Urbanistica ed Ambiente

  • strict warning: Non-static method view::load() should not be called statically in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/views.module on line 879.
  • strict warning: Declaration of views_handler_argument::init() should be compatible with views_handler::init(&$view, $options) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/handlers/views_handler_argument.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_handler_filter::options_validate() should be compatible with views_handler::options_validate($form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/handlers/views_handler_filter.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_handler_filter::options_submit() should be compatible with views_handler::options_submit($form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/handlers/views_handler_filter.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_handler_filter_boolean_operator::value_validate() should be compatible with views_handler_filter::value_validate($form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/handlers/views_handler_filter_boolean_operator.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of date_api_filter_handler::value_validate() should be compatible with views_handler_filter::value_validate($form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/date/includes/date_api_filter_handler.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_plugin_style_default::options() should be compatible with views_object::options() in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/plugins/views_plugin_style_default.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_plugin_row::options_validate() should be compatible with views_plugin::options_validate(&$form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/plugins/views_plugin_row.inc on line 0.
  • strict warning: Declaration of views_plugin_row::options_submit() should be compatible with views_plugin::options_submit(&$form, &$form_state) in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/plugins/views_plugin_row.inc on line 0.
  • strict warning: Non-static method view::load() should not be called statically in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/views.module on line 879.
  • warning: Creating default object from empty value in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/date/date/date.module on line 660.
  • strict warning: Non-static method view::load() should not be called statically in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/views.module on line 879.
  • strict warning: Non-static method view::load() should not be called statically in /home/mhd-01/www.dirittodegliappaltipubblici.com/htdocs/sites/all/modules/views/views.module on line 879.

Va riservato allo Stato e non allo strumento urbanistico il potere di individuare i limiti di esposizione ai campi elettromagnetici

Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 426 del 9 marzo 2011
Data: 
09/03/2011

1. Il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino. Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 15 giugno 2006, n. 3534, C.G.A. 12 novembre 2009, n. 929; T.A.R. Sicilia, sez. II, 6 aprile 2009, n. 661).

  • V. Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 268 del 14 febbraio 2011

  •  V. Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 194 del 2 febbraio 2011

2. Il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale, richiedendo la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, della sussistenza della colpa o del dolo dell'Amministrazione e del nesso causale tra l'illecito e il danno subito ( cfr. ex plurimis, Consiglio Stato , sez. V, 15 settembre 2010 , n. 6797)



N. 00427/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00231/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 231 del 2006, proposto da Tim Italia S.p.A, rappresentata e difesa dall'avv. Biagio Marotta, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Palermo, via J. Tintoretto, n.4;
contro
Il Comune di Raffadali, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Terrazzino, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Antonino Casalicchio in Palermo, via Salamone Marino, n. 39/A;
per l'annullamento
1) dell’ordinanza del Responsabile del Settore 7° Territorio e Urbanistica, n.6 del 24/11/2005, notificata il 29 seguente, con la quale si è ordinata la sospensione dei lavori per la modifica ed implementazione della stazione radio base per la telefonia cellulare, già esistente nella via Spoleto del Comune, necessari per l’introduzione della tecnologia UMTS;
2) del regolamento comunale per l’installazione di stazione radio base approvato con delibera consiliare n.10 del 20/04/2001, conosciuto dalla ricorrente per essere richiamato nell’ordinanza predetta;
3) dell’ordinanza n.7 del 09/12/2005, notificata il 28 seguente, emessa dal medesimo Ufficio, con la quale si è ingiunto alla ricorrente di demolire le opere di modifica/trasformazione delle antenne per il servizio UMTS dell’impianto esistente nella via Spoleto del Comune di Raffadali;
4) di tutti gli atti e provvedimenti ad essi prodromici e/o consequenziali;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Raffadali;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2011 il Consigliere Cosimo Di Paola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1. Con ricorso notificato il 18/01/2006 e depositato il 02/02/2006 la Tim Italia S.p.A. impugnava i provvedimenti indicati in epigrafe e ne chiedeva, l’annullamento, previa sospensione, per i motivi seguenti.
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 86, comma 3, ed 87 comma 3, del D.Lgs. n.259/2003.
2) Violazione e falsa applicazione della L. n.249/1997, della L. n.36/2001, del D.M. 381/98, dell’art.87 del D.Lgs. n.259/2003, dell’art.41 Cost. Eccesso di potere sotto il profilo dell’errore sui presupposti dell’atto.
3) Eccesso di potere per incompetenza, violazione dell’art.1, comma 4 lett. c) della L. n.59/97 e dell’art. 83, comma 1 del D.Lgs. 112/98.
4) Violazione dell’art.7 della L. n.241/1990 e dell’art. 8 L.r. n.10/1991.
5) Eccesso di potere per omessa motivazione, contraddittorietà con provvedimenti autorizzativi emanati dall’organo tecnico competente.
1.2. Chiede inoltre la ricorrente che il Comune intimato sia condannato al risarcimento del danno, da determinarsi in via equitativa, “ prudenzialmente “ indicato in € 500.000,00 per ogni mese di ritardo nell’attivazione del servizio, derivante dalla perdurante efficacia degli atti impugnati.
1.3. Il Comune di Raffadali si costituiva in giudizio, con memoria depositata alla C.C. del 26/02/2006, con la quale si opponeva alla concessione della domanda di sospensiva e, nel merito, sosteneva la legittimità dei provvedimenti impugnati, concludendo per il rigetto del ricorso.
1.4.Con ordinanza n. 206 del 17/02/2006 ( riformata dal C.G.A. ) veniva accolta la domanda di sospensiva.
1.5.Alla pubblica udienza del 21/02/2011 il ricorso veniva posto in decisione.
2.1.Il ricorso è fondato.
Riguardo all’impugnativa del regolamento comunale, deve osservarsi che la Sezione, in fattispecie analoghe alla presente (fra le tante, 21 luglio 2006, n. 1743; 12 marzo 2008, n. 340; 6 aprile 2009, n. 661; 27 ottobre 2010, 1379; 10 novembre 2010, n. 14024, e da ultimo, 14 febbraio 2011, n.267), ha rilevato che l’art. 8, comma 6, della legge 22 febbraio 2001, n. 36, prevede la possibilità che i Comuni adottino un regolamento c.d. di minimizzazione finalizzato a garantire “il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.
In ordine alla interpretazione di tale disposizione si è ormai consolidato in giurisprudenza il condiviso orientamento giurisprudenziale, secondo il quale le previsioni dei regolamenti c.d. di minimizzazione possono ritenersi legittime solo qualora indirizzate al perseguimento delle finalità indicate dalla norma e non anche quando tendono a scopi differenti.
Sulla base di tale criterio viene ammesso, ad esempio, che vengano introdotte regole finalizzate, per quanto riguarda il profilo urbanistico, a tutelare zone e beni di particolare pregio paesaggistico/ambientale o storico/artistico ovvero, con riferimento alla minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici, alla individuazione di siti particolari e determinati, i quali, per destinazione d’uso e qualità degli utenti, possono essere considerati particolarmente sensibili alle immissioni radioelettriche. Antitetica è, invece, la valutazione relativamente a quelle previsioni, che si sostanziano in "limitazioni alla localizzazione" degli impianti di telefonia mobile relativamente ad intere ed estese porzioni del territorio comunale, senza che sia ravvisabile una plausibile ragione giustificativa (cfr. Corte Costituzionale, 7 novembre 2003, n. 331; 7 ottobre 2003, n. 307; 27 luglio 2005, n. 336).
Si è, in particolare, ritenuto, che il Comune non possa, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino. Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 15 giugno 2006, n. 3534, C.G.A. 12 novembre 2009, n. 929; T.A.R. Sicilia, sez. II, 6 aprile 2009, n. 661).
Ora, nella fattispecie in esame, l’impugnata ordinanza di demolizione n.7 del 09/12/2005 è motivata con riferimento alla delibera consiliare n.10 del 20/04/2001 – recante il regolamento per l’installazione di stazioni radio base – “ in base alla quale l’installazione della stazione radio base di che trattasi non risulta ammissibile “.
Appare evidente anzitutto che il provvedimento – come pure si duole la ricorrente, col 5° motivo – non tiene conto del fatto che si tratta non di un nuovo impianto, bensì di lavori di adeguamento di stazione radio base esistente e quindi già autorizzata.
Ma, oltre a ciò, va principalmente detto che il regolamento in questione, pone tra le condizioni per il conseguimento dell’autorizzazione, che l’impianto “ disti dal perimetro del centro edificato delimitato con delibera G.M. n.201 del 20/03/1996 non meno di 500,00 ml; “ e che “ Disti dai fabbricati esistenti non meno di ml. 200,00 “.
Tali prescrizioni si risolvono, sostanzialmente, in un generalizzato divieto di localizzazione di impianto UMTS ( nell’intero perimetro del centro abitato ) e nella introduzione di una distanza fissa, per la collocazione dell’opera, sicchè la disposizione deve ritenersi illegittima e va annullata, unitamente – per illegittimità derivata – alla determinazione dirigenziale n. 7 del 09/12/2005.
2.2. La domanda di risarcimento dei danni deve essere rigettata in quanto formulata in modo labiale e generico in violazione del principio dell'onere della prova di cui all'art. 2697 c.c. dal quale essa è regolata, e in base al quale chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, per cui grava sul danneggiato l'onere di provare, ai sensi del citato articolo, tutti gli elementi costitutivi della domanda di risarcimento del danno per fatto illecito (danno, nesso causale e colpa); sicché il risarcimento del danno non è una conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale, richiedendo la positiva verifica, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, della sussistenza della colpa o del dolo dell'Amministrazione e del nesso causale tra l'illecito e il danno subito ( cfr. ex plurimis, Consiglio Stato , sez. V, 15 settembre 2010 , n. 6797).
3.Le spese del giudizio si possono compensare tra le parti, a ciò sussistendo valide ragioni, anche in relazione alla natura della controversia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla, per quanto di ragione, i provvedimenti impugnati.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente
Cosimo Di Paola, Consigliere, Estensore
Roberto Valenti, Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Va motivata in modo specifico la reiterazione di precedenti vincoli urbanistici

Tar Catania, Sez. I, sentenza del 7 marzo 2011, n. 555
Data: 
08/03/2011
Materia: 
Vincoli urbanistici

Anche in caso di reiterazione "in blocco" permane l'obbligo di adeguata motivazione poiché una mancata utilizzazione dei fondi, nonostante il vincolo di destinazione, può essere giustificata quando non si sia protratta in maniera significativa nel tempo. Diversamente, la reiterazione del vincolo, a fronte della precedente prolungata inerzia, appare, ove diversamente non espressamente chiarito, del tutto ingiustificata.

 

 


N. 00555/2011 REG.PROV.COLL.

N. 01581/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1581 del 2005, proposto da:
Fornaro Maria Grazia, rappresentata e difesa dall'avv. Claudio Rugolo, con domicilio eletto presso la Segreteria del Tar;

contro

Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente, Dipartimento Urbanistica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria presso gli uffici di Catania, Via vecchia Ognina n. 149;
Comune di Villafranca Tirrena (Me), rappresentato e difeso dall'avv. Carmelo Briguglio, con domicilio eletto presso la Segreteria del Tar;

- del D.D. n. 104 del 21.02.2005 con il quale il Dipartimento Regionale Urbanistica ha approvato il PRG, le prescrizioni esecutiva ed il regolamento edilizio del Comune di Villafranca Tirrena;

- della deliberazione del C.C. di Villafranca Tirrena n. 76/1999, n. 18/2000, di adozione della variante generale, n. 52/2001 di rigetto delle osservazioni, n. 42/2004 e n. 43/2004,

- di ogni altro atto o provvedimento precedente, successivo o connesso

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Villafranca Tirrena (Me);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2011 il dott. Francesco Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La ricorrente si dichiara proprietaria di un lotto di terreno esteso per mq 3.300 sito nel centro di Villafranca Tirrena per il quale il precedente PRG del 1983 stabiliva la destinazione “Bsp - spazio pubblico” con vincolo preordinato alla espropriazione.

Scaduti i vincoli espropriativi a causa della mancata realizzazione delle relative opere, sul lotto in esame è stata rilasciata nel 1996 una concessione edilizia per la costruzione di un immobile.

Successivamente, è stato adottato nel 1999/2000 il nuovo PRG cittadino, poi approvato con D.D. regionale n. 104/2005, che ha confermato nel lotto in questione la precedente destinazione a servizi pubblici (in particolare, attrezzature di servizio residenziale – verde pubblico).

Avverso la nuova destinazione urbanistica impressa all’area in questione la ricorrente ha ritualmente proposto il gravame in epigrafe deducendo:

1- violazione di legge ed eccesso di potere;

viene precisato che, tenendo presente il rilascio della concessione edilizia del 1996 e la realizzazione della corrispondente costruzione, il C.R.U. ha accolto l’osservazione presentata dalla ricorrente al nuovo PRG riconoscendo la destinazione di Zona B per l’area in questione. Per contro, il Comune ha inteso limitare tale destinazione “B” alla sola superficie del fabbricato (esteso per mq 72), senza applicarla all’intero lotto; ed anzi, ha proposto sul sito in questione la realizzazione di una piscina intercomunale proposta dalla Provincia;

2- violazione di legge ed eccesso di potere;

si denuncia che la destinazione imposta col nuovo strumento urbanistico si traduce in un sostanziale svuotamento del diritto di proprietà ed in una significativa riduzione del valore del bene, e costituisce una inammissibile reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio;

3- violazione di legge – difetto di motivazione - eccesso di potere;

prendendo le mosse dalla qualificazione sostanzialmente espropriativa del vincolo di destinazione imposto al terreno, si deduce l’illegittimità della reiterazione della destinazione urbanistica per mancanza di esplicita e specifica motivazione;

4- violazione di legge - eccesso di potere – illogicità manifesta – travisamento;

si deduce, sotto altro profilo, l’illegittimità della destinazione urbanistica impressa tenuto conto del fatto che l’ambito territoriale in cui ricade il lotto sarebbe abbondantemente servito da infrastrutture idonee a garantire un elevato grado di qualità della vita (asili, scuole, edifici di culto, centri sociali, uffici comunali, aree a verde pubblico ed impianti sportivi);

5- violazione di legge ed eccesso di potere;

gli atti impugnati sarebbero illegittimi per mancata previsione dell’indennizzo spettante al proprietario del fondo ai sensi dell’art. 39 del D.P.R. 327/2001.

Si sono costituiti in giudizio per resistere al ricorso sia l’A.R.T.A., sia il Comune di Villafranca Tirrena.

In vista dell’udienza il Comune resistente e la ricorrente hanno presentato memorie e documenti.

All’udienza del 13 gennaio 2011 la causa è stata introitata per la decisione.

DIRITTO

1. il primo motivo di ricorso in realtà, più che una censura, contiene una precisazione sull’evoluzione della vicenda, che serve a meglio comprendere le illegittimità denunciate di seguito.

2. I motivi nn. 2 e 3 vanno analizzati unitariamente, in quanto contengono le complementari argomentazioni di diritto sulle quali si articola una sola illegittimità.

In questi si premette, in particolare, che la destinazione urbanistica data in concreto al terreno in esame con il nuovo PRG è quella di zona F3 destinata a spazi pubblici di quartiere (edifici per l’istruzione; attrezzature collettive; parcheggi; verde attrezzato); si precisa che la diversa e nuova espressione lessicale usata nel PRG nasconde in sostanza la reiterazione del vincolo di destinazione a servizi pubblici già gravante sulla zona in forza del previgente strumento urbanistico; si deduce infine l’illegittimità della reiterazione del vincolo di destinazione a contenuto sostanzialmente espropriativo (scaduto per decorso del termine dettato dall’art. 2 della L. 1187/1968), e violazione dell’obbligo di specifica motivazione stabilito nella sentenza Corte cost. 179/1999.

Sul punto, il Comune si difende osservando che la destinazione imposta al lotto ha carattere comformativo del diritto di proprietà, ma non espropriativo. In secondo luogo, eccepisce che non sussiste un obbligo di specifica motivazione in ordine alla reiterazione del vincolo, dato che la ricorrente non si trova in quelle particolari condizioni (preesistente convenzione di lottizzazione; accordi di diritto privato intercorsi col Comune; giudicato di annullamento di diniego di concessione edilizia; ecc.) in presenza delle quali la giurisprudenza ritiene che possa sorgere una particolare aspettativa in capo al privato proprietario.

Il ricorso risulta fondato in base alle considerazioni che seguono.

In via preliminare, va chiarita la distinzione fra vincoli “conformativi” ed “espropriativi”, alla luce della nota sentenza della Corte costituzionale n. 179/1999, laddove si precisa che “Devono (…) essere considerati come normali e connaturali alla proprietà, quale risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti normalmente nei regolamenti edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica e relative norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto in relazione a talune opere pubbliche, i diversi indici generali di fabbricabilità ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee e simili.” e si aggiunge che “(…) sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l'alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene. Ciò può essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l'iniziativa economica privata - pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento. Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato.”.

Alla luce di quanto premesso, dunque, non ricorre lo schema del vincolo ablatorio allorquando la particolare conformazione data al territorio in sede di pianificazione urbanistica lasci spazio di intervento anche al privato, nel rispetto delle tipologie di opere che possono essere ivi realizzate, se ed in quanto queste non vengono riservate alla esclusiva competenza della mano pubblica. A titolo di esempio, se un’area viene destinata a parcheggio pubblico, la relativa struttura può essere realizzata sia dalla PA, sia per iniziativa del privato proprietario che potrà sfruttarla in regime di libero mercato al fine di trarne un beneficio economico (vendita, gestione diretta, ecc.). In tal caso, allora il vincolo “a parcheggio pubblico” costituisce espressione della mera potestà conformativa di cui la PA è titolare, e non ha natura espropriativa (Tar Firenze, 2012/2010; C. di S., IV, 1982/2010).

Viceversa, “sussiste un vincolo preordinato alla espropriazione le volte in cui la destinazione dell’area permetta la realizzazione di opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica, nel senso di riferita esclusivamente all’ente esponenziale della collettività territoriale. E, pertanto, nel caso (…) di parcheggi pubblici, strade e spazi pubblici, spazi pubblici attrezzati, parco urbano, attrezzature pubbliche per l’istruzione. In tali casi, evidentemente, l’utilizzatore finale dell’opera non può che essere l’ente pubblico di riferimento ed essa, in nessun caso, può essere posta sul mercato per soddisfare una domanda differenziata che, semplicemente, non esiste” (C.G.A. 19 dicembre 2008 n. 1113).

Avendo riguardo ad una destinazione analoga a quella che connota il caso in esame, recentemente il C.G.A. ne ha sottolineato la natura espropriativa affermando che “(…)la previsione pianificatoria che destina un’area privata ad attrezzatura scolastica é in funzione di servizi che la pubblica amministrazione è tenuta a rendere alla collettività e dunque di opere pubbliche che devono essere realizzate per soddisfare bisogni della collettività medesima. Parimenti, deve dirsi che la destinazione a parcheggio senza che ne sia prevista la gestione in capo al proprietario, implica che, anche se non può essere escluso che la gestione sia affidata a privati, l’eventuale scelta del gestore privato sarà conseguenza di apposita procedura di assegnazione e non costituisce una modalità di esplicazione dei diritti dominicali sulla proprietà incisa. L’una e l’altra ipotesi configurano dunque l’apposizione di un vincolo di natura espropriativo.” (C.G.A. n. 964/2010).

Chiarita, dunque, la natura espropriativa di una destinazione che preveda la realizzazione solo di edifici per l’istruzione, attrezzature collettive, parcheggi e verde attrezzato, occorre adesso specificare tre punti. Da una parte, tale destinazione risulta del tutto omologa a quella impressa con lo strumento urbanistico previgente che prevedeva la creazione in loco di “spazi pubblici”; dall’altra parte, il precedente vincolo di destinazione preordinato all’esproprio è da ritenere ormai decaduto per decorrenza del termine (art. 2 L. 1187/1968; ora art. 9 D.P.R. 327/2001). Infine, il nuovo PRG risulta aver disposto una sostanziale reiterazione del vincolo espropriativo gravante in precedenza sulla stesse aree.

Tale reiterazione, secondo l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi dopo la decisione dell’A.P. n. 7/2007, può essere legittimamente effettuata solo in forza di una specifica ed esauriente motivazione che ribadisca l’attualità dell’interesse alla destinazione, che dia conto delle ragioni per le quali quella destinazione non è stata realizzata, e che valuti la possibilità di collocare aliunde le opere previste, in modo da non gravare oltre misura sui proprietari che hanno già inutilmente subìto per diversi anni gli effetti di vincoli espropriativi ora decaduti, mai sfociati nella realizzazione delle opere, con conseguente erosione del valore commerciale dei loro fondi.

Decidendo una vicenda analoga nella quale il vincolo apposto con un precedente PRG era stato riproposto con variante, questa Sezione ha annullato per il rilevato difetto di motivazione la variante al PRG (cfr. sentenza Tar Catania, I, 748/2009), e la relativa decisione è stata condivisa anche dal giudice d’appello (cfr. C.G.A. 964/2010). In altra recente decisione (Tar Catania, I, 1084/2010) questa Sezione ha ribadito l’obbligo di specifica motivazione che assiste ogni reiterazione di precedenti vincoli urbanistici, anche se effettuata “in blocco”: <La questione della necessità di una motivazione specifica nel caso di reiterazione di detti vincoli, è stata già esaminata dalla Sezione nella sentenza n. 927 del 15 maggio 2008 nella quale è stato affermato che anche in caso di reiterazione "in blocco" permane l'obbligo di adeguata motivazione poiché "...una mancata utilizzazione dei fondi, nonostante il vincolo di destinazione, può essere giustificata quando non si sia protratta in maniera significativa nel tempo. Diversamente, la reiterazione del vincolo, a fronte della precedente prolungata inerzia, appare, ove diversamente non espressamente chiarito, del tutto ingiustificata". Anche il Consiglio di Giustizia per la Regione Siciliana, nella sentenza n. 1113/2008, discostandosi in parte dai principi espressi dall'Adunanza Plenaria, ha ribadito la necessità di una stringente ed esauriente motivazione sul perdurare dei vincoli preordinati all'espropriazione che "...deve estendersi non già ad una giustificazione del ritardo, ma ad una puntuale asserzione circa la sussistenza dell'interesse pubblico al rinvio dell'opera. Nel doveroso contemperamento di interessi, pubblico e privato, mentre per la prima adozione del PRG il richiamo agli standard è sufficiente per motivare l'imposizione dei vincoli nel quadro pianificatorio, in caso di reiterazione (e dunque di infruttuoso decorrere del tempo che la stessa Amministrazione si è imposta per il completamento del PRG) occorre dare ragione (oltre che della permanenza dell'interesse) anche alternativamente della sussistenza di casi di forza maggiore o impossibilità insuperabile che hanno impedito la realizzazione delle opere, ovvero dell'interesse pubblico specifico al rinvio di esse e dunque alla continuazione del vincolo. Non è, quindi, questione circa il riferimento ad una vasta area o alla reiterazione in blocco dei vincoli, quanto piuttosto al lasso di tempo per il quale si protrae la compressione del diritto di proprietà, che quindi, giustificata nell'an, diviene odiosa nel tempus e per ciò solo illegittima. Ciò, del resto, non è in contrasto con gli interessi pubblici sottesi all'individuazione degli standard cui i vincoli sono finalizzati, atteso che, in ogni caso, anche scaduto il vincolo, la P.A. può procedere alle usuali procedure di espropriazione per pubblica utilità, assumendosi l'onere, ovviamente, della doverosa e motivata dichiarazione di pubblica utilità e sottoponendosi alle procedure di legge, ma potendo altresì utilizzare, ove ne ricorrano i presupposti, la procedura per l'occupazione d'urgenza, ad evitare che, medio tempore, l'opera sia utilizzata dal proprietario in contrasto con la destinazione prevista...”>.

In conclusione, sulla base di quanto esposto, ed assorbendo le altre censure, il ricorso viene accolto per il rilevato difetto di motivazione in ordine alla scelta di reiterazione dei vincoli espropriativi impugnati, e salva la possibilità di adottare ulteriori ed adeguatamente motivati provvedimenti.

Per il principio di soccombenza, le amministrazioni resistenti sopporteranno le spese processuali liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, o accoglie per la ragioni di cui in motivazione, e per l’effetto annulla in parte qua gli atti impugnati.

Spese solidalmente a carico dell’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente e del Comune di Villafranca Tirrena, nella misura di Euro 2.000 oltre IVA, CPA. Spese generali e contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:

Biagio Campanella, Presidente

Salvatore Schillaci, Consigliere

Francesco Bruno, Primo Referendario, Estensore

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
    
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/03/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Il termine per l'impugnazione di una concessione edilizia non decorre dall'affissione del cartello di cantiere

Tar Palermo Sez. III, sentenza n. 400 del 7 marzo 2011
Data: 
07/03/2011
 

Ai fini della decorrenza dei termini per l'impugnazione di una concessione edilizia, occorre che le opere realizzate rivelino, in modo certo ed univoco, le caratteristiche delle opere stesse e, quindi, l'entità delle violazioni urbanistiche e della lesione eventualmente derivante dal provvedimento.
I dati contenuti nel cartello di cantiere non valgono a descrivere tutte le caratteristiche del progetto, soprattutto se si ha riguardo alla contestazione non già del titolo abilitativo in sé, quanto alla circostanza, rilevabile solo con il concreto avanzamento dei lavori e con la conoscenza completa di tutta la disciplina urbanistica concretamente applicata, del mancato rispetto della distanza dal confine



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1846 del 2010, proposto da:
Bertolino Giovanni, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni Immordino e Giuseppe Immordino, presso lo studio dei quali, in Palermo, Via Libertà n. 171, è elettivamente domiciliato;
contro
il Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Anna Maria Impinna, dell’Avvocatura Comunale dell’ente, e con domicilio eletto presso la sede della medesima Avvocatura Comunale in Palermo, piazza Marina n. 39;
nei confronti di
Virga Rosalia e Citati Sonia, rappresentate e difese dall'avv. Nunzio Pinelli, e con domicilio eletto presso lo studio dello stesso in Palermo, piazza Virgilio n. 4;
per l'annullamento
- della deliberazione n. 7 del 21.01.2004 del Consiglio Comunale di Palermo;
- dell’art. 7 della norme tecniche di attuazione al vigente P.R.G., nella parte in cui prevede nelle zone B0 la nuova edificazione anche “in aderenza”;
- della concessione edilizia n. 192 del 24.07.2009, e della concessione edilizia in variante n. 66 del 26.03.2010 prot. n. 236648, rilasciate dal Comune di Palermo;
- nonché degli atti tutti presupposti, connessi e consequenziali;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio delle controinteressate Virga Rosalia e Citati Sonia, con le relative deduzioni difensive;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Palermo;
Vista l’ordinanza cautelare n. 1019/2010;
Vista la documentazione prodotta dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Viste le memorie prodotte dal ricorrente e dal Comune di Palermo in vista della pubblica udienza;
Designato relatore alla pubblica udienza del 25 febbraio 2011 il Referendario Maria Cappellano;
Uditi i difensori delle parti costituite, presenti come da verbale;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
FATTO
A. – Con ricorso notificato il 21 ottobre 2010 e depositato il successivo 28 ottobre, il ricorrente ha impugnato le concessioni edilizie n. 192 del 24.07.2009 e n. 66 del 26.03.2010 prot. n. 236648, rilasciate dal Comune di Palermo alle odierne controinteressate, nonché la deliberazione n. 7 del 21.01.2004 del Consiglio Comunale di Palermo, di presa d’atto dei decreti di approvazione del P.R.G., con particolare riferimento all’art. 7 delle norme tecniche di attuazione del vigente P.R.G., nella parte in cui prevede nelle zone B0 la nuova edificazione anche “in aderenza”.
Affida il ricorso alle seguenti censure:
1) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3 e 4 l.r. n. 71/78; del decreto dirigenziale n. 124/D.R.U. del 13.03.2002 e successiva rettifica con decreto n. 558 del 29.07.2002 – contraddittorietà - difetto di motivazione e di istruttoria – sviamento dalla causa tipica.
L’art. 7 delle Norme tecniche di attuazione, come modificato dalla deliberazione consiliare n. 7/2004, parimenti impugnata, si pone in contrasto con le prescrizioni stabilite nei menzionati decreti regionali di approvazione del P.R.G., e contiene una modifica per le zone B0 avvenuta solo in sede di “presa d’atto”, mentre la stessa avrebbe dovuto seguire l’iter procedimentale della variante urbanistica.
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 3, punto 24, lett. A, del Regolamento Edilizio.
L’art. 7 delle N.T.A. si presenta illegittimo anche per contrasto con l’art. 3, punto 24, del regolamento edilizio, nella parte in cui prescrive che “la distanza minima di una costruzione dal confine di proprietà o dal limite di zona non può essere inferiore a 1/3 di Hf max corrispondente e comunque non inferiore a metri 5”.
3) Invalidità derivata.
I vizi della deliberazione n. 7/2004 e dell’art. 7 delle NTA si riverberano sulla concessione edilizia in variante n. 66/2010, invalidandola.
4) Violazione e falsa applicazione degli artt. 1 l. n. 10/1977 e 36 l.r. n. 71/78 e delle vigenti disposizioni comunali in materia urbanistica; del decreto dirigenziale n. 124/D.R.U. del 13.03.2002 e successiva rettifica con decreto n. 558 del 29.07.2002 – eccesso di potere per erroneità dei presupposti – difetto di istruttoria – contraddittorietà con la licenza edilizia n. 50 del 15.01.1963.
Le concessioni edilizie impugnate sono illegittime in quanto emesse sulla base di un errato presupposto (quello della sanabilità di una dependance esistente), atteso che detta opera, non prevista nel progetto originario, non sarebbe sanabile, secondo il criterio della cd. doppia conformità.
B. – Con memoria notificata al Comune di Palermo, si sono costituite in giudizio le controinteressate, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per asserita tardività dell’impugnazione delle concessioni edilizie, e chiedendo, a supporto di detta eccezione, di essere ammesse a provare, con prova per testi, i contatti intercorsi con il ricorrente; nel merito, hanno avversato il ricorso, sostenendo che la contestata integrazione all’art. 7 delle N.T.A. è derivata dall’accoglimento di un’osservazione, che proponeva l’inserimento nell’art. 8, comma 3, di un ulteriore punto f), che consentisse le costruzioni anche in aderenza; mentre, in ordine alla dependance, hanno sostenuto l’inserimento nel progetto originario a suo tempo approvato.
Con la medesima memoria hanno chiesto all’amministrazione comunale il risarcimento dei danni, che deriverebbero dall’arretramento del corpo di fabbrica realizzato in conformità alle autorizzazioni ricevute, chiedendo, per la relativa liquidazione, l’ammissione di apposita consulenza tecnica d’ufficio.
C. – Con memoria depositata in vista dell’adunanza camerale, parte ricorrente ha replicato alle eccezioni ed argomentazioni avversarie, insistendo per l’accoglimento dell’istanza cautelare.
D. – Si è costituita in giudizio l’amministrazione comunale intimata.
E. – Con ordinanza n. 1019 del 19.11.2010 è stata accolta la domanda cautelare proposta in seno al ricorso e fissata la data di discussione del ricorso nel merito.
F. – Le parti costituite hanno supportato le relative posizioni con la produzione di documentazione.
G. – In vista della discussione nel merito, il ricorrente e il Comune di Palermo hanno prodotto memorie difensive, insistendo il primo per l’accoglimento del ricorso; il secondo, previa eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, per il rigetto e, comunque, per la reiezione anche della domanda di risarcimento dei danni formulata dalle controinteressate, sostenendo, in particolare, il concorso di colpa delle predette.
Parte ricorrente, con apposita memoria di replica, ha controdedotto alle difese della resistente amministrazione.
H. – Alla pubblica udienza di discussione i procuratori delle parti costituite hanno insistito nelle rispettive tesi difensive ed il ricorso, su conforme richiesta degli stessi, è stato posto in decisione.
DIRITTO
A. – Vanno preliminarmente prese in esame l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dalle controinteressate, e quella, di inammissibilità, sollevata dal Comune di Palermo per dedotta carenza di interesse a ricorrere.
A.1. – In ordine alla prima, parte controinteressata eccepisce la tardività del ricorso, sostenendo che, quantomeno dalla prima metà del mese di giugno 2010, parte ricorrente avrebbe disposto di tutte le informazioni per proporre ricorso.
L’eccezione è da respingere.
Va premesso che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, “ai fini della decorrenza dei termini per l'impugnazione di una concessione edilizia, occorre che le opere realizzate rivelino, in modo certo ed univoco, le caratteristiche delle opere stesse e, quindi, l'entità delle violazioni urbanistiche e della lesione eventualmente derivante dal provvedimento.
La validità del principio è peraltro correlata all'esistenza di circostanze concrete che, sole, possono orientare per una valutazione di sufficiente "conoscenza" o meno; ciò in ragione, anche, del carattere "rigoroso" che deve rivestire la prova della tardività (che fa carico, ovviamente, al soggetto che la eccepisce), siccome preclusiva dell'esercizio del diritto di azione” (cfr. Consiglio di Stato, IV, 23 luglio 2009, n. 4616; nello stesso senso: Consiglio di Stato, V, 23 maggio 2000, n. 2983; T.A.R. Sardegna, II, 19 febbraio 2010, n. 191; T.A.R. Liguria, I, 25 gennaio 2010, n. 192).
Nel caso in esame, parte controinteressata indica a sostegno dell’eccezione i seguenti elementi: i lavori sarebbero iniziati il 27.04.2010, previa apposizione del cartello; vi sarebbero state delle riunioni anche con il ricorrente, nonché una corrispondenza via mail.
Quanto al primo elemento, va notato che i dati contenuti nel cartello di cantiere non valgono a descrivere tutte le caratteristiche del progetto, soprattutto se si ha riguardo, come nel caso in specie, alla contestazione non già del titolo abilitativo in sé, quanto alla circostanza, rilevabile solo con il concreto avanzamento dei lavori e con la conoscenza completa di tutta la disciplina urbanistica concretamente applicata, del mancato rispetto della distanza dal confine; quanto al secondo elemento – riunioni e corrispondenza via mail – di tali elementi non viene offerta alcuna prova documentale, non essendovi in atti né copia delle citate mail, né indicazione di eventuali date.
Quanto alla richiesta prova per testi, la stessa non può trovare ingresso nel presente giudizio, in quanto sarebbe destinata a supplire ad una difettosa prova rigorosa della tardività, la quale, se provata, andrebbe ad inibire l’esercizio del diritto di difesa.
Inoltre, pur ammettendo, in tesi, che, attraverso la prova per testi possa essere confermata la partecipazione a riunioni sull’argomento relativo alla legittimità della prevista costruzione in aderenza, e alla conformità delle concessioni edilizie alle vigenti norme tecniche di attuazione – detto elemento non varrebbe, ad avviso del Collegio, a dimostrare la tardività del gravame.
Invero, l’esito di dette riunioni avrebbe potuto indurre, in un primo tempo, parte ricorrente a non ravvisare alcun profilo di illegittimità degli atti concessori, atteso che – questo è un dato certo – le concessioni edilizie, quanto alla distanza, sono applicative dell’art. 7 delle N.T.A.
Quindi, è solo nel momento in cui la parte ricorrente ha potuto verificare l’illegittimità dell’art. 7, come approvato con la deliberazione n. 7/2004 e, quindi, l’illegittimità della concessione in variante, che è cominciato a decorrere il termine decadenziale: e di tale momento di conoscenza in capo al ricorrente, le controinteressate non forniscono alcuna prova.
Pertanto, poiché grava su chi eccepisce la tardività di una impugnazione fornire una prova rigorosa, ritiene il Collegio che le controinteressate non abbiano fornito alcun concreto elemento, da cui possa desumersi la conoscenza, in un determinato spazio temporale, delle effettive caratteristiche dell’opera e, soprattutto, della sua non conformità alla disciplina urbanistica approvata in sede regionale.
A.2. – In ordine alla carenza di interesse eccepita dal Comune di Palermo, anche detta eccezione è da respingere.
Ed invero, a prescindere dalla genericità con cui è stata formulata, la suddetta eccezione si infrange con il dato, documentato dal ricorrente, consistente nell’essere il predetto proprietario di un terreno edificabile in zona B1 e posto sul limite di zona, in ordine al quale l’art. 8 delle norme tecniche di attuazione non prevede alcuna possibilità di costruire in aderenza.
B. – Nel merito, il ricorso è fondato limitatamente alle censure mosse avverso l’art. 7 delle N.T.A. e alla concessione edilizia in variante n. 66/2010, nella parte in cui è assentita la costruzione in aderenza – e, corrispondentemente, per tale parte deve trovare accoglimento.
B.1. – Merita, in particolare, adesione il primo motivo.
Assume parte ricorrente l’invalidità derivata, per dedotta illegittimità dell’art. 7 delle N.T.A., della menzionata concessione edilizia in variante, in quanto con detti atti l’amministrazione comunale ha assentito una costruzione in aderenza al muro di confine – nonché di delimitazione di zona – anziché nel rispetto della distanza minima di mt 5.
Sono contestate le N.T.A. di cui il Comune ha fatto applicazione – art. 7 – e, in particolare, la deliberazione consiliare n. 7/2004, nella parte in cui è stato modificato il citato art. 7, prevedendo tale possibilità di costruzione in aderenza nelle zone B0, in quanto ritenute in contrasto con la variante generale al P.R.G. approvata con il decreto regionale n. 124/D.R.U. del 13.03.2002, successivamente rettificato con decreto n. 558 del 29.07.2002.
Replicano le controinteressate che detta integrazione all’art. 7 delle N.T.A. è derivata dall’accoglimento di un’osservazione, che proponeva l’inserimento di un ulteriore punto f) nell’art. 8, comma 3, delle medesime norme, che consentisse le costruzioni anche in aderenza; con la conseguenza che la possibilità di costruire in aderenza sarebbe stata resa possibile, con l’accoglimento di detta osservazione, non solo per le zone B2 e B3, ma anche per la zona B0.
La prospettazione attorea va condivisa.
L’art. 4 della l.r. n. 71/1978 - Approvazione del piano regolatore generale – stabilisce che “Il piano regolatore generale è approvato con decreto dell'Assessore regionale per il territorio e l'ambiente. L'Assessore adotta le proprie determinazioni entro centottanta giorni dalla presentazione del piano all'Assessorato.
Con il decreto di approvazione possono essere apportate al piano le modifiche di cui all'art. 3 della legge 6 agosto 1967, n. 765, quelle necessarie per assicurare l'osservanza delle vigenti disposizioni statali e regionali, ivi comprese quelle della presente legge”.
La procedura di approvazione dei piani regolatori, e delle sue varianti, è minuziosamente disciplinata dal legislatore regionale, e prevede l’intervento dell’assessore regionale al ramo, cui compete, per espressa disposizione normativa, l’ultima parola, anche in termini di modifiche, sullo strumento urbanistico; di talché, qualsiasi variazione alle prescrizioni, come approvate in sede regionale, non può che ripercorrere il medesimo iter già sviluppato e definito per l’approvazione dello strumento, che si intende variare.
Ciò premesso sul piano normativo, va rilevato che il contestato art. 7 – il quale disciplina le zone B0 – prescrive, per quanto di interesse, che la nuova edificazione è ammessa…con i distacchi stabiliti dall’art. 8, comma 3 sub d) ed e) o in aderenza…
Dall’esame dei due decreti regionali citati, si evince chiaramente che l’inserimento dell’espressione “o in aderenza” è stato previsto dal decreto 29 luglio 2002, n. 558, con specifico riferimento solo a quanto previsto per le zone B2 e B3; poi, in sede di adozione, da parte del Comune, di tutte le correzioni agli atti e agli elaborati del P.R.G. (e connesse prescrizioni esecutive), l’espressione “o in aderenza” viene (illegittimamente) inserita nell’art. 7 (zona B0), in aggiunta al rinvio all’art. 8 comma 3.
Ne consegue che la modifica apportata all’art. 7 della N.T.A. – a prescindere dalla sua non conformità alle prescrizioni contenute nel decreto approvativo della variante generale al P.R.G. – non avrebbe potuto essere adottata che con le forme di apposita variante urbanistica dal Consiglio Comunale, e non già – come è accaduto – in sede di mera “presa d’atto”.
Quanto al rilievo delle controinteressate, nota il Collegio che l’osservazione n. 49, cui le predette fanno riferimento, si limitava a proporre l’inserimento di una lettera f) nel comma 3 dell’art. 8 – il quale disciplina la zona B1, e non già la zona (B0b) in cui ricade l’area delle controinteressate - al fine di consentire la costruzione, non già in aderenza (qual è il caso a mani), bensì anche “a confine” con parete non finestrata; modifica, peraltro, concretamente non apportata al predetto art. 8 delle NTA.
Non vale a scalfire quanto finora rilevato il tenore della documentazione prodotta dalle controinteressate in data 04.01.2011, atteso che:
- quanto alla circolare del 25.02.2005 del Capo Area Tecnica pro tempore, è fin troppo agevole rilevare che tale strumento, per quanto ampiamente utilizzato nella prassi delle pubbliche amministrazioni, non può apportare alcuna modifica alla disciplina urbanistica, non avendo alcun valore normativo o provvedimentale;
- quanto alla deliberazione di C.C. n. 125/2006, la stessa si limita a ribadire – e non potrebbe essere diversamente - che le previsioni urbanistiche vigenti sono quelle risultanti dai decreti regionali di approvazione; precisando, tra l’altro, di prendere atto della circolare appena menzionata per le parti che non determinano varianti allo strumento urbanistico (cfr. punto 3 della parte dispositiva).
B.2. – La rilevata illegittimità dell’art. 7 delle norme tecniche di attuazione, nel testo modificato dalla deliberazione n. 7/2004, comporta – a prescindere dalla questione relativa al rapporto tra le stesse N.T.A. e il regolamento edilizio – l’applicabilità al caso in specie - in cui viene in rilievo un limite di zona - dell’art. 3, punto 24, lettera a), del regolamento edilizio, il quale prevede una distanza minima di una costruzione dal confine di proprietà o dal limite di zona non inferiore a mt 5; prescrizione, la quale risulta, peraltro, coerente con quanto stabilito dall’art. 8, comma 3, delle citate N.T.A..
Che il confine tra i due lotti costituisca limite di zona costituisce, del resto, circostanza di fatto documentata e non contestata.
B.3. – La rilevata illegittimità dell’art. 7 delle NTA, nel testo modificato dalla deliberazione n. 7/2004, oltre a comportare l’annullamento in parte qua dell’art. 7 citato e della deliberazione n. 7/2004, determina l’accoglimento del terzo motivo e, quindi, l’annullamento in parte qua della concessione edilizia in variante n.66/2010, limitatamente alla previsione della costruzione in aderenza.
C. – Va, invece, respinto il quarto motivo.
Dall’esame degli elaborati progettuali di cui alla concessione edilizia originaria (n. 50 del 15.01.1963), si evince la realizzazione, approvata in uno all’intero progetto a suo tempo proposto, di un garage – altrimenti definito “autorimessa” (cfr. nota Prefettura n. 708/1963) – con relativo piano rialzato.
Quanto alla dedotta non assentibilità del manufatto – di cui le controinteressate hanno chiesto il cambio di destinazione d’uso da garage di piano terra in abitazione – la relativa censura si presenta inammissibile, in quanto non è stata impugnata l’originaria concessione edilizia n. 50/1963.
Va rilevato, per completezza, che, su tale censura, parte ricorrente non ha insistito con la memoria conclusiva.
D. – Il ricorso deve pertanto essere accolto nei limiti di cui sopra e, per l’effetto, vanno annullati: 1) l’art. 7 delle norme tecniche di attuazione, 2) la deliberazione n. 7/2004; entrambi, limitatamente alla parte in cui è prevista la costruzione in aderenza per la zona B0; 3) la concessione edilizia in variante n. 66/2010, limitatamente alla previsione della costruzione in aderenza.
E. – Va respinta la domanda di risarcimento dei danni proposta dalle controinteressate, in quanto le predette, benché onerate ai sensi dell’art. 2697 c.c., hanno formulato la domanda in modo generico, senza fornire alcuna prova in ordine all'esistenza e all'entità di un effettivo pregiudizio patrimoniale (ex plurimis: Consiglio di Stato, VI, 4 agosto 2009, n. 4905; 23 giugno 2006, n. 4009; T.a.r. Lazio, Roma, I, 13 febbraio 2009, n. 1445; T.a.r. Campania, Napoli, VII, 4 aprile 2008, n. 1876).
F. – Quanto alla pronuncia sulle spese, attesa la parziale reciproca soccombenza, ritiene il Collegio, in applicazione dell’art. 57 c.p.a., fermo restando quanto stabilito per la fase cautelare, di condannare il Comune di Palermo al pagamento delle spese della presente fase di giudizio, che liquida in favore del ricorrente in complessivi € 1.000,00 (euro mille/00), oltre oneri accessori come per legge.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti specificati in motivazione e, per l’effetto, annulla, nei corrispondenti limiti, i provvedimenti nella stessa motivazione specificati.
Condanna il Comune di Palermo al pagamento delle spese della presente fase di giudizio, che liquida in favore del ricorrente in complessivi € 1.000,00 (euro mille/00), oltre oneri accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Calogero Adamo, Presidente
Federica Cabrini, Consigliere
Maria Cappellano, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/03/2011
IL SEGRETARIO

La mancanza dei documenti richiesti per la concessione del condono edilizio impedisce il formarsi del silenzio assenso?

Tar Catania, Sez. I, sentenza del 7 marzo 2011, n. 557
Data: 
07/03/2011
Materia: 
Sanatoria

La mancanza dei documenti richiesti per la concessione del condono edilizio non impedisce il perfezionamento dell'assenso per silenzio fino al momento in cui gli stessi vengano prodotti.

La produzione dei documenti, infatti, non costituisce requisito per la formazione del silenzio assenso; diversamente, la legge avrebbe espressamente previsto la formazione del silenzio assenso decorsi 24 mesi dalla presentazione della domanda munita di tutti gli allegati ad eccezione unicamente nell'ipotesi di immobili vincolati, nel qual caso il termine decorre dal rilascio del nulla osta degli enti di tutela, con conseguente procedibilità ed ammissibilità della domanda ancorché carente documentalmente (TAR Catania, I, 20 gennaio 2004 n. 49; 11.3.2005, n. 418). (…) Il silenzio assenso così formatosi può essere rimosso solo mediante l'esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte del Comune (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 marzo 1997, n. 286), misura di autotutela che consente di contemperare il ripristino della legalità con l'esigenza, pure avvertita dal legislatore, di rendere effettivamente praticabile l'istituto del silenzio accoglimento (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 7 dicembre 1995, n. 1672).” (Tar Catania, I, 1633/2007).

 

 

 


 

N. 00557/2011 REG.PROV.COLL.

N. 02589/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

sezione staccata di Catania (Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2589 del 2006, proposto da:
Distefano Rosa Adalgisa e Distefano Maria Giuseppa, rappresentati e difesi dagli avv. Paolo Calabretta e Margherita Cardillo, con domicilio eletto presso avv. Paolo Calabretta, in Catania, via G. D'Annunzio, 125;

contro

Comune di Sant'Agata Li Battiati (Ct), rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Trimboli, con domicilio eletto presso avv. Salvatore Trimboli in Catania, via Grotte Bianche, 117;

per l'annullamento

del provvedimento prot. 1542 del 21.06.2006, con il quale il Comune di S. Agata Li Battiati ha richiesto il pagamento integrativo dell’oblazione, maggiorato di interessi, ed il versamento degli oneri concessori in relazione alla pratica di sanatoria edilizia pendente;

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Sant'Agata Li Battiati (Ct);

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 gennaio 2011 il dott. Francesco Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il Sig. Distefano Antonino – dante causa delle odierne ricorrenti Distefano Adalgisa e Distefano Maria Giuseppa – aveva presentato in data 30 settembre 1986 domanda di concessione edilizia in sanatoria ex L.R. 37/1985 per un abuso edilizio realizzato nel Comune di S. Agata li Battiati, via A. di Sangiuliano n. 50/g. Dopo la presentazione della domanda è stata anche versata al Comune la somma presuntivamente dovuta quale oblazione, quantificata in Euro 1.044,28.

Con l’impugnato provvedimento prot. 1542 del 21.06.2006, indirizzato alle signore Distefano (medio tempore divenute proprietarie dell’immobile), il Comune ha richiesto il versamento di Euro 5.307,03 a titolo di integrazione dell’oblazione e di interessi sulla residua somma dovuta; di Euro 1636,85 a titolo di contributi per il rilascio della concessione (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione); di Euro 61,98 per diritti di segreteria relativi al rilascio del titolo in sanatoria.

Avverso tale determinazione è stato ritualmente proposto il ricorso in epigrafe, col quale si denunciano i seguenti vizi:

1.- Prescrizione del diritto al conguaglio dell’oblazione ex art. 35 L. 47/1985 – prescrizione del diritto al contributo di concessione – violazione e falsa applicazione dell’art. 35 della L. 47/1985 – carenza di potere – eccesso di potere per difetto di presupposti – violazione e falsa applicazione dell’art. 37 L. 47/1985, dell’art. 11 della L. 10/1977 – violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della L . 241/90;

In sintesi, si eccepisce l’avvenuta prescrizione del diritto dell’ente pubblico ad operare il conguaglio delle somme dovute a titolo di oblazione e di richiedere il pagamento di quelle dovute come contributo di concessione;

2.- Violazione e falsa applicazione dell’art. 35 della L. 47/985 – violazione dell’art. 97 Cost. – violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della L. 241/90;

Si deduce che il provvedimento di concessione in sanatoria si sarebbe formato per silenzio/assenso, e che di conseguenza nessuna pretesa economica ulteriore potrebbe essere vantata dal Comune, anche ove la documentazione presentata a corredo dell’istanza non fosse del tutto completa;

3.- violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 1, della L. 241/90 – eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione ovvero della violazione dell’art. 97 Cost.;

In via subordinata, gli interessi sull’oblazione non sarebbero dovuti dato che il Comune solo ora ha richiesto il pagamento del conguaglio.

Le ricorrenti hanno concluso per l’annullamento della nota impugnata e per la condanna del Comune a rilasciare il provvedimento di sanatoria, in ragione dell’avvenuta formazione del silenzio/assenso.

Il Comune di S. Agata li Battiati si è costituto in giudizio per resistere con memoria meramente formale, nella quale eccepisce anche l’inammissibilità del ricorso nella parte in cui postula un comando giudiziale che imponga il rilascio del titolo edilizio.

Il ricorso risulta fondato e va conseguentemente accolto.

Corretta risulta, infatti, la ricostruzione dei ricorrenti secondo la quale il diritto ad operare il conguaglio dell’oblazione si sarebbe prescritto per decorso del termine triennale previsto dall’art. 35 della L. 47/1985 (che trova applicazione in Sicilia in virtù del recepimento operato con l’art. 1 della L.R. 37/1985). Invero, tale disposizione stabilisce che “Trascorsi trentasei mesi [dalla presentazione della domanda, n.d.r.] si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti”. Le modalità applicative concrete di tale norma sono state approfonditamente analizzate da questa Sezione in decisioni precedenti, nelle quali si è precisato che “Per il procedimento [di sanatoria edilizia, n.d.r.] del 1985, proprio perché non collegato, come chiarito, alla necessaria esibizione documentale, il termine prescrizionale decorre dal deposito della domanda, purché corredata dell’importo autoliquidato a titolo di oblazione. Ed invero, in questo ultimo senso, la prescrizione, riferendosi, come chiarito, al mero conguaglio, non può non presupporre l’intervenuto pagamento dell’importo autoliquidato, la cui mancanza rende improcedibile lo stesso procedimento di condono.” (Tar Catania, I, 1987/2007).

Analogamente, risulta fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dalle ricorrenti e riferita al credito vantato dal Comune per gli oneri concessori dovuti; al riguardo la giurisprudenza è concorde nell’assoggettare tale credito al regime di prescrizione ordinaria decennale: “il ricorrente ha dedotto l’illegittimità della richiesta dell’ulteriore integrazione a titolo di oneri concessori. Al riguardo é sufficiente ribadire le motivazioni appena prospettate sub III, con la precisazione, che neanche con il regime procedurale della l. 47/85 si é mai dubitato che operi la prescrizione decennale del conguaglio, stante che il termine breve, come chiarito, riguarda la sola oblazione.” (Tar Catania, I, 1633/2007; analogamente Tar Lecce, 3820/2005); “La prescrizione degli oneri concessori soggiace all'ordinario termine decennale di prescrizione, decorrente dall'atto del rilascio della concessione.” (Tar Lecce, 3394/2004).

A margine va solo chiarito che la prescrizione è da considerare maturata sia se il relativo termine viene fatto decorrere dalla data di presentazione della domanda di sanatoria; sia se si ha riguardo al momento in cui si è formato tacitamente il titolo edilizio richiesto. A tale ultimo riguardo, infatti, va chiarito che – come si postula nel secondo motivo di ricorso – la concessine in sanatoria si è formata per silentium, essendo decorsi i ventiquattro mesi prescritti a tal fine dall’art. 35 della L. 47/1985, che decorrono dal momento di presentazione della domanda, a nulla rilevando l’eventuale incompletezza della documentazione presentata. Questa Sezione ha già avuto modo di precisare infatti che: “Secondo la prima disposizione [art. 35 della L. 47/1985, n.d.r.], la mancanza dei documenti richiesti per la concessione del condono edilizio non impedisce il perfezionamento dell'assenso per silenzio fino al momento in cui gli stessi vengano prodotti.

La produzione dei documenti, infatti, non costituisce requisito per la formazione del silenzio assenso; diversamente, la legge avrebbe espressamente previsto la formazione del silenzio assenso decorsi 24 mesi dalla presentazione della domanda munita di tutti gli allegati ad eccezione unicamente nell'ipotesi di immobili vincolati, nel qual caso il termine decorre dal rilascio del nulla osta degli enti di tutela, con conseguente procedibilità ed ammissibilità della domanda ancorché carente documentalmente (TAR Catania, I, 20 gennaio 2004 n. 49; 11.3.2005, n. 418). (…) Il silenzio assenso così formatosi può essere rimosso solo mediante l'esercizio del potere di annullamento di ufficio da parte del Comune (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 24 marzo 1997, n. 286), misura di autotutela che consente di contemperare il ripristino della legalità con l'esigenza, pure avvertita dal legislatore, di rendere effettivamente praticabile l'istituto del silenzio accoglimento (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 7 dicembre 1995, n. 1672).” (Tar Catania, I, 1633/2007).

Alla luce di quanto esposto, ed assorbita la terza censura (formulata, peraltro, in via subordinata) il ricorso va accolto col favore di spese per le ricorrenti.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Spese a carico del Comune resistente nella misura di Euro 1.500, oltre IVA, CPA, spese generali e contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 27 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:

Biagio Campanella, Presidente

Salvatore Schillaci, Consigliere

Francesco Bruno, Primo Referendario, Estensore

L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/03/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Sussiste la giurisdizione del g.o. in assenza di dichiarazione di pubblica utilitĂ 

Tar Catania, Sez. II, 25 febbraio 2011, n. 426
Data: 
25/02/2011
Materia: 
Espropriazione per pubblica utilitĂ 

La mancata pronuncia di dichiarazione di pubblica utilità radica, secondo stabile e condivisibile giurisprudenza, la giurisdizione del Giudice Ordinario (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 15 settembre 2010, n. 6861; Cass. civ., SU, 20 dicembre 2006 , n. 27190). L’assenza di dichiarazione di pubblica utilità rende infatti l’operato dell’amministrazione comportamento non riconducibile, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere (sul punto, Cons. Stato, AP, 30 luglio 2007, n. 9), circostanza invece richiesta dall’art. 133, comma 1, lett. g), cpa, per la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di espropriazione per pubblica utilità.

 

 


 

N. 00382/2003 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 382 del 2003, proposto da Zagari Angela, rappresentata e difesa dall'avv. Rosa Viviana Sidoti, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via Balduino, 25;
contro
il Comune di Pedara (CT), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Vittorio Giuseppe La Rosa, con domicilio eletto presso il suo studio in Catania, via A. De Curtis, 20;
per il risarcimento
dei danni per occupazione e irreversibile trasformazione di immobili, oltre interessi e rivalutazione.
 
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Pedara (CT);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 gennaio 2011 il dott. Diego Spampinato e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato il 21 gennaio 2003 e depositato il 4 febbraio 2003, la ricorrente espone:
- che con delibera n. 41 del 29 gennaio 1988, la GM del Comune di Pedara ha dichiarato la pubblica utilità del progetto “Lavori di sistemazione con allargamento della strada esterna comunale dalla contrada Serricciola alla contrada Ombra”;
- che con ordinanza n. 75 del 2 marzo 1990 il Sindaco del comune disponeva l'occupazione temporanea e d'urgenza degli immobili di cui al piano particellare di esproprio, fra cui parte di un'area di proprietà della ricorrente situata al foglio 26, particelle 223, 599, 601, e 626;
- che l'ordinanza, l'avviso di deposito e la comunicazione della data di immissione in possesso non sono state notificate alla ricorrente;
- di aver scoperto il mutamento del proprio terreno solo in data 25 agosto 1992;
- di avere presentato, a seguito di tale scoperta, denuncia ai carabinieri, e di avere proposto richiesta di risarcimento dei danni nei confronti del Comune;
- che con delibera n. 340 del 5 novembre 1992, la GM del Comune di Pedara ha approvato perizia di variante dei lavori ai sensi dell'articolo 23 LR 21/85 ed il nuovo piano particellare;
- che, secondo tale piano particellare, l'estensione delle aree di proprietà della ricorrente interessate dall'espropriazione risultavano pari a complessivi mq. 233: mq. 108 per la part. 223, mq. 30 per la part. 559, mq. 5 per la part. 601, e mq. 90 per la part. 626;
- che con delibera n. 521 del 9 novembre 1995, la GM del Comune di Pedara ha approvato la 3^ perizia dei lavori, senza modificare, per quanto di interesse, il piano particellare;
- che la GM del Comune di Pedara ha quindi approvato una 4^ perizia di assestamento, senza modificare, per quanto di interesse, il piano particellare;
- che con delibera n. 178 del 15 maggio 1997, la GM del Comune di Pedara ha approvato l'elenco definitivo delle ditte, delle aree e delle indennità di espropriazione;
- che, secondo l’elenco delle aree da espropriare di cui alla delibera 178/97, l'estensione delle aree di proprietà della ricorrente interessate dall'espropriazione risultavano pari a complessivi mq. 950, con una differenza di mq. 717 rispetto al piano particellare ci cui alla delibera 340/92;
- che il Comune ha illegittimamente occupato ed irreversibilmente trasformato, per effetto di un progetto approvato con delibera GM n. 126 del 7 aprile 1997, un’altra area di sua proprietà, situata in Pedara all’incrocio di via A. De Gasperi con via D’Annunzio, senza che vi sia stata dichiarazione di pubblica utilità.
Tanto premesso, la ricorrente chiede condannarsi il Comune di Pedara al risarcimento dei danni derivanti dalla irreversibile trasformazione dei terreni di sua proprietà, sostenendo (per quanto riguarda le citate particelle 223, 599, 601, e 626), che sia illegittimo, in difetto di nuova dichiarazione di pubblica utilità, espropriare aree di ampiezza maggiore di quella a suo tempo individuata con il provvedimento dichiarativo della pubblica utilità, e (per quanto riguarda l’area situata all’incrocio di via A. De Gasperi con via D’Annunzio) che mancasse del tutto il potere espropriativo, non essendosi fatto luogo a dichiarazione di pubblica utilità.
In via istruttoria, formula richiesta di consulenza tecnica per determinare lo stato dei luoghi ed il valore di mercato dei beni.
Il Comune resiste con controricorso, spiegando difese in rito e nel merito.
Con ordinanza 26 marzo 2003, n. 504, la Sezione I di questo Tribunale Amministrativo Regionale, Sezione staccata di Catania, ha rigettato la domanda cautelare proposta dalla ricorrente.
All’udienza pubblica del 26 gennaio 2011 la causa è stata trattata e trattenuta per la decisione.
DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Per quanto riguarda l’area situata in Pedara all’incrocio di via A. De Gasperi con via D’Annunzio, non è in discussione fra le parti che non sia stata pronunciata dichiarazione di pubblica utilità; tale circostanza radica, secondo stabile e condivisibile giurisprudenza, la giurisdizione del Giudice Ordinario (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 15 settembre 2010, n. 6861; Cass. civ., SU, 20 dicembre 2006 , n. 27190).
L’assenza di dichiarazione di pubblica utilità rende infatti l’operato dell’amministrazione comportamento non riconducibile, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere (sul punto, Cons. Stato, AP, 30 luglio 2007, n. 9: «... alla stregua del procedimento bifasico disegnato dalla legge fondamentale n. 2359 del 1865 e ancor più dopo le innovazioni in tema di dichiarazione implicita introdotte dalla legge n. 1 del 1978 - cardine dell'attività ablatoria era invece la dichiarazione di pubblica utilità, avendo questa l'effetto di sottoporre il bene al regime di espropriabilità così determinando, appunto in vista dell'espropriazione, l'affievolimento del diritto di proprietà...»), circostanza invece richiesta dall’art. 133, comma 1, lett. g), cpa, per la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di espropriazione per pubblica utilità.
Per quanto riguarda le restanti aree (foglio 26, particelle 223, 599, 601, e 626), la ricorrente non ha minimamente provveduto alla quantificazione del danno.
L’azione risarcitoria, benchè proposta dinanzi al giudice amministrativo, sul piano probatorio è comunque soggetta non alla regola del principio dispositivo con metodo acquisitivo, bensì al principio dell’onere della prova, ex art. 2697 c.c., applicabile anche al processo amministrativo, con conseguente inammissibilità per genericità della domanda risarcitoria per la quale non sia stata neppure allegata la misura del danno da risarcire (Cons. Stato, Sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3380; TAR Lazio – Roma, Sez. III, 1 agosto 2008, n. 7803; TAR Sicilia – Catania, Sez. II, 23 aprile 2009, n. 787; TAR Sicilia – Catania, Sez. II, 21/02/08, n. 336); né la richiesta di CTU può supplire alla carenza probatoria della parte (ex multis Cons. Stato, Sez. V, 13 giugno 2008, n. 2967; TAR Liguria, Sez. II, 15 ottobre 2010, n. 9501).
Nel caso di specie, la ricorrente non ha minimamente quantificato il danno subito, essendosi limitata a formulare, in via istruttoria «...richiesta di consulenza tecnica d’ufficio al fine di determinare lo stato dei luoghi , nonché il valore di mercato dei beni assoggettati ad occupazione illegittima...» (ricorso, pag. 6).
Il Collegio è dell'avviso che, in ragione dell’evoluzione della vicenda, e delle concrete modalità di dispiegamento della azione amministrativa, sussistano eccezionali motivi, ai sensi degli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92 c.p.c., per disporre l'integrale compensazione delle spese del presente giudizio tra tutte le parti in causa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione staccata di Catania (Sezione II interna), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile, secondo quanto in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 26 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Giamportone, Presidente
Francesco Brugaletta, Consigliere
Diego Spampinato, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 25/02/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

E' illegittimo il PRG nella parte in cui impone un facere al proprietario di aree definite "verde privato ad uso pubblico"

Tar Catania, Sez. I, 23 febbraio 2011, n. 423
Data: 
23/02/2011
Materia: 
PRG

Non si rinviene nella legislazione urbanistica alcuna norma che legittimi gli strumenti di pianificazione del territorio ad introdurre coattivamente prestazioni personali di facere, occasionali o continuate, a carico dei cittadini.

 

 

 


N. 00423/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00641/2006 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 641 del 2006, proposto da:
La Falce Giovanni, rappresentato e difeso dall'avv. Giampiero De Luca, con domicilio eletto presso avv. Giampiero De Luca, in Catania, P.zza Trento, 2;
contro
Commissario Straordinario Comune Sant'Agata Li Battiati (Ct);
Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente, Dipartimento Regionale Urbanistica, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata per legge in Catania, via Vecchia Ognina, 149; Comune di Sant'Agata Li Battiati (Ct), rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Trimboli, con domicilio eletto presso avv. Salvatore Trimboli, in Catania, via Grotte Bianche, 117;
per l'annullamento
- del decreto del D.D. del 21.10.2005 con il quale il Dipartimento Regionale Urbanistica ha approvato il PRG, le prescrizioni esecutiva ed il regolamento edilizio del Comune di S. Agata Li Battiati;
- della delibera del Commissario Straordinario n. 47 del 22.05.2002 di adozione del PRG;
- di ogni altro atto connesso e consequenziale;
e per il risarcimento dei danni subiti;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente e di Dipartimento Regionale Urbanistica e di Comune di Sant'Agata Li Battiati (Ct);
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 13 gennaio 2011 il dott. Francesco Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il ricorrente La Falce Giovanni è proprietario di un immobile sito in S. Agata Li Battiati, censito al foglio 2, particella 574 sub 1, comprendente una villetta e terreno circostante.
Col ricorso in epigrafe, impugna il decreto del dirigente generale del Dipartimento Regionale Urbanistica, datato 21.10.2005, con il quale è stato approvato il nuovo PRG comunale, nella parte in cui impone un vincolo di destinazione a “verde privato ad uso pubblico” che interessa parzialmente il terreno in esame, ed obbliga il proprietario a mantenere il verde a cura e spese proprie. Sotto altro profilo, il ricorrente impugna la parte del PRG che prevede l’allargamento e prolungamento di una strada già esistente, che si svilupperà intorno all’immobile in esame.
A tali fini denuncia:
1.- eccesso di potere per irragionevolezza - difetto di istruttoria in ordine alla mancata proporzione tra la nuova viabilità di PRG ed i fini a cui può essere ragionevolmente preordinata ed in ordine ai titoli abilitativi rilasciati – violazione dell’art. 9 L.R. 71/1978 e 7 della L. 1150/42;
2.- eccesso di potere per irragionevolezza – violazione del divieto di porre a carico del privato prestazioni personali di carattere patrimoniale al di fuori dei casi stabiliti dalla legge – violazione dell’art. 25 L. 1150/42 – eccesso di potere per contraddittorietà.
Il ricorrente ha anche chiesto il risarcimento dei danni che gli derivano dall’impugnato PRG.
Si è costituito in giudizio per resistere, con memoria meramente formale, il Comune di S. Agata Li Battiati, che ha anche chiesto la riunione del presente ricorso con altri aventi il medesimo oggetto, contraddistinti dai nn. R.G. 500/06; 577/06; 655/06; 656/06 e 657/06.
Si è costituito anche l’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente.
In vista dell’udienza di trattazione del merito, fissata per il 13 gennaio 2011, parte ricorrente e l’Assessorato Regionale resistente hanno presentato memorie difensive.
A quella data la causa è passata in decisione.
DIRITTO
1.- In primo luogo, non può essere accolta la domanda di riunione del presente ricorso con gli altri indicati dalla difesa del Comune resistente atteso che: il n. R.G. 500/06 è stato già definito con sentenza n. 648/08; mentre in relazione agli altri ricorsi (nn. R.G. 577/06, 655/06, 656/06, e 657/06), pur attenendo essi genericamente al PRG comunale, non è stata evidenziata in questa sede la stretta connessione oggettiva con le problematiche specifiche sollevate col ricorso in esame.
2.- Passando all’esame del merito delle censure si osserva quanto segue.
2.1 – Col primo motivo, il ricorrente deduce l’irragionevolezza del PRG nella parte in cui prevede la realizzazione di una ampia e più profonda strada, che correrà limitrofa al lotto di sua proprietà, in tesi sproporzionata per eccesso rispetto alle potenzialità edificatorie ed alle esigenze di viabilità della zona. Inoltre, deduce che il prolungamento della strada sarebbe illogico, perché l’esigenza di collegamento con la vicina Via Balatelle potrebbe essere adeguatamente soddisfatta con l’arteria di collegamento già esistente e collocata più a nord. Infine, denuncia il fatto che il progettato allargamento della strada andrebbe ad incidere sul muro di confine e sulle opere di sistemazione esterna del lotto di cui il ricorrente è proprietario.
Sul punto, il Collegio concorda con la difesa dell’Assessorato Regionale, laddove viene evidenziata l’insindacabilità giurisdizionale di scelte che sono espressione del cd. “merito amministrativo”. Invero, ogni valutazione circa la “insufficienza”, “sufficienza”, o “sovrabbondanza” di un sistema viario cittadino, che venga misurata esclusivamente in rapporto alle esigenze della limitata porzione di territorio sul quale le strade progettate incidono, sfugge al sindacato del G.A., venendo in rilievo valutazioni ampiamente discrezionali della pianificazione urbanistica che prendono in considerazione le esigenze di collegamento stradale non solo dell’area residenziale in questione ma, verosimilmente, dell’intero territorio comunale o comunque di altri quartieri vicini. E proprio questa specifica finalità delle soluzioni progettuali urbanistiche consente di escludere che ricorrano quelle “macroscopiche illogicità” che rendono eccezionalmente sindacabili in sede giurisdizionale le scelte discrezionali del tipo in esame (la giurisprudenza, anche da ultimo, continua a rimanere ferma nell’affermare il principio per cui “Le scelte effettuate dall'Amministrazione nell'adozione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicità,” Cons. Stato, IV, 7492/2010; Cons. Stato, II, 4128/2010).
Per quanto riguarda, invece, la censurata “invasione” del terreno del ricorrente ad opera del progettato allargamento stradale, si tratta di un vizio non apprezzabile in punto di fatto allo stato attuale della progettazione.
La censura, in conclusione, risulta infondata.
2.2 Col secondo motivo di ricorso viene censurata la previsione di PRG che individua nel lotto del ricorrente una fascia di “verde privato destinato ad uso pubblico”, che finisce inevitabilmente con l’incidere sulle opere in atto esistenti e determina l’obbligatorio arretramento del muro di confine della proprietà del ricorrente, in modo da rendere fruibile al pubblico come prescritto nelle N.T.A. del P.R.G. l’area a verde (salva restando, comunque, la titolarità della fascia in questione in capo al ricorrente). In più, viene censurata l’ulteriore prescrizione che addossa al proprietario l’obbligo di provvedere a sue spese alla cura e manutenzione del verde presente nella fascia in esame.
Infine, viene denunciata la illogicità della destinazione “a verde” in questione, ove raffrontata con la vastissima area a verde pubblico attrezzato per lo sport localizzata dallo stesso piano nelle vicinanze del lotto in esame.
Il Comune non ha controdedotto esplicitamente sul punto, limitandosi genericamente a chiedere il rigetto del ricorso.
Il Collegio, analizzando la previsione di PRG impugnata, ritiene di poter distinguere sul piano giuridico un doppio effetto. Da una parte, vi è l’imposizione di un vincolo di destinazione per le aree definite “verde privato ad uso pubblico”, poste a contorno degli isolati nelle zone di espansione, sulle quali non è consentita l’edificazione “ad eccezione di modeste attrezzature per il tempo libero, di gioco dei bambini, piccola ristorazione quali chioschi provvisori che devono essere realizzati in modo da non compromettere il normale passaggio dei pedoni”. D’altra parte, viene precisato che i privati restano proprietari delle aree in questione, ma nel contempo viene loro imposto l’obbligo di mantenere il verde a propria cura e spese (art. 40 delle NTA, contenente la disciplina delle zone F4f del PRG).
In definitiva, emerge dalla pianificazione, da una parte, l’apposizione di un vincolo (di cui dovrà essere chiarita la natura conformativa o espropriativa); dall’altra, l’imposizione di una prestazione personale che grava sul titolare dell’area e si estrinseca in un facere.
In relazione al secondo aspetto in esame, è agevole predicarne l’illegittimità.
Infatti, avuto riguardo alla riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. (in base al quale, “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”), la prestazione di mantenimento del verde addossata al proprietario (pur se relativa ad un bene che rimane nella sua sfera dominicale, ma viene assoggettato all’uso pubblico) appare illegittima, proprio per mancanza della necessaria “copertura normativa”. Non si rinviene, infatti, nella legislazione urbanistica alcuna norma che legittimi gli strumenti di pianificazione del territorio ad introdurre coattivamente prestazioni personali di facere, occasionali o continuate, a carico dei cittadini. Il catalogo delle funzioni esercitabili tramite il piano regolatore contenuto nell’art. 7 della L. Urbanistica (o quello analogo stabilito per i piani particolareggiati dall’art. 13 della stessa legge, e dalla legislazione regionale siciliana – art. 9 della L.R. 71/1978), al contrario, fa comprendere come la pianificazione urbanistica si eserciti attraverso la zonizzazione del territorio, la previsione delle infrastrutture e, al massimo, tramite la introduzione a carico dei proprietari di obblighi negativi (non facere; quali ad esempio divieti di edificazione, limiti di distanza, altezze e cubature, ecc.), o di pati (nel caso di apposizione di vincoli preordinati alla espropriazione). In definitiva, non è compito dello strumento urbanistico introdurre unilateralmente disposizioni cogenti a carico dei proprietari di aree, aventi ad oggetto obblighi di facere, pur se incidenti su terreni che restano di proprietà privata.
In relazione alla prima questione posta con il motivo di ricorso in esame, concernente la tipologia di vincolo imposto col PRG, il problema si annida tutto nella qualificazione giuridica della limitazione, e nella catalogazione come vincolo “conformativo” o “sostanzialmente espropriativo”; con le profonde differenze che ne conseguono.
Per il primo aspetto, si deve ricordare che rientrano nei cd. “diritto di uso pubblico” le servitù costituite a carico di fondi privati per il conseguimento di fini di pubblico interesse. Tali limitazioni del diritto di proprietà privata possono essere costituite o per scelta volontaria del titolare del fondo (cd. “dicatio ad patriam”), ovvero per iniziativa unilaterale e coattiva dell’ente pubblico (nel qual caso assumono la veste dell’espropriazione). Quest’ultimo è lo schema strutturale che connota il caso in esame, nel quale lo strumento di pianificazione urbanistica (PRG) ha lasciato al proprietario del fondo la titolarità di una fascia di terreno, ma contestualmente la ha assoggettata in modo coattivo all’uso della collettività in genere, imponendo a tal fine consistenti divieti e limitando di fatto fortemente le facoltà di uso e godimento del bene da parte del proprietario. Si tratta, quindi, della imposizione di un vincolo a carattere propriamente espropriativo – per quanto si chiarirà di seguito – che dovrà essere reso concreto ed operante con un apposito procedimento di esproprio parziale.
In punto di diritto, va premesso che la distinzione fra vincoli “conformativi” ed “espropriativi” è stata chiarita dalla Corte costituzionale nella nota sentenza n. 179/1999 laddove si precisa che “Devono (…) essere considerati come normali e connaturali alla proprietà, quale risulta dal sistema vigente, i limiti non ablatori posti normalmente nei regolamenti edilizi o nella pianificazione e programmazione urbanistica e relative norme tecniche, quali i limiti di altezza, di cubatura o di superficie coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto in relazione a talune opere pubbliche, i diversi indici generali di fabbricabilità ovvero i limiti e rapporti previsti per zone territoriali omogenee e simili.” e si aggiunge che “ (…) sono al di fuori dello schema ablatorio-espropriativo con le connesse garanzie costituzionali (e quindi non necessariamente con l'alternativa di indennizzo o di durata predefinita) i vincoli che importano una destinazione (anche di contenuto specifico) realizzabile ad iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, che non comportino necessariamente espropriazione o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica e quindi siano attuabili anche dal soggetto privato e senza necessità di previa ablazione del bene. Ciò può essere il risultato di una scelta di politica programmatoria tutte le volte che gli obiettivi di interesse generale, di dotare il territorio di attrezzature e servizi, siano ritenuti realizzabili (e come tali specificatamente compresi nelle previsioni pianificatorie) anche attraverso l'iniziativa economica privata - pur se accompagnati da strumenti di convenzionamento. Si fa riferimento, ad esempio, ai parcheggi, impianti sportivi, mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali; in breve, a tutte quelle iniziative suscettibili di operare in libero regime di economia di mercato.”.
Alla luce di quanto premesso, dunque, non ricorre lo schema del vincolo ablatorio allorquando la particolare conformazione data al territorio in sede di pianificazione urbanistica lasci spazio di intervento anche al privato, nel rispetto delle tipologie di opere che possono essere ivi realizzate, se ed in quanto queste non vengono riservate alla esclusiva competenza della mano pubblica. A titolo di esempio, se un’area viene destinata a parcheggio pubblico, la relativa struttura può essere realizzata sia dalla PA, sia per iniziativa del privato proprietario che potrà sfruttarla in regime di libero mercato al fine di trarne un beneficio economico (vendita, gestione diretta, ecc.). In tal caso, allora in vincolo “a parcheggio pubblico” costituisce espressione della mera potestà conformativa di cui la PA è titolare, e non ha natura espropriativa (Tar Firenze, 2012/2010; C. di S., IV, 1982/2010).
Viceversa, “sussiste un vincolo preordinato alla espropriazione le volte in cui la destinazione dell’area permetta la realizzazione di opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica, nel senso di riferita esclusivamente all’ente esponenziale della collettività territoriale. E, pertanto, nel caso (…) di parcheggi pubblici, strade e spazi pubblici, spazi pubblici attrezzati, parco urbano, attrezzature pubbliche per l’istruzione. In tali casi, evidentemente, l’utilizzatore finale dell’opera non può che essere l’ente pubblico di riferimento ed essa, in nessun caso, può essere posta sul mercato per soddisfare una domanda differenziata che, semplicemente, non esiste” (C.G.A. 19 dicembre 2008 n. 1113).
Questa seconda tipologia di vincolo è quella che caratterizza il caso in esame, dato che la nuova classificazione urbanistica introdotta con l’impugnato PRG non opera come programmazione futura ma incide su opere già esistenti aventi una propria ed attuale destinazione (giardino di pertinenza della villa), e che le modalità di uso e godimento del bene da parte del proprietario vengono di fatto annullate e sostituite dalla imposizione coattiva di un “peso” (dirittodi uso pubblico) a beneficio della collettività. In più, richiamando le precisazioni contenute nella sentenza del C.G.A. appena citata, preme evidenziare che le facoltà di uso dell’area risultanti dalla nuova pianificazione sono attribuibili alla generalità indifferenziata dei residenti e che le limitatissime tipologie di opere realizzabili dal proprietario (giochi per bambini, attrezzature per il tempo libero, ecc.) non sono assolutamente suscettibili di sfruttamento a fini economici da parte del titolare nel libero mercato. Sussistono, quindi, i requisiti individuati dalla giurisprudenza per qualificare come sostanzialmente espropriativo il vincolo in esame.
Da tale affermazione, però, non discende la illegittimità della previsione di PRG in esame, ma derivano comunque conseguenze giuridiche rilevanti che condizionano l’azione presente e futura della PA. Infatti, come ha chiarito la Corte costituzionale nella ricordata sentenza n. 179/1999, in presenza di vincoli “sostanzialmente espropriativi” come quello analizzato:
a) la limitazione imposta al privato deve avere una durata limitata nel tempo, entro un range di “normale tollerabilità” che il legislatore ha discrezionalmente fissato in 5 anni (art. 2 L. 1187/1968; art. 9, D.P.R. 327/2001, T.U. Espropriazioni);
b) entro tale ambito temporale si dovrà provvedere alla formale espropriazione, che nel caso di specie avrà ad oggetto non l’intero diritto di proprietà ma solo un diritto parziale, e più in particolare la costituzione coattiva di un ius in re aliena (ipotesi espressamente contemplata dall’art. 1, co. 1, del D.P.R. 327/2001 laddove afferma che “Il presente testo unico disciplina l'espropriazione, anche a favore di privati, dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili per l'esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità.”, e dell’art. 43, co. 5, del medesimo T.U.);
c) in caso di mancato compimento della procedura espropriativa nel quinquennio, il vincolo potrà essere reiterato alla scadenza, ove persistano o sopravvengano situazioni che impongano la realizzazione dell’opera (rectius, del diritto si uso pubblico), purchè tali ragioni vengano congruamente ed ampiamente esternate in motivazione (cfr. da ultimo, C. di S., A.P. n. 7/2007);
d) “una volta oltrepassato il periodo di durata temporanea (periodo di franchigia da ogni indennizzo), il vincolo urbanistico (avente le anzidette caratteristiche), se permane a seguito di reiterazione, non può essere dissociato, in via alternativa all'espropriazione (o al serio inizio dell'attività preordinata all'espropriazione stessa mediante approvazione dei piani attuativi), dalla previsione di un indennizzo.” (Corte cost. 179/1999); indennizzo ora espressamente contemplato nell’art. 39 del D.P.R. 327/2001.
In conclusione, sulla base di quanto ampiamente argomentato il ricorso deve essere in parte accolto, con l’annullamento della previsione di PRG che impone al ricorrente un obbligo di facere, e con le ulteriori conseguenze illustrate supra alle lettere a, b, c, d.
Non si fa luogo, invece alla pronuncia risarcitoria richiesta in ricorso, dato che il pregiudizio lamentato appare ancora potenziale, in quanto frutto di una previsione ancora allo stato progettuale, e viene adeguatamente riparato dalla presente decisione.
La soccombenza solo parziale delle Amministrazioni resistenti implica una condanna parziale alle spese di giudizio, come liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte, nei limiti di cui al punto 2.2. della motivazione, e per l’effetto annulla in parte l’impugnato provvedimento.
Spese parzialmente a carico del Comune e dell’Assessorato Regionale resistenti, condannati in solido al pagamento di Euro 1.000, oltre IVA, CPA, contributo unificato e spese generali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 13 gennaio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Biagio Campanella, Presidente
Salvatore Schillaci, Consigliere
Francesco Bruno, Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/02/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Campi elettromagnetici: riservata allo Stato la competenza in materia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche

Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 268 del 14 febbraio 2011
Data: 
14/02/2011

l Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino. Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato.

Conforme a Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 194 del 2 febbraio 2011

 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 65 del 2006, proposto da Siemens S.p.A., rappresentata e difesa dall'avv. Gennaro Belvini, con domicilio eletto presso l’avv. Daniela Macaluso in Palermo, via G. Ventura n. 1;
contro
-il Comune di Castellammare del Golfo, rappresentato e difeso dall'avv. Piero Di Vita, con domicilio eletto presso l’avv. Salvatore Picone in Palermo, via Malaspina n. 112;
per l'annullamento
1) della nota n. 24544/05 del 21 ottobre 2005, con la quale si comunica che la società ricorrente deve attivarsi per l’applicazione della procedura prevista dall’art. 7 L.r. n. 65/81 e che deve attenersi alle prescrizioni di cui alla delibera consiliare n. 86 del 4 novembre 2004;
2) della delibera consiliare n. 86 del 4 novembre 2004, con la quale è stato approvato il regolamento comunale per la installazione di impianti di telecomunicazione e radiotelediffusione.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Castellammare del Golfo;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2011 il Presidente dott. Nicolo' Monteleone e udito il difensore del Comune resistente, come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Con ricorso notificato il 30 dicembre 2005 e depositato l’11 gennaio 2006, la Siemens Mobile Comunications S.p.a. ha impugnato della nota n. 24544/05 del 21 ottobre 2005, con la quale il Comune di Castellammare del Golfo, in relazione alla domanda presentata per l’installazione di una stazione radio base per telefonia mobile in contrada Marmora, ha comunicato alla società medesima di attivarsi per l’applicazione della procedura prevista dall’art. 7 L.r. n. 65/81 e di attenersi alle prescrizioni di cui alla delibera consiliare n. 86 del 4 novembre 2004.
Ha impugnato, altresì, detta delibera consiliare n. 86 del 4 novembre 2004 concernente l’approvazione del regolamento comunale per la installazione di impianti di telecomunicazione e radiotelediffusione (artt. 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11).
La società ricorrente ha chiesto l’annullamento degli atti impugnati, previa sospensiva e col favore delle spese, deducendo i seguenti motivi:
1) Violazione e/o falsa applicazione del D.lgs. 1 agosto 2003, n. 259, recepito nella Regione siciliana con l’art. 103 L.r. n. 17/2004, e della legge 22 febbraio 2001, n. 36 – Eccesso di potere per difetto di istruttoria, difetto di motivazione e travisamento dei fatti;
2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8, 10 e 10 bis della legge n. 241/1990 - Violazione del D.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 e della legge 22 febbraio 2001, n. 36 - Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione;
3) Violazione del D.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 e della legge 22 febbraio 2001, n. 36 – Difetto assoluto di istruttoria- Violazione del giusto procedimento – Errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto - Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità e manifesta ingiustizia.
Con ordinanza n. 104 del 25 gennaio 2006, è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione degli atti impugnati.
Il Comune di Castellammare del Golfo, costituitosi in giudizio, con memoria nei termini, ha eccepito l’irricevibilità del ricorso, contestandone, nel merito, la fondatezza e chiedendone il rigetto; vinte le spese.
Con memoria depositata il 3 gennaio 2011, la società ricorrente ha insistito nelle censure dedotte con l’atto introduttivo del giudizio.
Alla pubblica udienza del 4 febbraio 2011, su conforme richiesta del difensore del Comune resistente, il ricorso è stato posto in decisione.
DIRITTO
In via preliminare, va disattesa l’eccezione di irricevibilità del ricorso, sollevata dal resistente Comune di Castellammare del Golfo.
Ed invero, a fronte della dichiarazione della società ricorrente, secondo cui l’impugnata nota n. 24544/05 del 21 ottobre 2005 sarebbe stata ricevuta “successivamente al 31.10.2005” , il Comune si limita ad affermare che la nota stessa è stata spedita il “25/10/2005”, mentre è noto che L'onere della prova della avvenuta piena conoscenza dell'atto impugnato incombe solo su chi eccepisce la tardività del ricorso giurisdizionale, onere da assolversi mediante mezzi probatori univoci e chiari, diretti ad accertare in modo sicuro ed inconfutabile che il gravame è stato proposto dopo la scadenza del termine decadenziale (cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2010 n. 4526; T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 3 dicembre 2010 , n. 13084).
Va, ancora, osservato che l’impugnato regolamento comunale per la installazione di impianti di telecomunicazione e radiotelediffusione, approvato con deliberazione Consiliare n. 86 del 4 novembre 2004, è stato comunicato alla ricorrente Siemens Mobile Comunications S.p.a. con la predetta nota n. 24543/05, per cui il ricorso, notificato in data 30 dicembre 2005, si appalesa tempestivo, considerato che il regolamento in questione “non è direttamente lesivo della posizione della ricorrente, ma assume tale carattere attraverso l’atto applicativo (diniego)” (in tal senso, C.G.A. 17 agosto 2009, n. 678; T.A.R. Sicilia, sez. II, 27 ottobre 2010, n. 13719).
Nel merito, il ricorso è fondato, nei limiti di seguito precisati.
Quanto all’impugnativa del suddetto regolamento, va osservato che, come ha avuto occasione di osservare questa Sezione in fattispecie analoghe alla presente (fra le tante, 21 luglio 2006, n. 1743; 12 marzo 2008, n. 340; 6 aprile 2009, n. 661; 27 ottobre 2010, 1379; 10 novembre 2010, n. 14024), l’art. 8, comma 6, della legge 22 febbraio 2001, n. 36, prevede la possibilità che i Comuni adottino un regolamento c.d. di minimizzazione finalizzato a garantire “il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici”.
In ordine alla interpretazione della disposizione in questione si è ormai consolidato nella giurisprudenza un condiviso orientamento giurisprudenziale, secondo il quale le previsioni dei regolamenti c.d. di minimizzazione possono ritenersi legittime solo qualora indirizzate al perseguimento delle finalità indicate dalla norma e non anche quando tendono a scopi differenti.
Sulla base di tale criterio viene ammesso, ad esempio, che vengano introdotte regole finalizzate, per quanto riguarda il profilo urbanistico, a tutelare zone e beni di particolare pregio paesaggistico/ambientale o storico/artistico ovvero, con riferimento alla minimizzazione dell’esposizione ai campi elettromagnetici, alla individuazione di siti particolari e determinati, i quali, per destinazione d’uso e qualità degli utenti, possono essere considerati particolarmente sensibili alle immissioni radioelettriche. Antitetica è, invece, la valutazione relativamente a quelle previsioni, che si sostanziano in "limitazioni alla localizzazione" degli impianti di telefonia mobile relativamente ad intere ed estese porzioni del territorio comunale, senza che sia ravvisabile una plausibile ragione giustificativa (cfr. Corte Costituzionale, 7 novembre 2003, n. 331; 7 ottobre 2003, n. 307; 27 luglio 2005, n. 336).
Si è, in particolare, ritenuto, che il Comune non possa, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino. Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 15 giugno 2006, n. 3534, C.G.A. 12 novembre 2009, n. 929; T.A.R. Sicilia, sez. II, 6 aprile 2009, n. 661).
Nella fattispecie in esame, il Comune di Castellammare del Golfo ha approvato le impugnate previsioni regolamentari (contenute negli artt. 5, 6, 7, 9, 10 e 11) che si appalesano illegittime in base alla seguenti considerazioni.
In ordine all’art. 5, va ribadito quanto già affermato da questa Sezione in fattispecie analoga alla presente (17 gennaio 2006, n. 70), e cioè che, in forza dell'art. 87 D.lgs. 1 agosto 2003 n. 259, l’installazione di un impianto tecnico per la realizzazione di una stazione radio base non richiede la concessione edilizia, dal momento che l'a relativa autorizzazione, in quanto rilasciata a seguito di un procedimento unico che assorbe la verifica della compatibilità urbanistica edilizia dell'intervento, sostituisce il permesso a costruire di cui agli art. 10 e 3, lett. e.2) e e.4), d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 “testo unico delle disposizioni legislative in materia edilizia” (Cons. Stato, sez. VI, 05 agosto 2005, n. 4159).
Relativamente agli artt. 6, 7 e 10, va osservato che, alla luce delle finalità acceleratorie e semplificatorie che presiedono il procedimento dettato dall'art. 87 d.lgs. n. 259 del 2003, l'Amministrazione non può esigere, in sede di presentazione dell'istanza di autorizzazione e/o di denuncia di inizio attività, documentazione diversa da quella prevista dall'allegato 13 - modello B, d.lgs. n. 259 del 2003 (in relazione a tale fase), fatti salvi adempimenti di minimo impatto che non si traducano in un indebito aggravamento del procedimento, quale qui dato e voluto dal legislatore speciale per favorire la ripetuta celere realizzazione della rete. Fra questui ultimi non vi è spazio per richieste di documentazione che afferiscano direttamente a previsioni regolamentari dettate per le vicende puramente edilizie; ovvero, per ottenere il rilascio del permesso di costruire o per accompagnare la denuncia di inizio attività sempre in campo edilizio, né per imporre oneri esclusi dall'art. 93 del codice delle Comunicazioni che pone il divieto di imporre oneri "che non siano stabiliti dalla legge” (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 21 aprile 2009 , n. 2077).
Deve, poi, ritenersi illegittimo il divieto di installare stazione radio base nel raggio di 300 metri dalle “strutture sensibili” (scuole, asili,ospedali, case di cura, aree verdi attrezzate, aree destinate all’infanzia, aree di particolare densità abitativa), in quanto tende a disciplinare non profili urbanistici rientranti nella competenza dell’ente locale, ma a tutelare la salute umana al fine di prevenire i rischi derivanti dalla esposizione della popolazione a campi elettromagnetici, esorbitando, come tale, dall’ambito normativamente riservato ai c.d. regolamenti di minimizzazione (cfr., altresì, T.A.R. Puglia – Bari sez. I, 13 maggio 2010, n. 1863; T.A.R. Sicilia, sez. II,18 ottobre 2010, n. 12585).
Va, al riguardo, osservato che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 331 del 7 novembre 2003, nel pronunciare l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 12 lett. a), della legge della Regione Lombardia n. 4 del 2002 (che prevedeva un generale divieto di installazione di impianti per le telecomunicazioni e per la radiotelevisione entro il limite inderogabile di 75 metri di distanza dal perimetro di proprietà di asili, edifici scolastici, nonché strutture di accoglienza socio-assistenziali, ospedali,), ha affermato che “Né, a giustificare il tipo di intervento della legge lombarda, è sufficiente il richiamo alla competenza regionale in materia di governo del territorio, che la legge quadro, al numero 1) della lettera d) dell'art. 3, riconosce quanto a determinazione dei «criteri localizzativi». A tale concetto non possono infatti ricondursi divieti come quello in esame, un divieto che, in particolari condizioni di concentrazione urbanistica di luoghi specialmente protetti, potrebbe addirittura rendere impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformandosi così da «criteri di localizzazione» in «limitazioni alla localizzazione», dunque in prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla citata norma della legge n. 36. Questa interpretazione, d'altra parte, non è senza una ragione di ordine generale, corrispondendo a impegni di origine europea e all'evidente nesso di strumentalità tra impianti di ripetizione e diritti costituzionali di comunicazione, attivi e passivi”.
Peraltro, l'espressa assimilazione fra le stazioni radio base e le opere di urbanizzazione primaria rende l'installazione di tali manufatti compatibile con qualunque destinazione di zona, per cui, dal punto di vista urbanistico, i Comuni possono incidere sulla collocazione delle antenne radio base, a condizione che la regolamentazione introdotta non abbia l'effetto di impedire in modo indiscriminato la loro installazione nell'ambito del territorio comunale, ovvero non l'assoggetti a limiti non adeguati al fine della salvaguardia dei concomitanti interessi oggetto di tutela (in tal senso, C.G.A. 14 aprile 2010, n. 514; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 13 ottobre 2009 , n. 5405; T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 11 giugno 2010, n. 16, secondo cui “il divieto generalizzato di installare le stazioni radio base per la telefonia cellulare in ampie zone del territorio comunale …appare perseguire palesemente il fine di sovrapporre una determinazione di stretta matrice cautelativa, ispirata al principio di precauzione, alla normativa statale che ha fissato a tal fine puntuali limiti di radiofrequenza, di fatto eludendo tale normativa“).
Quanto, poi, all’art. 11 del regolamento in questione, va ribadito che, in materia di realizzazione di stazioni per telefonia mobile, non può ritenersi che la prescrizione della VIA possa risultare giustificata in base all'esigenza di verificare le possibili interazioni fra i diversi — e numerosi — impianti esistenti in ambito comunale, atteso che, per un verso, siffatta finalità esula dagli scopi puramente urbanistici e traligna nella diversa tematica della protezione dalle esposizioni a campi elettici, magnetici ed elettromagnetici, e per altro verso, le finalità in questione possono essere adeguatamente perseguite (non già attraverso lo strumento della VIA, bensì attraverso l'accertamento della compatibilità del progetto da realizzare e di quelli preesistenti con i limiti di esposizione, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità, tipicamente demandato all'Arpa Regionale (Cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 06 settembre 2010 , n. 6463; 1 dicembre 2010, n. 8377, ove si precisa che “solo l’art. 2 bis, secondo comma, del D.L. 1 maggio 1997, n. 115, convertito dalla legge 1 luglio 1997, n. 189, ed ora abrogato dispone genericamente che “la installazione di infrastrutture dovrà essere sottoposta ad opportune procedure di valutazione di impatto ambientale”, senza affatto disporre di sottoporre tutti i progetti di strutture per la telefonia mobile a valutazione d’impatto ambientale. Il contenuto del richiamato art. 2 bis non è stato riprodotto nella legislazione successiva”).
Parimenti illegittimo si appalesa l’art. 16, stante che le sanzioni afflittive pecuniarie violano la riserva di legge scaturente dalla generale previsione dell’articolo 1 della legge 689 del 1981 (cfr. T.A.R. Campania, sez. I, 10 marzo 2005, n. 1708).
Inammissibile per carenza di interesse deve, viceversa, ritenersi l’impugnazione che investe l’art. 8 del Regolamento comunale di cui trattasi che riguarda l’ “adeguamento degli impianti esistenti”, mentre la questione sottoposta all’esame del Collegio attiene ad una nuova autorizzazione (richiesta con istanza del 7 settembre 2005) e la società ricorrente non accenna alla gestione nel medesimo Comune di Castellammare del Golfo di altri impianti.
Quanto, infine, all’impugnativa della suddetta nota del 21 ottobre 2005, con la quale, con la quale, oltre a richiamare le disposizioni del regolamento comunale, come sopra ritenute illegittime, si comunica che la società ricorrente deve attivarsi per l’applicazione della procedura prevista dall’art. 7 L.r. n. 65/81, il Collegio non può che richiamare l’orientamento ripetutamente seguito da questa Sezione (fra le tante, 16 ottobre 2007, nn. 2218 e 2224), secondo cui gli artt. 7 e 6 L.r. 65/1981 sono riferibili solo alla realizzazione di opere pubbliche da parte di Amministrazioni statali o regionale e non anche alla realizzazione di opere eseguite da privati, ancorché equiparate ad opere infrastrutturali, per cui per l’installazione degli impianti in questione non occorre alcuna variante urbanistica (cfr., altresì, C.G.A. 17 agosto 2009, n. 652; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. II, 9 marzo 2007, n. 450).
Per suesposte considerazioni e assorbito quant’altro, il ricorso va accolto (tranne che per la rilevata inammissibilità dell’impugnazione dell’art. 8 del Regolamento comunale).
Sussistono giustificati motivi, avuto anche riguardo al parziale accoglimento del ricorso, per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sede di Palermo, Sezione Seconda, accoglie il ricorso in epigrafe indicato (n. 65/2006), nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, annulla, per quanto di ragione, gli atti impugnati.
Spese compensate
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo, nella Camera di consiglio del 4 febbraio 2011, con l'intervento dei Signori Magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente, Estensore
Cosimo Di Paola, Consigliere
Roberto Valenti, Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/02/2011

IL SEGRETARIO

Il diritto all'eliminazione delle barriere architettoniche prevale sulla esigenza di tutela del partimonio storico-artistico nazionale

Tar Palermo Sez. I, sentenza n. 218 del 4 febbraio 2011
Data: 
04/02/2011
Materia: 
Barriere architettoniche

Il legislatore, nel bilanciamento tra l’interesse alla tutela del patrimonio storico - artistico nazionale e quello alla salvaguardia dei diritti alla salute ed al normale svolgimento della vita di relazione e socializzazione dei soggetti in minorate condizioni fisiche ha dato prevalenza al secondo, collocando il diniego dell'autorizzazione alla realizzazione di interventi in beni vincolati ai soli casi di accertato e motivato "serio pregiudizio" del bene vincolato.

Ne deriva che, pur non potendosi affermare la vigenza di un principio di superabilità e derogabilità assoluta e automatica dei vincoli posti per finalità di tutela storico-culturale o paesistico –ambientale, va ritenuto che il provvedimento, con il quale la Soprintendenza non autorizza la realizzazione di un'opera preordinata al superamento delle barriere architettoniche deve dare compiuta ed esauriente emersione alle reali e dimostrabili ragioni di pregiudizio, che il progettato intervento è suscettibile di arrecare all'interesse tutelato (TAR Lazio Roma, II, 15 febbraio 2002, n. 1061).


 


EPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1898 del 2009, proposto da:
Nicolò Curella e Giuseppina Busetta, rappresentati e difesi, giusta procura a margine del ricorso, sia congiuntamente che disgiuntamente, dagli avv. Antonio Coppola e Federico Russo, presso il cui studio in Palermo, via Messina, n. 7/D, sono elettivamente domiciliati;
contro
- Assessorato Regionale dei Beni Culturali Ambientali e della Pubblica Istruzione - Dipartimento dei Beni Culturali, Ambientali, delle Educazione Permanente, dell’Architettura e dell’Arte Contemporanea;
- Soprintendenza dei Beni Culturali, Ambientali e della Pubblica Istruzione di Trapani;
in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo, presso i cui uffici, in via Alcide De Gasperi, n. 81, sono domiciliati per legge;
per l'annullamento
del provvedimento prot. n. 7386, posizione pp.uu. v. - 1121 del 17 luglio 2009, notificato il giorno 24 successivo, con il quale l'Assessorato dei Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione - Dipartimento Regionale Beni Culturali ed Ambientali della Educazione Permanente e dell'Architettura e dell'Arte Contemporanea - Area Soprintendenza Beni Culturali ed Ambientali di Trapani ha annullato "il provvedimento n. 11013 del 28/10/08, ai sensi dell'art. 21-quinquies della l. 7/8/1990 n. 241, in quanto da un approfondimento degli elaborati pervenuti nonché dai risultati di un sopralluogo effettuato da tecnici di quest'Ufficio si è potuto constatare che sul sito sottostante all'ubicazione del realizzando ascensore esiste un antico vano probabilmente in passato destinato a cisterna per l'approvvigionamento di acqua, tale serbatoio sicuramente faceva parte della riserva idrica di una vecchia torre della cinta muraria del borgo antico, pertanto le fondazioni del nuovo corpo ascensore andrebbero a gravare sul solettone di copertura in roccia tufacea della predetta cisterna, coinvolgendo la staticità di un'importante testimonianza architettonica dei luoghi".
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura dello Stato per le Amministrazioni intimate;
Vista l’ordinanza cautelare n. 1131 del 25 novembre 2009;
Vista la memoria dell’Avvocatura dello Stato;
Visti gli atti tutti della causa;
Designato relatore il primo referendario Aurora Lento;
Uditi, alla pubblica udienza del 14 dicembre 2010, i difensori delle parti come da verbale;
Ritenuto e considerato:
FATTO
Con ricorso, notificato il 23 ottobre 2009 e depositato l’11 novembre successivo, Nicolò Curella e Giuseppina Busetta esponevano che dimoravano per sei mesi l’anno nel proprio immobile ubicato a Castellammare del Golfo, via Puccini, n. 41.
Essendo il signor Curella affetto da handicap grave ed impossibilitato ad accedere alla propria abitazione attraverso le scale, avevano chiesto, in data 7 aprile 2008, alla Soprintendenza di Trapani di essere autorizzate a realizzare un ascensore.
Non essendo nei 90 giorni successivi intervenuto un provvedimento esplicito di diniego, avevano conferito incarico ad un architetto per iniziare l’esecuzione delle opere.
Con provvedimento dell’8 settembre 2008, la Soprintendenza aveva, però, annullato il provvedimento favorevole tacitamente formatosi.
I ricorrenti avevano, pertanto, apportato alcune modifiche al progetto originario e rappresentato che l’intervento richiesto era finalizzato alla rimozione delle barriere architettoniche per garantire la fruizione dell’immobile da un portatore di handicap.
Con provvedimento n. 11013 del 28 ottobre 2008, la Soprintendenza aveva autorizzato la realizzazione dell’ascensore.
Con successivo provvedimento prot. n. 7386, posizione pp.uu. v. -1121 del 17 luglio 2009, tale atto era stato, però, annullato, ai sensi dell'art. 21-quinquies della l. 7/8/1990 n. 241, con la seguente motivazione: “da un approfondimento degli elaborati pervenuti, nonché dai risultati di un sopralluogo effettuato da tecnici di quest'ufficio, si è potuto constatare che sul sito sottostante all'ubicazione del realizzando ascensore esiste un antico vano probabilmente in passato destinato a cisterna per l'approvvigionamento di acqua, tale serbatoio sicuramente faceva parte della riserva idrica di una vecchia torre della cinta muraria del borgo antico, pertanto le fondazioni del nuovo corpo ascensore andrebbero a gravare sul solettone di copertura in roccia tufacea della predetta cisterna, coinvolgendo la staticità di un'importante testimonianza architettonica dei luoghi".
I ricorrenti hanno chiesto l’annullamento, previa sospensiva e vinte le spese, di tale atto per i seguenti motivi:
1) Violazione della normativa in materia: di eliminazione delle barriere architettoniche, di tutela dei disabili, nonché delle norme sul procedimento.
La motivazione sarebbe carente, non essendo stato indicato, se non in modo generico, alcun possibile pregiudizio alla struttura ipogeica.
Si sarebbe, comunque, dovuto prendere in considerazione la possibilità di soluzioni alternative (indicate dall’interessato o dall’Amministrazione) per la realizzazione dell’ascensore, essendo questo l’unico mezzo utilizzabile dal ricorrente per accedere alla propria abitazione.
2) Adozione atto successivamente alla consumazione del potere dell’Amministrazione.
L’autorizzazione della Soprintendenza, in quanto atto ad effetti istantanei, non avrebbe potuto essere revocato, avendo l’Amministrazione consumato il suo potere, tanto più in considerazione della finalizzazione dello stesso alla rimozione di barriere architettoniche.
Per le Amministrazioni intimate si è costituita in giudizio l’Avvocatura dello Stato.
Con ordinanza n. 1131 del 25 novembre 2009 l’istanza cautelare è stata accolta.
In vista della udienza l’Avvocatura dello Stato ha depositato una memoria, con la quale sottoposta al TAR la questione della opportunità della integrazione del contraddittorio nei confronti dei comproprietari dell’immobile, ha chiesto il rigetto del ricorso poiché infondato, stante che: non sussistono preclusioni alla possibilità del ritiro in autotutela delle autorizzazioni rilasciate dalla Soprintendenza, laddove ritenute illegittime; il ritiro della precedente autorizzazione si è reso necessario, in quanto, successivamente alla sua adozione, è stata constatata l’inadeguatezza del rilievo prodotto rispetto allo stato dei luoghi, non essendo stato rappresentato che il progettato ascensore insisteva sulla parte superiore di una antica fortificazione; sarebbe adeguato, sotto il profilo motivazionale, il sintetico riferimento al pericolo di crollo della zona sottostante alla piazzetta di ubicazione dell’immobile in questione.
Alla pubblica udienza del 14 dicembre 2010, su conforme richiesta dei difensori delle parti, il gravame è stato posto in decisione.
DIRITTO
1. La controversia ha ad oggetto il provvedimento, con il quale la Soprintendenza di Trapani ha ritirato in autotutela l’autorizzazione precedentemente rilasciata ai ricorrenti per la realizzazione di un ascensore in un immobile vincolato, costituente intervento di rimozione di barriere architettoniche per garantire la fruizione dell’immobile da un portatore di handicap grave.
Il provvedimento è stato motivato con riferimento alla sopravvenuta constatazione che sul sito sottostante all'ubicazione del realizzando ascensore esisteva un antico vano, probabilmente in passato destinato a cisterna, sul cui solettone di copertura in roccia tufacea avrebbero gravato le fondazioni, con conseguente coinvolgimento della staticità di un'importante testimonianza architettonica dei luoghi.
2. Preliminarmente va disattesa la richiesta avanzata dall’Avvocatura dello Stato di integrazione del contradditorio nei confronti dei comproprietari dell’immobile, non essendo questi titolari di posizioni differenziate e, pertanto, controinteressati in senso tecnico.
3. Ciò premesso, il ricorso è fondato sotto l’assorbente profilo del difetto di motivazione.
La l. 9 gennaio 1989, n. 13 detta disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati al fine di garantirne la fruizione da parte dei portatori di handicap, statuendo, in particolare, ai commi 4 e 5 dell’art. 4 che: l’autorizzazione alla realizzazione di interventi in immobili soggetti a vincolo può essere negata solo ove non sia possibile realizzare le opere senza serio pregiudizio del bene tutelato; il diniego deve essere motivato con la specificazione della natura e della serietà del pregiudizio, della sua rilevanza in rapporto al complesso in cui l'opera si colloca e con riferimento a tutte le alternative eventualmente prospettate dall'interessato.
Dal surriportato quadro normativo emerge che il legislatore, nel bilanciamento tra l’interesse alla tutela del patrimonio storico - artistico nazionale e quello alla salvaguardia dei diritti alla salute ed al normale svolgimento della vita di relazione e socializzazione dei soggetti in minorate condizioni fisiche ha dato prevalenza al secondo, collocando il diniego dell'autorizzazione alla realizzazione di interventi in beni vincolati ai soli casi di accertato e motivato "serio pregiudizio" del bene vincolato.
Ne deriva che, pur non potendosi affermare la vigenza di un principio di superabilità e derogabilità assoluta e automatica dei vincoli posti per finalità di tutela storico-culturale o paesistico –ambientale, va ritenuto che il provvedimento, con il quale la Soprintendenza non autorizza la realizzazione di un'opera preordinata al superamento delle barriere architettoniche deve dare compiuta ed esauriente emersione alle reali e dimostrabili ragioni di pregiudizio, che il progettato intervento è suscettibile di arrecare all'interesse tutelato (TAR Lazio Roma, II, 15 febbraio 2002, n. 1061).
Nella specie la Soprintendenza ha motivato il proprio giudizio negativo facendo riferimento al pregiudizio della staticità di una antica cisterna collocata sotto il sito del realizzando ascensore.
Tale valutazione è stata fondata sulla circostanza che le fondazioni dell’intervento progettato avrebbero gravato sul solettone di copertura della cisterna, senza, però, procedere ad una verifica specifica.
Dal verbale di sopralluogo versato in atti dalla difesa erariale si evince, infatti, che l’unico elemento considerato è stato la collocazione dell’ascensore.
Il provvedimento impugnato si appalesa, pertanto, illegittimo per insufficiente motivazione, stante la mancata compiuta ostensione delle ragioni specifiche, sulla base delle quali era possibile ritenere compromessa la staticità della cisterna.
Concludendo, in forza di quanto esposto, assorbite le ulteriori censure, il ricorso è fondato e va accolto.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Condanna la parte soccombente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in complessivi € 1.500,00 (millecinquecento/00), oltre accessori, se e in quanto dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 14 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Nicola Maisano, Presidente FF
Giovanni Tulumello, Consigliere
Aurora Lento, Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 04/02/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Unico il titolo abilitativo per l'installazione di stazioni radio-base per la telefonia cellulare

Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 194 del 2 febbraio 2011
Data: 
02/02/2011
ll Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino. Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato.

L’installazione di stazioni radio base è soggetta al rilascio di un unico titolo abilitativo, come contemplato e disciplinato dall’art. 87 del d.lgs. n° 259/2003, suscettibile di comprendere tutte le valutazioni anche di natura urbanistica e territoriale proprie del titolo abilitativo edilizio. Il principio di unicità del titolo abilitativo per l’installazione di stazioni radio base è vincolante anche per le Regioni a Statuto speciale e dunque anche per la Regione Sicilia, trattandosi di principio affermato dal legislatore statale del d.lgs. n° 259/2003 nell’esercizio della potestà legislativa nella materia “trasversale” della tutela della concorrenza.

Ne deriva che  le norme di legge della Regione siciliana che regolano il rilascio dei titoli abilitativi edilizi devono essere interpretate in senso conforme al principio di onnicomprensività di valutazioni urbanistico-edilizie, suscettibili di trovare spazio nell’unico procedimento preordinato al rilascio dell’autorizzazione per l’installazione di stazioni radio base, come previsto e disciplinato dall’art. 87 del d.lgs. n° 259/2003.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 2519 del 2008, proposto da Vodafone Omnitel N.V., rappresentata e difesa dagli avv.ti Antonino Macaluso e Daniela Macaluso, con domicilio eletto presso l’avv. Antonino Macaluso in Palermo, via G. Ventura n. 1;
contro
-il Comune di Cinisi, non costituito in giudizio,
per l'annullamento
- della nota prot. n. 18280 del 22.9.06, di diniego di rilascio autorizzazione per la realizzazione di una stazione radio base in terreno sito nel Comune di Cinisi;
- di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale compreso il verbale n. 1 dell'11.9.08 della Commissione edilizia;
nonchè per l'accertamento
e la declaratoria della formazione per silentium del titolo abilitativo sulla dichiarazione di inizio attività.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Vista la memoria difensiva della società ricorrente;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 25 gennaio 2011 il Presidente dott. Nicolo' Monteleone e udito il difensore della ricorrente, come specificato nel verbale;
Sentita la stessa parte ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Il ricorso merita accoglimento.
Come ha avuto occasione di osservare questa Sezione in fattispecie analoghe alla presente (fra le tante, 21 luglio 2006, n. 1743; 12 marzo 2008, n. 340; 6 aprile 2009, n. 661, 27 ottobre 2010, n. 13720), va rilevato che il Comune non possa, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino. Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 15 giugno 2006, n. 3534, C.G.A. 12 novembre 2009, n. 929; T.A.R. Sicilia, sez. II, 6 aprile 2009, n. 661).
Anche recentemente è stato ribadito che le stazioni radio base, attesa la loro natura di opere di urbanizzazione, possono essere installate sull’intero territorio comunale, non assumendo carattere ostativo le specifiche destinazioni di zona rispetto ad impianti di carattere generale che, quli quello di telefonia mobile, presuppongono la realizzazione di una rete che dia uniforme copertura al territorio (C.G.A. 14 aprile 2010, n. 514)
Va, ancora, osservato che, per giurisprudenza consolidata costituzionale e amministrativa, l’installazione di stazioni radio base è soggetta al rilascio di un unico titolo abilitativo, come contemplato e disciplinato dall’art. 87 del d.lgs. n° 259/2003, suscettibile di comprendere tutte le valutazioni anche di natura urbanistica e territoriale proprie del titolo abilitativo edilizio (Corte Cost.le n° 336/2005; Cons. Stato, sez. VI, 28 giugno 2010 n. 4135; Cons. Stato, sez. VI, 28/02/2006 n°889; Cons. Stato, 5 agosto 2005, n. 4159; Cons. Stato, 26 luglio 2005, n. 4000; Cons. Stato, 9 giugno 2005, n. 3040; Cons. Stato, Sez. VI, 11 gennaio 2005, n. 100).
Come ha avuto recentemente occasione di precisare questa Sezione in fattispecie analoga alla presente (v. sentenza n. 11086 del 28 settembre 2010), il principio di unicità del titolo abilitativo per l’installazione di stazioni radio base è vincolante anche per le Regioni a Statuto speciale e dunque anche per la Regione Sicilia, trattandosi di principio affermato dal legislatore statale del d.lgs. n° 259/2003 nell’esercizio della potestà legislativa nella materia “trasversale” della tutela della concorrenza. Pertanto, le norme di legge della Regione siciliana che regolano il rilascio dei titoli abilitativi edilizi devono essere interpretate in senso conforme al principio di onnicomprensività di valutazioni urbanistico-edilizie, suscettibili di trovare spazio nell’unico procedimento preordinato al rilascio dell’autorizzazione per l’installazione di stazioni radio base, come previsto e disciplinato dall’art. 87 del d.lgs. n° 259/2003.
La nota impugnata è, altresì, illegittima per violazione dell’art. 87 del d.lgs. n°259/2003, per l’improprio esercizio del potere inibitorio comunale, attivato tardivamente rispetto al termine di legge.
Per suesposte considerazioni e assorbito quant’altro, il ricorso va accolto e, per l’effetto, vanno annullati gli atti impugnati.
Sussistono giustificati motivi per compensare tra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, Sede di Palermo, Sezione Seconda, accoglie il ricorso in epigrafe indicato (n. 2519/2008) e, per l’effetto, annulla gli atti impugnati.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo, nella Camera di consiglio del 25 gennaio 2011, con l'intervento dei Signori Magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente, Estensore
Cosimo Di Paola, Consigliere
Roberto Valenti, Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/02/2011

Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da occupazione sine titulo non inizia a decorrere fino alla restituzione dell'immobile ovvero al sopravvenire dell'atto di acquisizione

Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 175 del 1 febbraio 2011
Data: 
01/02/2011
Materia: 
Occupazione sine titulo

In conformità con gli insegnamenti della Corte Costituzionale discendenti dalla sent.191/2006, va affermata la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso di specie in cui si fa questione di una pretesa risarcitoria connessa ad una occupazione del bene, già legittima (poiché sorretta da idonea dichiarazione di pubblica utilità, circostanza non contestata) che è poi tuttavia divenuta illecita per mancata emanazione nei termini di legge di un decreto definitivo di esproprio. Detto “comportamento” illecito della P.A. è senz’altro riconducibile (mediatamente) alla titolarità e all’esercizio di poteri autoritativi tipici in materia espropriativa (cfr. Cons. Stato, ad. pl., 22 ottobre 2007, n. 12; C.G.A., 25 maggio 2009, n. 486). Tale arresto giurisprudenziale trova oggi riscontro anche sul piano normativo in ragione della lett.g) comma 1 art.133 del Cod. Proc. Amm. ai sensi del quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità.

Malgrado l’eliminazione dal mondo giuridico dell’istituto della cd. acquisizione sanante di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità di quest’ultima norma (Cort. Cost. sentenza 8 ottobre 2010 n. 293), il Collegio ritiene di non poter abdicare alla consolidata giurisprudenza pregressa che qualifica il comportamento in specie tenuto dalla pubblica amministrazione (comunque riconducibile, ripetesi, alla estrinsecazione di un potere pubblico in ragione di una valida dichiarazione di pubblica utilità e di un legittimo decreto occupazione d’urgenza, cui tuttavia non ha fatto seguito nei termini previsti dalla legge il provvedimento definitivo di esproprio) quale illecito permanente nella cui vigenza non decorre la prescrizione (cfr. T.A.R. Palermo sez. III, 13 gennaio 2009, n. 39) in mancanza di un effetto traslativo della proprietà, stante la mancanza del provvedimento di esproprio, connesso alla mera irrevocabile modifica dei luoghi.
 

Conformi: Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 187 del 1 febbraio 2011; Tar palermo Sez. I, sentenza n. 204 del 4 febbraio 2011


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2799 del 1999, proposto da:
Glorioso Giuseppe e Giambona Maria, rappresentati e difesi dall'avv. Antonino Paleologo, presso il cui studio hanno eletto domicilio in Palermo, v.le Leonardo Da Vinci 65;
contro
-il Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Roberta Cannarozzo, con domicilio eletto presso la sede degli Uffici Legale del Comune siti in Palermo, piazza Marina N.39;
per il risarcimento del danno
derivante dalla occupazione illegittima ed irreversibile trasformazione degli immobili di proprietà dei ricorrenti.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Palermo e la successiva memoria;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26 novembre 2010 il dott. Roberto Valenti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue;
FATTO
Con il ricorso in esame, il ricorrente Glorioso Giuseppe premette di agire nella qualità di (già) proprietario di una unità edilizia sita nel Comune di Palermo, Piazza Garraffello n.6, piano terrano, identificata al catasto al foglio 129, p.lla 614/6, sui due terzi della quale era stato costituito l’usufrutto in favore Giambona Maria, anche’essa ricorrente nella predetta ultima qualità.
Espongono entrambi di aver già adito il giudice ordinario, Tribunale civile di Palermo, con atto di citazione del 18/11/98 onde aver riconosciuto il risarcimento del danno conseguente alla perdita del diritto di proprietà a causa dell’irreversibile trasformazione (demolizione) dei beni sui quali il Comune di Palermo, a seguito dell’avviata e non conclusa procedura espropriativa ed in forza di un decreto di occupazione d’urgenza del 5/2/87 n.16/420/0, ha realizzato “i lavori di costruzione di alloggi popolari sull’area di Piazza Garraffello”. Con lo stesso atto di citazione gli istanti chiedevano innanzi il Giudice Ordinario altresì la corresponsione dell’indennità di occupazione legittima. Con sentenza n.2703/99 del 18/6/99 del Giudice unico del Tribunale civile di Palermo, è stata dichiarato il difetto di giurisdizione sulla prima domanda, appartenendo la controversia al Giudice Amministrativo, e il difetto di competenza funzionale in ordine alla richiesta di indennità di occupazione legittima.
In questa sede i ricorrenti propongono quindi domanda risarcitoria per perdita del diritto dominicale sul bene in narrativa, con decorrenza dalla data di cessazione dell’occupazione legittima, oltre rivalutazione ed interesse. A tal fine chiedono disporsi C.T.U. per accertare l’entità del risarcimento del danno dovuto.
Resiste il Comune di Palermo.
Con domanda di fissazione a firma congiunta, in riscontro dell’avviso di perenzione quinquennale trasmesso dalla Segreteria, il ricorrente Giuseppe Glorioso ha comunicato l’avvenuto decesso, nel 2007, della litisconsorte Maria Giambona, ricorrente n.q. di (già) usufruttuaria per due terzi del bene in questione.
Il Comune di Palermo ha prodotto documenti in data 3/11/2010 e, con memoria del 5/11/2010, ha preliminarmente eccepito la prescrizione del credito risarcitorio, contestando comunque la fondatezza della pretesa, atteso che lo stesso Comune ha provveduto a pagare quanto stabilito dalla Corte d’Appello con sentenza 14/2004, contestando altresì la sussistenza di alcuna irregolarità della procedura ablatoria di che trattasi, chiedendo la rimessione in termini per la produzione documentale.
Alla pubblica udienza del 26/11/2010 il ricorso è passato in decisione.
DIRITTO
1-Si controverte sulla domanda di risarcimento del danno formulata dai ricorrenti, causato dall’occupazione sine titulo dell’unità edilizia già in proprietà, irreversibilmente trasformata (siccome abbattuta) dalla realizzazione delle opere pubbliche (i.e.: edilizia pubblica residenziale di P.zza Garraffello) già dichiarate di pubblica utilità, a seguito dello scadere del periodo di occupazione d’urgenza legittima e della mancata conclusione del procedimento espropriativo con l’adozione del decreto di espropriazione.
1.1-Sotto il profilo soggettivo, deve darsi atto –secondo quanto dichiarato dal ricorrente Glorioso Giuseppe con la nuova istanza di fissazione a forma congiunta del 19/06/2009- dell’avvenuto decesso dell’altra ricorrente Sig.ra Maria Giambona, che agiva invero nella qualità di titolare di usufrutto: nessun eventuale erede di quest’ultima ha provveduto alla prosecuzione in parte qua del giudizio, sicché la pretesa qui azionata deve ritenersi delimitata soggettivamente in capo all’unico ricorrente superstite, sig. Glorioso Giuseppe.
1.2-Deve altresì ribadirsi la sussistenza della giurisdizione di questo decidente in ordine ai fatti di causa e alla domanda ivi spiegata, in adesione a quanto per altro già deciso sulla specifica pretesa già avanzata dagli originali ricorrenti innanzi il Tribunale Civile di Palermo, giusta sentenza n.2703/99 del 18/6/99 del Giudice unico del Tribunale civile di Palermo: giudizio nel quale lo stesso comune di Palermo aveva chiesto in via riconvenzionale che, in caso di accoglimento delle domande attoree, fosse dichiarato che l’immobile occupato era divenuto di proprietà del medesimo Ente (domanda che il G.O. non ha potuto esaminare, stante la pronuncia sul difetto di giurisdizione). Ed invero, in conformità con gli insegnamenti della stessa Corte Costituzionale discendenti dalla sent.191/2006, va affermata la giurisdizione di questo giudice nel caso di specie in cui si fa questione di una pretesa risarcitoria connessa ad una occupazione del bene, già legittima (poiché sorretta da idonea dichiarazione di pubblica utilità, circostanza non contestata) che è poi tuttavia divenuta illecita per mancata emanazione nei termini di legge di un decreto definitivo di esproprio. Detto “comportamento” illecito della P.A. è senz’altro riconducibile (mediatamente) alla titolarità e all’esercizio di poteri autoritativi tipici in materia espropriativa (cfr. Cons. Stato, ad. pl., 22 ottobre 2007, n. 12; C.G.A., 25 maggio 2009, n. 486). Tale arresto giurisprudenziale trova oggi riscontro anche sul piano normativo in ragione della lett.g) comma 1 art.133 del Cod. Proc. Amm. ai sensi del quale sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti riconducibili, anche mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere delle pubbliche amministrazioni in materia di espropriazione per pubblica utilità.
1.3-Ciò posto, il ricorso è fondato e va accolto nei limiti e nei sensi di cui d’appresso.
2- Preliminarmente, il Collegio ritiene di dover evidenziare l’intempestivo deposito della memoria difensiva del Comune di Palermo, avvenuto in data 05.11.2010 in vista dell’udienza pubblica odierna fissata per il 26.11.2010. Ed invero, l’art. 73 del nuovo codice del processo amministrativo, approvato col D.Lgs. 104/2010, prevede che le memorie difensive debbano essere depositate almeno 30 giorni liberi antecedenti l’udienza di trattazione, termine che nel caso di specie non risulta evidentemente rispettato, non potendosi fare qui applicazione del regime transitorio previsto dall’art.2 dell’Allegato 3 dello stesso Codice (siccome, computando a ritroso i termini previsti dall’art.73 co.1 C.P.A. dalla data della presente pubblica udienza, gli stessi non possono ritenersi “pendenti” alla data di entrata in vigore dello stesso codice: cfr. in tal senso anche la Circolare 27 settembre 2010 n. 1958 prot. del Presidente del Consiglio di Stato).
2.1-Purtuttavia il Collegio, attesa la fondatezza della pretesa del ricorrente Glorioso Giuseppe (per come di seguito meglio precisato), ritiene opportuno evidenziare l’infondatezza delle eccezioni e delle difese spiegate dal Comune di Palermo nel suddetto scritto difensivo, premettendo opportunamente che: a) dalla documentazione versata in atti risulta incontestato che la pretesa risarcitoria in esame è connessa ad una procedura ablatoria legittimamente intrapresa dal Comune di Palermo, cui non ha fatto seguito, nei termini fissati dalla legge (i.e. cinque anni dalla immissione in possesso avvenuta in data 06/04/1987 in ragione dell’ordinanza sindacale n.16 /420/0 del 5/2/1987: termine “prorogato” ope legis di due anni per effetto dell’art.22 L.158/1991 e, quindi, in ultimo scaduto alla data del 6/4/1994) alcun provvedimento di espropriazione definitiva; b) il Comune di Palermo, pur chiedendo con la memoria cit. una rimessione in termini per produzione documentale, non fornisce alcun utile elemento di prova idoneo a comprovare né la tempestiva adozione del provvedimento di che trattasi, né la sua (pur tardiva) adozione oltre il termine di occupazione legittima dei beni dei ricorrenti, il ché comunque non pregiudicherebbe l’azione risarcitoria qui in esame (cfr. in tale senso C.G.A., sez. Giurisdizionale, sentenza 10 novembre 2010 n. 1410: D’altra parte, la successiva adozione di un provvedimento di esproprio si configura come un post factum del tutto irrilevante e non in grado di far cessare l’interesse alla coltivazione della domanda risarcitoria proposta); c) non risulta nemmeno adottato (antecedentemente alla sentenza della corte Costituzionale n.293/2010, di cui più diffusamente infra) alcun un provvedimento di acquisizione ex art.43 T.U. espropriazioni.
2.2-Ebbene, del tutto priva di pregio si appalesa l’eccezione di avvenuta prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno. Ed invero, malgrado l’eliminazione dal mondo giuridico dell’istituto della cd. acquisizione sanante di cui all’art. 43 del D.P.R. n. 327 del 2001, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità di quest’ultima norma (Cort. Cost. sentenza 8 ottobre 2010 n. 293), il Collegio ritiene di non poter abdicare alla consolidata giurisprudenza pregressa che qualifica il comportamento in specie tenuto dalla pubblica amministrazione (comunque riconducibile, ripetesi, alla estrinsecazione di un potere pubblico in ragione di una valida dichiarazione di pubblica utilità e di un legittimo decreto occupazione d’urgenza, cui tuttavia non ha fatto seguito nei termini previsti dalla legge il provvedimento definitivo di esproprio) quale illecito permanente nella cui vigenza non decorre la prescrizione (cfr. T.A.R. Palermo sez. III, 13 gennaio 2009, n. 39) in mancanza di un effetto traslativo della proprietà, stante la mancanza del provvedimento di esproprio, connesso alla mera irrevocabile modifica dei luoghi. Ciò anche in conformità alle decisioni della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo adottate nel corso dell' anno 2000 (sentenze C.E.D.U. del 30 maggio 2000, n. 24638/94, Carbonara e Ventura e n. 31524/96, Società Belvedere Alberghiera) che hanno sancito la contrarietà con l’ordinamento internazionale dell’istituto di origine giurisprudenziale della “espropriazione sostanziale” nelle due ipotesi alternative della occupazione acquisitiva o usurpativa; giurisprudenza oggi ulteriormente avvalorata dalla rinnovata e diretta incidenza sul piano interno delle disposizioni della C.E.D.U., in ragione del combinato disposto della nuova formulazione dell’art.6 del Trattato dell’Unione Europea (a seguito delle modifiche apportate con il Trattato di Lisbona, firmato nella capitale portoghese il 13 dicembre 2007) e l’art.117 co.1 della Costituzione, come in ultimo modificato con L.Cost.3/2001 (cfr. sul punto di recente T.A.R. Lazio, Roma , Sez. II-bis, Sentenza 18 maggio 2010 n.11984). Pertanto, salva la possibilità di optare –come in seguito meglio illustrato- per le differenti forme “risarcitorie” che l’ordinamento appresta (i.e.: restituzione del bene ovvero risarcimento del danno per equivalente), il soggetto “spogliato” può agire nei confronti dell'ente pubblico, senza dover sottostare al termine prescrizionale quinquennale decorrente dalla trasformazione irreversibile del bene, con l’unico limite temporale rinvenibile nell'acquisto della proprietà, per usucapione ventennale del bene, eventualmente maturata dall'ente pubblico (in termini, T.A.R. Sicilia, Palermo, III, 2 settembre 2009, n. 1462).
2.3-Parimenti priva di rilevanza ai fini del decidere risulta l’argomentazione con cui il Comune deduce che le pretese dei ricorrenti avrebbero trovato soddisfazione mercé la sentenza della Corte di Appello di Palermo n.14/2004, versata in atti, emessa in sede di ricorso per opposizione alla stima proposto dalla controparte (qui ricorrente). Ed invero l’oggetto di quel decisum ha riguardo alla spettanza e all’ammontare unicamente della sola indennità di occupazione legittima dei beni in questione, con conseguente condanna del Comune di Palermo al pagamento del dovuto a tale ed unico titolo.
3- Nel merito, per le considerazioni che seguono, sussiste -nei termini che seguono- il diritto al risarcimento del danno sotto forma di equivalente monetario, espressamente ed unicamente richiesto dal ricorrente con il ricorso in esame (che ha così optato, sin dall’atto di citazione innanzi il giudice ordinario, in alternativa alla restituzione del bene).
3.1-Considerata la natura unicamente risarcitoria (per equivalente) della pretesa qui azionata, occorre dare contezza che con la recente sentenza 8.10.2010, n. 293 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale - Corte costituzionale n. 41 del 13.10.2010), la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale, per eccesso di delega, dell'art. 43 D.P.R. n. 327/2001. Ritiene opportuno il Collegio evidenziare come, nella vigenza della predetta norma, era stato già oggetto di critica, da parte del giudice d’appello, l’orientamento giurisprudenziale che aveva ritenuto non ammissibile la domanda volta ad ottenere in sede giudiziale, in luogo della restituzione del bene (che in assenza di un valido provvedimento di esproprio deve ritenersi non essere transitato alla proprietà pubblica anche in presenza di irreversibile trasformazione del fondo a seguito della realizzazione dell’opera pubblica), il solo risarcimento del danno (cfr. ex multis Consiglio di Stato, Sez.V. n.2144/2009; C.G.A., Sez. Giurisdizionale, n.486/2009). Con riferimento all'istituto della acquisizione coattiva sanante, già previsto dall'art. 43 DPR 8 giugno 2001, n. 327, nell'ambito della giurisprudenza amministrativa si erano infatti registrati due diversi orientamenti. Secondo il primo indirizzo, atteso il tenore letterale della norma (già) contenuta nell’art.43 cit., il privato avrebbe potuto chiedere solo ed unicamente la restituzione del fondo, potendosi fare luogo al risarcimento per equivalente solo nel caso in cui la Pubblica Amministrazione avesse manifestato l’intento di far ricorso alla normativa di cui all'art. 43 citato, disponendo l'acquisizione del fondo al suo patrimonio indisponibile (comma 1); ovvero nel caso in cui quest’ultima, chiamata in giudizio ai fini restitutori, chiedesse al giudice di disporre la condanna al risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo. Per il secondo orientamento, al privato danneggiato, anche nella vigenza della suddetta norma, non era precluso dal poter chiedere, in alternativa alla restituzione del bene, direttamente il risarcimento per equivalente "... in presenza di una evidente volontà dell'amministrazione di acquisire l'area, concretizzatasi in atti concludenti quell'avvio alla procedura espropriativa, l'occupazione del suolo alla realizzazione dell'opera pubblica, nonché in presenza di altrettante inequivoca volontà dei privati di non volere la restituzione dell'area ma l'equivalente in denaro...". (di recente, ancora T.A.R. Sicilia Catania, sez. II, 23 febbraio 2010 , n.373).
3.2- Secondo la recente Giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Puglia - Lecce, Sez.I - sentenza 24 novembre 2010 n.2683) venuta meno l’espropriazione indiretta ( e come occupazione acquisitiva e come occupazione usurpativa ) ad opera dell’art. 43 del d.P.R. n.327 del 2001,venuto meno l’istituto dell’acquisizione per decreto da parte dell’amministrazione e quello della esclusione della restituzione del bene senza limiti di tempo accompagnata dalla condanna al risarcimento del danno,entrambe disposte dal giudice amministrativo, spetta all’interprete individuare la disciplina giuridica delle situazioni in cui sia stata realizzata l’opera pubblica in assenza del compimento nei termini della procedura espropriativa o in assenza di una valida procedura.
3.4-Il Collegio ritiene di poter prendere le mosse da tale argomentazione, pur non potendo condividere del tutto le prospettate conclusioni in ordine alla ipotizzata applicazione, alle questioni come quelle qui in esame, dell’art.940 c.c. secondo cui "Se taluno ha adoperato una materia che non gli apparteneva per formare una nuova cosa, possa o non possa la materia riprendere la sua prima forma, ne acquista la proprietà pagando al proprietario il prezzo della materia, salvo che il valore della materia sorpassi notevolmente quello della mano d’opera. In quest’ultimo caso la cosa spetta al proprietario della materia, il quale deve pagare il prezzo della mano d’opera" . Ed invero, malgrado l’approfondita ricostruzione dell’istituto della “specificazione”, rimane dubbia la sua applicazione alla proprietà immobiliare e la riconduzione del suolo sine titulo occupato e “irreversibilmente trasformato” alla nozione di “materia”, di cui alla stessa norma.
3.5-Ciò posto, ad avviso della Sezione l’espunzione dall’ordinamento dell’art.43 cit. –mercé la richiamata pronunzia della Cirte Costituzionale n.293/2010- non revoca in dubbio le conclusioni cui era già pervenuta la giurisprudenza amministrativa in ordine alla possibilità di adire direttamente la tutela risarcitoria per equivalente, quale alternativa al risarcimento del danno in forma specifica.
3.6-Sono ancora condivisibili le linee argomentative tratteggiate dal Consiglio di Giustizia Amministrativa in ordine al rapporto tra i suddetti mezzi di tutela risarcitoria. Con la decisione n.268/2009 cit. il consesso di appello siciliano della Giustizia Amministrava, ha affrontato analiticamente la questione in esame attraverso una sua analisi sistematica in relazione a) ai principi generali civilistici in materia di risarcimento del danno incidente sul diritto di proprietà del privato; b) alla disciplina specifica sulle conseguenze derivanti dalla utilizzazione senza titolo di un immobile privato, per scopi di interesse pubblico, accompagnata dalla realizzazione di un’opera pubblica (di cui al già ricordato articolo 43 del testo unico dell’espropriazione); c) alla giurisprudenza civile formatasi in materia di strumenti di tutela del proprietario nelle ipotesi della cosiddetta occupazione “usurpativa”: aspetti tutti da mettere in stretta correlazione alla disciplina dei modi di acquisto, trasferimento e rinuncia dei diritti di proprietà.
3.7-Ad avviso del giudice d’appello, “In linea generale, secondo le coordinate civilistiche, desumibili dalla lettura sistematica degli articoli 2043, 2058 e 2933 del codice civile, la riparazione del danno patrimoniale ingiusto extracontrattuale subito dal proprietario di un bene può avvenire, alternativamente, tramite la corresponsione dell’equivalente monetario, oppure mediante la reintegrazione in forma specifica, attuata mediante la restituzione, accompagnata dalla fisica e materiale riparazione o sostituzione della cosa danneggiata, distrutta o resa inservibile per l’uso. La regola della alternatività non impedisce, ovviamente, la complementarità delle due tutele in particolari casi, considerando che il risarcimento per equivalente va comunque riconosciuto per quelle componenti del pregiudizio economico non riparabili in forma specifi-ca, quali l’indisponibilità del bene nel periodo precedente la perdita della proprietà”. Osserva sempre il C.G.A. che il rapporto tra le due forme di risarcimento è regolato dall’art.2058 c.c. ai sensi del quale si esclude il risarcimento in forma specifica solo qualora ciò sia considerato “eccessivamente oneroso” per il debitore o risulti contrastante con l’economia nazionale: …restrizioni (che) operano “unidirezionalmente”, nel senso che circoscrivono lo spazio applicativo della tutela in forma specifica, ma non delimitano mai l’operatività del diritto al risarcimento per equivalente. (…) Al di fuori di questi limiti espliciti, la previsione dell’alternatività delle due forme di tutela comporta, evidentemente, l’attribuzione al danneggiato del diritto di optare per la modalità risarcitoria ritenuta più idonea a proteggere i propri interessi. Né il giudice, né tanto meno l’autore dell’illecito possono contrastare tale scelta, al di fuori dei confini indicati dall’articolo 2058 del codice civile.
Il percorso argomentativo fin qui delineato richiama altresì agli orientamenti consolidati della Corte di Cassazione che è giunta da tempo a riconoscere il principio secondo cui la scelta del tipo di risarcimento (se in forma specifica o per equivalente) spetta al danneggiato, rientrando nella sua sfera di disponibilità l’utilizzo dei singoli mezzi di tutela previsti dall’ordinamento. Con l’ulteriore corollario, evidenziato dalla stessa Corte di Cassazione, che la suddetta regola dell’alternatività non preclude al danneggiante, fino a quando non intervenga la sentenza esecutiva, di apprestare rimedio e risarcire spontaneamente il danno, secondo i principi generali in tema di obbligazione, anche in una forma diversa da quella scelta dal creditore, ed il cui ingiustificato rifiuto a ricevere detta prestazione –ove determinante un aggravamento del danno- comporterebbe all’evidenza una proporzionale riduzione del risarcimento dovuto, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, cod. civ. (Cassazione civile, sez. III, 21 maggio 2004, n. 9709).
3.8-La disciplina specifica contenuta nel più volte citato articolo 43 non prevedeva, in materia di risarcimento del danno subito dal proprietario, regole contrastanti con i principi generali espressi dal codice civile e dall’allora vigente articolo 35 del D.Lgs. n. 80/1998, oggi sostituito dall’art.29 cod. proc. amm..
La specialità della normativa si innestava, invero, nel quadro sistematico della tutela risarcitoria, dettando alcune significative deroghe, le quali, tuttavia, non hanno intaccano la persistente cogenza del principio di alternatività tra la tutela risarcitoria e la reintegrazione in forma specifica, essendo incontestabile che la principale finalità di quella norma era di eliminare la cosiddetta “anomalia” dell’occupazione appropriativa, di origine giurisprudenziale (ma poi recepita dal legislatore), siccome censurata dalla C.E.D.U.: È indiscusso, infatti, che la previsione dell’articolo 43, mirasse, essenzialmente, a rafforzare la tutela del proprietario dell’immobile trasformato, assicurandogli, in linea di principio, la pienezza della tutela restitutoria e in forma specifica, salvo, però, il potere della amministrazione di adottare il provvedimento di acquisizione sanante, che consente di tramutare quella pretesa in risarcimento per equivalente anche oltre i confini già segnati dall’art.2058 cod. civ..
3.9-Come già affermato dal C.G.A. con la decisione più volte richiamata, è pacifico, del resto, che “sul piano processuale, il risarcimento per equivalente costituisca un "minus" rispetto alla reintegrazione in forma specifica e ne rappresenti il sostitutivo legale sussidiario mediante prestazione dell'"eadem res debita", per cui la relativa domanda è contenuta in quella della reintegrazione in forma specifica (ex plurimis Cass. 25.11.1983, n. 7080), con la conseguenza che, anche se il danneggiato chiede la reintegrazione in forma specifica, il giudice gli può accordare il risarcimento per equivalente, senza violare il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, mentre non è possibile il contrario.
4-Nel contesto del quadro normativo/giurisprudenziale di riferimento evidenziato, in cui risulta espunto dall’ordinamento sia l’istituto di origine giurisprudenziale dell’occupazione appropriativa, che quello della acquisizione sanante ex.art.43 cit. (con il corollario, già evidenziato, che l’irreversibile trasformazione del fondo per la realizzazione dell’opera pubblica non comporta, in mancanza di un valido titolo di esproprio, il passaggio automatico della proprietà in capo all’amministrazione), il negare al danneggiato, “semplicemente” spogliato, la possibilità di agire in giudizio solo in termini di risarcimento del danno per equivalente postulerebbe –secondo quanto precisato al punto che precede- l’inammissibilità della relativa domanda, con evidente contrazione del principio della effettività e della pienezza della tutela (cfr. art.1 e art.7 co.7 cod.proc.amm.). Per altro, non risulta superfluo osservare come l’eventuale (ri)proposizione di una azione risarcitoria in forma specifica comporterebbe altresì: a) l’impossibilità per l’Amministrazione di emettere oggi alcun provvedimento di acquisizione sanante, potendo unicamente la P.A. contrastare l’azione in parola in regione del solo combinato degli art.2058 e l’art.2933 c.c.; b) che in mancanza dei predetti ultimi requisiti, la questione andrebbe risolta secondo le norme di cui all’art.934 e 936 c.c., per cui il danneggiato (ancora proprietario) sarebbe tenuto ad “indennizzare” l’autore dell’opera costruita e “ritenuta” sul proprio fondo secondo i criteri stabiliti dal co.2 art.936 (in disparte gli effetti compensativi derivanti dalla acquisizione dell’opera che accede il suolo e dall’eventuale risarcimento del danno a solo titolo di mancato godimento del bene nel periodo in considerazione).
4.1-Come già anticipato, il Collegio ritiene che anche nell’attuale contesto normativo cit. il danneggiato possa adire il giudice competente optando direttamente per una tutela risarcitoria per equivalente (cfr. ancora di recente Consiglio di Stato, Sez.V, n.2144/2009 cit.; Cassazione civile , sez. III, 21 maggio 2004, n. 9709), con ciò implicitamente ponendo in essere un meccanismo abdicatorio della potestas connessa all’esercizio del diritto di proprietà.
4.2-Richiamando l’insegnamento del giudice di seconde cure (C.G.A. n.486/09 cit.), è utile evidenziare come lo stesso art.43 D.P.R.327/01 nulla dettava in ordine alla perdita della proprietà derivante da una scelta spontanea dell’interessato: in tale secondo caso devono applicarsi i principi comuni in materia di risarcimento del danno. In particolare, il C.G.A. ha precisato che:
---nelle fattispecie come quella in esame la domanda di risarcimento del danno per equivalente si accompagna, esplicitamente o implicitamente, alla formale dichiarazione della rinuncia al diritto di proprietà, sospensivamente condizionata all’accoglimento dell’azione proposta dinanzi al giudice;
---non risulterebbe persuasiva l’obiezione secondo cui, in termini generali, non sarebbe ammissibile nel nostro ordinamento la rinuncia al diritto di proprietà immobiliare atteso che a) la “disponibilità” dovrebbe comprendere, ovviamente, anche il potere di rinunciare al diritto; b) nei casi come quello in esame, risulterebbe adeguatamente soddisfatto anche il requisito “causale” della giustificazione dell’atto abdicativo, individuato nella sua strumentalità rispetto alla riparazione dell’illecito causato dal comportamento di un terzo; c) sul piano del riscontro del diritto positivo, non è vero che la legge ignori la rinuncia al diritto di proprietà immobiliare, trovandosi espliciti riferimenti nell’articolo 1350, numero 5) c.c., nonché nell’art.2643, numero 5), del codice civile che menzionano espressamente “gli atti di rinuncia ai diritti indicati dai numeri precedenti” (e non solo la rinuncia ai “diritti derivanti dai contratti”), fra i quali rientra, indiscutibilmente, anche il diritto di proprietà immobiliare;
---specifiche ipotesi di atti di rinuncia al diritto di proprietà immobiliare, poi, sono contemplate dagli articoli 1070, 1104 e 550 del codice civile: disposizioni tutte costruite come applicazioni di principi generali e non come eccezioni a una regola;
---l’articolo 827 del codice civile contempla l’ipotesi dei beni immobili “vacanti”, stabilendo che essi, se “non sono di proprietà di alcuno”, spettano al patrimonio dello Stato (o delle Regioni a Statuto Speciale che lo prevedono).
4.3-Il Collegio ritiene di poter condividere tale ricostruzione (che non appare affatto isolata nel panorama della Giurisprudenza, non solo amministrativa: cfr. ex multis C.d.S. 2095/05; C.G.A. 59/08; C.G.A. 49, 51e 52/09, SS.UU. Cass. nn.19501/08, 1266/01, 15710/01, 3043/2007, 9323/2007, 7442/2008, 3298/00, 1814/00, 4452/201; C.d.S. 3177/00; Cassazione 11147/97; C.d.S. 2144/2009; ancora di recente cfr anche TAR Sicilia - Catania, Sez. II, 28 maggio 2008, n. 973; T.A.R. Sicilia, Catania, II, 23 febbraio 2010, n. 373 come confermata da CGA 1410/2010), ma non anche le ulteriori sviluppi dello stesso percorso argomentativo. In particolare, nel muovere la critica alle obiezioni delle giurisprudenza di primo grado sul meccanismo della “rinuncia” alla proprietà (siccome non consentirebbe di realizzare adeguatamente la stessa finalità della norma già contenuta nell’art.43 cit. perché, si dice, non risulterebbe molto chiaro quale sorte subisca il diritto di proprietà rinunciato dal privato) il giudice d’appello (C.G.A. n.486/2009, paragr.25) afferma che la problematica evocata, per quanto rilevante in termini generali, non sembra comunque condizionare il tema specifico in esame, che consiste, semplicemente, nello stabilire se il proprietario possa chiedere il risarcimento pecuniario, rinunciando al diritto di proprietà. A tale scopo non occorre definire il nuovo assetto dominicale del bene, per effetto di tale rinuncia. Secondo detta impostazione, il diritto al risarcimento per equivalente andrebbe correlato al fatto obiettivo della perdita di valore del bene, contestuale alla rinuncia alla restituzione (e al diritto di proprietà) sul bene stesso: in altri termini, il diritto al risarcimento, non dipenderebbe in alcun modo dalla ulteriore sorte di tale diritto e non richiederebbe quindi l’accertamento dell’acquisto del diritto da parte del soggetto pubblico utilizzatore del bene.
4.4-A tale ultime attente valutazioni il Collegio ritiene di non poter aderire nella considerazione che –anche in presenza di un risconto positivo dell’istituto della rinuncia abdicativa, come sopra evidenziato- occorre comunque tener contro sia dello specifico regime giuridico degli atti inter vivos con cui di può disporre (anche mercé l’abdicazione) del diritto di proprietà (art.1350 n.5 c.c. e art.2643 n.5 c.c. già citati), sia dell’integralità del risarcimento in specie richiesto dal ricorrente, la cui quantificazione -nei termini anzidetti- troverebbe l’ostacolo nel (pur) formale mantenimento del diritto dominicale quale risultate negli registri della conservatoria.
4.5-Per altro, è lo stesso giudice d’appello che, nella stessa sentenza, pur se in via incidentale, osserva come la soluzione del problema risulterebbe comunque in larga misura condizionata anche dalle peculiarità di ciascuna vicenda sostanziale e processuale, nonché dalla soluzione generale della questione degli effetti derivanti dalla rinuncia al diritto di proprietà collegata alla proposizione della domanda risarcitoria: In questa prospettiva, potrebbe presentarsi l’ipotesi, tutt’altro che infrequente, in cui la rinuncia operata dal proprietario privato indichi chiaramente la propria proiezione verso l’acquisto dell’amministrazione che utilizza il bene e questa, a sua volta, manifesti formalmente la propria intenzione di acquistare il bene, con atti adottati all’interno del processo, o stragiudiziali.
4.6-Ipotesi entrambe riscontrabili in modo incontrovertibile nel caso in esame giacché, come in narrativa esposto, a) sin dall’atto di citazione innanzi il giudice ordinario è stata proposta domanda di risarcimento della danno connesso alla perdita della proprietà (domanda rimasta immutata in questa sede) con indicazione esplicita dell’Ente (il Comune di Palermo) in favore del quale la stessa doveva ritenersi acquisita; b) il Comune di Palermo ha formulato innanzi al G.O. domanda riconvenzionale negli stessi termini (non potuta esaminare a causa della pronuncia declinatoria della giurisdizione).
4.7-Ciò induce il Collegio a ritenere che, in presenza degli ulteriori elementi della fattispecie, l’accoglimento della domanda comporterebbe “l’avveramento” di quella condizione per l’operatività della rinuncia della proprietà, con conseguente subordinazione della prestazione risarcitoria imputabile al Comune alla definizione formale tra le parti dell’atto traslativo del diritto domenicale, in modo da rendere la situazione di diritto coerente con la situazione di fatto ormai consolidata (del pari così escludendosi in nuce la violazione del divieto di arricchimento senza causa che altrimenti conseguirebbe all’illegittima locupletazione del privato, ancora formalmente titolare della proprietà, pur dopo averne conseguito il controvalore). Tale ricostruzione, allo stato attuale della normativa sul punto, appare al Collegio coerente con il sistema e con i principi di effettività e pienezza delle tutela giurisdizionale che, vieppiù, informano oggi il processo amministrativo (art.1 e art.7 co.7 c.p.a.). La stessa non presenta altresì, sotto tale profilo, evidenti punti di contrasto con i principi della giurisprudenza Comunitaria sopra richiamata.
5-Così delineato il quadro di riferimento, e qualificata nei suddetti sensi la domanda risarcitoria in connessione con l’implicita rinuncia alla proprietà, occorre verificare la sussistenza degli elementi normativamente previsti dall’ordinamento per il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno (art. 2043 c.c.). Quanto all’elemento oggettivo dell’illiceità della condotta, viene in rilievo il fatto materiale dello stesso spossessamento subito dal ricorrente, causalmente riconducibile alla pur legittima attività provvedimentale di occupazione e di trasformazione dei beni, quantunque poi non sfociata in un tempestivo atto traslativo della relativa proprietà. Sono invero circostanze di fatto non contestate sia la irreversibile trasformazione del fondo, sia la perdurante utilizzazione, da parte del Comune di Palermo, del bene di che trattasi ancorché in assenza di valido decreto di espropriazione.
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, viene certamente in rilievo la colpa della P.A. procedente, intesa come colpa dell’apparato, concretantesi, in punto di fatto, nella negligenza nella gestione di una procedura ablatoria non portata a termine nei termini di legge in narrativa evidenziati malgrado la materiale apprensione, trasformazione ed utilizzo del bene, che ha inciso sul diritto dominicale del ricorrente (cfr. T.A.R. Palermo, Sez.II, 06/08/2010 n.9210).
6-Le considerazioni sin qui esposte giustificano, subordinatamente alla stipula e sottoscrizione di un negozio traslativo della proprietà, l'accoglimento della domanda di risarcimento formulata con il ricorso in esame che, nel caso di perdita definitiva della proprietà, corrisponde al valore venale del bene.
6.1-Quanto alla stima e alla quantificazione dello stesso danno, al fine della determinazione del valore venale del bene, ritiene il Collegio che possano essere utilizzate le considerazione stimative contenute nella relazione del consulente tecnico di ufficio nominato nel corso del procedimento instaurato innanzi la Corte di Appello di Palermo per la quantificazione della indennità di occupazione legittima, deciso con la sentenza n. 14 del 2004, passata in giudicato (in atti), nella quale è chiaramente quantificato il calore commerciale dell’immobile alla data dell’aprile 1994 di scadenza del periodo di occupazione legittima che segna il termine finale per l’emanazione del decreto di esproprio prima dell’insorgenza di una situazione di illiceità che, unito all’irreversibile trasformazione del bene, concretizza quel danno ingiusto richiesto con la domanda qui spiegata ex art. 2043 c.c. per equivalente in alternativa al risarcimento in forma specifica (cui si è rinunciato).
Nei termini sopraindicati, la stima (non oggetto di contestazioni) resa dal C.T.U. innanzi il Giudice ordinario potrà essere assunta alla base della liquidazione del risarcimento del danno.
6.1-Dall’accoglimento del ricorso, nei termini soggettivi ed oggettivi anzidetti, consegue la condanna del Comune di Palermo, al pagamento, in favore della ricorrente, del risarcimento dei danni, subordinatamente ripetesi alla definizione e sottoscrizione da parte del ricorrente di un negozio traslativo del passaggio della proprietà in favore del Comune.
Il Comune di Palermo, pertanto, provvederà a quantificare il danno risarcibile secondo i criteri di seguito indicati, ai sensi dell’art. 34, comma 4, c.p.a., nonché a predisporre l’atto negoziale traslativo. In particolare:
a) il danno da risarcire, da riportare contestualmente nel negozio traslativo, sarà determinato partendo dal valore commerciale del bene occupato, come calcolata dal C.T.U. nominato dalla Corte di Appello cit. alla data di cessazione della occupazione legittima del 06/04/1994; tale valore dovrà essere rivalutato sino al momento della notifica dell’atto di citazione del 21/11/1998 con il quale il Comune di Palermo è stato evocato innanzi il G.O. per il risarcimento del danno per la perdita del diritto dominicale di che trattasi, implicitamente (ancorché sospensivamente) rinunciato;
b) su tale somma, costituente la sorte capitale di un debito di valore, andranno quindi corrisposti gli interessi moratori al tasso legale sulle somme anno per anno rivalutate secondo indice ISTAT dei prezzi al consumo, fino al deposito della presente sentenza;
c) da tale data fino a quella di effettivo soddisfo, andranno calcolati e corrisposti altresì gli interessi legali.
d) qualora il Comune non provveda la parte ricorrente, quest’ultima potrà chiedere a questo Tribunale l’esecuzione della presente sentenza, per l’adozione delle misure consequenziali, salva la trasmissione degli atti alla Corte dei conti per la valutazione dei fatti che hanno condotto alla medesima fase del giudizio.
7-Conclusivamente, il ricorso merita accoglimento, nei termini sopra esposti e, per l’effetto, va pronunciata la condanna del Comune di Palermo, a risarcire il danno cagionato alla parte ricorrente secondo le statuizioni più sopra enunciate.
8-Le spese di lite, seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, accoglie il ricorso in epigrafe nei sensi e nei limiti di cui in motivazione e per l’effetto:
a)-subordinatamente alla stipula di un atto negoziale traslativo della proprietà, condanna il Comune di Palermo al risarcimento del danno in favore del ricorrente, da quantificare secondo quanto in motivazione indicato;
b)-condanna il Comune di Palermo, in persona del Sindaco pro tempore, al pagamento in favore di parte ricorrente delle spese di giudizio che liquida in complessivi € 1.500,00 (euro millecinquecento/00), oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge, e alla rifusione del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 26 novembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente
Cosimo Di Paola, Consigliere
Roberto Valenti, Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/02/2011