusiva) - per l’effettuazione, in relazione ai fatti allegati dai litiganti, una verificazione in luogo di una C.T.U. eventualmente richiesta dalle parti (e viceversa) e perfino di disporre d’ufficio, ossia in assenza di alcuna domanda di parte, la verificazione (o la C.T.U.). La nomina del consulente o del verificatore rientra, insomma, nel potere discrezionale del giudice amministrativo, che può provvedervi anche senza alcuna domanda di parte. In ogni caso tale domanda non si configura come un'istanza istruttoria in senso tecnico, ma ha il valore di una mera sollecitazione rivolta al giudice affinché questi, avvalendosi dei suoi poteri discrezionali, provveda al riguardo; ne consegue che, sul punto, le scelte istruttorie del T.A.R. non sono censurabili da questo Consiglio e la relativa critica non assume la consistenza di un motivo di impugnazione.
Del resto la differenza tra verificazione e C.T.U., pur rilevando sul piano processuale in ragione della diversa disciplina che regola i due istituti, non è in realtà apprezzabile sul piano della qualità dei relativi accertamenti, almeno ogniqualvolta la verificazione sia stata effettuata nel contraddittorio delle parti e sia stata affidata a un’amministrazione differente da quella coinvolta nella controversia (come avvenuto nel caso di specie). A prescindere dunque dalle residue difformità procedurali, nel giudizio amministrativo l’istituto della verificazione, per effetto dell’ortopedia applicativa che ne ha fatto la giurisprudenza amministrativa, si è progressivamente avvicinato, nel corso degli anni, alla consulenza tecnica d’ufficio, rispetto alla quale presenta ormai due sole significative differenze:
-          la prima relativa alla circostanza che il verificatore, contrariamente al C.T.U., è sempre un soggetto, sia esso una persona fisica o un organismo, appartenente al mondo della pubblica amministrazione e operante quale espressione dell’apparato incaricato per l’accertamento delegato;
-          la seconda diversità concerne il contenuto specifico dell’attività del verificatore che, rispetto alla C.T.U., si connota prioritariamente per l’effettuazione di un accertamento tecnico, di natura non valutativa, piuttosto che nella formulazione di un giudizio tecnico (Cons. St., sez. IV, 18 gennaio 2010, n. 138).
Va però considerato che il profilo, sopra evidenziato nel primo alinea, rappresenta il maggior pregio dello strumento istruttorio, consentendo al giudice amministrativo di ottenere, da un lato, accertamenti tecnici altamente qualificati, con costi ridotti per le parti, e dall’altro lato, di avvalersi di soggetti istituzionalmente tenuti alla imparzialità e, soprattutto, provvisti di elevate competenze nelle materie normalmente oggetto dei giudizi amministrativi.
Con riferimento  all’aspetto di cui al secondo alinea, occorre inoltre osservare che la tendenziale assenza di elementi di giudizio nella valutazione delegata al verificatore, non comporta l’inutilizzabilità delle verificazioni che detti elementi eventualmente contengano (tanto più se richiesti espressamente dal giudicante), giacché sia l’esito della C.T.U. sia quello della verificazione sono comunque autonomamente apprezzati dal giudice il quale, nell’esercizio dei suoi poteri cognitori e decisori, può aderire alle conclusioni dell’ausiliario oppure discostarsene in tutto o in parte.
Può quindi tranquillamente affermarsi che il giudice amministrativo debba sempre optare per la verificazione ogniqualvolta non sia indispensabile disporre una C.T.U. (e ciò può accadere quando, nell’ampio panorama delle amministrazioni pubbliche, non sussistano soggetti dotati delle necessarie competenze o quando di essi il giudice, per qualche ragione, non possa avvalersi) e in questo senso sembra orientato, non a caso, anche il progetto del nuovo codice del processo amministrativo.
Non risulta poi dagli atti che il T.A.R. abbia omesso di specificare i quesiti formulati al verificatore. Nell’ordinanza n. 147/2008 si precisa che la verificazione era “volta ad accertare la conducenza e la fondatezza o meno, sulla base delle prescrizioni del capitolato di gara, dei rilievi tecnici formulati dalla ricorrente, con la 2^ e la 3^ censura del gravame, avverso la esclusione della gara (come motivata principalmente in seno al verbale della C.T. dell’8/3/06) ed avverso la valutazione attribuita alla offerta della contro interessata nonché delle deduzioni avanzate dalle parti resistenti”. Tale ordinanza del resto era menzionata nella successiva n. 384/2008, recante la proroga del termine originariamente assegnato per il compimento dei delegati accertamenti istruttori, notificata al domicilio del prof. Scarpa.
I quesiti pertanto sono stati formulati e in modo sufficien-temente preciso.
Tanto premesso, la circostanza che il predetto prof. Scarpa abbia affermato, all’inizio della sua relazione, di non aver ricevuto comunicazione dei quesiti non ne inficia l’operato.
Innanzitutto perché il Collegio è dell’opinione che il verificatore abbia inteso riferirsi alla mancata comunicazione di quesiti strettamente intesi, ossia di temi di indagine declinati sotto forma di domande poste dal giudice all’incaricato dell’accertamento. Ma, al riguardo, giova rilevare che, per la valida determinazione dell’oggetto della verificazione, non è richiesta l’adozione di formule particolari purché sia chiara l’indagine alla quale sia interessato il giudicante. In tal senso - ed è questo il secondo profilo che conduce il Collegio a ritenere perfettamente legittima la verificazione del prof. Scarpa - è indubbio che il verificatore abbia esattamente percepito lo scopo dell’accertamento istruttorio delegatogli dal T.A.R., posto che la questione al centro del contendere postula proprio la verifica sulla sussistenza dei “requisiti minimi di ammissione alla gara della ditta Andra s.p.a.” (v. la relazione del prof. Scarpa a pag. 1).
Deve quindi escludersi che l’intera attività istruttoria si sia svolta “al buio” e in violazione dei principi del giusto processo.
9. - Le doglianze sub §. 6, lett. b) e c) possono essere trattate congiuntamente. È vero che il T.A.R. ha utilizzato anche le risultanze della prima verificazione, ma non emerge dagli atti di causa che essa sia stata dichiarata nulla dal Tribunale per violazione del principio del contraddittorio. Il primo Giudice ha sì deciso di rinnovarla, affidando l’incarico a un diverso tecnico, ma ciò non significa che le relative risultanze siano state estromesse dal materiale cognitorio e probatorio utilizzabile in primo grado e ora devoluto in appello. Non si ravvisa pertanto alcuna incoerenza nell’operato del T.A.R..
In ogni caso, ai fini della decisione della controversia, come si chiarirà infra, è sufficiente far riferimento alla sola verificazione compiuta dal prof. Scarpa e quindi non serve approfondire, con conseguente superamento del mezzo di gravame dedotto sul punto, quali siano i punti di contatto (che pure sussistono) e di difformità tra le due relazioni di verificazione.
10. - Il prof. Scarpa non ha affatto messo in luce il preteso deficit funzionale della soluzione proposta dall’Andra (v. sub 6, lett. d), semplicemente ha precisato di non aver inteso esprimere a questo riguardo alcun giudizio e bene ha fatto, atteso che i profili in questione esulavano chiaramente dal suo incarico che non atteneva alla valutazione comparativa  delle offerte, riservata  unicamente alla commissione tecnica.
Inoltre non è esatto affermare che l’esclusione dell’Andra discenda del difetto di funzionalità della soluzione da essa proposta. In realtà, nel verbale del 14 marzo 2006 è nitidamente indicata la ragione dell’esclusione, là dove è scritto che le offerte delle imprese Andra e Fuji “mancano dei requisiti minimi in alcune voci per ‘il sistema RIS e le n° 8 workstations”. All’evidenza non vi è alcun accenno a un preteso deficit funzionale delle offerte, ma esclusivamente alla ravvisata carenza di requisiti minimi.
11. - La circostanza che il Tribunale non abbia espressamente confutato le osservazioni svolte dai tecnici delle parti resistenti e controinteressate è priva di rilievo e non inficia la sentenza impugnata. In realtà, il rigetto delle controdeduzioni di parte risulta implicitamente dalla adesione del giudicante alle valutazioni compiute dal tecnico dallo stesso incaricato e, quindi, stante l’incompatibilità tra le conclusioni alle quali sono rispettivamente pervenuti il prof. Scarpa e il prof. Caruso (nominato dall’Agfa), il T.A.R. non era tenuto a esternare le ragioni della preferenza manifestata per le considerazioni svolte dal verificatore invece che per quelle esposte dal tecnico di parte.
Va allora respinto anche l’argomento formulato sub §. 6, lett. e).
12. - Con la doglianza sub §. 6, lett. f) si deduce che l’Andra è stata legittimamente esclusa dalla gara avendo presentato un progetto difforme dal capitolato di gara e privo delle caratteristiche tecniche minime richieste. In particolare, l’Andra non si sarebbe uniformata all’art. 1 del citato capitolato, norma che prescriverebbe un sistema RIS fisicamente centralizzato, oltre alla fornitura di workstations da collocare anche presso il Centro di Senologia del Distretto di Siracusa: nel progetto dell’appellata il sistema RIS non risulterebbe difatti installato all’interno del CED dei sistemi informativi dell’Azienda, ma presso lo stesso Centro di senologia; inoltre i sistemi PACS offerti dall’Andra sarebbero soltanto quattro invece di cinque.
La censura non può trovare accoglimento. Innanzitutto l’art. 1 del capitolato relativo alle attrezzature informatiche, al quale rinvia il capitolato speciale di appalto, prevede, tra le altre, quali caratteristiche tecniche minime della fornitura un “sistema RIS centralizzato” e “workstations, … da adibire alla gestione dell’iter diagnostico ed alla refertazione nei Servizi di Radiologia operanti nei Presidi Ospedalieri di: Avola, Noto, Augusta, Lentini e nel Centro di Senologia del Distretto di Siracusa”. Inoltre nell’art. 1 del capitolato speciale sono indicati tra gli oggetti della fornitura “n. 1 sistema RIS: c/o Sistemi informativi aziendali” e “n. 8 Workstations”.
All’evidenza in nessun punto la riferita normativa di gara impone una specifica collocazione fisica del sistema RIS (acronimo di Radiology Information System). Non può essere interpretato in questo senso l’aggettivo “centralizzato” che si riferisce alle caratteristiche del sistema e non anche alla sua materiale ubicazione. Nemmeno è dirimente l’espressione “c/o Sistemi informativi aziendali” giacché con essa non si è indicato un luogo presso il quale impiantare il sistema RIS, ma una funzione o un servizio dell’organizzazione della medesima stazione appaltante.
In disparte ogni altra considerazione è d’altronde dirimente rilevare che l’Andra è stata esclusa sulla base delle valutazioni esternate dalla Commissione tecnica nel verbale dell’8 marzo 2006. Ebbene i motivi di esclusione, ivi esattamente indicati, non riguardavano propriamente la collocazione fisica del sistema RIS, ma da un lato la“gestione workflow richiesta referti”, estesa a tutte le strutture aziendali in accordo con la logica del RIS centralizzato, e dall’altro lato “l’integrazione delle apparecchiature diagnostiche per pezzo del protocollo Dicom Worklist” e in entrambi i casi si è stigmatizzata l’esclu-sione del Centro di Senologia.
Tanto premesso, il Collegio non ritiene di potersi discostare, con riferimento a tali aspetti della controversia, dalla valutazione compiuta dal prof. Scarpa, analiticamente riferita nella sentenza impugnata, nella quale si è chiarito che la soluzione proposta dall’Andra presenta effettivamente un’architettura centralizzata, sebbene il server RIS risulti fisicamente situato presso il Centro di Senologia (ove sono stati previsti client RIS che dal predetto Centro possono direttamente accedere ai servizi tramite la rete locale) e in collegamento con quattro server PACS distribuiti presso i vari presidi Ospedalieri.
Secondo quanto osservato dal prof. Scarpa, la struttura software dell’Andra è dunque effettivamente “centralizzata”, assicurando le funzionalità richieste dalla normativa di gara, sebbene tale centralizzazione sia di tipo logico (id est architetturale); essa difatti garantisce la possibilità di accedere ai diversi riparti (non sussiste quindi il primo difetto ravvisato dalla Commissione tecnica riguardo alla gestione del workflow) e consente di mantenere la funzionalità operativa anche per il Centro di Senologia, diversamente da quanto osservato dalla predetta Commissione tecnica riguardo all’integrazione delle apparecchiature diagnostiche.
Va conclusivamente respinta la tesi secondo la quale l’Andra non si sarebbe attenuta al capitolato e che abbia proposto unilateralmente una variante dell’appalto, non prevista né autorizzata. Deve piuttosto affermarsi, al lume dei superiori rilievi, che l’offerta sunnominata rispondeva effettivamente ai requisiti minimi prescritti dalla lex specialis di gara.
13. - Il T.A.R. non ha poi esercitato un sindacato intrinseco, di tipo c.d. “forte”, sulla discrezionalità tecnica esercitata dall’ammini-strazione (v. sub §. 6, lett. h).
In disparte ogni considerazione sulla genericità della censura, va osservato in primo luogo che la distinzione tra sindacato giurisdizionale intrinseco, “forte” e “debole”, seppure in passato affacciatasi nella giurisprudenza, deve ritenersi ormai da tempo falsificata sul piano epistemologico (Cons. St., sez. VI, 2 marzo 2004, n. 926) a favore di una più avanzata ricostruzione teorica del sindacato spettante al giudice amministrativo che fa leva su un modello unico di controllo giurisdizionale della discrezionalità tecnica, rispettoso dei più avanzati canoni del diritto comunitario ed europeo. E comunque, anche a prescindere da tale rilievo (che pure inficia in radice la doglianza), il Collegio è dell’opinione che il primo Giudice abbia compiuto, com’era suo dovere, un sindacato pieno, approfondito ed effettivo dei motivi dedotti con l’impugnativa promossa in primo grado dall’Andra, accertando, attraverso un’istruttoria di carattere tecnico affidata a ben due verificazioni, se l’amministrazione avesse correttamente esercitato la sua discrezionalità tecnica (che a differenza di quella amministrativa è sempre controllabile, a seconda dei casi, in maniera più o meno penetrante), senza tuttavia sconfinare in giudizi di merito. Il T.A.R. ha insomma recepito gli esiti delle ridette verificazioni (pur ribadendosi la sufficienza, ai fini del decidere, di quella esperita dal prof. Scarpa); così operando, il Tribunale non si è sostituito, nella valutazione delle offerte, alla Commissione tecnica, ma ha soltanto segnalato a questa ultima, come gli era consentito in base all’oggetto del giudizio, quali fossero i profili da considerare in sede di rinnovazione dell’ap-prezzamento comparativo delle due proposte rimaste in gara.
14. - Di nessun pregio, nemmeno quale indizio sintomatico dell’ingiustizia della sentenza appellata, è la doglianza sub §. 6, lett. i), con la quale si è censurata la pretesa erroneità del capo di decisione recante l’accertamento della responsabilità civile dell’amministrazione e la conseguente condanna della stessa al risarcimento del danno. Al di là della correttezza, o meno, della pronuncia in parte qua, è incontrovertibile che su detto capo sia ormai calato il giudicato, non avendo proposto appello l’amministrazione sanitaria soccombente in primo grado, ossia l’unico soggetto legittimato a contestare le relative statuizioni. La doglianza è pertanto inammissibile per carenza di interesse dell’Agfa a dedurla.
15. - Alla stregua dei superiori rilievi ritiene il Collegio di poter assorbire ogni altro motivo o eccezione, in quanto ininfluenti e irrilevanti ai fini della presente decisione.
16. - In conclusione la sentenza impugnata ben resiste alle censure contro di essa rivolte e merita, pertanto, integrale conferma, previo rigetto dell’appello avverso di essa interposto.
17. - Nella complessità delle questioni trattate si ravvisano, in via eccezionale, giustificati motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del secondo grado del giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l’appello.
Compensa integralmente tra le parti le spese processuali del secondo grado del giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 29 giugno 2010, con l'intervento dei signori: Paolo D’Angelo, Presidente f.f., Guido Salemi, Gabriele Carlotti, estensore, Filippo Salvia, Pietro Ciani, componenti.
F.to Paolo D’Angelo, Presidente f.f
F.to Gabriele Carlotti, Estensore

Regolamento di attuazione degli artt. 2 e 4 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive modificazioni e integrazioni, relativo ai procedimenti amministrativi di competenza della Corte dei conti

Corte dei Conti Sezioni riunite, deliberazione n. 3 del 4 novembre 2010
Data: 
20/01/2011
Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20 gennaio 2011 il testo del regolamento approvato dalle Sezioni Riunite della Corte dei Conti con deliberazione del 4 novembre 2010.
Di seguito il testo integrale

Spetta al g.o. la controversia relativa all'impugnazione del provvedimento con cui l'ente proprietario della strada ordina la rimozione dell'impianto pubblicitario abusivo

Tar Catania, Sez. II, sentenza del 20 gennaio 2011, n. 144
Data: 
20/01/2011
Materia: 
PubblicitĂ  abusiva

Le controversie relative all'impugnazione del provvedimento con cui l'ente proprietario della strada ordina, ai sensi dell'art. 23, comma 13 quater, d.lg. n. 285 del 1992 (nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 30 della legge n. 472 del 1999, la rimozione di impianto pubblicitario abusivo sono devolute alla giurisdizione del g.o. secondo il procedimento disciplinato dagli art. 22 e 23 legge n. 689 del 1981, atteso che il comma 11 dell'art. 23 d.lg. n. 285 cit., prevede una sanzione amministrativa per "chiunque viola le disposizioni del presente articolo", e che non può trovare applicazione il disposto dell'art. 34 d.lg. n. 80 del 1998, non vertendosi in tema di uso del territorio, bensì di godimento abusivo di beni demaniali, con riferimento al quale il legislatore detta una disciplina specifica (Corte Cass., SS.UU., 19 agosto 2009 n. 18357 e 6 giugno 2007 n. 13230; T.A.R. Lazio, Sez. II, 8 febbraio 2010 n. 1626)

 

 

 



N. 00144/2011 REG.PROV.COLL
N. 03537/2010 REG.RIC

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 3537 del 2010, proposto da Ediservice srl, rappresentata e difesa dagli avv. Carmelo Barreca ed Andrea Scuderi, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Catania, via V. Giuffrida, 37;

contro

la Provincia Regionale di Catania, rappresentata e difesa dall'avv. Antonio Salemi e Francesco Mineo, con domicilio eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura Provinciale in Catania, via Centurupe, 8;
il Comune di Catania, rappresentato e difeso dall'avv. Anna Mazzeo, con domicilio eletto presso gli Uffici dell’Avvocatura comunale in Catania, via G Oberdan 141;

per l'annullamento (previa sospensione)

- del provvedimento del 6.10.2010 prot. N° 0082785, con cui è stato ordinato il recupero dell’impianto pubblicitario realizzato ed installato dalla società ricorrente;

- del verbale di rimozione del 1.10.2010 n° 10, con cui si è proceduto alla rimozione del manufatto pubblicitario di cui sopra;

- nonché, ove occorra, della nota del 17.5.2010, con cui è stato semplicemente comunicato l’avvio del procedimento, finalizzato all’emanazione del provvedimento di rimozione;

- nonché, ove occorra, di ogni atto, allo stato non conosciuto, pre-supposto o consequenziale, ivi compreso il decreto istitutivo della Provincia regionale di Catania.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2011 il dott. Filippo Giamportone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;

Ritenuto che sussistono i presupposti per l’adozione di una pronuncia succintamente motivata, atteso che il ricorso si appalesa inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Ritenuto anzitutto che la materia, nel cui ambito è riconducibile il ricorso in esame, rientra tra quelle assegnate a questa Sezione con D.P. n. 36 del 21.12.2010;

Ritenuto che i provvedimenti impugnati hanno riguardo alla rimozione e recupero di un impianto pubblicitario installato dalla società ricorrente lungo la S.P. 55;

Considerato che le controversie relative all'impugnazione del provvedimento con cui l'ente proprietario della strada ordina, ai sensi dell'art. 23, comma 13 quater, d.lg. n. 285 del 1992 (nuovo codice della strada), introdotto dall'art. 30 della legge n. 472 del 1999, la rimozione di impianto pubblicitario abusivo sono devolute alla giurisdizione del g.o. secondo il procedimento disciplinato dagli art. 22 e 23 legge n. 689 del 1981, atteso che il comma 11 dell'art. 23 d.lg. n. 285 cit., prevede una sanzione amministrativa per "chiunque viola le disposizioni del presente articolo", e che non può trovare applicazione il disposto dell'art. 34 d.lg. n. 80 del 1998, non vertendosi in tema di uso del territorio, bensì di godimento abusivo di beni demaniali, con riferimento al quale il legislatore detta una disciplina specifica (Corte Cass., SS.UU., 19 agosto 2009 n. 18357 e 6 giugno 2007 n. 13230; T.A.R. Lazio, Sez. II, 8 febbraio 2010 n. 1626);

Ritenuto, pertanto, il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione;

Ritenuto di compensare le spese di lite, in considerazione dei recenti pronunciamenti giurisprudenziali;

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe indicato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 12 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Giamportone, Presidente, Estensore

Francesco Brugaletta, Consigliere

Diego Spampinato, Referendario

IL PRESIDENTE, ESTENSORE   
    
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 20/01/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Sulla giurisdizione in materia di recupero di finanziamenti pubblici

Tar Palermo sez. II, sentenza n. 101 del 19 gennaio 2011
Data: 
19/01/2011
Materia: 
Contributi pubblici

Le controversie che attengono al recupero di finanziamenti pubblici sono devolute al giudice amministrativo solo allorché la revoca sia disposta a seguito di una  rinnovata valutazione dell’interesse pubblico sotteso alla primitiva erogazione o per vizi propri dell’atto che la dispone.

Allorché, invece, la revoca venga disposta per cause concernenti le modalità di utilizzazione del contributo o il mancato rispetto degli impegni assunti, la pretesa alla conservazione del finanziamento, involgendo posizioni di diritto soggettivo, appartiene alla giurisdizione ordinaria.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 2344 del 2010, proposto da:
Michele Mondello, Giuseppe Mondello, rappresentati e difesi dall'avv. Rosa Galante, con domicilio eletto presso Rosa Galante in Palermo, via Ruggero Settimo N.55;
contro
Presidente della Regione Siciliana, Assessorato Regionale Attività Produttive, Dipartimento Attività Produttive dell'Aa. Reg. Attività Produttive, rappresentati e difesi dall'Avvoc.Distrett.Stato Palermo, domiciliata per legge in Palermo, via A. De Gasperi 81; Cassa Regionale Per il Credito Alle Imprese Artigiane Siciliane;
per l'annullamento
-del decreto n. 1537/75 del 10 giugno 2010, con il quale l’Assessorato Attività produttive della Regione siciliana ha revocato il precedente decreto di concessione di contributo in conto capitale (€ 333.221,00) concesso alla ricorrente medesima, disponendo il recupero della somma di € 155.861,00 già erogata.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione intimata;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2011 il Presidente dott. Nicolo' Monteleone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Premesso che i ricorrenti hanno impugnato il decreto n. 1537/75 del 10 giugno 2010, con il quale l’Assessorato Attività produttive della Regione siciliana ha revocato il precedente decreto di concessione di contributo in conto capitale (€ 333.221,00) concesso alla ricorrente medesima, disponendo il recupero della somma di € 155.861,00 già erogata, osserva il Collegio che il ricorso è inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Ed invero, per orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, le controversie inerenti il recupero di finanziamenti di pubblica provenienza sono devolute alla cognizione del giudice amministrativo solo se la revoca, costituente manifestazione del potere di autotutela amministrativa, è disposta per rinnovata valutazione dell’interesse pubblico sotteso alla primitiva erogazione o per vizi propri dell’atto che la dispone, mentre ogni altra fattispecie concernente le modalità di utilizzazione del contributo o il rispetto agli impegni assunti, involgendo posizioni di diritto soggettivo e la conservazione del finanziamento, appartiene alla giurisdizione ordinaria (Cass. (SS.UU. 28 dicembre 2001, n. 16221; Consiglio di Stato, sez. IV, decisione 18 maggio 2004, n. 3186; T.A.R. Lazio, Roma, sez. III-ter, 10 giugno 2004, n. 5534).
Nello stesso senso è anche la più recente giurisprudenza (Corte di Cassazione, SS.UU. 22 giugno 2007, n. 14572, 18 luglio 2008, n. 19806, 25 novembre 2008 n. 28041; Consiglio di Stato, Sez. V, 14 aprile 2008, n. 1603, 25 agosto 2008, n. 4062, 8 ottobre 2008 n. 4955; Sez. VI, 9 settembre 2008, n. 4298, 3 giugno 2010, n. 3501), alla quale ha avuto ripetutamente occasione di aderire questa Sezione (da ultimo, 26 gennaio 2009, n. 127, 6 maggio 2009, n. 881, 26 maggio 2010, n. 7029, 28 settembre 2010, n. 11087).
E poichè, nel caso in esame, il provvedimento di revoca impugnato non ha riguardo a vizi propri dell’atto che ha disposto il finanziamento, né ad una rinnovata valutazione dell’interesse pubblico sotteso alla liquidazione del contributo, bensì alla mancata trasmissione della documentazione finale di spesa”, secondo il richiamato indirizzo giurisprudenziale non sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione al sindacato sull’esercizio di un siffatto potere di revoca, involgendo la controversia posizioni di diritto soggettivo, onde il ricorso va dichiarato inammissibile.
In applicazione dell’art. 11 del codice del processo amministrativo (D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104), alla declinatoria di giurisdizione da parte di questo Tribunale segue il rinvio della causa al giudice ordinario munito di giurisdizione, da riassumersi nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente pronuncia e con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta in questa sede.
Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione fra le parti delle spese del giudizio, avuto riguardo alla peculiarità della fattispecie.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sede di Palermo, Sezione Seconda, dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe indicato (n. 2344/2010).
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2011, con l'intervento dei signori magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente, Estensore
Cosimo Di Paola, Consigliere
Roberto Valenti, Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 19/01/2011
IL SEGRETARIO