Urbanistica ed Ambiente

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Non è soggetta a concessione edilizia la realizzazione di un muro di recinzione

Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 1703 del 3 ottobre 2011
Data: 
03/10/2011
Ai sensi dell’art. 5 della L.R. n° 37/1985, che regola la fattispecie ratione temporis, la realizzazione di un muro di recinzione è soggetta al rilascio di autorizzazione e non di concessione edilizia.

N. 01703/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00119/2000 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 119 del 2000, proposto da:
****, rappresentati e difesi dall'avv. Renato Salemi, con domicilio eletto presso l’avv. Domenico Cantavenera in Palermo, via Notarbartolo, 5;
contro
Comune di Petrosino, in persona del Sindaco pro tempore;
per l'annullamento
ORDINANZA DI DEMOLIZIONE OPERE EDILI
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 maggio 2011 il Referendario dott.ssa Francesca Aprile e udito il difensore di parte ricorrente come da verbale;
Con il ricorso in epigrafe, i ricorrenti, premesso di aver ottenuto il rilascio dell’autorizzazione n° 16 del 24 marzo 1998 emessa dal Comune di Petrosino per la realizzazione di un muro di cinta, altresì munito di autorizzazione della Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali di Trapani del 17 febbraio 1998, n° 6822, e di aver ottenuto autorizzazione n° 66 del 15/12/1998 per la realizzazione di una piattaforma in conglomerato cementizio da adibire alla sistemazione di un camper, impugnano l’ordinanza n° 312 del 27 ottobre 1999, con cui l’amministrazione comunale ha ingiunto la demolizione delle opere ivi meglio indicate, di posa di moduli prefabbricati costituenti immobile adibito a civile abitazione per una superficie di mq. 62, nonchè di realizzazione di una porzione di recinzione in difformità.
Il Comune di Petrosino, benchè regolarmente intimato, non si è costituito.
Alla pubblica udienza del 25 maggio 2011, il ricorso è statto trattenuto per essere deciso.
Il ricorso è in parte fondato limitatamente all’impugnativa dell’ingiunzione di demolizione della porzione di recinzione di cui all’ordinanza gravata.
In base all’art. 5 della L.R. n° 37/1985, che regola la fattispecie ratione temporis, la realizzazione di un muro di recinzione è soggetta al rilascio di autorizzazione e non di concessione edilizia, con correlativa insussistenza, in parte qua, dei presupposti per l’adozione dell’ingiunzione di demolizione (conforme, Tar Palermo, Sez. II, 18 dicembre 2006, n° 4017).
Diversamente è a dirsi per la posa di moduli prefabbricati, che, non essendo qualificabile come opera precaria, essendo avvenuta in difetto dei titoli abilitativi sia edilizi che paesaggistici ed essendo stata realizzata in contrasto con la disciplina dell’area, sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta, ai sensi dell'art. 15 L. reg. Sicilia 12 giugno 1976, n. 78, imponeva all’amministrazione, quale atto dovuto, l’emanazione del provvedimento repressivo dell’abuso edilizio.
Per le suesposte ragioni, il ricorso è in parte fondato e va accolto limitatamente all’ingiunzione di demolizione della porzione di recinzione di che trattasi, dovendo, per converso, essere respinto per la restante parte.
Le spese del giudizio possono essere compensate, stante la parziale reciproca soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte nei sensi di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 25 maggio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente
Cosimo Di Paola, Consigliere
Francesca Aprile, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 03/10/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Sussiste l'interesse al ricorso anche quando dal suo accoglimento derivi un vantaggio indiretto per il ricorrente

C.G.A. sentenza n. 559 del 15 settembre 2011
Data: 
15/09/2011
L’interesse al ricorso permane anche quando l’accoglimento di esso determini un vantaggio solo indiretto. E' indiretto l'interesse all'accoglimento del ricorso allorchè esso consenta al ricorrente di dimostrare  di non avere commesso l’illecito contestato.

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
            Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso in appello n. 1228/2010 proposto da
***
rappresentato e difeso da sé medesimo ed elettivamente domiciliato in Palermo, via Abela n. 10, presso lo studio dello stesso;
c o n t r o
il COMUNE DI PALERMO, in persona del sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Salvatore Modica ed elettivamente domiciliato in Palermo, piazza Marina n. 39, presso l’Avvocatura comunale;
per l'annullamento
della sentenza del T.A.R. per la Sicilia - sede di Palermo (sez. II) - n. 2545 del 10 marzo 2010.
            Visto il ricorso con i relativi allegati;
            Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’avv. S. Modica per il Comune di Palermo;
            Vista la memoria prodotta dalla parte appellata a sostegno delle proprie difese;
            Visti gli atti tutti della causa;
            Relatore il Consigliere Alessandro Corbino;
            Udito, altresì, alla pubblica udienza del 6 aprile 2011 l’avv. S. Raimondi per se stesso;
            Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
F A T T O
            L’appello è rivolto contro la decisione n. 2545/2010, con la quale il TAR di Palermo ha dichiarato improcedibile il ricorso n. 1338/2008 proposto contro il Comune di Palermo per l’annullamento del silenzio-rifiuto formatosi su una istanza di sanatoria relativa ad un abuso edilizio, accogliendo solo i motivi aggiunti rivolti all’annul-lamento di un provvedimento di diffida a demolire collegato allo stesso abuso.
            Ha ritenuto in particolare il Giudice che, avendo il ricorrente provveduto al ripristino dello stato dei luoghi, fosse caduto l’interesse del medesimo alla pronuncia sul ricorso principale. Mentre ha ritenuto che andasse invece pronunciato l’annullamento della diffida a demolire perché emessa in data successiva all’accertata eliminazione dell’abuso.
            Contro tale decisione propone appello l’originario ricorrente invocando la sussistenza del proprio interesse strumentale alla sentenza di merito, giacché l’annullamento del diniego dell’accertamento di conformità determinerebbe la estinzione del reato contestato al ricorrente e in relazione al quale pende il relativo procedimento davanti al Tribunale Penale di Palermo.
D I R I T T O
            L’appello è fondato.
            È invero principio giurisprudenziale consolidato (cfr. C.d.S. 1373/1996; 754/1995) che l’interesse al ricorso permane anche quando l’accoglimento di esso determini un vantaggio solo indiretto, come sarebbe quello proposto appunto dall’appellante. Questi, imputato di un abuso edilizio, vedrebbe cadere – con l’accoglimento nel merito del proprio ricorso – il diniego di sanatoria oppostogli dal Comune di Palermo e potrebbe dunque dimostrare di non avere commesso l’illecito contestato, stante il notorio effetto estintivo che la concessione in sanatoria (cui il ricorrente avrebbe, in ipotesi, diritto) determinerebbe dei reati contravvenzionali (tra i quali rientra quello in oggetto) previsti dalle norme urbanistiche vigenti e stante l’effetto sospensivo che l’azione penale subisce fino all’esaurimento dei procedimenti amministrativi di sanatoria (art. 45 DPR. 380/2001).
            Nonostante l’avvenuta rimessione in pristino sussistono peraltro tutti gli elementi di fatto perché il Comune possa emettere la richiesta valutazione di conformità, che dunque resta un’attività amministrativa ancora possibile.
            A seguito infatti delle vicende che hanno portato ai diversi sopraluoghi intervenuti, ai sequestri e dissequestri che si sono succeduti esistono verbalizzazioni e documentazioni fotografiche versate in atti che permettono una sicura e particolareggiata ricostruzione dei fatti e dunque una loro valutazione sub specie della sanabilità dell’abuso, che non è stata perciò compromessa in alcuna misura dall’intervenuto ripristino dei luoghi.
Per le premesse, l’appello va accolto, dichiarandosi perciò l’illegittimità del silenzio-rifiuto sull’istanza di sanatoria (ai sensi, ora, dell’art. 36 del d.lgs. n. 380/2001) ed il conseguente obbligo di provvedere sulla stessa ai sensi dell’art. 117, comma 2, del codice del processo amministrativo.
Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello e per l’effetto annulla la sentenza impugnata in epigrafe in parte qua; ordina, ai sensi dell’art. 117.2 del c.p.a., all’Ammini-strazione intimata di provvedere sulla istanza di sanatoria presentata dal ricorrente in data 6 febbraio 2008 entro il termine di 30 giorni dalla notificazione o comunicazione della presente decisione. Condanna l’Amministrazione soccombente alle spese del doppio grado, che liquida in complessivi € 5.000,00 (cinquemila/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.
            Così deciso in Palermo il 6 aprile 2011 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l'intervento dei Signori: Luciano Barra Caracciolo, Presidente, Guido Salemi, Gerardo Mastrandrea, Giuseppe Mineo, Alessandro Corbino, estensore, componenti.
F.to Luciano Barra Caracciolo, Presidente
F.to Alessandro Corbino, Estensore
Depositata in Segreteria
il 15 settembre 2011

Va qualificato come inadempimento ex art. 2 L. 241/90 il comportamento dell'Amministrazione regionale che ometta di pronunciarsi nei 180 giorni dall'istanza sulla richiesta di autorizzazione unica alla costruzione e gestione di un impianto fotovoltaico

Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 1280 del 1 luglio 2011
Data: 
01/07/2011
In relazione al procedimento preordinato al rilascio dell'autorizzazione unica per la costruzione  e gestione di un impianto fotovoltaico, l'art. 12, comma 4, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, stabilisce che "Il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al presente comma non può comunque essere superiore a centottanta giorni".
La fissazione di un termine procedimentale di durata massima, con evidenti finalità acceleratorie, ancorché non perentorio  comporta la qualificazione come inadempimento del fatto stesso dell'inutile spirare di tale termine, posto a presidio della certezza dei tempi dell'azione amministrativa, qualora sull'istanza della parte non sia stato emesso alcun provvedimento, positivo o negativo.
Anche la Corte Costituzionale, con sentenza n. 364 del 9 novembre 2006, ha rinvenuto la "ratio" del citato termine nel principio di semplificazione amministrativa e di celerità che, con riferimento alla fondamentale materia della produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia, garantisce, in modo uniforme sul territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo;
 

N. 01280/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00929/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
[omissis]
per l'annullamento
del silenzio serbato dall’Assessorato intimato sull’istanza di autorizzazione unica presentata ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003 dalla società ricorrente in data 26 luglio 2010 per la realizzazione di un impianto fotovoltaico nel Comune di Aragona, nonché
per la declaratoria
dell’obbligo dell’Assessorato regionale resistente a rilasciare l’autorizzazione unica per l’impianto predetto,
per la nomina
di un commissario ad acta che in via sostitutiva provveda al rilascio della suddetta autorizzazione unica, in caso di ulteriore inadempimento dell’Assessorato.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura dello Stato per l’Assessorato Regionale dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del 23 giugno 2011 il Presidente dott. Nicolò Monteleone e uditi l'avv. Francesco Buscaglia per la società ricorrente e l'Avvocato dello Stato Giuseppe Dell'Aira per l’Amministrazione resistente;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con ricorso notificato il 18 aprile 2011 e depositato il giorno 21 seguente, la s.r.l. Danvoir Energia ha chiesto la declaratoria dell’illegittimità del silenzio serbato dall’Assessorato Regionale dell'Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità in ordine alla richiesta di autorizzazione unica per la costruzione e gestione di un impianto fotovoltaico, di potenza pari a 998 KW, da realizzarsi nel Comune di San Biagio Platani (AG), f. 11, partt. nn. 145, 146, 156, 157, presentata in data 26 luglio 2010 ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. n. 387/2003.
L’Avvocatura dello Stato, costituitasi in giudizio per l’Amministrazione intimata, non ha prodotto scritti difensivi.
Alla camera di consiglio del 23 giugno 2011 l’Avvocatura dello Stato ha svolto ampia discussione sulle deduzioni avversarie, concludendo per il rigetto del ricorso che, dopo la replica del procuratore della società ricorrente, è stato assunto in decisione.
Premesso che, ai sensi dell’art. 117 comma 2, del codice del processo amministrativo (D.L.gs. n. 104/2010), i ricorsi avverso il silenzio vanno decisi “con sentenza in forma semplificata”, osserva il Collegio che il ricorso in esame merita accoglimento.
Ed invero, il Collegio non ha valide ragioni per discostarsi dall’orientamento di questa stessa Sezione formatosi in fattispecie analoghe alla presente (cfr., per tutte, 8 aprile 2011, n. 703), secondo cui
a) in relazione allo specifico procedimento per cui è causa, l'art. 12, comma 4, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387, stabilisce che "Il termine massimo per la conclusione del procedimento di cui al presente comma non può comunque essere superiore a centottanta giorni";
b) la fissazione di un termine procedimentale di durata massima, con evidenti finalità acceleratorie, ancorché non perentorio (e dunque, al di là della persistenza o meno del potere di provvedere in capo all'amministrazione inadempiente), comporta la qualificazione come inadempimento del fatto stesso dell'inutile spirare di tale termine, posto a presidio della certezza dei tempi dell'azione amministrativa, qualora sull'istanza della parte non sia stato emesso alcun provvedimento, positivo o negativo (né vale in contrario distinguere fra mera inerzia e lungaggini procedimentali);
c) anche la Corte Costituzionale, con sentenza n. 364 del 9 novembre 2006, ha rinvenuto la "ratio" del citato termine nel principio di semplificazione amministrativa e di celerità che, con riferimento alla fondamentale materia della produzione, trasporto e distribuzione nazionale di energia, garantisce, in modo uniforme sul territorio nazionale, la conclusione entro un termine definito del procedimento autorizzativo;
d) dalla lettura della norma sopra richiamata - rubricata "Razionalizzazione e semplificazione delle procedure autorizzative" - si ricava l'intento del Legislatore di favorire le iniziative volte alla realizzazione degli impianti in questione, semplificando il relativo procedimento autorizzativo e concentrando l'apporto valutativo di tutte le Amministrazioni interessate nella "conferenza di servizio" ai fini del rilascio di una "autorizzazione unica";
E poiché nel caso in esame la società ricorrente ha presentato la predetta istanza corredata dalla prescritta documentazione, compresa quella prevista dal dal P.E.A.R.S. (Piano Energetico Ambientale Regionale Siciliano), non par dubbia l’illegittimità del comportamento omissivo tenuto al riguardo dall’Assessorato intimato, la cui condotta, essendo inutilmente scaduto il termine per provvedere, va qualificata come inadempimento ai sensi dell'art. 2 della legge n. 241/1990.
Di conseguenza, deve affermarsi l'obbligo dell’Assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi di Pubblica Utilità di pronunciarsi espressamente, nel termine di trenta giorni dalla comunicazione a cura della Segreteria, o dalla notifica, se anteriore, della presente sentenza, sull’istanza di autorizzazione unica ex art. 12 del D.Lgs. n. 387/03 presentata dalla odierna ricorrente, riservando la nomina del Commissario ad acta in caso di ulteriore inadempimento da parte dell’Amministrazione.
Le spese di giudizio possono compensarsi tra le parti, a ciò ravvisandosi valide ragioni, in considerazione anche delle difficoltà dell’Amministrazione resistente, rappresentate dall’Avvocatura dello Stato, nella definizione - entro il predetto breve termine di 180 giorni - di una grande mole di istanze analoghe a quella avanzata dalla ricorrente società.
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia - Sezione seconda – accoglie il ricorso in epigrafe indicato (n. 929/2011) e, per l’effetto, dichiara l’obbligo dell’Amministrazione intimata di provvedere sull’istanza proposta dalla società ricorrente, nei termini di cui in motivazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del 23 giugno 2011, con l'intervento dei signori magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente, Estensore
Cosimo Di Paola, Consigliere
Roberto Valenti, Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/07/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

L'istanza di accertamento di conformitĂ  ai sensi dell'articolo 13 della l. n. 47/85 rende illegittima l'ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio indisponibile non preceduta da una nuova ordinanza di demolizione

Tar Paletmo Sez. II, sentenza n. del 1 luglio 2011
Data: 
01/07/2011

Allorchè dopo la notifica dell'ordinanza di demolizione il privato presenti istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985, il Comune, prima di adottare l'ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio indisponibile del comune delle opere in questione deve emanare una nuova ingiunzione a demolire, con l’assegnazione di un nuovo termine per adempiere (cfr., altresì, Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 2007, n. 3659; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 21 dicembre 2005, n. 7814; 8 luglio 2009, n. 1220; T.A.R. Sicilia Catania, sez, I, 4 novembre 2008, n. 1911; T.A.R. Campania, sez. VII, 19 febbraio 2009, n. 975).



N. 01282/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01262/2007 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.;
[omissis]
per l'annullamento
-quanto al ricorso principale:
- dell'ordinanza n. 20 del 13.3.07, con la quale il Comune di Marsala ha ingiunto alla ricorrente di demolire opere edili;
-quanto al ricorso per motivi aggiunti:
- dell'ordinanza n. 21 del 14.3.11, con la quale il Comune di Marsala ha accertato la inottemperanza all'ordinanza di demolizione n. 20 del 13.3.07, e contestualmente ha disposto l'acquisizione gratuita delle opere in questione.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2011 il Presidente dott. Nicolo' Monteleone e udito il difensore della ricorrente, come specificato nel verbale;
Sentita la stessa parte ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Con il ricorso principale, è stata impugnata l’ordinanza n. 20 del 13 marzo 2007, con la quale il Comune di Marsala ha ingiunto la demolizione di opere edilizie abusive.
Per le suddette opere, la ricorrente in data 16 giugno 2007 (prot. n. 28207) ha presentato apposita istanza di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 13 della legge n. 47/1985.
Osserva il Collegio che, secondo l’orientamento giurisprudenziale seguito da questa Sezione, la presentazione dell'istanza di sanatoria successivamente alla impugnazione dell'ordinanza di demolizione - o alla notifica del provvedimento di irrogazione delle altre sanzioni per gli abusi edilizi - produce l'effetto di rendere inefficace tale provvedimento e, quindi, improcedibile l'impugnazione stessa, per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto il riesame dell'abusività dell'opera, sia pure al fine di verificarne la eventuale sanabilità, provocato da detta istanza, comporta la necessaria formazione di un nuovo provvedimento, esplicito od implicito (di accoglimento o di rigetto), che vale comunque a superare il provvedimento sanzionatorio oggetto dell'impugnativa (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 aprile 1997, n. 3563; sez. IV, 11 dicembre 1997, n. 1377; sez. V, 14 giugno 2004, n. 3794; C.G.A. 27 maggio 1997, n. 187; T.A.R. Sicilia, sez. II, 5 ottobre 2001, n. 1392; T.A.R. Liguria, sez. II, 14 dicembre 2000, n. 1310; T.A.R. Toscana, sez. III, 18 dicembre 2001, n. 2024; T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 11 gennaio 2002, n. 154; T.A.R. Campania, Sez. IV, 2 febbraio 2004, n. 1239, 18 marzo 2005, n. 1835, T.A.R. Sez. III, 2 marzo 2004, n. 2579; T.A.R. Sicilia, sez. I, 22 dicembre 2004, n. 2921, sez. II, 22 marzo 2005, n. 411).
Pertanto, il ricorso giurisdizionale avverso un provvedimento sanzionatorio, proposto anteriormente all'istanza di concessione in sanatoria, deve ritenersi improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse, “spostandosi” l'interesse del responsabile dell'abuso edilizio dall'annullamento del provvedimento già adottato, all'eventuale annullamento del provvedimento (esplicito o implicito) di rigetto (Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 2007, n. 3659; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 16 marzo 1991, n. 67, Palermo, Sez. II, 16 marzo 2004, n. 499 e 9 marzo 2011, n. 432; T.A.R. Lazio, sez. II ter, 4 novembre 2005, n. 10412, 9 luglio 2008, n. 6476; T.A.R. Campania, Sez. IV, 29 gennaio 2009, n. 510).
Ora, applicando siffatti principi alla controversia in esame, nella quale la presentazione dell'istanza di condono segue la proposizione del presente ricorso, deve dichiararsi l'improcedibilità di quest’ultimo, stante la sopravvenuta carenza di interesse, da parte della ricorrente, al conseguimento di una qualche decisione avverso l'atto impugnato, destinato comunque ad essere sostituito dalle determinazioni adottate sulla proposta istanza dovendo l’Amministrazione, nell’ipotesi di rigetto di detta istanza, emanare un nuovo provvedimento sanzionatorio, eventualmente di demolizione, con l’assegnazione, in tal caso, di un nuovo termine per adempiere (Cons. Stato, sez. V, 4 agosto 2000, n. 4305; T.A.R. Lazio, Latina, 28 novembre 2000, n. 826; T.A.R. Lazio, sez. II, 17 gennaio 2001, n. 230; T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 12 dicembre 2001, n. 2424; T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 11 gennaio 2002, n. 154; T.A.R. Emilia Romagna, sez. II, 11 giugno 2002, n. 857; T.A.R. Campania, sez. IV, 26 luglio 2002, n. 4399; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 17 maggio 2005, n. 751).
Quest’ultima considerazione comporta l’accoglimento del ricorso per motivi aggiunti sotto l’assorbente profilo di censura dedotto con il terzo motivo, in quanto il Comune, prima di adottare l’impugnata ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio indisponibile del comune delle opere in questione (n. 21 del 14 marzo 2011), avrebbe dovuto, appunto, emanare una nuova ingiunzione a demolire, con l’assegnazione di un nuovo termine per adempiere (cfr., altresì, Cons. Stato, sez. V, 26 giugno 2007, n. 3659; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 21 dicembre 2005, n. 7814; 8 luglio 2009, n. 1220; T.A.R. Sicilia Catania, sez, I, 4 novembre 2008, n. 1911; T.A.R. Campania, sez. VII, 19 febbraio 2009, n. 975).
Le spese del giudizio possono essere compensate, ricorrendo giusti motivi correlati alla particolare natura della controversia..
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia, sezione seconda, definitivamente pronunciando:
- dichiara improcedibile il ricorso principale in epigrafe indicato (n. 1262/2007);
- accoglie il ricorso per motivi aggiunti e, per l’effetto, annulla l’impugnata ordinanza n. 21 del 14 marzo 2011;
- compensa le spese di giudizio;
- ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo, nella Camera di consiglio del 23 giugno 2011, con l’intervento dei Signori Magistrati:

 

Nicolo' Monteleone, Presidente, Estensore
Cosimo Di Paola, Consigliere
Roberto Valenti, Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 01/07/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

 

La costruzione di una veranda non richiede autorizzazione nè concessione edilizia

Tar Palermo Sez. III, sentenza n. 1072 dell'8 giugno 2011
Data: 
08/06/2011

Secondo il consolidato orientamento, la costruzione di veranda in struttura precaria, ai sensi dell'art. 9 della l.r. n. 37/1985, non implica aumento di volumetria e non necessità né di autorizzazione né di concessione edilizia.

 


N. 01072/2011  REG.PROV.COLL.
N. 04067/1994  REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

[omissis]

FATTO
A. – Con ricorso ritualmente notificato e depositato, l’odierna ricorrente ha impugnato il provvedimento in epigrafe indicato, esponendo di essere proprietaria di un appartamento per civile abitazione, sito in Palermo, Largo Lorenzo Maggio n. 10, 1° piano; di avere realizzato sul balcone a retroprospetto, una veranda in struttura precaria di mq 12 circa.
A seguito di apposito sopralluogo dei Vigili Urbani e conseguente segnalazione, il Sindaco del Comune di Palermo, con l’ordinanza impugnata, ha adottato il provvedimento di demolizione delle opere sopra citate con contestuale ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi, avverso la quale, con il successivo ricorso, sono stati dedotti i seguenti vizi:
1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della l.r. n. 37/1985 - Eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento, erroneità nei presupposti, illogicità manifesta.
Poiché l’opera realizzata (veranda) presenta tutte le caratteristiche di una struttura precaria, e le opere realizzate costituiscono mere “opere interne”, le stesse legittimamente sono state eseguite in assenza di concessione edilizia, sulla scorta della richiamata disposizione regionale.
2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 9 della l.r. n. 37/1985 in relazione agli artt. 3 e 79 quinquies del regolamento edilizio comunale – erroneità nei presupposti, illegittimità derivata.
Il richiamo alle norme contenute nel regolamento edilizio non farebbe venir meno l’illegittimità dell’ordine di demolizione, atteso che un eventuale contrasto tra una norma di ragno secondario ed una norma primaria (art. 9 l.r. n. 37/1985), vedrebbe prevalere quest’ultima.
B. – Il Comune di Palermo, benché ritualmente intimato, non si è costituito in giudizio.
C. – Con ordinanza n. 1941 del 21 settembre 1994 è stata accolta la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato.
D. – Alla pubblica udienza del giorno 1 giugno 2011, su istanza della difesa attrice la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
A. – Il ricorso è fondato.
A.1. – La questione, che il Collegio è chiamato a decidere, si incentra sulla sussumibilità delle opere, oggetto del provvedimento impugnato, nell’ambito della disciplina di cui all’articolo 9 della l.r. n. 37/1985, ed alla conseguente possibilità o meno di sottoporre le stesse al potere repressivo-sanzionatorio esercitato con il provvedimento impugnato.
Ai sensi dell’art. 9, primo comma, della l.r. n. 37/1985, “non sono soggette a concessioni né ad autorizzazioni le opere interne alle costruzioni che non comportino modifiche della sagoma della costruzione, dei fronti prospicienti pubbliche strade o piazze, né aumento delle superfici utili e del numero delle unità immobiliari, non modifichino la destinazione d'uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari, non rechino pregiudizio alla statica dell'immobile e, per quanto riguarda gli immobili compresi nelle zone indicate alla lett. a dell'art. 2 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 97 del 16 aprile 1968, rispettino le originarie caratteristiche costruttive. Ai fini dell' applicazione del presente articolo non è considerato aumento delle superfici utili l'eliminazione o lo spostamento di pareti interne o di parte di esse. Non è altresì considerato aumento di superficie utile o di volume nè modificazione della sagoma della costruzione la chiusura di verande o balconi con strutture precarie”.
Secondo il consolidato orientamento anche di questo Tribunale, la costruzione di veranda in struttura precaria, ai sensi del richiamato art. 9 della l.r. n. 37/1985, non implica aumento di volumetria e non necessità né di autorizzazione né di concessione edilizia (cfr. ex plurimis: T.a.r. Sicilia, Palermo, II, 15 maggio 2007, n. 1359; III, 9 marzo 2007, n. 758; I, 11 dicembre 2003, n. 3880).
Nel caso in specie, dalla descrizione contenuta nel provvedimento impugnato, si evince che le opere oggetto dell’ordine di demolizione consistono in una struttura rientrante nelle previsioni di cui all’art. 9 della l.r. n. 37/1985: ciò, sia per la intrinseca natura, di veranda, la cui struttura indicata nello stesso provvedimento come “precaria”, è stata realizzata in alluminio e vetri; sia in quanto collocata ad altezza del balcone a retroprospetto.
Non risulta, quindi, che le opere realizzate abbiano comportato modifiche alla sagoma della costruzione e/o dei fronti prospicienti pubbliche piazze o strade, o aumento di superfici utili o del numero di unità immobiliari, o che abbiano comportato un mutamento di destinazione d’uso delle costruzioni e delle singole unità immobiliari; né è stato addotto che le stesse rechino pregiudizio alla statica dell’immobile (tale ultimo profilo, infatti, non ha costituito oggetto di specifica contestazione da parte dell’Amministrazione Comunale).
Pertanto, sulla base di quanto riportato in punto di fatto, l’impugnata ordinanza di demolizione si appalesa illegittima sotto il profilo dedotto con il primo motivo di ricorso, in quanto priva dei necessari presupposti per la sua adozione, non potendosi ritenere che per la realizzazione delle opere predette fosse necessario uno specifico titolo legittimante (ex plurimis: T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, 15 maggio 2007, n. 1359; Sez. III, 9 marzo 2007, n. 758; Sez. I, 11 dicembre 2003, n. 3880; 1 luglio 1999, n. 1340).
A.2. – Quanto al secondo motivo, con cui si lamenta un supposto contrasto tra le norme contenute nel regolamento edilizio illo tempore vigente e la norma regionale invocata, lo stesso merita parimenti adesione, attesa la natura regolamentare delle norme contenute nel regolamento edilizio, e l’impossibilità, nel sistema di gerarchia delle fonti, di porsi queste ultime in contrasto con la normazione primaria (qual è quella contenuta nell’art. 9 della l.r. n. 37/85).
B. – Conclusivamente, il ricorso merita di essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato.
C. – Ai sensi dell’art. 26 cod. proc. amm., le spese seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, Sezione Terza, definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il Comune di Palermo al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in favore della ricorrente in complessivi € 1.000,00 (euro mille/00), oltre oneri accessori come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 1 giugno 2011 con l'intervento dei magistrati:
Calogero Adamo, Presidente
Federica Cabrini, Consigliere
Maria Cappellano, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/06/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Legittimo il diniego di concessione edilizia se il PRG subordina l'edificabilitĂ  all'adozione di uno stumento attuativo

C.G.A. sentenza n. 339 del 2 maggio 2011
Data: 
02/05/2011
 
Ai fini della legittimità del diniego di concessione edilizia che rimandi alla redazione di un piano di lottizzazione è sufficiente  la sola previsione, nell’ambito del P.R.G., dell’adozione di uno strumento attuativo .

 


REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso in appello n. 655/2010 proposto da
F A T T O
Con ricorso al T.A.R. Palermo, il signor **************** esponeva di essere proprietario di un terreno sito a *************, ricadente per la maggior parte della sua estensione in zona C 1, con densità edilizia di 3 mc/mq.
Con istanza prot. n. 17904 del 7 ottobre 2004, aveva chiesto il rilascio di una concessione edilizia per la realizzazione di due edifici da adibire a civile abitazione ed attività commerciale.
Nella relazione tecnica allegata al progetto era stato specificato che il lotto fronteggiava una strada comunale; era attorniato da edifici e dotato di tutte le opere di urbanizzazione primaria.
Con nota prot. n. 4557 del 26 febbraio 2004, il dirigente del IV settore “Territorio ed Ambiente” del Comune di Cinisi aveva respinto tale istanza, con la seguente motivazione: “gli edifici da realizzare ricadono in area individuata come Piano Particolareggiato sottoposto a prescrizioni esecutive giusto atto deliberativo n. 1 del 26 aprile 2001 … conseguenza di ciò non è possibile il rilascio di singola concessione, ma è necessaria una redazione di piano di lottizzazione come previsto dalla normativa urbanistica vigente, visto tra l’altro che i lotti interessati ricadono in zona C1 facente parte del comparto L4”.
Il ricorrente chiedeva l’annullamento, vinte le spese, di tale atto, per i seguenti motivi:
1) Violazione dell’art. 31 della l. 17 agosto 1942, n. 1150, nel testo sostituito dall’art. 10 della l. 6 agosto 1967, n. 765 e dell’art. 3 della l. 30 aprile 1991, n. 10. Eccesso di potere sotto il profilo del difetto dei presupposti.
Il suddetto atto deliberativo n. 1 del 26 aprile 2001 non avrebbe efficacia immediatamente precettiva, in quanto contenente soltanto una “proposta” per il “redigendo” P.R.G..
La concessione avrebbe dovuto essere comunque rilasciata, venendo in considerazione un “fondo intercluso”.
2) Eccesso di potere sotto il profilo del difetto di motivazione.
Il Comune di Cinisi, seppur ritualmente intimato, non si costituiva in giudizio.
Il ricorrente depositava una memoria esplicativa e nominava un codifensore.
In vista della udienza, depositava una ulteriore memoria, con la quale insisteva nelle proprie domande.
Con sentenza n. 2369/2010, il Tribunale adito ha accolto il ricorso, ritenendo che, nel caso di specie, non sia necessario il piano di lottizzazione, “stante l’assimilabilità dell’area ad un fondo intercluso” ed atteso che essa è dotata delle prescritte opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
Avverso detta sentenza, il Comune di Cinisi ha proposto l’appello in epigrafe, deducendo:
- “Erroneità della sentenza in relazione alla infondatezza del ricorso. Ultrapetizione”.
Il T.A.R. non avrebbe considerato che: l’area in questione è “satura di costruzioni e mancante degli standard minimi delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria”, tant’è che “alla data odierna il vigente P.R.G. prevede nel lotto in questione aree da destinare a Verde Pubblico, Parcheggio e strada di previsione”; che, al fine di garantire l’adeguata dotazione di attrezzature ex D.M. 1444/1968, detta area è stata assoggettata a “Prescrizioni Esecutive” con deliberazione del commissario ad acta, n. 1/2001, e che la disciplina urbanistica vigente prevede nelle zone C1 la redazione di un piano di lottizzazione.
La decisione impugnata sarebbe, altresì, viziata da ultrapetizione.
Infatti, a fronte dell’affermazione del ricorrente in primo grado, secondo cui l’area in argomento costituisce un “lotto intercluso”, il Giudice di prime cure, avendone rilevato l’infondatezza, ha ritenuto di poter sostenere “l’assimilabilità” di detta area ad un fondo intercluso, in tal modo facendo riferimento ad una diversa censura non dedotta dal ricorrente, in disparte il rilievo che detta “assimilabilità” in realtà equivale ad escludere la sussistenza stessa del “lotto intercluso” da questi invocata.
- “Erroneità della sentenza in relazione alla inammissibilità ed infondatezza del ricorso”.
Dalla “relazione descrittiva relativa alla pratica n. 56/03 - Ditta Palazzolo Salvo”, redatta dal III Settore Urbanistica del Comune di Cinisi in data 30/4/2010, si  evince che la proposta progettuale  era inaccoglibile in quanto il lotto di terreno in questione ricade in zona promiscua - C1 e verde agricolo - e non interamente in zona C1, come sostenuto dal ricorrente in prime cure.
Inoltre, “i terreni oggetto dell’intervento edilizio ricadono a cavallo dei comparti L3 ed L4 ed in parte in zona declassata (verde agricolo)”. Gli edifici erigendi verrebbero “posizionati quasi interamente nel comparto L3 ed in parte su verde agricolo” e non soltanto in zona C1.
Ha concluso per l’annullamento e/o la riforma della sentenza impugnata, previa sospensione della stessa.
Si è costituito l’appellato che, con apposita memoria, ha repli-cato alle suddette censure esposte dall’odierno ricorrente con l’atto di appello.
Premesso che l’Ufficio Tecnico del Comune di Cinisi, esaminata la richiesta, non ha rilevato nel lotto in argomento “comparti L3 e zone declassate”, né che gli erigendi edifici fossero posizionati in parte su verde agricolo, l’appellato ha ribadito che l’area in questione è di fatto un lotto intercluso ed è fornita di tutti i servizi di urbanizzazione primaria e secondaria, come riconosciuto dal Giudice di prime cure.
La contraria affermazione del ricorrente, dedotta da una relazione descrittiva postuma redatta dal III Settore Urbanistica, sopra richiamata, non spiega perché, dopo il diniego opposto alla sua istanza, sia stata consentita la realizzazione nella stessa zona di numerose costruzioni.
Il cambio di destinazione urbanistica per la zona d’interesse - disposto, circa tre anni dopo il suddetto diniego, con P.R.G. approvato il 20 dicembre 2006, con il quale il lotto in argomento è stato destinato a verde attrezzato, parcheggio e strada - non legittima l’impugnazione della sentenza del T.A.R..
La suddetta deliberazione del commissario ad acta del 26 aprile 2001 non poteva essere invocata per denegare il rilascio della concessione edilizia richiesta nell’ottobre del 2003 poiché, contrariamente a quanto affermato nel provvedimento impugnato, essa conteneva soltanto una proposta da valere per il “redigendo” P.R.G., all’epoca non ancora adottato.
La circostanza che l’area del lotto in argomento venga oggi destinata, in forza di un P.R.G. approvato il 20/12/2006, ad usi diversi da quelli previsti nel momento in cui è stata richiesta la concessione edilizia (ottobre 2003) non rende legittimo un diniego che è stato dichiarato illegittimo.
Ha concluso per il rigetto dell’appello, previa reiezione dell’istanza cautelare.
Con ordinanza n. 574/10 di questo C.G.A., è stata accolta l’istanza cautelare proposta dall’odierno appellante.
Questi, con apposita memoria, ha ulteriormente dedotto a sostegno dei motivi d’appello, richiamando favorevole giurisprudenza in ordine alla legittimità del provvedimento di diniego impugnato in prime cure, ribadendo la validità degli argomenti esposti nella suddetta relazione descrittiva redatta dal III Settore Urbanistica ed escludendo la sussistenza dei prescritti presupposti perché, al caso di specie, possa applicarsi l’eccezionale disciplina del “lotto intercluso”.
Alla pubblica udienza del 4 novembre 2010 la causa è stata trattenuta in decisione.
D I R I T T O
L’appello è fondato e, pertanto, va accolto.
La Commissione Edilizia Comunale dell’Ente locale appellante, nella seduta del 4/3/04, ha espresso, con riferimento all’istanza presentata dall’odierno appellato, “parere contrario al rilascio della concessione rilevando che i terreni oggetto dell’intervento edilizio ricadono a cavallo dei comparti L3 ed L4 ed in parte in zona declassata (verde agricolo); gli edifici sono posizionati quasi interamente nel comparto L3 ed in parte su verde agricolo e, pertanto, non è possibile rilasciare singola concessione in assenza di piano di lottizzazione né l’intervento può interessare la zona declassata; che peraltro la zona è soggetta a prescrizioni esecutive come da delibera del commissario ad acta del 26/4/2001”.
La delibera testè richiamata, infatti, ha proposto che “il Piano Regolatore Generale venga definito apportando tutte le indispensabili modifiche ed integrazioni allo schema di massima (...)” ed ha individuato le Aree da sottoporre a Prescrizioni Esecutive, tra le quali il Piano particolareggiato “Capacioto”, che interessa il lotto in argomento.
Il citato parere della C.E.C. e la superiore nota prot. 4557 del 26 febbraio 2004, con cui il dirigente del IV settore “Territorio ed Ambiente” del Comune di Cinisi ha respinto l’impugnata istanza, coincidono nelle parti in cui affermano che gli edifici da realizzare ricadono in area individuata come Piano Particolareggiato sottoposto a Prescrizioni e non è possibile il rilascio di singola concessione, ma è necessaria una redazione di piano di lottizzazione, che comunque non potrà riguardare la porzione di lotto declassata.
Senonché, l’odierno appellato sostiene di avere diritto al rilascio della concessione perché il lotto di terreno in argomento costituisce un “lotto intercluso”, ricadente in zona già integralmente urbanizzata e fornita di tutti i servizi di urbanizzazione primaria e secondaria, per il quale la concessione può essere rilasciata in deroga alla disciplina dello strumento attuativo.
Tuttavia, si osserva che il Comune appellante contesta tale conclusione, nella considerazione, invero condivisibile, che essa contrasta con l’esigenza di non congestionare ulteriormente l’area, come rilevato dal commissario ad acta con la deliberazione n. 1/2001 con cui ha, pertanto, proposto di sottoporla a Piano Particolareggiato e come ha poi fatto il Comune con il P.R.G. approvato il 20 dicembre, 2006 con n. 1466, avendo destinato tale area a verde attrezzato, parcheggio e strada.
D’altra parte, si reputa che sia sufficiente ai fini del diniego la sola previsione, nell’ambito del P.R.G., dell’adozione di uno strumento attuativo per rendere legittimo il provvedimento di diniego che rimandi, come nel caso di specie, alla redazione di un piano di lottizzazione.
Conclusivamente, l’appello è fondato e, pertanto, va accolto.
Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.
Si ritiene che sia equo disporre la compensazione tra le parti delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, accoglie l’appello in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 4 novembre 2010, con l’intervento dei signori: Riccardo Virgilio, Presidente, Filoreto D’Agostino, Gabriele Carlotti, Pietro Ciani, estensore, Giuseppe Mineo, componenti.
F.to Riccardo Virgilio, Presidente
F.to Pietro Ciani, Estensore
Depositata in Segreteria
 il 2 maggio 2011

 

Il Comune è obbligato a reintegrare la disciplina urbanistica a seguito della decadenza dei vincoli preordinati all'esproprio

Tar palermo Sez. II, sentenza n. 690 del 8 aprile 2011
Data: 
08/04/2011
Materia: 
Vincoli

La decadenza dei vincoli urbanistici preordinati all’esproprio comporta l’obbligo per il Comune di “reintegrare” la disciplina urbanistica dell’area interessata dal vincolo decaduto con una nuova pianificazione. Ne consegue che il proprietario dell’area interessata può presentare un’istanza, volta a ottenere l’attribuzione di una nuova destinazione urbanistica - così come è avvenuto nel caso in esame - e l’amministrazione è tenuta ad esaminarla, anche nel caso in cui la richiesta medesima non sia suscettibile di accoglimento, con l’obbligo di motivare congruamente tale decisione


 


N. 00690/2011 REG.PROV.COLL.
N. 02368/2010 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 31 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 2368 del 2010, proposto da:
Barbara Birilli, rappresentata e difesa dall'avv. Marcello Assante, con domicilio eletto presso Marcello Assante in Palermo, via Notarbartolo 44;
contro
Comune di Palermo in persona del Sindaco pro tempore, non costituito;
per la declaratoria di illegittimità del silenzio inadempimento dell’amministrazione sull’atto di diffida e messa in mora, volto ad ottenere la ritipizzazione urbanistica in seguito a decadenza dei vincoli espropriativi.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2011 il Referendario dott.ssa Francesca Aprile e udito il difensore di parte ricorrente;
Con il ricorso in epigrafe, la ricorrente, premesso di essere proprietaria di un terreno nel Comune di Palermo, identificato al N.C.E.U. al foglio n° 35, particella n° 1588, sub. 1, ha dedotto che tale fondo é stato destinato dal P.R.G. del 13 marzo 2002 e successiva rettifica approvata il 29 luglio 2002, a “sede stradale”, restando così assoggettato a vincolo sostanzialmente espropriativo per la realizzazione dell’opera pubblica.
Considerato che, ai sensi della normativa nazionale, come recepita in Sicilia dall’art.37 della L.R. 7/2002, i vincoli preordinati all’esproprio hanno durata quinquennale, intervenuta la decadenza dei vincoli impressi ai terreni di sua proprietà, la ricorrente ha presentato, in data 22 giugno 2010, un atto stragiudiziale di diffida e messa in mora al Comune per ottenerne la ritipizzazione urbanistica.
Nonostante la rituale notifica dell’atto di diffida, il Comune è rimasto inerte sull’istanza, non offrendo alcuna risposta.
Avverso il silenzio serbato dall’amministrazione la ricorrente ha, quindi, incardinato il presente gravame ai sensi dell’art. 31 cod. proc. amm., chiedendo l’annullamento del silenzio inadempimento, con declaratoria dell’obbligo a provvedere da parte dello stesso ente locale.
Il ricorso è affidato alla censura di violazione dell’art. 2 della L. 241/90, dell’art. 9 D.P.R. 327/01 e dell’ art. 2 L. 1187/68.
Il ricorso è fondato e va accolto nei sensi e per le considerazioni che seguono.
Con le sentenze n.1565/2009, 1167/2009, 10032/2010, 10033/2010 e 10034/2010, le cui argomentazioni sono, in questa sede, integralmente richiamate, questo Tribunale Ammnistrativo ha precisato che i vincoli espropriativi imposti dallo strumento urbanistico su beni determinati hanno, per legge, durata limitata: in linea generale, cinque anni, alla scadenza dei quali, se non è intervenuta dichiarazione di pubblica utilità dell’opera prevista, il vincolo preordinato all’esproprio decade (art. 9 del T.U. delle norme in materia di espropriazione per pubblica utilità, approvato con D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327).
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che trova le sue radici nelle statuizioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n° 7 del 2 aprile 1984 e n° 12 dell’11 giugno 1984, al quale anche questo Tribunale ha aderito, da ultimo con le richiamate sentenze – dalle quali non si ravvisano ragioni per discostarsi - la decadenza dei vincoli urbanistici preordinati all’esproprio comporta l’obbligo per il Comune di “reintegrare” la disciplina urbanistica dell’area interessata dal vincolo decaduto con una nuova pianificazione. Ne consegue che il proprietario dell’area interessata può presentare un’istanza, volta a ottenere l’attribuzione di una nuova destinazione urbanistica - così come è avvenuto nel caso in esame - e l’amministrazione è tenuta ad esaminarla, anche nel caso in cui la richiesta medesima non sia suscettibile di accoglimento, con l’obbligo di motivare congruamente tale decisione (Consiglio di Stato, sez. IV, 22 giugno 2004, n. 4426; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 3 giugno 2009, n. 2825; T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 25 giugno 2009, n. 1167; Catania, sez. I, 13 marzo 2008, n. 467; 18 luglio 2006, n. 1183; 21 giugno 2004, n. 1733), fermo restando, naturalmente, il potere discrezionale dell’amministrazione comunale in ordine alla verifica e alla scelta della destinazione, in coerenza con la più generale disciplina del territorio e con l’interesse pubblico al corretto e armonico suo utilizzo (Consiglio di Stato, sez. IV, 8 giugno 2007, n. 3025).
In ordine ai termini di durata dei vincoli espropriativi urbanistici, va, peraltro, richiamato il parere del Consiglio di Giustizia Amministrativa n. 461/05 del 1° settembre 2005 – dalla cui interpretazione non si ravvisano ragioni per discostarsi – secondo cui deve ritenersi applicabile nel territorio della Regione Siciliana il termine di durata quinquennale dei vincoli espropriativi urbanistici di cui all’art. 9 del D.P.R. 327/2001, con decorrenza dalla data di approvazione degli strumenti urbanistici (cfr. sul punto, anche T.A.R. Sicilia, Palermo, sez. III, 9 luglio 2008, n. 905).
E’ stato, inoltre, evidenziato che l’obbligo di provvedere gravante sul Comune in caso di decadenza di vincolo preordinato all’esproprio, va assolto mediante l’adozione di una variante specifica o di variante generale, gli unici strumenti che consentono alle amministrazioni comunali di verificare la persistente compatibilità delle destinazioni già impresse ad aree situate nelle zone più diverse del territorio comunale, rispetto ai principi informatori della vigente disciplina di piano regolatore e alle nuove esigenze di pubblico interesse ( in termini: Consiglio di Stato, sez. IV, 31 maggio 2007, n.2885). Il potere di conformazione urbanistica, peraltro, è attribuito dalla legge all’organo consiliare, di talché il semplice e prospettato avvio del procedimento di revisione del piano regolatore generale comunale non costituisce adempimento da parte del Comune in ordine all’obbligo di riqualificazione urbanistica della zona rimasta priva di specifica disciplina a seguito di decadenza del vincolo di destinazione su di essa gravante (cfr.: Consiglio di Stato, sez. IV, 5 dicembre 2006, n. 7131; sez. V, 1 ottobre 2003, n. 5675).
Come precisato nella citata sentenza n° 1565/09 “L’adempimento non elusivo di tale obbligo può essere dato soltanto dallo specifico ed effettivo completamento del Piano regolatore generale per quella zona, mediante adozione di un provvedimento espresso (e cioè di una variante) da parte del competente Organo consiliare”.
È stato anche affermato che: "La decadenza dei vincoli urbanistici per l'inutile decorso del termine quinquennale dall'approvazione del piano regolatore generale obbliga il Comune a procedere alla nuova qualificazione dell'area rimasta priva di disciplina, per cui è illegittima l'inerzia serbata al riguardo dalla p. a. ed è possibile la formazione del silenzio rifiuto a seguito dell'intimazione da parte dei proprietari dell'area stessa. Laddove, però, l'amministrazione, a giustificazione del silenzio, pronunci asserzioni generiche e non indichi con precisione i tempi procedimentali necessari, il provvedimento silenzioso va dichiarato illegittimo, con la consequenziale declaratoria dell'obbligo di provvedere in capo all'organo competente ad effettuare discrezionalmente la scelta della nuova destinazione da imprimere all'area, mediante adeguata motivazione" (T.A.R. Puglia Bari, sez. II, 22 novembre 2001, n. 5129; in senso conforme, da ultimo: TAR Sicilia, Palermo, n° 7035/2010 e n° 1565/09).
Alla stregua dei surrichiamati principi di diritto, sussiste l’obbligo del Comune intimato, in applicazione dell’art. 2 della legge 241/1990 e s.m.i., di definire il procedimento avviato dai ricorrenti con l’istanza di rideterminazione urbanistica del proprio terreno a seguito dell’avvenuta scadenza dei vincoli espropriativi di P.R.G..
Va, di conseguenza, dichiarata l’illegittimità del silenzio serbato dal Comune di Palermo, con correlata declaratoria dell’obbligo del medesimo ente di adottare, con provvedimento consiliare, una determinazione esplicita e conclusiva sull’istanza della ricorrente: al quale fine - tenuto conto della materia cui ha riguardo la controversia e dell’ampia discrezionalità del Comune in tema di disciplina urbanistica del proprio territorio - appare congruo assegnare, per l’adempimento, il termine di giorni 120 dalla comunicazione in via amministrativa o dalla notificazione a cura di parte, se anteriore, della presente sentenza.
Per l’ipotesi di persistente inottemperanza alla scadenza del termine predetto, come da richiesta espressamente formulata in impugnativa, viene nominato fin d’ora commissario ad acta il dirigente del Dipartimento Regionale Urbanistica dell’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, con facoltà di delega ad altro funzionario del Dipartimento medesimo, il quale provvederà, in via sostitutiva, nei successivi novanta giorni, a tutti i necessari adempimenti, con spese a carico del Comune.
Le spese del giudizio seguono come di regola la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, dichiara l'illegittimità del silenzio impugnato e ordina al Comune di Palermo di adottare una determinazione esplicita e conclusiva sull’istanza specificata in parte motiva, nel termine di giorni centoventi dalla comunicazione in via amministrativa della presente sentenza o dalla sua notificazione a cura di parte, se anteriore.
Per l’ipotesi di persistente inottemperanza alla scadenza del termine predetto, viene nominato fin d’ora commissario ad acta il dirigente del Dipartimento Regionale Urbanistica dell’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente, con facoltà di delega ad altro funzionario del Dipartimento medesimo, il quale provvederà, in via sostitutiva, nei successivi novanta giorni, a tutti i necessari adempimenti, con spese a carico del Comune.
Condanna l’amministrazione soccombente alla rifusione delle spese processuali in favore della ricorrente, nella misura di euro mille/00, oltre IVA e C.P. come per legge e oltre alla rifusione del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 9 marzo 2011 con l'intervento dei magistrati:
Cosimo Di Paola, Presidente
Roberto Valenti, Primo Referendario
Francesca Aprile, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/04/2011
IL SEGRETARIO

E' illegittima l'ingiunzione di demolizione emessa in pendenza del procedimento di condono edilizio

Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 422 del 9 marzo 2011
Data: 
10/03/2011

L'esame della domanda di condono edilizio, deve precedere ogni iniziativa sanzionatoria-repressiva, la quale diversamente vanificherebbe a priori l'interesse al rilascio del titolo abilitativo in sanatoria (cfr., fra le tante, T.A.R. Sicilia, Sez. III, 21 febbraio 2006, n.424, e le sentenze ivi richiamate ).



N. 00422/2011 REG.PROV.COLL.
N. 00169/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex artt. 60 e 74 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 169 del 2011, proposto da: Licata Mariano, rappresentato e difeso dall'avv. Carlo Ferracane, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Carla Randi in Palermo, via del Bersagliere, n.45;
contro
Il Comune di Marsala in persona del Sindaco p.t. , non costituitosi in giudizio;
per l’annullamento, previa sospensione
- dell'ordinanza n. 45 del 25.10.10, con la quale si ordina la demolizione entro gg. 90 dalla notifica di opere edili non assentite;
- nonchè degli atti connessi, presupposti e conseguenziali;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2011 il Consigliere Cosimo Di Paola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
1.Si può considerare consolidato il principio giurisprudenziale, invocato in ricorso, secondo cui l'esame della domanda di condono edilizio, deve precedere ogni iniziativa sanzionatoria-repressiva, la quale diversamente vanificherebbe a priori l'interesse al rilascio del titolo abilitativo in sanatoria (cfr., fra le tante, T.A.R. Sicilia, Sez. III, 21 febbraio 2006, n.424, e le sentenze ivi richiamate ).
Nella specie, l’impugnata ordinanza di ingiunzione di demolizione deve ritenersi illegittima in quanto emessa il 25/10/2010, nella (incontestata) pendenza del procedimento che avrebbe dovuto essere avviato a seguito della domanda di condono edilizio ex L. 326/2003, assunta al protocollo dell’Ufficio Settore Urbanistica di Marsala il 10/12/2004, al numero 9729, della quale non v’è menzione nel ricorso, né risulta aliunde esitata.
Il ricorso deve essere pertanto accolto con la conseguenziale statuizione di annullamento del provvedimento impugnato, fatti salvi gli eventuali ulteriori provvedimenti dell’Amministrazione all’esito dell’istanza di condono edilizio di cui sopra.
2.Si ravvisano tuttavia valide ragioni per compensare tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) accoglie il ricorso in epigrafe e per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato, salvi gli eventuali, ulteriori, provvedimenti dell’Amministrazione.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente
Cosimo Di Paola, Consigliere, Estensore
Roberto Valenti, Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/03/2011
IL SEGRETARIO

Spetta ai dirigenti e non al Sindaco l'adozione dei provvedimenti autorizzatori e concessori

Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 419 del 9 marzo 2011
Data: 
09/03/2011
 
1. A seguito dell'entrata in vigore della  legge 142/90( art. 51 ), -applicabile anche nella Regione Siciliana-  non spetta più al Sindaco, ma ai Dirigenti degli Uffici e dei Servizi l'adozione di "tutti i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi. . . ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie", nonché di "tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale" (art. 51, comma 2°).
2. La determinazione di annullamento del silenzio assenso formatosi sull’istanza di autorizzazione ex art. 87 D.Lgs.n.259/2003 è  un atto di secondo grado, , pertanto, richiede la  comunicazione di avvio del procedimento, prevista dagli artt. 7 ed 8 della L. n.241/1990.

3. Il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure, le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino. Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. VI, 15 giugno 2006, n. 3534, C.G.A. 12 novembre 2009, n. 929; T.A.R. Sicilia, sez. II, 6 aprile 2009, n. 661).

  • V. Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 426 del 9 marzo 2011

  • V. Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 268 del 14 febbraio 2011

  •  V. Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 194 del 2 febbraio 2011



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 289 del 2006, proposto dalla Siemens s.p.a., rappresentata e difesa dall'avv. Gennaro Belvini, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Daniela Macaluso in Palermo, via G. Ventura, n.1;
contro
Il Comune di Comitini, in persona del Sindaco pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Salvatore Falzone, con domicilio eletto presso lo studio dell’avv. E. Badalucco in Palermo, via Goethe, n. 22; Il Responsabile del Servizio Tecnico c/o il Comune di Comitini;
per l’annullamento, previa sospensione,
1) dell’ordinanza sindacale n.24 del 24/11/2005 con la quale si ingiunge alla ricorrente la sospensione dei lavori, ritenendo abusiva la realizzazione della stazione radio base;
2)della determina dirigenziale n.106 del 24/11/2005, a firma del responsabile del Servizio Tecnico, con la quale si annulla il titolo abilitativo “ regolarmente formatosi a seguito del silenzio serbato dall’ente locale, ai sensi dell’art. 87, comma 9 del D.Lgs. 259/03”;
3) della delibera consiliare n.23 del 09/03/2003, con la quale si approva il Regolamento comunale per la installazione delle stazioni radio base per la telefonia mobile, “ di cui si è avuto conoscenza solo a seguito della notifica della determina dirigenziale “;
4) del regolamento comunale per la installazione delle stazioni radio base per la telefonia mobile, approvato con delibera consiliare n.23/03, “ di cui si è avuta conoscenza solo a seguito della notifica della determina dirigenziale “;
5) di ogni altro atto preordinato, connesso e consequenziale “ compresa la relazione tecnica del 27/10/2005 protocollo n.7177;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio e la memoria del Comune di Comitini;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2011 il Consigliere Cosimo Di Paola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1.Con ricorso notificato il 23/01/2006 e depositato il 13/02/2006 la Siemens s.p.a. impugnava i provvedimenti specificati in epigrafe, chiedendone l’annullamento previa sospensione, per i motivi di censura seguenti.
1)Violazione e falsa applicazione dell’art.51 della L. n. 142/1990, del T.U. n.267/2000, del D.Lgs. 259/03 .Incompetenza assoluta, elusione dell’ordine del giudice, eccesso di potere, falso presupposto, travisamento dei fatti, omessa istruttoria, difetto di motivazione, erronea valutazione dei presupposti di fatto e di diritto, sviamento di potere ed illogicità manifesta.
2)Violazione e falsa applicazione degli artt. 7, 8, e 10 della L. n.241/1990. Violazione del D.Lgs. 259/03, della L.n.36/01. Eccesso di potere, difetto di istruttoria, omessa e/o insufficiente motivazione.
3)Violazione del D.Lgs.259/03, dell’art.103 L.r. n.17/04, della L.36/01. Eccesso di potere per difetto assoluto di istruttoria. Violazione del giusto procedimento, errata valutazione dei presupposti di fatto e di diritto. Eccesso di potere per contraddittorietà. Illegittimità derivata.
1.2.Si costituiva, con memoria depositata alla camera di consiglio del 03/03/06 il Comune di Comitini che sosteneva la legittimità degli atti impugnati e concludeva per il rigetto della domanda cautelare di sospensiva e per il rigetto nel merito del ricorso.
1.3.Con ordinanza collegiale n.278/06 veniva accolta la domanda incidentale di sospensione.
1.4. Alla pubblica udienza del 04 febbraio 2011 il ricorso veniva posto in decisione.
2. Il ricorso è fondato.
Col primo motivo di censura si deduce l’incompetenza del Sindaco ad adottare l’impugnata ordinanza di sospensione dei lavori e di rimessione in pristino dei luoghi, che spetterebbe invece ai Dirigenti, ai sensi dell’art.51 della L.n.142/1990, del quale, infatti, si deduce la violazione e falsa applicazione.
La censura va condivisa, in quanto dopo l'entrata in vigore della predetta legge ( art. 51 ), non spetta più al Sindaco, ma ai Dirigenti degli Uffici e dei Servizi l'adozione di "tutti i provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi. . . ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie", nonché di "tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale" (art. 51, comma 2°); tale norma si applica pacificamente anche nella Regione Siciliana, in forza del suo recepimento disposto dall'art. 1 della l.r. 11.2.1991, n. 48, dall'art. 2 della l.r. 7.9.1998, n. 23 e, infine, dalla l.r. 23.12.2000, n. 30. La circostanza è, altresì, confermata dall’art. 6 della legge 15 maggio 1997, n. 127, contenente l'espressa previsione della competenza dirigenziale in tema di autorizzazioni e concessioni edilizie (comma 2, lett. f), che è stata recepita nell'ordinamento della Regione Siciliana con l'art. 2 della L.r. 7 settembre 1998, n. 23.
Di conseguenza al Sindaco spettano compiti che si esauriscono sul piano delle scelte urbanistiche ed edilizie identificantesi in atti di indirizzo e di controllo, mentre in capo ai Dirigenti comunali residua la competenza ad adottare atti singoli, privi del connotato della discrezionalità, quali rilascio, diniego ed annullamento delle concessioni edilizie (cfr., ex multis, T.A.R. Sicilia - CT, Sez. I - 2514 - 10 dicembre 2002; n.72 - 27 gennaio 2004; n.915 15 maggio 2008).
Nella memoria difensiva del Comune resistente si obietta che si tratterebbe di ordinanza contingibile ed urgente, rientrante, come tale, nella competenza del Sindaco, ai sensi dell’art. 54 D.Lgs. 267/2000.
E’ sufficiente in contrario osservare da un canto che l’ordinanza di sospensione immediata dei lavori e di ripristino dello stato dei luoghi non fa alcun riferimento normativo all’esercizio di detto potere, dall’altro, che non ricorreva, comunque, alcuna delle situazioni di emergenza indicate nell’art.54, comma 2, del D.Lgs.267/2000 che rendono legittimo il ricorso a tale potere da parte del Sindaco, che lo esercita quale ufficiale del Governo.
La norma infatti riguarda “ provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini “, situazione certamente non ravvisabile nella specie, trattandosi di semplice avvio di lavori per la realizzazione di una stazione radio base che, in ipotesi, avrebbe potuto formare oggetto di provvedimento del Responsabile del Servizio Tecnico che, difatti, ha poi adottato la determinazione n.106 del 24/11/2005, parimenti impugnata.
Il secondo motivo di censura deduce la violazione, tra l’altro, degli artt. 7, 8 e 10 della L. n.241/1990, in quanto la predetta determinazione dirigenziale – avendo ad oggetto un atto di secondo grado – avrebbe dovuto essere preceduta dalla comunicazione di avvio del relativo procedimento.
La censura merita condivisione atteso che la comunicazione dell'avvio del procedimento - salvi i casi di comprovate esigenze di celerità - va sempre disposta quando l'amministrazione intenda emanare un atto di secondo grado, di annullamento, di revoca o di decadenza ( cfr. ex plurimis Consiglio Stato , sez. VI, 27 febbraio 2006 , n. 821 ).
Nella specie si tratta invero di una determinazione di annullamento del silenzio assenso formatosi sull’istanza di autorizzazione ex art. 87 D.Lgs.n.259/2003 e quindi di un atto di secondo grado, mentre non è desumibile dal provvedimento, né aliunde, una esigenza di celerità, per cui l’atto doveva essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, prevista dagli artt. 7 ed 8 della L. n.241/1990.
E’ fondato anche il terzo motivo si censura col quale si deduce l’illegittimità della determinazione dirigenziale n. 106 del 24/11/2005 derivata dalla norma del regolamento comunale sulla quale si basa ( art.1, comma 1 ) .
Ed invero, tale norma prevede che “ L’installazione dei sistemi fissi e mobili delle telecomunicazioni, radiotelevisivi e di apparecchiature e dispositivi similari … può essere autorizzata a distanza non inferiore ad 1,5 Km dal perimetro del centro abitato “
La ricorrente deduce l’illegittimità di detta norma regolamentare, principalmente per violazione e falsa applicazione della L. n.36/2001, del D.Lgs.259/03, in quanto, in sintesi, la disposizione sarebbe finalizzata alla tutela della salute pubblica, in contrasto con le attribuzioni che la citata legge quadro n.36/01 riserva allo stato ed alle Regioni.
La tesi va condivisa alla stregua delle stesse argomentazioni giuridiche già svolte nella sentenza della Sezione n.1213 dell’08 luglio 2009 ( confermata dal C.G.A. con decisione n.1448 del 2 dicembre 2010 ) e nella più recente n. 22 dell’11/01/2011, resa in fattispecie analoga alla presente e che possono perciò qui riaffermarsi.
Si deve anzitutto osservare, in linea generale, che a seguito dell’entrata in vigore del predetto d.lgs. n. 259/2003, recepito nella Regione Siciliana con l’art. 103 della l.r. 28 dicembre 2004, n. 17, le valutazioni urbanistiche edilizie sono assorbite nel procedimento delineato dall’art. 87 che prevede un unico procedimento autorizzatorio per l'installazione delle infrastrutture di comunicazione elettronica. Procedimento che è finalizzato a garantire, tramite procedure tempestive e semplificate, la parità delle condizioni concorrenziali fra i diversi gestori nella realizzazione delle proprie reti di comunicazione sul territorio nazionale, nonché la osservanza di livelli uniformi di compatibilità ambientale delle emissioni radioelettriche, stante che l’intento perseguito dal legislatore comunitario e da quello nazionale è quello di consentire la installazione di stazioni radio base in forza di un unico provvedimento autorizzatorio, che deve essere rilasciato sulla base di un procedimento unitario, nel contesto del quale devono essere fatte confluire le valutazioni sia di tipo ambientale che di tipo urbanistico (cfr. Corte Costituzionale, 28 marzo 2006, n. 129; 6 luglio 2006, n. 265).
Si deve poi considerare che, in presenza della specifica previsione di cui all’art. 86 del D.lgs. n. 259/2003, il quale assimila, ad ogni effetto, le infrastrutture di reti pubbliche di comunicazione alle opere di urbanizzazione primaria, ed in assenza di specifiche previsioni, deve ritenersi che gli impianti di telefonia mobile non possano essere assimilati alle normali costruzioni edilizie e, pertanto, la loro realizzazione non sia soggetta a prescrizioni urbanistico-edilizie preesistenti, le quali si riferiscono a tipologie di opere diverse e sono state elaborate con riferimento a possibilità di diverso utilizzo del territorio, nell’inconsapevolezza del fenomeno della telefonia mobile e, più in generale, dell’inquinamento elettromagnetico in generale. Conseguentemente, il titolo autorizzatorio non può essere negato se non avuto riguardo ad una specifica disciplina conformativa, che prenda in considerazione le reti infrastrutturali tecnologiche necessarie per il funzionamento del servizio pubblico (in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 17 ottobre 2003, n. 7725; TAR Campania, sez. I, 13 febbraio 2002, n. 983, 20 dicembre 2004, n. 14908).
Pertanto – come si è già statuito in fattispecie analoga, con sentenza n. 9/08 del 09/01/08 - ancorchè il Comune mantenga intatte le proprie competenze in materia di governo del territorio, queste tuttavia, per espressa valutazione legislativa, non possono interferire con quelle relative alla installazione delle reti di telecomunicazione e, in particolare, non possono determinare vincoli e limiti così stringenti da concretizzarsi in un divieto di carattere pressoché generalizzato (e senza prevedere alcuna possibile localizzazione alternativa) in contrasto con le esigenze tecniche necessarie a consentire la realizzazione effettiva della rete di telefonia cellulare che assicuri la copertura del servizio nell’intero nel territorio comunale.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 331/2003 ha, infatti, chiarito che nell’esercizio dei suoi poteri, il Comune non può rendere di fatto impossibile la realizzazione di una rete completa di infrastrutture per le telecomunicazioni, trasformando i criteri di individuazione, che pure il comune può fissare, in limitazioni alla localizzazione con prescrizioni aventi natura diversa da quella consentita dalla legge quadro n. 36 del 2001.
In particolare, il Comune non può, mediante il formale utilizzo degli strumenti di natura edilizia-urbanistica, adottare misure le quali nella sostanza costituiscano una deroga ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici fissati dallo Stato, quali, esemplificativamente, il divieto generalizzato di installare stazioni radio-base per telefonia cellulare in tutte le zone territoriali omogenee, ovvero la introduzione di distanze fisse da osservare rispetto alle abitazioni e ai luoghi destinati alla permanenza prolungata delle persone o al centro cittadino (cfr. anche, in tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 29 novembre 2006, n. 6994; TAR Sicilia – PA – Sez. I, T.A.R. Sicilia Palermo, sez. I, 06 aprile 2009 , n. 661).
Tali disposizioni sono, infatti, funzionali non al governo del territorio, ma alla tutela della salute dai rischi dell'elettromagnetismo e si trasformano in una misura surrettizia di tutela della popolazione da immissioni radioelettriche, che l’art. 4 della legge n. 36/2000 riserva allo Stato attraverso l’individuazione di puntuali limiti di esposizione, valori di attenzione ed obiettivi di qualità, da introdursi con D.P.C.M., su proposta del Ministro dell’Ambiente di concerto con il Ministro della Salute (in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, IV, 3 giugno 2002, n. 3095, 20 dicembre 2002, n. 7274, 14 febbraio 2005, n. 450, 5 agosto 2005, n. 4159; sez. VI, 1° aprile 2003, n. 1226, 30 maggio 2003, n. 2997, 30 luglio 2003, n. 4391; 26 agosto 2003, n. 4841, 15 giugno 2006, n. 3534).
Anche di recente il Consiglio di Stato ha precisato al riguardo che la potestà attribuita all'ente locale dall'art. 8 comma 6 l. n. 36 del 2001 di disciplinare "il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti e minimizzare l'esposizione della popolazione a campi elettromagnetici" deve tradursi in regole ragionevoli, motivate e certe, poste a presidio di interessi di rilievo pubblico (in relazione, ad esempio, al particolare valore paesaggistico/ambientale o storico/artistico di individuate porzioni del territorio, ovvero alla presenza di siti che per la loro destinazione d'uso possano essere qualificati particolarmente sensibili alle immissioni elettromagnetiche), ma non può introdurre, come avvenuto nel caso di specie, un generalizzato divieto di installazione in zone urbanistiche identificate; tale previsione viene a costituire una misura di carattere generale, sostanzialmente cautelativa rispetto alle emissioni derivanti dagli impianti di telefonia mobile, riservando, tuttavia, l'art. 4 l. n. 36 del 2001 alla competenza dello Stato, la determinazione, con criteri unitari, dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità, in base a parametri da applicarsi uniformemente su tutto il territorio dello Stato( Consiglio Stato , sez. VI, 15 luglio 2010 , n. 4557 ).
Va, ancora osservato che l’art. 90 del citato D.Lgs. n. 259/2003 dispone che gli impianti in questione e le opere accessorie occorrenti per la loro funzionalità hanno “carattere di pubblica utilità”, con possibilità, quindi, di essere ubicati in qualsiasi parte del territorio comunale, essendo compatibili con tutte le destinazioni urbanistiche (residenziale, verde, agricola, ecc.: cfr., in tal senso, C.G.A. ordinanza 5 luglio 2006, n. 543; Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2006, n. 5096).
Orbene, nella fattispecie in esame l’impugnata norma regolamentare si risolve, sostanzialmente, in un generalizzato divieto di localizzazione di impianto UMTS ( nell’intero perimetro del centro abitato ) e nella introduzione di una distanza fissa ( non meno di 1,5 Km da detto perimetro) , sicchè la disposizione deve ritenersi illegittima e va annullata, unitamente – per illegittimità derivata – alla determinazione dirigenziale n. 106/2005.
3.Le spese del giudizio si possono compensare tra le parti, a ciò sussistendo giusti motivi, anche in relazione alla natura della controversia.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda)definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, annulla, per quanto di ragione i provvedimenti impugnati.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente
Cosimo Di Paola, Consigliere, Estensore
Roberto Valenti, Primo Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
 

Non ha valenza probatoria la dichiarazione "testimoniale" del dirigente dell'Ufficio

Tar Palermo Sez. II, sentenza n. 421 del 9 marzo 2011
Data: 
09/03/2011
 

Non ha valenza probatoria la mera asserzione del Dirigente dell’Ufficio Centro Storico, autorità emanante l’atto, secondo cui l’abuso in questione sarebbe stato certamente realizzato nel luglio 2004, per averlo visto dalla propria finestra, situata dirimpetto all’immobile in questione.

E’ il caso di rilevare che siffatta singolare dichiarazione, resa peraltro ora per allora, dalla medesima autorità amministrativa che con essa contestualmente suffraga l’atto di diniego di condono che adotta, non può assurgere a strumento probatorio, neppure atipico, essendo priva degli elementi essenziali di forma e di sostanza che potrebbero, in ipotesi, assimilarlo ai verbali di sopralluogo, con i quali i tecnici comunali od agenti di polizia municipale accertano abusi edilizi, che – com’è noto - sono atti dotati di fede privilegiata nel senso che fanno fede dei fatti accertati fino a querela di falso ( ex plurimis, Consiglio Stato, sez. V, 03 novembre 2010 , n. 7770 ).


N. 00421/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01095/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1095 del 2009, integrato da motivi aggiunti, proposto da Busetta Giovanni, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovanni Pitruzzella e Stefano Polizzotto, presso lo studio dei quali è elettivamente domiciliato in Palermo, via N. Morello, n.40;
contro
-il Comune di Palermo, in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;
- la Regione Sicilia - Soprintendenza BB.CC.A. di Palermo, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria per legge in Palermo, via A. De Gasperi, n. 81;
per l'annullamento
quanto al ricorso introduttivo
1)del provvedimento prot. n. 215652/CS del 23/03/2009, notificato l’08/04/2009, emesso dal Dirigente del Settore Centro Storico del Comune di Palermo, in relazione all’istanza di condono edilizio presentata dal Sig. Busetta ai sensi della L.n.326/03 e della L.r. n.15/04 in data 31/10/2008, acquisita al protocollo del Comune al n.751672/08;
2)della nota prot. n.866377/CS del 12/12/2008 di comunicazione avvio procedimento di diniego di condono edilizio;
3)ove occorra, della segnalazione n.435/04 del 30/11/2004 del Corpo di Polizia Municipale di Palermo;
4)ove occorra e per quanto di ragione, della nota del Settore del Centro Storico del Comune di Palermo citata nella segnalazione n.435/04 del 30/11/2004 del Corpo di Polizia Municipale di Palermo e di cui il ricorrente non ha mai avuto conoscenza;
5)ove occorra e per quanto di ragione della nota prot. n.36497/CS del 28/02/2005 di avvio del procedimento;
6)ove occorra e per quanto di ragione del silenzio serbato dalla Soprintendenza sulla richiesta del Comune di Palermo avanzata ai sensi dell’art.9, comma 4, della L.n.47/1985;
quanto al ricorso per motivi aggiunti:
-del provvedimento definitivo di diniego prot. n. 413919/CS del 03/06/2009, notificato l’08/06/2009, con cui il Dirigente del Settore Centro Storico del Comune di Palermo ha denegato al ricorrente la concessione edilizia in sanatoria ai sensi della L. 326/03 “ per i lavori edili consistenti nella chiusura di terrazzi e chiusura a veranda di una tettoia sita al p.3° ( piano di copertura ) dell’appartamento di via Nicolò Cervello 6 – e censito al N.C.E.U. articolo 1001824 den. 894 del 30/01/1973;
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Sicilia, Soprintendenza BB.CC.AA.;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 febbraio 2011 il Consigliere Cosimo Di Paola e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1.Con ricorso notificato il 29/05/2009 e depositato il 17/06/2009 il Sig. Busetta Giovanni chiedeva l’annullamento dei provvedimenti specificati in epigrafe, per il motivo di censura seguente.
Violazione e falsa applicazione della L. n.326 /2003 e s.m.i., della L.r. n.15/2004, degli artt. 3 e 7 della L.n.241/1990. Difetto di istruttoria. Eccesso di potere sotto il profilo dell’erroneità dei presupposti, ingiustizia, contraddittorietà ed illogicità manifeste, difetto e carenza di motivazione.
1.2.Con ricorso per motivi aggiunti, notificato il 16/07/2009 e depositato il 30 seguente, il Busetta impugnava il provvedimento definitivo di diniego di condono edilizio, sopra specificato, e ne chiedeva l’annullamento, riproponendo lo stesso motivo di censura posto a base del ricorso introduttivo.
1.3.Il Comune di Palermo non si costituiva in giudizio.
1.4.La soprintendenza ai BB.CC.AA. si costituiva in giudizio senza svolgere difese scritte.
1.5.Alla pubblica udienza del 4 febbraio 2011 il ricorso veniva posto in decisione.
2.Il ricorso è fondato.
La reiezione dell’istanza di condono edilizio presentata dal Busetta il 25/11/2004 viene motivata, nella comunicazione di avvio di procedimento del 12/12/2008 ( anch’essa impugnata ) col fatto che : “ l’istanza è dolosamente infedele in quanto gli abusi sono stati realizzati nel luglio 2004, così come accertato direttamente dallo scrivente che ha la finestra di fronte l’abuso “. Nel successivo provvedimento definitivo ( nota del 23/03/2009 ) “ …si reitera quanto ribadito e precisato con nota n.866377/CS del 12/12/2008…in considerazione che i lavori abusivi sono stati realizzati in data successiva al termine ultimo previsto dalla L.326/03…così come dichiarato dallo scrivente nella testimonianza resa sotto giuramento presso il Tribunale di Palermo “.
Con l’unico motivo di censura si deduce che i provvedimenti impugnati sarebbero stati adottati “ in violazione della L. n.326/03 e L.r. n.15/04 e in assenza di adeguata istruttoria in merito all’epoca di realizzazione delle opere “. Si sostiene “ In altri termini, ( che ) nel caso di specie, il Direttore del Settore Centro storico del Comune di Palermo basa il provvedimento su mere affermazioni non fornite di alcuna prova diretta e smentite dalla documentazione fotografica e aerofotogrammetria versata in atti, ossia dagli atti che normalmente l’Amministrazione utilizza a supporto dei suoi provvedimenti “.
La censura merita di essere condivisa
Deve premettersi che ai fini del conseguimento della sanatoria per costruzioni abusive, l'onere di fornire la prova in ordine alla ricorrenza del presupposto temporale richiesto per la concessione del beneficio in questione incombe sul soggetto che ha compiuto l'abuso edilizio, mentre sull'Amministrazione grava l'onere di controllare l'attendibilità dei fatti dedotti ex adverso, compiendo ogni opportuna verifica istruttoria ed eventualmente contrapponendo ad essi le risultanze di proprie verifiche ed accertamenti d'ufficio ( T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 06 dicembre 2010 , n. 35404).
Nel nostro caso il ricorrente ha allegato alla domanda di condono oltre alla dichiarazione sostitutiva di certificazione ex art.46 D.P.R. n.445/2000, riguardo all’avvenuta costruzione delle opere in data antecedente al 31/03/2003, documentazione fotografica dell’immobile sul quale sono state realizzate le opere per le quali è stato chiesto il condono. Ed ora in sede giudiziale, l’interessato, al fine di comprovare l’esistenza delle opere alla predetta data, presa a riferimento l'art. 32, comma venticinquesimo, D.L. 30 settembre 2003, n. 269, ha prodotto perizia in data 15/04/2009, resa dal consulente di parte che esamina il fotogramma aereo n.721 del volo 20/05/2003, con ingrandimento specifico della zona interessata e la documentazione fotografica relativa alla ripresa aerea della zona, altra perizia del 10/11/2008 e relativa documentazione fotografica concernente la ripresa aerea effettuata dalla S.A.S. s.r.l. il 09/11/2003 ( in particolare, fotogramma aereo n.353 ). In quest’ultima perizia, il consulente tecnico ha , tra l’altro, positivamente verificato la corrispondenza tra le misure di alcune vetrate-infissi site al terzo e quinto piano dell’immobile in questione, con quelle indicate nella fattura n.115 del 20/08/2001, rilasciata dalla ditta fornitrice.
Con ciò il privato ha assolto al proprio onere probatorio contrastando efficacemente l’accertamento del Comune , quanto meno inusuale – oltre che non rituale e privo della necessaria valenza probatoria – affidato alla mera asserzione del Dirigente dell’Ufficio Centro Storico, autorità emanante l’atto, secondo cui l’abuso in questione sarebbe stato certamente realizzato nel luglio 2004, per averlo visto dalla propria finestra, situata dirimpetto all’immobile in questione.
E’ il caso di rilevare che siffatta singolare dichiarazione, resa peraltro ora per allora, dalla medesima autorità amministrativa che con essa contestualmente suffraga l’atto di diniego di condono che adotta, non può assurgere a strumento probatorio, neppure atipico, essendo priva degli elementi essenziali di forma e di sostanza che potrebbero, in ipotesi, assimilarlo ai verbali di sopralluogo, con i quali i tecnici comunali od agenti di polizia municipale accertano abusi edilizi, che – com’è noto - sono atti dotati di fede privilegiata nel senso che fanno fede dei fatti accertati fino a querela di falso ( ex plurimis, Consiglio Stato , sez. V, 03 novembre 2010 , n. 7770 ).
Né la“ testimonianza resa sotto giuramento presso il Tribunale di Palermo “può rimediare, a posteriori,alla predetta originaria carenza di requisiti minimi formali e sostanziali che comporta l’ineludibile nullità insanabile del preteso accertamento.
Per le medesime ragioni suesposte va accolto il ricorso per motivi aggiunti ( basato sulla stessa censura ) e di conseguenza devono essere annullati gli atti impugnati.
3.Le spese del giudizio si possono compensare tra le parti, a ciò ravvisandosi valide ragioni.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 4 febbraio 2011 con l'intervento dei magistrati:
Nicolo' Monteleone, Presidente
Cosimo Di Paola, Consigliere, Estensore
Francesca Aprile, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/03/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)