Diritto e Giustizia Amministrativa

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Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del g.a le controversie concernenti la determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori

Tar Catania, Sez. I, sentenza del 12 maggio 2011, n. 1159
Data: 
12/05/2011

Per consolidata giurisprudenza le controversie in tema di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione introducono un giudizio su un rapporto prescindendo dalla impugnazione di atti (Cons. St. , Sez. V, 19 luglio 2004 n. 5197): tutte le controversie concernenti, l’an e il quantum delle somme dovute a titolo di contributo in dipendenza di norme di legge e regolamentari attengono a diritti soggettivi azionabili nei termini di prescrizione (Cons. St., Sez. V, 10 luglio 2003 n. 4102), giacché, l’amministrazione, nella determinazione delle somme dovute a titolo di contributo non esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie attività di mero accertamento della fattispecie in base ai parametri fissati da leggi e da regolamenti. Le relative controversie, dunque, rientrano nella categoria di quelle attinenti l'impugnativa di atti paritetici, investe diritti soggettivi e non è sottoposta ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori (Cons. St. Sez. , sez. V, 17 ottobre 2002 , n. 5678). Inoltre, le controversie concernenti la determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori già devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16 l. 28 gennaio 1977 n. 10, abrogato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 104/2010, rientrano oggi nella previsione dell’art. 133 lett. f) del codice del processo amministrativo secondo cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra l'altro, "le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio".

 

 

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Omissis
DIRITTO
1. La controversia in esame concerne la legittimità del provvedimento d’ingiunzione di pagamento di oneri concessori e di costo di costruzione di cui parte ricorrente, assume non aver mai ricevuto la notifica dei provvedimenti di determinazione e che ritiene comunque prescritti.
2. In via preliminare, il Collegio esamina l’eccezione di difetto di giurisdizione formulata dall’amministrazione resistente.
L’eccezione è infondata. Per consolidata giurisprudenza, infatti, le controversie in tema di oneri di urbanizzazione e di costo di costruzione introducono un giudizio su un rapporto prescindendo dalla impugnazione di atti (Cons. St. , Sez. V, 19 luglio 2004 n. 5197): tutte le controversie concernenti, l’an e il quantum delle somme dovute a titolo di contributo in dipendenza di norme di legge e regolamentari attengono a diritti soggettivi azionabili nei termini di prescrizione (Cons. St., Sez. V, 10 luglio 2003 n. 4102), giacché, l’amministrazione, nella determinazione delle somme dovute a titolo di contributo non esercita poteri autoritativi discrezionali ma compie attività di mero accertamento della fattispecie in base ai parametri fissati da leggi e da regolamenti. Le relative controversie, dunque, rientrano nella categoria di quelle attinenti l'impugnativa di atti paritetici, investe diritti soggettivi e non è sottoposta ai termini decadenziali propri dei giudizi impugnatori (Cons. St. Sez. , sez. V, 17 ottobre 2002 , n. 5678). Inoltre, le controversie concernenti la determinazione, liquidazione e corresponsione degli oneri concessori già devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell'art. 16 l. 28 gennaio 1977 n. 10, abrogato a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 104/2010, rientrano oggi nella previsione dell’art. 133 lett. f) del codice del processo amministrativo secondo cui sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, tra l'altro, "le controversie aventi ad oggetto gli atti e i provvedimenti delle pubbliche amministrazioni in materia urbanistica e edilizia, concernente tutti gli aspetti dell'uso del territorio".
3. Passando al merito della questione è necessaria una breve ricostruzione in punto di fatto della vicenda.
Il ricorrente era titolare della concessione edilizia n. 8611 del 07/01/1986 e per tale concessione è stato emesso atto di iscrizione a ruolo; tale concessione è tuttavia decaduta (con conseguente provvedimento di sgravio) ed è stata sostituita dalla c.e. n. 10240 del 08/02/1990, cui effettivamente si riferiscono le intimazioni di pagamento per cui è causa.
Dalla documentazione depositata in giudizio emerge che con provvedimento del 13/07/2000, il Comune di Messina ha determinato e ingiunto il pagamento degli oneri di urbanizzazione e del costo di costruzione relativamente alla c.e. n. 10240 del 08/02/1990; tale provvedimento - che il Comune assume ritualmente notificato - risulta notificato per avvenuta giacenza presso l’ufficio postale, senza che sia stata fornita alcuna prova della consegna della cartolina di avviso di giacenza, così come prescritto dall’art. 8 della legge 890/1982, nel testo vigente successivamente alla sentenza della Corte costituzionale 23 settembre 1998, n. 346.
Fatta questa premessa e prescindendo dall’irritualità della notifica del provvedimento di determinazione degli oneri (che già di per sé incide comunque sulla legittimità dei successivi provvedimenti di ingiunzione e riscossione) assume portata dirimente la circostanza che alla data di adozione del provvedimento di determinazione degli oneri concessori (13/07/2000), risultava, in ogni caso, già prescritto il termine decennale decorrente dal rilascio della concessione edilizia n. 10240 (08/02/1990), né risulta, dagli atti prodotti in giudizio, che in epoca anteriore sia stato compiuto alcun atto interruttivo della prescrizione.
4. In conformità alle suddette considerazioni, il secondo motivo di ricorso è fondato e va accolto, essendosi prescritto il diritto di credito del Comune di Messina per decorso del decennio decorrente dalla data di rilascio del titolo edilizio e non risultando atti interruttivi della prescrizione. In conclusione, assorbite le restanti censure, il ricorso è fondato e va accolto con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
5. Sussistono giusti motivi, in relazione alla particolarità della fattispecie, per disporre la compensazione tra le parti, delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso indicato in epigrafe e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 24 febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Biagio Campanella, Presidente
Salvatore Schillaci, Consigliere
Agnese Anna Barone, Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 12/05/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Appartiene alla giurisdizione del g.o. l'opposizione avverso il provvedimento di rimozione della pubblicitĂ  abusiva lungo le strade

Tar Catania, Sez. II, sentenza del 12 maggio 2011, n. 1116
Data: 
12/05/2011

Per giurisprudenza costante della Suprema Corte di Cassazione in caso di violazione del divieto, previsto dall'art. 23 c. strad., di collocare cartelli e altri mezzi pubblicitari lungo le strade in assenza di autorizzazione, l'opposizione avverso il provvedimento di irrogazione sia della sanzione pecuniaria che di quella, accessoria, della rimozione della pubblicità abusiva, appartiene alla giurisdizione del g.o., poiché in entrambi i casi la p.a. non esercita alcun potere autoritativo, ma si limita all'applicazione, scevra da discrezionalità, delle disposizioni di legge (Cassazione civile, s.u., 23 giugno 2010, n. 15170; Cassazione civile, s. u., 3 marzo 2010, n. 5020; Cass., S.U. 14 gennaio 2009 n. 563)

 

 


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

(OMISSIS)

rilevato che con il ricorso introduttivo viene censurato il provvedimento di rimozione dei “mezzi pubblicitari” disposto dall’amministrazione resistente ai sensi dell’art. 23 d. lgs. 285/1992;

rilevato che occorre esaminare il profilo relativo alla giurisdizione del giudice amministrativo;

rilevato che per giurisprudenza costante della Suprema Corte di Cassazione in caso di violazione del divieto, previsto dall'art. 23 c. strad., di collocare cartelli e altri mezzi pubblicitari lungo le strade in assenza di autorizzazione, l'opposizione avverso il provvedimento di irrogazione sia della sanzione pecuniaria che di quella, accessoria, della rimozione della pubblicità abusiva, appartiene alla giurisdizione del g.o., poiché in entrambi i casi la p.a. non esercita alcun potere autoritativo, ma si limita all'applicazione, scevra da discrezionalità, delle disposizioni di legge (Cassazione civile, s.u., 23 giugno 2010, n. 15170; Cassazione civile, s. u., 3 marzo 2010, n. 5020; Cass., S.U. 14 gennaio 2009 n. 563);

rilevato che, nel caso di specie, dalla documentazione agli atti emerge che il provvedimento di rimozione è stato disposto proprio per la violazione dell’art. 23, comma 4 e 11, d. lgs. 285/1992 (si veda verbale di accertamento della Polizia Municipale del 12.11.2010 nonché il provvedimento del 14.1.2011) e che pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione trattandosi di controversia devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario;

rilevato che la peculiarità delle questioni trattate costituisce giusto motivo per compensare le spese del giudizio;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara inammissibile il ricorso per difetto di giurisdizione trattandosi di controversia attribuita alla giurisdizione del Giudice Ordinario.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 11 maggio 2011 con l'intervento dei magistrati:

Filippo Giamportone, Presidente

Francesco Brugaletta, Consigliere

Vincenzo Neri, Primo Referendario, Estensore

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
    
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12/05/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Va disapplicata la normativa regionale limitativa dell’apertura di esercizi commerciali di ottica, perchè incompatibile con il principio comunitario della tutela della concorrenza

Tar Palermo Sez. III, sentenza n. 836 del 3 maggio 2011
Data: 
06/05/2011
Sono immediatamente applicabili, nell’ambito della Regione Siciliana, le esenzioni introdotte dall’art. 3, comma 1, del Decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, recante “Misure urgenti per lo sviluppo, la crescita e la promozione della concorrenza e della competitività, per la tutela dei consumatori e per la liberalizzazione di settori produttivi” convertito dalla legge 4 agosto 2006, n.248 “c.d. legge Bersani”, in attuazione dei principi di tutela della libera concorrenza direttamente derivanti dal Trattato di Roma istitutivo della Comunità europea.

 


N. 00836/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00680/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ai sensi degli artt. 60 e 74 c.p.a.
sul ricorso con il numero di registro generale 680 del 2011, proposto dall’impresa **** s.r.l. a socio unico, rappresentata e difesa dall’Avv. Domenico Catalano, presso il cui studio, sito in Palermo, via Valerio Villareale, n. 60 è elettivamente domiciliata;
contro
il Comune di Marsala in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per l'annullamento, previa sospensione dell’efficacia:
- del provvedimento prot. n. 3393 del 20 gennaio 2011, notificato il 23 gennaio 2011 di diniego dell’autorizzazione l'apertura di un nuovo esercizio commerciale di ottica;
- ogni altro atto antecedente, conseguente o, comunque, connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore il Referendario Anna Pignataro;
Udito, nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2011, l'Avv. Domenico Catalano per l’impresa ricorrente, che nulla ha opposto alla possibilità di definizione del giudizio con sentenza semplificata ai sensi dell'art. 60 c.p.a.;
CONSIDERATO che la controversia instaurata dall’impresa ricorrente, con ricorso notificato nei giorni 22 e 24 marzo 2011 e depositato il giorno 1° aprile seguente, è volta a ottenere l’annullamento del provvedimento di diniego allo svolgimento dell’attività di ottica fondato sulla asserita vigenza della l.r. n. 12 del 2004 e delle limitazioni numeriche ivi previste, così come richiamate dalle circolari esplicative emanate in materia dalla Regione Siciliana;
RITENUTO che
- il punto di diritto, risolutivo della controversia in esame, concerne l’applicabilità, nell’ambito della Regione Siciliana, delle esenzioni introdotte dall’art. 3, comma 1, del Decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, recante “Misure urgenti per lo sviluppo, la crescita e la promozione della concorrenza e della competitività, per la tutela dei consumatori e per la liberalizzazione di settori produttivi” convertito dalla legge 4 agosto 2006, n.248 “c.d. legge Bersani”, in attuazione dei principi di tutela della libera concorrenza direttamente derivanti dal Trattato di Roma istitutivo della Comunità europea, che, se ritenuta positivamente, porta alla conseguente disapplicazione normativa dei predetti limiti quantitativi all’apertura dei nuovi esercizi di ottica, posti dalla legge regionale n. 12 del 2004;
- riguardo a precedenti fattispecie analoghe, questo Tribunale ha già espresso il proprio convincimento che va confermato anche nel caso concreto (v. T.A.R. Sicilia, Palermo, III, 18 marzo 2010, n. 3023 e 17 maggio 2010, n. 6878);
- in tali precedenti specifici, cui si rinvia per la completa disamina dei principi, delle norme e della giurisprudenza comunitaria e nazionale richiamata, è stato deciso che va disapplicata la normativa regionale, sopra precisata, limitativa dell’apertura di esercizi commerciali di ottica, in quanto incompatibile con le norme e i principi di diritto comunitario dotati di efficacia diretta nell’ordinamento interno;
- RITENUTO, pertanto, che il ricorso in epigrafe, per le ragioni sopra illustrate, sia fondato e vada accolto;
- RITENUTO, infine, che le spese processuali vadano poste, come di norma a carico della parte soccombente.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, sezione terza, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe indicato e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato.
Condanna il Comune di Marsala, in persona del Sindaco pro tempore, al pagamento a favore dell'impresa ricorrente, in persona del legale rappresentante pro tempore, delle spese processuali liquidate in complessivi € 2.000,00 (euro duemila/00) oltre accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:
Federica Cabrini, Presidente FF
Maria Cappellano, Referendario
Anna Pignataro, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/05/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Non è sottratta al regime autorizzatorio l'attività di somministrazione di alimenti e bevande

Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 828 del 3 maggio 2011
Data: 
03/05/2011
L’attività di somministrazione di alimenti e bevande  non è stata sottratta al regime autorizzatorio dall’art. 64 del d. lgs. n. 59/2010 (di recepimento della cd. «direttiva servizi»)

 


N. 00828/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00690/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.,
sul ricorso numero di registro generale 690 del 2011, proposto da ****, rappresentato e difeso dall’Avv. Liliana Macheda, presso il cui studio, sito in Palermo, piazza Leoni, n. 49, è elettivamente domiciliato;
contro
il Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Calogero Bosco, ed elettivamente domiciliato presso gli uffici dell’Avvocatura comunale, siti in Palermo, piazza Marina, n. 39;
per l'annullamento:
dell’ordinanza dirigenziale n. 417 del 27.12.2010, prot. n. 951688/8, notificata il giorno 3.1.2011, con la quale il Comune di Palermo ha determinato la cessazione dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande svolta abusivamente dalla ditta **** nell’esercizio sito in ****;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Vista la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato contenuta nel medesimo ricorso;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Palermo;
Visti gli atti tutti della causa;
Visti gli artt. 55, 60 e 74 cod. proc. amm.;
Designato relatore il referendario dott. Giuseppe La Greca;
Udito all’udienza camerale del 19 aprile 2011 l'Avv. G.nni Immordino, su delega dell'avv. L. Macheda, per il ricorrente; nessuno presente per il Comune di Palermo;
Accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria;
Ritenuto che il ricorso possa essere deciso con sentenza in forma semplificata, attesa la sua manifesta infondatezza;
Sentiti sul punto i difensori delle parti costituite, come da verbale;
Ritenuto:
- che con il ricorso in epigrafe viene impugnata la determinazione dirigenziale n 417/2010 con cui è stata disposta la cessazione dell’attività abusiva di somministrazione di alimenti e bevande svolta in Palermo, corso dei Mille, n. 322;
- che di tale provvedimento il ricorrente ha chiesto l’annullamento, previa sospensione e vinte le spese, deducendone l’illegittimità per violazione dell’art. 12 del d. lgs. n. 480/1994, degli artt. 9 e 11 della l.r. n. 10/1991, dell’art. 23 della l.r. n. 17/2004, nonché per eccesso di potere sotto diversi profili;
- che, in via di estrema sintesi, viene lamentato a) il mancato accoglimento dell’istanza di differimento dell’avvio del procedimento di chiusura dell’esercizio, necessario, secondo quanto prospettato, per completare l’integrazione documentale utile all’ottenimento del provvedimento autorizzatorio (primo motivo); b) l’omessa comunicazione di avvio del procedimento che, secondo quanto prospettato, avrebbe dovuto precedere l’emanazione dell’impugnato provvedimento (secondo motivo);
- che il Comune di Palermo, costituitosi in giudizio, non ha spiegato difese scritte;
- che, quanto al primo motivo di ricorso, il provvedimento risulta immune dai vizi denunziati, atteso che gli uffici del Comune di Palermo rispetto all’attività di somministrazione di alimenti e bevande svolta in maniera dichiaratamente abusiva nessun differimento del procedimento sanzionatorio avrebbero potuto concedere, attività, questa, che per la sua natura non è stata sottratta al regime autorizzatorio dall’art. 64 del d. lgs. n. 59/2010 (di recepimento della cd. «direttiva servizi»);
- che quanto al secondo motivo, lo stesso si appalesa del pari infondato, posto che in relazione alla fattispecie per cui è causa - ossia la somministrazione di alimenti e bevande in assenza della prescritta autorizzazione - nessuna comunicazione di avvio l’Amministrazione era tenuta ad inviare e che, comunque, il ricorrente risulta aver partecipato al relativo procedimento (cfr. nota del ricorrente del 16 agosto 2010 con cui si chiede il differimento di cui sopra);
Ritenuto, al lume delle suesposte considerazioni che il ricorso debba essere rigettato, con compensazione integrale delle spese e degli onorari del giudizio tra le parti, in ragione degli specifici profili della controversia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sezione terza, rigetta il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2011 con l'intervento dei magistrati:
Federica Cabrini, Presidente FF
Maria Cappellano, Referendario
Giuseppe La Greca, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/05/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Permesso di soggiorno per motivi umanitari, la giurisdizione appartiene al g.o.

Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 696 del 8 aprile 2011
Data: 
08/04/2011
Materia: 
Immigrazione
Spetta al giudice ordinario la giurisdizione in materia di diniego di permesso di soggiorno allorchè  lo stesso sia richiesto per motivi umanitari; in tali ipotesi deve ritenersi , infatti, che  la situazione giuridica azionata in giudizio rivesta la consistenza del diritto soggettivo, garantito dall’art. 2 Cost. e dalla Direttiva “rimpatri”, 2008/115/CE, del 16 dicembre 2008, dotata di diretta ed immediata applicabilità nella fattispecie in esame, in seguito alla scadenza del termine di recepimento.
 


REG.PROV.COLL.
N. 00393/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 393 del 2011, proposto da:
Rahman Shizilur, rappresentato e difeso dall'avv. Grazia Maria Rocca, con domicilio eletto presso il suo studio in Palermo, via Goethe N. 1;
contro
Questura della Provincia di Palermo, in persona del Questore pro tempore,
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore;
rappresentati e difesi, entrambi, dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria per legge in Palermo, via A. De Gasperi 81;
per l'annullamento
del decreto emesso dal Questore di Palermo - Cat. A12/2010 l'11.06.2010, con il quale veniva rigettata la domanda di rilascio del permesso di soggiorno a seguito di nulla osta al lavoro prot. 2813- n. p-pa/lq/2006/001005, rilasciato dall'Ufficio Provinciale del Lavoro di Palermo il 4.4.2007.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Questura di Palermo e del Ministero dell’Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2011 il Referendario dott.ssa Francesca Aprile e uditi per le parti i difensori presenti;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm. e dato atto del rilievo d’ufficio della questione di giurisdizione, ai sensi dell’art. 73, comma III, cod. proc. amm.;
Con il ricorso in epigrafe, é impugnato il decreto del Questore di Palermo del 11 giugno 2010, notificato il successivo 26 novembre 2010, di rigetto della domanda di permesso di soggiorno in seguito al rilascio di nulla osta al lavoro nell’ambito della procedura di emersione, per essere stato il ricorrente destinatario di provvedimento di espulsione in data 4 dicembre 2003 ai sensi dell’art. 13, comma secondo, lett. a) e b) del d.lgs. n° 286/1998.
In impugnativa, il ricorrente ha incontestatamente dedotto di avere domandato il permesso di soggiorno per motivi umanitari, in base alla Risoluzione del Parlamento europeo del 10 luglio 2008 sul Bangladesh (Paese di provenienza).
Alla luce di tale deduzione, ritiene questo Collegio che la situazione giuridica azionata in giudizio rivesta la consistenza del diritto soggettivo, garantito dall’art. 2 Cost. e dalla Direttiva “rimpatri”, 2008/115/CE, del 16 dicembre 2008, dotata di diretta ed immediata applicabilità nella fattispecie in esame, in seguito alla scadenza del termine di recepimento, in mancanza di adeguamento dell’ordinamento interno e attesa la posteriorità della notifica del provvedimento impugnato rispetto allo spirare del termine del 24 ottobre 2010.
Tale Direttiva prevede, tra l’altro, all’art. 5, comma quarto, che “in qualsiasi momento gli Stati membri possono decidere di rilasciare per motivi caritatevoli, umanitari o di altra natura un permesso di soggiorno autonomo o un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare a un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare. In tali casi non è emessa la decisione di rimpatrio. Qualora sia già stata emessa, la decisione di rimpatrio è revocata o sospesa per il periodo di validità del titolo di soggiorno o di un'altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare”.
Pertanto, in ragione della natura della posizione giuridica fatta valere in giudizio, la controversia in esame appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, conformemente all’indirizzo espresso in sede di legittimità a Sezioni Unite.
Da ultimo, con ordinanza del 9 settembre 2009 n° 19393, la Suprema Corte ha affermato che “La situazione giuridica soggettiva dello straniero che richieda il permesso di soggiorno per motivi umanitari gode quanto meno della garanzia costituzionale di cui all'art. 2 Cost., sulla base della quale, anche ad ammettere, sul piano generale, la possibilità di bilanciamento con altre situazioni giuridiche costituzionalmente tutelate (che, sulla base della giurisprudenza della corte di Strasburgo, dovrebbe escludersi nell'ipotesi in cui venga in considerazione il divieto di cui all'art. 27 Cost., comma 3, sostanzialmente corrispondente all'art. 3 CEDU), va escluso che tale bilanciamento possa essere rimesso al potere discrezionale della pubblica amministrazione, potendo eventualmente essere effettuato solo dal legislatore, nel rispetto dei limiti costituzionali”.
“L'identità di natura giuridica del diritto alla protezione umanitaria, del diritto allo status di rifugiato e del diritto costituzionale di asilo, in quanto situazioni tutte riconducibili alla categoria dei diritti umani fondamentali, trova riscontro nell'espressa disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, il quale individua la situazione che impone il divieto di espulsione e respingimento (e che pertanto legittima il diritto al soggiorno per un motivo che non può non definirsi di natura umanitaria) con riferimento alla possibilità che lo straniero subisca persecuzioni per le ragioni dalla norma indicate, con formulazione solo marginalmente diversa da quella utilizzata dalla convenzione di Ginevra per descrivere i presupposti per la concessione dello status di rifugiato. Nè contraddice tali rilievi la circostanza che, secondo un orientamento di legittimità (Cass., n. 4725/2007, 3732/2004), la disposizione dell'art. 19 dovrebbe essere letta in connessione con il successivo art. 20, il quale prevede, come limite all'apprezzamento del giudice l'avvenuta adozione del decreto del presidente del consiglio dei ministri, d'intesa con tutti i ministri interessati, di misure temporanee da adottarsi, anche in deroga della disciplina generale dell'immigrazione, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità. Infatti, tale orientamento non appare univocamente seguito (v. infatti Cass. n. 16417/2007, che ha ritenuto del tutto autonomo l'accertamento della sussistenza del fatto persecutorio) e ha formato oggetto di persuasivi rilievi da parte della dottrina la quale ha evidenziato che l'art. 20 riguarda situazioni collettive ed autorizza deroghe all’ordinaria disciplina dell'immigrazione in favore della generalità di soggetti nei cui confronti si siano verificati gli eventi indicati nella disposizione, mentre l'art. 19 ha ad oggetto situazioni meramente individuali. L'identità della natura giuridica di tutte le situazioni soggettive inquadrabili nella categoria dei diritti umani fondamentali, che deve essere affermata sulla base di un'interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina interna vigente ancor prima del 20 aprile 2005, ha, inoltre, trovato espressa conferma nelle norme interne di attuazione delle direttive 2004/83/CE e 2005/85/CE, di cui, rispettivamente, al D.Lgs. n. 251 del 2007 e D.Lgs. n. 25 del 2008 (parzialmente modificato con il D.Lgs. n. 159 del 2008). In conclusione, la situazione giuridica dello straniero richiedente asilo politico ha consistenza di diritto soggettivo, da annoverare tra i diritti umani fondamentali con la conseguenza che la garanzia apprestata dall'art. 2 Cost., esclude che dette situazioni possano essere degradate a interessi legittimi per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale può essere affidato solo l'accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria, nell'esercizio di una mera discrezionalità tecnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservate al legislatore.
La giurisdizione sui diritti umani fondamentali, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente, spetta al giudice ordinario” (Cassazione, Sezioni Unite, ordinanza 19 maggio 2009 n. 11535; analogamente, T.A.R. Lazio, Roma, Sez. II, 6 maggio 2010, n° 9916).
Per le suesposte ragioni, dev’essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo in ordine al ricorso in epigrafe, la cui cognizione spetta al giudice ordinario.
Alla declinatoria di giurisdizione da parte di questo Tribunale segue il rinvio della causa al giudice ordinario munito di giurisdizione, ove riassunta nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in giudicato della presente pronuncia (art. 59 della legge 18 giugno 2009 n° 69, recepito nell’art. 11 del d.lgs. 2 luglio 2010 n° 104).
Le spese del giudizio possono essere interamente compensate tra le parti, ricorrendone giusti motivi in ragione della natura della controversia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.
Indica il giudice ordinario quale autorità giurisdizionale munita di giurisdizione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
Cosimo Di Paola, Presidente
Roberto Valenti, Primo Referendario
Francesca Aprile, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/04/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Non sussiste la giurisdizione del g.a. se l'amministrazione è rimasta inerte rispetto a pretese aventi natura di diritto soggettivo

Tar Catania, Sez. IV, sentenza del 30 marzo 2011, n. 794
Data: 
30/03/2011

Gli strumenti di tutela del privato nei confronti dell’inerzia dell’amministrazione presuppongono che il procedimento non concluso e il provvedimento o l’atto di cui si chiede l’emanazione ricadano nella cognizione del giudice amministrativo (cfr., per applicazioni del principio predetto, fra molte: T.A.R. Sicilia - Catania, II, 7 dicembre 2010, n. 4621; Idem, 7 dicembre 2010, n. 4696; T.A.R. Lazio - Roma, I, 1 dicembre 2010, n. 34860; con riferimento ad una prestazione patrimoniale v. T.A.R Calabria - Catanzaro, II, 5 novembre 2010, n. 2661) Contra: Sentenza del Tar Catania 3981/2010

 

 

 


N. 00794/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00143/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 143 del 2011, proposto da:
Raffaella Anastasi, rappresentata e difesa dagli avv. Raffaella Anastasi, Paolo Turiano Mantica, con domicilio eletto presso Giampietro Garofalo in Catania, via Verona, 62;

contro

Comune di Taormina, rappresentato e difeso dall'avv. Pietro De Luca, con domicilio eletto presso Pietro De Luca in Catania, viale Ruggero di Lauria, 29;

per l'annullamento

del silenzio formatosi a seguito dell'inadempimento delle obbligazioni assunte con gli accordi transattivi stipulati in data 28/12/2009 approvati con delibera della G.M. n.198 di pari data con cui il predetto Comune si é obbligato a corrispondere alla ricorrente alcune somme derivanti di incarichi legali a suo tempo conferiti;

per il risarcimento del danno deriva dalla professionista dal ritardo da parte dell'amministrazione della conclusione del procedimento, dal mancato adempimento degli obblighi nascenti dei menzionati atti di transazione e dalla mancata corresponsione delle somme dovute e riconosciute;
 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Taormina;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2011 il dott. Rosalia Messina e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Considerato che nel presente giudizio sono azionate - sia pure attraverso l'utilizzazione dello strumento apprestato dall’ordinamento per la tutela dei privati avverso l'inerzia dell'amministrazione (art. 117 cpa) - pretese nascenti dalle obbligazioni connesse al rapporto professionale intercorso fra la odierna ricorrente e il Comune di Taormina;

Considerato che in relazione alle predette pretese sono intervenuti tra le parti accordi transattivi;

Considerato che recentemente questa sezione si è espressa, con decisione di accoglimento, su analoghe pretese vantate da altri professionisti nei confronti del medesimo Comune (n. 3981/2010);

Ritenuto, nonostante ciò, di dover rimeditare la questione della appartenenza di siffatto genere di controversia all'ambito della giurisdizione del giudice amministrativo, implicitamente ritenuta nella su menzionata decisione;

Ritenuto che la controversia attiene a situazioni di pieno diritto soggettivo, sia per la intrinseca natura della pretesa, avente ad oggetto la corresponsione di somme dovute in forza di pregresso rapporto obbligatorio, sia per l’intervenuta transazione, con la quale l’amministrazione si è vincolata al pagamento a certe scadenze e con certe modalità;

Ritenuto che gli strumenti di tutela del privato nei confronti dell’inerzia dell’amministrazione presuppongono che il procedimento non concluso e il provvedimento o l’atto di cui si chiede l’emanazione ricadano nella cognizione del giudice amministrativo (cfr., per applicazioni del principio predetto, fra molte: T.A.R. Sicilia - Catania, II, 7 dicembre 2010, n. 4621; Idem, 7 dicembre 2010, n. 4696; T.A.R. Lazio - Roma, I, 1 dicembre 2010, n. 34860; con riferimento ad una prestazione patrimoniale v. T.A.R Calabria - Catanzaro, II, 5 novembre 2010, n. 2661)

Ritenuto pertanto di dover dichiarare inammissibile il ricorso in esame per difetto del giurisdizione del giudice amministrativo, come per altro eccepito dalla difesa del Comune di Taormina;

Ritenuto che il giudizio può essere riassunto dinanzi al giudice ordinario competente, entro il termine perentorio di cui all’art. 11, comma secondo, c.p.a.;

Ritenuto che la recente pronuncia di segno opposto sopra menzionata costituisce ragione di compensazione delle spese processuali;

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile per difetto di giurisdizione, e rinvia le parti al giudice civile competente per territorio, salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda ai sensi dell’art.11, comma secondo, cod. proc. amm., ove il giudizio venga riassunto entro il termine perentorio ivi indicato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:

Rosalia Messina, Presidente, Estensore

Dauno Trebastoni, Primo Referendario

Giuseppa Leggio, Primo Referendario

IL PRESIDENTE, ESTENSORE   
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 30/03/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

 
 
 
 

Non può sussistere la giurisdizione del giudice amministrativo sull'impugnazione delle cartelle esattoriali

Tar Catania, Sez. II, sentenza del 29 marzo 2011, n. 775
Data: 
29/03/2011

A norma dell'art. 2 del d.lg. n. 546/92, come modificato dall'art. 12 l. n. 448/01, sono sottratte alla giurisdizione del giudice tributario le sole controversie attinenti alla fase dell'esecuzione forzata; ne consegue, pertanto, che l'impugnazione degli atti prodromici quali la cartella esattoriale o l'avviso di mora o l'intimazione di pagamento ex art. 50 del d.P.R. n. 602/73 è devoluta alla cognizione delle commissioni Tributarie (Cassazione civile , sez. un., 27 gennaio 2011 , n. 1865)

 

 


N. 00775/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00882/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 882 del 2011, proposto da Giuseppe Castano, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Starvaggi, con domicilio presso la Segreteria del TAR, in Catania, via Milano 42a;
contro
-la Serit Sicilia S.p.A. –sede di- Messina, rappresentata e difesa dall'avv. Dario Seminara, con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Catania, viale XX Settembre, 43;
-il Ministero dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catania, domiciliataria per legge;
per l'annullamento
-della cartella di pagamento n. 295/2010 notificata il 18/12/2010;
-della partecipazione di debito del 22.1.2009;
-di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale.
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2011 il dott. Filippo Giamportone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
 
Ritenuto che sussistono i presupposti per l’adozione di una pronuncia succintamente motivata, atteso che il ricorso si appalesa inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;.
Considerato, infatti, relativamente all’impugnato provvedimento di partecipazione di debito, che l’art. 69, comma 7, del .L.vo 30 marzo 2001 (già art. 45, comma 17, del D.Lvo 31 marzo 1998 n. 80), che trasferisce al giudice ordinario le controversie in materie di pubblico impiego privatizzato, fissa il discrimine temporale per il passaggio della giurisdizione amministrativa a quella ordinaria, alla data del 30 giugno 1998, con riferimento al momento storico dell’avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze, in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta controversia, con la conseguenza che, ove la lesione del diritto del lavoratore sia prodotta da un atto, provvedimentale o negoziale, deve farsi riferimento all’epoca della sua emanazione; ciò anche allorchè l’atto di gestione del rapporto di lavoro abbia inciso su precedenti atti amministrativi o fatti rientranti nel regime pubblicistico previgente, non potendo tali eventualità conferire una connotazione pubblicistica e provvedimentale all’atto, tate da sottrarlo alla previsione generale della giurisdizione del giudice ordinario (Cass. Civ., SS.UU. 13 dicembre 2007 n. 26086; 30 giugno 2008 n. 17774; 17 novembre 2008 n. 27305);
Ritenuto, pertanto, che nella fattispecie l’impugnato provvedimento di partecipazione di debito, asseritamente lesivo, è stato adottato in epoca successiva al 30 giugno 1998;
Considerato, quanto all’impugnata cartella di pagamento, che a norma dell'art. 2 del d.lg. n. 546/92, come modificato dall'art. 12 l. n. 448/01, sono sottratte alla giurisdizione del giudice tributario le sole controversie attinenti alla fase dell'esecuzione forzata; ne consegue, pertanto, che l'impugnazione degli atti prodromici quali la cartella esattoriale o l'avviso di mora o l'intimazione di pagamento ex art. 50 del d.P.R. n. 602/73 è devoluta alla cognizione delle commissioni Tributarie (Cassazione civile , sez. un., 27 gennaio 2011 , n. 1865);
Ritenuto, quindi, il ricorso inammissibile e ritenuto che le spese seguono la soccombenza, come da liquidazione operata in dispositivo;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso in epigrafe indicato.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle parti resistenti –pro quota-, delle spese di lite, che liquida nella complessiva somma di € 1.000,00, oltre IVA e CPA se dovute.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Giamportone, Presidente, Estensore
Francesco Brugaletta, Consigliere
Diego Spampinato, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Una consulenza tecnica d’ufficio non può supplire al mancato assolvimento dell’onere del privato di provare la sussistenza del danno patito a seguito del ritardo della P.A.

Consiglio di Stato Sez. V, sentenza n. 1739 del 21 marzo 2011
Data: 
21/03/2011
Materia: 
Danno da ritardo

Per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l’illegittimo esercizio (o, come nel caso di specie, mancato esercizio) dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti.

Se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l'obbligo di allegare circostanze di fatto precise e quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del pregiudizio subito, nè può essere invocata una consulenza tecnica d’ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato (Cons. Stato,. V, 13 giugno 2008 n. 2967; VI, 12 marzo 2004, n. 1261, secondo cui la consulenza tecnica, pur disposta d'ufficio, non è certo destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, fatti che devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c., ma ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche non possedute).


 


N. 01739/2011REG.PROV.COLL.
N. 05005/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5005 del 2010, proposto da:
Servizi Ecologici Scanferla Srl, rappresentata e difesa dall'avv. Ivone Cacciavillani, con domicilio eletto presso Luigi Manzi in Roma, via Federico Confalonieri, 5;
contro
Regione Veneto, rappresentata e difesa dagli avv. Michele Costa, Francesco Zanlucchi, Ezio Zanon, con domicilio eletto presso Michele Costa in Roma, via Bassano del Grappa, 24;
Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliato per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. VENETO - VENEZIA :SEZIONE III n. 00327/2010, resa tra le parti, concernente RISARCIMENTO DEL DANNO SUBITO PER RITARDATA CONCESSIONE AUTORIZZAZIONE STOCCAGGIO RIFIUTI SPECIALI.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Regione Veneto e di Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 dicembre 2010 il Cons. Roberto Chieppa e uditi per le parti gli avvocati Cacciavillani, Costa e l' avv. dello Stato Venturini;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. La Servizi Ecologici Scanferla s.r.l. presentava in data 30 aprile 2008 alla Regione Veneto istanza di autorizzazione per la realizzazione di un impianto di stoccaggio e recupero di rifiuti speciali, lavaggio e bonifica autocisterne nel Comune di Camponogara.
Non avendo ricevuto una risposta dall’amministrazione la società proponeva davanti al Tar per il Veneto un ricorso avverso il silenzio, con cui veniva anche richiesto il risarcimento dei danni.
La Regione Veneto si costituiva in giudizio, depositando la deliberazione della Giunta regionale n. 3178 del 27 ottobre 2009, n. 3178, con cui era stato approvato l’intervento richiesto.
Con sentenza n. 327/2010 il Tar dichiarava cessata la materia del contendere in ordine al ricorso avverso il silenzio e dichiarava inammissibile la domanda di risarcimento perché incompatibile con la natura accelerata e semplificata del rito di cui all’art. 21-bis della legge n. 1034 del 1971.
La Servizi Ecologici Scanferla s.r.l. ha proposto ricorso in appello avverso tale sentenza, contestando la declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria.
La Regione Veneto e il Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio si sono costituiti in giudizio, chiedendo che il ricorso venga dichiarato inammissibile o, comunque, respinto.
Alla camera di consiglio del 20 luglio 2010, questa Sezione – con ordinanza n. 276/2010 – ha rilevato che il giudizio verte sul solo risarcimento del danno e ha disposto la trattazione del ricorso in udienza pubblica, come anche chiesto in via subordinata dalla parte appellata, oltre a richiedere alle parti adempimenti istruttori.
All’odierna udienza la causa stata trattenuta in decisione.
2. L’oggetto del giudizio di appello è limitato alla domanda di risarcimento del danno proposta dalla Servizi Ecologici Scanferla s.r.l. nei confronti della Regione Veneto e le prime questioni da esaminare concernono la ricevibilità dell’appello e l’ammissibilità della domanda proposta in primo grado.
In relazione all’eccezione di irricevibilità dell’appello per tardività, si rileva che la sentenza di primo grado è stata impugnata nella sola parte relativa al risarcimento del danno e, di conseguenza, non trovano applicazione i termini previsti per il rito speciale avverso il silenzio, nonostante il ricorso sia stato impropriamente intitolato “appello civico nel rito avverso il silenzio”.
La disposta trattazione in udienza pubblica e le considerazioni che seguiranno sull’ammissibilità della domanda di risarcimento proposta in primo grado confermano l’applicazione per tale domanda delle regole del rito ordinario.
Una diversa interpretazione condurrebbe comunque alla concessione dell’errore scusabile, tenuto conto dell’incertezza giurisprudenziale sia sull’ammissibilità della proposizione di una domanda risarcitoria unitamente ad un ricorso avverso il silenzio, sia sul rito applicabile in tale ipotesi.
3. Il Tar ha dichiarato la domanda di risarcimento inammissibile, facendo applicazione di quella giurisprudenza restrittiva nei confronti dell’ammissibilità del cumulo di domande, specie se assoggettate a diversi riti, come nel caso di azione avverso il silenzio e domanda di risarcimento del danno (Consiglio Stato , sez. IV, 28 aprile 2008 , n. 1873, secondo cui è inammissibile la domanda di risarcimento del danno proposta nell'ambito del rito speciale previsto dall'art. 21-bis l. 6 dicembre 1971 n. 1034, poiché con tale rito può essere unicamente impugnato il silenzio serbato dall'amministrazione su un'istanza, ma non è possibile formulare alcuna altra domanda; v. anche Cons. Stato, IV, 12 febbraio 2010 n. 773 sull’inammissibilità dell’impugnazione del provvedimento sopravvenuto nell’ambito di un giudizio avverso il silenzio).
In contrapposizione a tale orientamento formalista si è sviluppata altra tesi, che ha valorizzato, rispetto al mero dato della proposizione di una domanda di cognizione nell’ambito di un rito speciale, l’ammissibilità del cumulo oggettivo di domande, proposte con lo stesso atto introduttivo, come espressamente previsto dall’art. 104 del c.p.c., salvo verificare la necessità di conversione del rito (Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3332, che ha ritenuto ammissibile un ricorso cumulativo, proposto in primo grado, contenente sia la richiesta di esecuzione del giudicato sia la domanda risarcitoria a condizione che, in applicazione del principio di conservazione e di conversione degli atti processuali, sussistano i presupposti di contenuto e forma previsti per un'ordinaria azione cognitoria).
La tesi presuppone che un ricorso cumulativo contenente una domanda assoggettata a rito speciale e una domanda risarcitoria sia ammissibile, non in quanto l'azione risarcitoria possa essere ordinariamente proposta seguendo altro rito, ma in quanto si deve ritenere ammissibile il cumulo delle due domande a condizione che sussistano i presupposti di contenuto e forma previsti per un'ordinaria azione cognitoria, con conseguente conversione del rito; ciò in applicazione anche dei principi di effettività e concentrazione delle tutele.
In conformità con tali principi, l’art. 32 del codice del processo amministrativo ha stabilito che è sempre possibile nello stesso giudizio il cumulo di domande connesse proposte in via principale o incidentale, facendo cadere ogni dubbio sull’ammissibilità del cumulo e prevedendo che il cumulo di più domande assoggettate a riti diversi comporta solo l’applicazione del rito ordinario, ad eccezione delle controversie cui si applica il rito abbreviato, che prevalgono in ogni caso sugli altri riti.
Il principio del cumulo delle domande ha poi trovato nello stesso Codice un concreta e speciale attuazione proprio con riferimento ai casi controversi, venuti in passato all’esame della giurisprudenza.
In particolare, l’art. 117, comma 6, del Codice ha previsto che, se l’azione di risarcimento del danno è proposta congiuntamente a quella avverso il silenzio, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria.
La disposizione in primo luogo ammette la proponibilità contestuale delle due domande, e, a differenza di quanto previsto per l’impugnazione del provvedimento sopravvenuto, non stabilisce una conversione obbligatoria del rito, ma lascia al giudice il potere di decidere con rito camerale l’azione avverso il silenzio, rinviando al rito ordinario la trattazione della domanda risarcitoria.
Tale disposizione, in parte innovativa su tale ultimo punto, ha codificato quell’orientamento favorevole all’ammissibilità del cumulo di domande, già presente prima dell’entrata in vigore del Codice e, sotto tale profilo, la norma assume una natura interpretativa circa l’ammissibilità del cumulo, che va quindi riconosciuta anche con riferimento ai giudizi già pendenti al momento dell’entrata in vigore del Codice (Cons. Stato, IV, 27 novembre 2010 n. 8251).
La domanda di risarcimento proposta unitamente al ricorso avverso il silenzio deve, quindi, essere ritenuta ammissibile e ha errato il giudice di primo grado nel non esaminarla; tale errore non determina il rinvio del giudizio in primo grado, non rientrando tale ipotesi tra i casi di rimessione al primo giudice di cui all’art. 105 cod. proc. amm. e restando, quindi, devoluto al giudice di appello l’esame nel merito della domanda di risarcimento.
4. Accertata l’ammissibilità della domanda, va quindi verificata la sussistenza dei presupposti per disporre il risarcimento del danno da ritardo.
Non vi è dubbio sulla sussistenza di un ritardo nel provvedere addebitabile alla regione Veneto: l’istanza di autorizzazione è stata presentata in data 30 aprile 2008 e il termine per provvedere era di 150 giorni ai sensi degli artt. 18 e 19 della L.R. n. 10/1999, la cui applicabilità non è contestata dalla stessa Regione.
Tale termine scadeva, quindi, il 27 settembre 2008, mentre il provvedimento regionale è intervenuto solo in data 27 ottobre 2009 con oltre un anno di ritardo.
La Regione invoca a proprio favore la richiesta della società ricorrente di ottenere il rilascio dell’AIA (autorizzazione integrata ambientale) unitamente alla VIA, ma al riguardo è sufficiente rilevare che tale richiesta è stata presentata – secondo la stessa Regione - in data 20 ottobre 2008, quando quindi il termine per provvedere era già scaduto e che l’integrazione della domanda non giustifica certo il decorso di un ulteriore anno prima di provvedere.
In realtà, la Regione ha definito il procedimento solo dopo la proposizione del ricorso avverso il silenzio da parte della società Scanferla, senza che vi fosse alcun elemento idoneo a giustificare il ritardo.
Non sono idonee a giustificare il ritardo nè le asserite difficoltà derivanti dalla normativa in materia, richiamate in modo del tutto generico dalla Regione, nè un presunto comportamento negligente dell’impresa, non essendo stata fornita adeguata dimostrazione di carenze istruttorie imputabili alla ricorrente e preclusive per la definizione del procedimento (la regione richiama non precise sue richieste istruttorie idonee a interrompere i termini del procedimento, ma alcuni passaggi dei verbali della Commissione, che hanno comunque condotto a superare ogni problema).
Deve, quindi, ritenersi che il ritardo nel rilascio dell’autorizzazione è imputabile soggettivamente alla regione Veneto e che non sussiste alcun valido elemento idoneo a escludere la colpa dell’amministrazione per il ritardo.
5. L’accertamento della sussistenza di un ritardo di oltre un anno nel rilascio dell’autorizzazione e l’imputabilità del ritardo al Comune non risolvono tutte le problematiche della presente controversia, che attiene al risarcimento del danno subito dalla ricorrente a causa di tale ritardo.
Nel caso di specie, ricorre l’ipotesi in cui il privato invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui l'amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento.
Il ritardo procedimentale ha, quindi, determinato un ritardo nell’attribuzione del c.d. “bene della vita”, costituito nel caso di specie dalla disponibilità dell’autorizzazione per l’esecuzioni di lavori di realizzazione di un impianto di gestione dei rifiuti.
In questi casi la giurisprudenza è pacifica nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
La norma presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica (Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se l’esito fosse stato in ipotesi negativo).
Nel caso di specie, non rileva la questione della risarcibilità del danno da ritardo in caso di non spettanza del c.d. “bene della vita” e della compatibilità dei principi affermati dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 7/2005 con il nuovo art. 2-bis della legge n. 241/90, avendo la stessa amministrazione riconosciuto tale spettanza con il (tardivo) rilascio dell’autorizzazione.
6. Si deve, quindi, passare a verificare gli elementi probatori in ordine all’esistenza del danno e al rapporto di causalità con il menzionato ritardo.
La società ricorrente ha prodotto in primo grado una perizia di parte sul danno subito e ha chiesto in via principale di applicare l’art. 35, comma 2, del d. Lgs. n. 80/1998 (ora art. 34, comma 4, cod. proc. amm.), assegnando alla regione un termine per formulare proposte transattive sul risarcimento del danno.
Una tale modalità di determinazione del danno non può essere condivisa, in quanto risulterebbe idonea ad esonerare la parte ricorrente dagli oneri probatori su di essa gravanti, rimettendo la concreta determinazione del danno ad un mero accordo con l’amministrazione, senza neanche la fissazione di puntuali criteri, che, invece, la norma invocata impone.
Va ricordato che, per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l’illegittimo esercizio (o, come nel caso di specie, mancato esercizio) dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell'esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perché tale principio attiene allo svolgimento dell'istruttoria e non all'allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l'obbligo di allegare circostanze di fatto precise e quando il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi adempie non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l'impossibilità di provare l'ammontare preciso del pregiudizio subito, nè può essere invocata una consulenza tecnica d’ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato (Cons. Stato,. V, 13 giugno 2008 n. 2967; VI, 12 marzo 2004, n. 1261, secondo cui la consulenza tecnica, pur disposta d'ufficio, non è certo destinata ad esonerare la parte dalla prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, fatti che devono essere dimostrati dalla medesima parte alla stregua dei criteri di ripartizione dell'onere della prova posti dall'art. 2697 c.c., ma ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche non possedute).
Si ritiene, pertanto, di dover esaminare la domanda di risarcimento del danno sulla base delle prove fornite dall’appellante e, in particolare, della già richiamata perizia disposta in primo grado.
I successivi documenti prodotti in appello e in particolare, l’aggiornamento della perizia non sono, invece, utilizzabili, stante il divieto di nuove prove in appello, codificato oggi dall’art. 104, comma 2, cod. proc. amm., già vigente nel processo amministrativo, avendo la giurisprudenza ritenuto l’applicabilità dell’art. 345 c.p.c., in base al quale non sono ammessi nuovi mezzi di prova, salvo che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero che la parte dimostri di non aver potuto proporli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (Cons. Stato, IV, 13 gennaio 2010 , n. 90; VI, 17 settembre 2009 , n. 5546).
Nel caso di specie, oltre alla assoluta insussistenza della prova da parte dell’appellante di non aver potuto produrre gli atti per causa ad essa non imputabile, gli aggiornamenti della perizia non tendono a dimostrare il danno successivo alla proposizione del ricorso provocato dal ritardo della p.a., ma sono diretti a rimettere in discussione il quantum della pretesa risarcitoria, che inspiegabilmente aumenta ad ogni aggiornamento, senza che tale aumento sia collegato con fatti sopravvenuti (in tal senso, anche l’aggiornamento della perizia del febbraio 2010 non è supportato da alcuna adeguata giustificazione dell’aumento delle somme richieste a titolo di risarcimento del danno).
Va poi tenuto conto che la stessa società ricorrente ha posto in dubbio la realizzabilità dell’intervento, affermando che “l’intrapresa in allora promettente ora, a parere dello stesso tecnico, è diventata irrealizzabile perché spinta fuori mercato nell’attuale contesto imprenditoriale locale” (pag. 3 della relazione illustrativa della società appellante prodotta in risposta all’ordinanza di questa Sezione).
Tale posizione della società ricorrente non assume alcun effetto preclusivo sulla richiesta di risarcimento del danno, in quanto, un volta accertato che una determinata autorizzazione doveva essere tempestivamente rilasciata e che è invece stata rilasciata con ritardo, i danni eventualmente causati dall’inerzia della p.a. sono risarcibili senza che possa assumere carattere condizionante l’effettivo utilizzo dell’autorizzazione al fine di eseguire i lavori e iniziare l’attività in questione.
Proprio il ritardo può costituire un fatto sopravvenuto che disincentiva l’effettivo inizio dell’attività, senza però precludere i danni effettivamente determinati da quel ritardo.
Ogni cittadino e ogni impresa hanno diritto ad avere risposta dalle amministrazioni alle proprie istanze nel termine normativamente determinato e ciò proprio al fine di programmare le proprie attività e i propri investimenti; un inatteso ritardo da parte della p.a. nel fornire una risposta può condizionare la convenienza economica di determinati investimenti, senza però che tali successive scelte possano incidere sulla risarcibilità di un danno già verificatosi.
Per questi motivi sono irrilevanti le obiezioni mosse dalla Regione in ordine ad una asserita assenza del nesso causale per non essere stata ancora iniziata l’attività e neanche chiesto il rilascio dell’AIA per l’esercizio dell’attività; non può neppure essere accolta la richiesta di sospensione del giudizio in attesa della definizione di altre controversie, che hanno ad oggetto la contestazione dell’autorizzazione rilasciata con ritardo.
Passando alla prova del danno, si rileva che la perizia prodotta in primo grado tende a dimostrare un danno derivante dal tardivo rilascio dell’autorizzazione per interessi passivi (euro 52.000), per costi relativi a consulenze (euro 50.000) e per gli utili non realizzati (euro 150.000).
Al riguardo, si osserva come sia insussistente alcun rapporto di causalità tra asseriti costi sostenuti per consulenze e il ritardo dell’amministrazione nel provvedere, non avendo la ricorrente fornito alcuna giustificazione in relazione a tale nesso e neanche la prova dei costi sostenuti.
Anche gli utili non percepiti non possono essere riconosciuti a titolo di risarcimento, perchè sono indicati tramite un richiamo ai bilanci di altre imprese senza la produzione di un serio piano industriale tendente a dimostrare la convenienza economica dell’investimento, il punto di pareggio tra costi e ricavi e la presumibile data di conseguimento di utili.
In relazione agli interessi passivi corrisposti, i dati forniti dalla ricorrente non sono stati adeguatamente contrastati dalla regione e deve ritenersi che in questo caso vi sia il nesso causale tra il ritardo e tali costi.
Infatti, proprio sulla base della possibilità prospettata di non dare corso all’investimento, il tempestivo rilascio dell’autorizzazione avrebbe messo in condizione l’impresa di rispettare il proprio programma di investimento, mentre il ritardo ha determinato uno sfasamento tra ricorso al credito e attuazione dell’intervento, che ha certamente determinato un danno all’impresa ricorrente, che – ove avesse conosciuto i reali tempi di durata del procedimento amministrativo – avrebbe potuto desistere dall’investimento o comunque non ricorrere subito al finanziamento, non pagando in entrambi i casi gli interessi passivi in questione.
Va, quindi, riconosciuto il risarcimento del danno per una somma corrispondente a tali interessi, pagati dal settembre 2008 ad ottobre 2009 (euro 52.000).
Il complessivo danno subito dalla società ricorrente per le conseguenze del ritardo nel rilascio dell’autorizzazione ammonta, dunque, complessivamente ad euro 52.000,00.
Su quanto dovuto a titolo di risarcimento del danno, costituente debito di valore, spettano la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat dal 27 ottobre 2009 ad oggi e gli interessi compensativi calcolati nella misura legale separatamente sul capitale via via rivalutato dalle singole scadenze mensili fino al soddisfo (Cass. civ., III, n. 5671/2010; Cons. Stato, IV, n. 2983/06).
7. In conclusione, il ricorso in appello deve essere in parte accolto e, in riforma dell’impugnata sentenza, va in parte accolto il ricorso di primo grado con condanna della regione Veneto al risarcimento del danno della complessiva somma di euro 52.000,00. oltre a rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat dal 27 ottobre 2009 ad oggi e gli interessi compensativi calcolati nella misura legale separatamente sul capitale via via rivalutato dalle singole scadenze mensili fino al soddisfo.
Alla sostanziale soccombenza della Regione seguono le spese del doppio grado di giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo (tenuto anche conto che – come correttamente sostenuto dall’appellante – la cessazione della materia del contendere sul ricorso avverso il silenzio è stata pronunciata dal Tar solo dopo il provvedimento sopravvenuto a seguito di un colpevole ritardo, che ha comunque costretto la società al ricorso); ricorrono, invece, i presupposti per la compensazione delle spese nei confronti del Ministero dell’ambiente.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), accoglie in parte il ricorso in appello indicato in epigrafe e per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie in parte il ricorso proposto in primo grado, condannando la regione Veneto al pagamento in favore della società appellante, a titolo di risarcimento del danno, del complessivo importo di euro 52.000,00, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali secondo i criteri di cui in parte motiva.
Condanna la regione Veneto alla rifusione, in favore dell’appellante, delle spese del doppio grado di giudizio, liquidate nella complessiva somma di Euro 8.000,00, oltre Iva e C.P., compensando le spese con il Ministero dell’ambiente.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Stefano Baccarini, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Roberto Chieppa, Consigliere, Estensore
Angelica Dell'Utri, Consigliere
Antonio Amicuzzi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Deve essere provato il danno esistenziale derivante dal ritardo della P.A.

Consiglio di Stato Sez. VI, sentenza n. 1672 del 18 marzo 2011
Data: 
18/03/2011
Materia: 
Danno da ritardo

L’esigenza di un’attenuazione dell’onere probatorio a carico della parte ricorrente viene meno con riguardo alla prova dell’an e del quantum dei danni azionati in via risarcitoria, inerendo in siffatte ipotesi i fatti oggetto di prova alla sfera soggettiva della parte che si assume lesa (soprattutto qualora questa agisca per il risarcimento dei danni non patrimoniali), e trovandosi le relative fonti di prova normalmente nella sfera di disponibilità dello stesso soggetto leso.

In applicazione del c.d. criterio della vicinanza della prova, costituente principio regolatore della disciplina della distribuzione dell’onere della prova tra le parti processuali, grava dunque sulla parte ricorrente l’onere di dimostrare  -con circostanze di fatto concrete, gravi, precise e concordanti- la sussistenza e l’ammontare dei danni non patrimoniali azionati in giudizio.

 

 


N. 01672/2011REG.PROV.COLL.
N. 05806/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5806 del 2007, proposto dal signor Gramaglia Mauro, rappresentato e difeso dagli avv.ti Michele Lioi, Paolo Sanchini, Stefano Viti, con domicilio eletto presso il signor Stefano Viti in Roma, piazza della Libertà n. 20;
contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, e Ufficio Territoriale del Governo di Livorno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliati per legge in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
per la riforma della sentenza del T.A.R. TOSCANA - FIRENZE: SEZIONE I n. 02560/2006 resa tra le parti, concernente RISARCIMENTO DANNI PER DINIEGO RINNOVO LICENZA DI PORTO DI PISTOLA
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2011 il Cons. Bernhard Lageder e uditi per le parti l’avvocato Viti e l’avvocato dello Stato Palmieri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R.-Toscana respingeva il ricorso n. 1064 del 2004, con cui il signor Gramaglia Mauro aveva chiesto il risarcimento dei danni, quantificati nell’importo di euro 150.000,00, conseguenti al provvedimento del 13 aprile 1995, annullato con sentenza n. 1374 del 18 settembre 2001 dello stesso T.A.R., con il quale il Prefetto di Livorno aveva sospeso ogni determinazione sull’istanza di rinnovo della licenza di porto di pistola per difesa personale – presentata dall’istante il 13 ottobre 1994 in relazione alla propria attività professionale (avvocato dello Stato) – in attesa di nuovi elementi richiesti a suffragio delle dedotte esigenze di difesa personale.
Il T.A.R. basava la statuizione di rigetto sul rilievo dirimente della carenza di prova dei danni subiti per effetto del lamentato ritardo, sia sotto il profilo di danni da stress, sia sotto il profilo di danni all’attività professionale, escludendo altresì la configurabilità di danni all’immagine, in quanto l’Amministrazione non risultava aver emesso alcun giudizio sfavorevole sulla persona dell’istante o sulla sua affidabilità, ma sollevato unicamente la questione della pericolosità dell’attività svolta.
2. Avverso tale sentenza proponeva appello il ricorrente soccombente, censurando l’erronea reiezione della domanda volta al conseguimento del risarcimento del danno esistenziale conseguente all’illegittimo ritardo dell’Amministrazione a provvedere sull’istanza di rinnovo della licenza di porto d’armi, avendo egli indicato una serie di criteri presuntivi idonei a procedere alla liquidazione del danno in via equitativa, non valorizzati dai primi giudici.
L’appellante chiedeva dunque, in riforma della gravata sentenza, l’accoglimento del ricorso in primo grado.
3. Costituendosi, l’Amministrazione appellata contestava la fondatezza dell’appello e ne chiedeva il rigetto.
4. All’udienza pubblica del 18 gennaio 2011 la causa veniva trattenuta in decisione.
5. L’appello è infondato e va respinto.
5.1. Giova premettere in linea di diritto, per quanto qui interessa, che in tema di responsabilità della pubblica amministrazione da ritardo o da attività provvedimentale lesiva di interessi legittimi pretensivi il ricorrente ha l’onere di provare, secondo i principi generali la sussistenza e l’ammontare dei danni dedotti in giudizio.
Infatti, la limitazione dell’onere della prova gravante sulla parte che agisce in giudizio, che caratterizza il processo amministrativo, si fonda sulla naturale ineguaglianza delle parti di consueto connotante il rapporto amministrativo di natura pubblicistica intercorrente tra la parte privata e la pubblica amministrazione, mentre l’esigenza di un’attenuazione dell’onere probatorio a carico della parte ricorrente viene meno con riguardo alla prova dell’an e del quantum dei danni azionati in via risarcitoria, inerendo in siffatte ipotesi i fatti oggetto di prova alla sfera soggettiva della parte che si assume lesa (soprattutto qualora questa agisca per il risarcimento dei danni non patrimoniali), e trovandosi le relative fonti di prova normalmente nella sfera di disponibilità dello stesso soggetto leso.
In applicazione del c.d. criterio della vicinanza della prova, costituente principio regolatore della disciplina della distribuzione dell’onere della prova tra le parti processuali, grava dunque sulla parte ricorrente l’onere di dimostrare la sussistenza e l’ammontare dei danni non patrimoniali azionati in giudizio.
Sebbene la prova dell’an e del quantum dei danni possa essere fornita anche in via presuntiva, la stessa deve pur sempre fondarsi su circostanze di fatto concrete e certe, integranti un quadro indiziario connotato da elementi plurimi, precisi e concordanti che consentano di risalire, in via inferenziale e secondo un criterio di ragionevolezza e di normalità, al fatto ignoto costituente l’oggetto principale di prova (nella specie, alla sussistenza e all’ammontare dei lamentati danni non patrimoniali).
In linea di principio, anche in sede di giustizia amministrativa può essere dedotta la sussistenza di danni c.d. esistenziali, che, secondo l’orientamento di Cass. Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, vanno ricondotti nell’alveo dei danni non patrimoniali, la cui risarcibilità è subordinata a precise condizioni, rappresentate alternativamente (i) dalla sussistenza di una delle ipotesi previste dalla legge e (ii) dalla violazione di un diritto della persona costituzionalmente garantito a condizione, in quest’ultimo caso, che la violazione sia stata grave e che le conseguenze della lesione non siano stati futili.
Va dunque innanzitutto esclusa la risarcibilità del danno non patrimoniale consistito in meri disagi e fastidi, non scaturenti da lesioni di diritti costituzionalmente garantiti (v. in tal senso Cass. Civ., Sez. IV, 9 aprile 2009, n. 8703, che ha escluso la risarcibilità del danno esistenziale asseritamente patito dal contribuente per il ritardo, col quale l’amministrazione aveva disposto lo sgravio di somme non dovute).
Inoltre, la pretesa risarcitoria – ove non si sia verificato un mero disagio o fastidio - esige un’allegazione di elementi concreti e specifici da cui desumere, secondo un criterio di valutazione oggettiva, l’esistenza e l’entità del pregiudizio subito, il quale non può essere ritenuto sussistente in re ipsa, né è consentito l’automatico ricorso alla liquidazione equitativa (v. Cass. Sez. Un. Civ., 16 febbraio 2009, n. 3677; Cass. Civ., Sez. lav., 17 settembre 2010, n. 19785).
5.2. Orbene, applicando le esposte coordinate normative e giurisprudenziali alla fattispecie dedotta in giudizio, deve pervenirsi alla conclusione della carenza assoluta di prova in ordine ai danni lamentati dal ricorrente sub specie di danni esistenziali ed esposti nell’importo di euro 150.000,00.
L’odierno appellante ha, invero, omesso di offrire qualsiasi elemento di prova (ad es., a mezzo di certificazioni mediche) del paventato danno da “ansia da evitamento” che, secondo il suo stesso assunto, “si estrinseca come fobia specifica, clinicamente significativa, provocata dall’esposizione a situazioni temute, che determina condotte di evitamento significative nell’interferire con la normale routine dell’individuo, con l’esercizio lavorativo e con le relazioni sociali” (v. così, testualmente, p. 11 del ricorso in appello).
Lo stesso, inoltre, non ha fornito neppure un principio di prova in ordine ad eventuali ripercussioni negative del ritardato trattamento dell’istanza di rinnovo della licenza di porto d’armi sulla propria attività professionale o sulle proprie consuetudini di vita (ad es., sub specie di un’eventuale limitazione significativa della propria libertà di movimento).
5.3. Non risulta invece investita da motivo specifico di gravame la statuizione di prime cure avente ad oggetto l’esclusione della configurabilità di danni all’immagine, sicché nulla è dato statuire al riguardo.
5.4. Per le ragioni che precedono, si deve ritenere non provata la sussistenza dei danni dedotti.
Diventa pertanto irrilevante ogni ulteriore esame:
a) sulla idoneità del provvedimento, a suo tempo emesso, a cagionare sotto il profilo causale le conseguenze esposte dall’appellante:
b) sulla effettiva sussistenza degli altri elementi costitutivi dell’illecito amministrativo, e in particolare della rimproverabilità della pubblica amministrazione.
6. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del grado, liquidate in parte dispositiva, vanno poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 5806 del 2007, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; condanna l’appellante a rifondere all’Amministrazione resistente le spese di causa, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 5.000,00, oltre agli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2011, con l'intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Roberto Garofoli, Consigliere
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 18/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Sul principio di proporzionalitĂ 

Tar Catania, Sez. IV, sentenza del 16 marzo 2011, n. 667
Data: 
16/03/2011
Materia: 
Principio di proporzionalitĂ 

Il principio di proporzionalità impone che l'Amministrazione adotti la soluzione idonea e adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti, e si risolve, in sostanza, nell'affermazione secondo cui le autorità non possono imporre, sia con atti normativi che con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino in misura sproporzionata, e cioè superiore a quella strettamente necessaria per il raggiungimento dello scopo che l'autorità è tenuta a realizzare, in modo che il provvedimento emanato sia idoneo, cioè adeguato all'obiettivo da perseguire, e necessario, nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno negativamente incidente, sia disponibile (cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 22 novembre 2010 n. 25589).

 

 


N. 00667/2011 REG.PROV.COLL.

N. 01032/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1032 del 2010, proposto da:
Liborio Francesco Mattiolo, rappresentato e difeso dall'avv. Gaetano Giunta, con domicilio eletto presso Gaetano Giunta in Catania, viale Africa, 152;

contro

Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste, Agea - Agenzia Erogazioni per l'Agricoltura, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distr.le Catania, domiciliata per legge in Catania, via Vecchia Ognina, 149;

per l'annullamento,

previa sospensione dell’efficacia,

del provvedimento, adottato dal Direttore dell'Area Amministrativa AGEA, n. UCCU.2010.265 del 25.1.2010, comunicato il 02.02.2010, con il quale è stata disposta la sospensione del procedimento per l'erogazione della contribuzione comunitaria afferente il settore sviluppo rurale per le campagne 2001, 2002, 2003, 2004, 2005 e 2006, pari ad € 120.383,07, e fino alla concorrenza dell'importo di € 135.146,14, corrispondente all'importo del contributo oltre interessi.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali e di Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste e di Agea - Agenzia Erogazioni per l'Agricoltura;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 10 marzo 2011 il dott. Dauno Trebastoni e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con atto notificato il 29.03.2010, depositato il successivo 21.04, il ricorrente impugna il provvedimento n. UCCU.2010.265 del 25.1.2010, con cui il Direttore dell'Area Amministrativa dell’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura – AGEA, ha disposto la sospensione dei procedimenti per l'erogazione di contributi comunitari in favore del ricorrente per un importo di € 120.383,07, e fino alla concorrenza dell'importo di € 135.146,14, corrispondente all'importo del primo contributo oltre interessi.

Tale provvedimento è motivato con espresso riferimento al processo verbale di constatazione, per violazione alla legge n. 898/86, redatto in data 21.04.2009 dal Nucleo Polizia Tributaria di Enna a carico del ricorrente, relativo ad alcune presunte irregolarità addebitabili allo stesso ricorrente nell’ottenimento di contributi comunitari per alcune annate agricole, a loro volta legate alla falsificazione delle firme su alcuni verbali di ispezione, riconducibili ai soggetti incaricati dall’apposito organismo di controllo e certificazione.

Con ordinanza n. 570 del 12.05.2010 questa Sezione ha rigettato l’istanza cautelare.

Alla pubblica udienza del 10.03.2011 la causa è stata posta in decisione.

DIRITTO

Il ricorso è fondato e va pertanto accolto.

Non può essere accolto il motivo di ricorso con cui viene fatta valere la violazione del giudicato di cui alla sentenza della II Sezione di questo Tribunale n. 283 del 19.02.2008, con cui, sul presupposto che le irregolarità di cui sopra erano ancora sub judice, è stato annullato il provvedimento dell’Assessorato regionale Agricoltura e Foreste con cui anche l’attuale ricorrente era stato escluso dall’elenco degli operatori dell’agricoltura ritenuti idonei dagli organismi di controllo per gli anni 2002 e 2003.

Infatti, a prescindere dal diverso petitum, appare troncante la circostanza che l’AGEA, autrice del provvedimento impugnato con il ricorso in esame, non è stata parte di quel giudizio, con la conseguenza che quel giudicato non può ora vincolarla, visto che l’art. 2909 c.c., relativo alla “cosa giudicata” dispone che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto (solo) “tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.

Invece, il Collegio ritiene assorbente il motivo con cui il ricorrente lamenta l’assoluta sproporzione, dovuta sia ad un travisamento dei fatti che ad una malsana prassi di quell’Ente, tra la somma di cui la Guardia di Finanza – GdF contesta l’indebita percezione, peraltro limitata al 2003, e che viene indicata in € 17.980,48, e quella per cui l’AGEA, con riferimento a qualsiasi contributo ancora da percepire, ha con il provvedimento impugnato invece disposto la sospensione, pari ad € 120.383,07 oltre interessi, per un totale di € 135.146,14.

Il provvedimento impugnato risulta infatti palesemente illegittimo almeno sotto due distinti profili.

Il primo aspetto è legato ad un ingiustificabile travisamento dei fatti, perché nel provvedimento si fa riferimento ad una indebita percezione di contributi per gli anni dal 2001 al 2006, mentre il verbale della GdF è inequivoco nel fare riferimento al solo 2003.

Il secondo profilo, invece, riguarda la circostanza che il dirigente autore del provvedimento impugnato ha negligentemente allargato il campo di applicazione della normativa di riferimento, individuata nell’art. 33 del D.Lgs. n. 228/2001, che è stato violato e falsamente applicato.

Infatti, il citato art. 33 si limita a disporre che “i procedimenti per erogazioni da parte degli Organismi pagatori riconosciuti…sono sospesi riguardo ai beneficiari nei cui confronti siano pervenute, da parte di organismi di accertamento e di controllo, notizie circostanziate di indebite percezioni di erogazioni a carico del bilancio comunitario o nazionale, finché i fatti non siano definitivamente accertati”; ma naturalmente, detta disposizione non soltanto non impone, ma neppure consente, che a fronte di una contestazione di indebita percezione di un minimo importo, quale è quello di cui si discute in questo caso, l’Ente pagatore sospenda a tempo indefinito, “finché i fatti non siano definitivamente accertati”, l’erogazione per il futuro di qualsiasi somma il soggetto in questione avrebbe diritto a ricevere, anche quando a garantire l’Ente, e l’intera Comunità Europea, del recupero della somma indebitamente erogata, sia sufficiente sospendere il pagamento di una somma di consistenza analoga di quella contestata, magari maggiorata degli interessi, e persino con riserva, dopo un adeguato periodo di tempo, di riesaminare la congruità della somma di cui si è sospesa l’erogazione, qualora i fatti contestati non siano stati ancora “definitivamente accertati”.

E questo, se non altro, in osservanza dell’art. 1 della L. 241/90, ai sensi del quale l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta, tra l’altro, “dai princìpi dell'ordinamento comunitario”, tra cui rientra, in particolare, quello di proporzionalità, che impone che l'Amministrazione adotti la soluzione idonea e adeguata, comportante il minor sacrificio possibile per gli interessi compresenti, e si risolve, in sostanza, nell'affermazione secondo cui le autorità non possono imporre, sia con atti normativi che con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino in misura sproporzionata, e cioè superiore a quella strettamente necessaria per il raggiungimento dello scopo che l'autorità è tenuta a realizzare, in modo che il provvedimento emanato sia idoneo, cioè adeguato all'obiettivo da perseguire, e necessario, nel senso che nessun altro strumento ugualmente efficace, ma meno negativamente incidente, sia disponibile (cfr., ex multis, T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 22 novembre 2010 n. 25589).

Di conseguenza, il provvedimento impugnato va annullato, nella parte in cui eccede la somma di cui è stata effettivamente contestata al ricorrente l’indebita percezione, maggiorata degli interessi maturati alla data di adozione del provvedimento stesso.

Le spese seguono la soccombenza, e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia – Sezione staccata di Catania – Sezione Quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie, nei termini di cui in motivazione, e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Condanna l’Amministrazione al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese di giudizio, liquidate in € 3.500,00, oltre Iva e Cpa, nonché al rimborso spese generali al 12,50% e del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:

Rosalia Messina, Presidente

Dauno Trebastoni, Primo Referendario, Estensore

Giuseppa Leggio, Primo Referendario

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
    
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/03/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)