Costituisce un vincolo preordinato all'espropriazione la destinazione a verde pubblico attrezzato

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C.G.A. sentenza n. 212 del 27 febbraio 2012
Data: 
27/02/2012
Diversamente da altre solo in apparenza simili destinazioni urbanistiche (tra cui quelle a “verde privato” o “verde agricolo”), che invece effettivamente conformano il diritto dominicale dei proprietari dei fondi interessati, senza però sopprimerlo in toto – la destinazione a “verde pubblico attrezzato” (al pari di quella a “verde pubblico”) è radicalmente incompatibile con la permanenza del fondo in proprietà privata.
Sussiste un vincolo preordinato alla espropriazione le volte in cui la destinazione della area permetta la realizzazione di opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica, nel senso di riferita esclusivamente all’ente esponenziale della collettività territoriale. E pertanto nel caso  di parcheggi pubblici, strade e spazi pubblici, spazi pubblici attrezzati, parco urbano, attrezzature pubbliche per l’istruzione. In tali casi, evidentemente, l’utilizzatore finale dell’opera non può che essere l’ente pubblico di riferimento ed essa, in nessun caso, può essere posta sul mercato per soddisfare una domanda differenziata che, semplicemente, non esiste.
   
 

REPUBBLICA ITALIANA   
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO  
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, ha pronunciato la seguente   
S E N T E N Z A
sul ricorso in appello n. 354/2011, proposto da
[***], rappresentati e difesi dagli avv.ti Giovanni e Giuseppe Immordino, elettivamente domiciliati in Palermo, via Libertà 171, presso lo studio degli stessi;
c o n t r o
il [***], in persona del Sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Sicilia - Sede di Palermo (sez. II) - n. 7421 dell’11 giugno 2010.
Visto il ricorso, con i relativi allegati;
Visti gli atti tutti del giudizio;
Relatore, alla pubblica udienza del 10 novembre 2011, il Con-sigliere Ermanno de Francisco;
Udito altresì l’avv. Giovanni Immordino per gli appellanti;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
F A T T O
Viene in  decisione l’appello  avverso la sentenza indicata in epigrafe, che ha dichiarato inammissibile il ricorso degli odierni ap-pellanti per l’annullamento della nota prot. n. 12962 del 29 dicem-bre 2008, recante rigetto dell’istanza dei suindicati soggetti tesa a ottenere l’emanazione di una specifica disciplina pianificatoria relativamente a un fondo di loro proprietà (fg. 6, part. 1096 e 1097), sull’assunto che il medesimo fosse divenuto “zona bianca” sin dal 23 maggio 2008, per effetto della scandenza del vincolo derivante dalla destinazione dell’area a “verde pubblico attrezzato”.
All’odierna udienza la causa è stata trattenuta in decisione.
D I R I T T O
1. – La sentenza appellata ha escluso che la nota gravata avesse inteso esercitare qualunque potestà amministrativa, essa avendo solo affermato la natura conformativa, e non già espropriativa, del vincolo di cui si è detto nella narrativa in fatto che precede, e ricavandone – in una con la perpetuità della zonizzazione attribuita al terreno con tale destinazione urbanistica – l’insussistenza di un obbligo di provvedere; sicché, non essendo stato aperto alcun procedimento, il primo giudice ha dichiarato insussistente l’interesse ad agire in annullamento.
2. – Il primo motivo di appello deduce la sussistenza dell’inte-resse ad agire: sia in quanto l’atto impugnato osterebbe alla realizza-zione dell’interesse pretensivo fatto valere dai ricorrenti; sia in quanto, ove pure si trattasse di un atto di valenza non provvedimentale, la domanda avrebbe dovuto riqualificarsi d’ufficio come impugnazione del silenzio-rifiuto ed essere come tale scrutinata.
Il motivo è fondato.
L’atto impugnato, in esito a una valutazione della situazione giuridica dedotta con l’istanza-diffida notificata il 26 novembre 2008, ha affermato non esservi luogo a provvedere, in ragione della perpetuità della zonizzazione attribuita al terreno dei ricorrenti con la sua destinazione a “verde pubblico attrezzato” e della conseguente insussistenza dell’obbligo di attribuirgli una nuova destinazione.
Ciò, rispetto alla pretesa dei ricorrenti, integra indubbiamente un atto di arresto procedimentale, come tale immediatamente lesivo e perciò impugnabile (laddove, nel diverso caso di inerzia, sarebbe stata invece proponibile l’azione di accertamento ex art. 31 C.P.A.).
Perciò, essendovene interesse, il ricorso va scrutinato in merito.
3. – Il secondo motivo di appello, reiterativo dell’unico motivo di ricorso in prime cure, censura il provvedimento impugnato per non aver riconosciuto la natura espropriativa del vincolo di un’area a “verde pubblico attrezzato”, ossia per aver considerato detto vincolo meramente conformativo; ricavandone, in luogo di una coessenziale temporaneità, il carattere di tendenziale e potenziale perpetuità.
Anche tale motivo è fondato.
3.1. – Ritiene questo Consiglio che – diversamente da altre solo in apparenza simili destinazioni urbanistiche (tra cui quelle a “verde privato” o “verde agricolo”), che invece effettivamente conformano il diritto dominicale dei proprietari dei fondi interessati, senza però sopprimerlo in toto – la destinazione a “verde pubblico attrezzato” (al pari di quella a “verde pubblico”) sia radicalmente incompatibile con la permanenza del fondo in proprietà privata.
Non si ignora l’orientamento, prevalentemente contrario, della giurisprudenza di secondo grado, da ultimo espresso da C.d.S., IV, 12 maggio 2010, n. 2843, e in C.d.S., IV, 3 dicembre 2010, n. 8531.
Si ritiente tuttavia preferibile, perché assai più perspicuo e convincente, l’orientamento di questo Consiglio, da ultimo espresso da C.G.A., 25 gennaio 2011, n. 95, secondo cui “sussiste un vincolo preordinato all’espropriazione tutte le volte in cui la destinazione dell’area permetta la realizzazione di opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica”.
3.2. – Siffatta conclusione muove dall’ampia riconsiderazione del sistema operata da C.G.A., 19 dicembre 2008, n. 1113, che – sulla scorta di “un’interpretazione evolutiva, ma coerente con i principi in più occasioni affermati dalla C.E.D.U., delle statuizioni recate nella … sentenza della Corte costitituzionale n. 179 del 12 maggio 1999 in ordine alla distinzione tra previsioni urbanistiche conformative e previsioni espropriative” (come rileva C.G.A. n. 95/2011, cit.) – ha rivisitato i principi basilari della nostra materia nei termini seguenti.
«La sentenza della Corte Costituzionale n. 179 del 12 maggio 1999 ha precisato che sono fuori dello schema ablatorio i vincoli che importano una destinazione di contenuto specifico realizzabile ad iniziativa privata o promiscua (pubblico-privato) che non comportino, quindi, necessariamente espropriazioni o interventi ad esclusiva iniziativa pubblica».
«La sentenza prosegue indicando, a mo’ di esempio, parcheggi, impianti sportivi, mercati ed altro».
«In disparte la considerazione che l’elencazione esemplificativa operata dalla Corte non costituisce oggetto specifico del dictum, si deve altresì osservare che la realizzabilità dell’opera o del servizio esclusivamente per opera della mano pubblica o anche del privato (cui va assimilato l’intervento misto) deve essere giudicata non con riferimento all’oggetto specifico della realizzazione (in altre parole all’opus da realizzare), ma alla destinazione di esso e quindi alla sua idoneità a soddisfare anche il diritto soggettivo di proprietà, oltre che l’interesse pubblico».
«Ed, infatti, nella citata sentenza della Corte si afferma espres-samente che non si è alla presenza di uno schema ablatorio le volte in cui le “iniziative (siano) suscettibili di operare in regime di libero mercato”. In tale sede la Corte ha citato, quale esempio, “gli impianti sportivi, i mercati e complessi per la distribuzione commerciale, edifici per iniziative di cura e sanitarie o per altre utilizzazioni quali zone artigianali o industriali o residenziali”».
«All’evidenza si tratta di opere materiali la cui utilizzazione non è riservata alla mano pubblica, sebbene è la loro destinazione che serve un interesse pubblico. Esse possono ben essere realizzate dal privato e poste sul mercato, trovando una domanda di soggetti interessati alla apertura di una clinica sanitaria, di un supermercato di una palestra etc., in grado, in sostanza, di determinare un mercato (incontro tra domanda ed offerta in scarsità di risorse)».
«Non contraddice la tesi la citazione dei parcheggi contenuta nella medesima motivazione or ora citata. È, infatti, evidente che la Corte intendeva riferirsi a parcheggi privati a pagamento, che determinano un interesse commerciale al loro sfruttamento. Ciò è agevolmente ricavabile proprio dalla assimilazione che di tali parcheggi la Corte ha operato alle altre opere chiaramente destinate allo sfrutta-mento da parte di privati (cliniche, supermercati, zone artigianali)».
«Ben diversa è la situazione per i parcheggi pubblici, quand’anche destinati alla concessione a tariffa “calda”. In tal caso, infatti, l’erogazione del servizio pubblico è pur sempre riservata all’Ente territoriale, il quale, appunto, la esercita mediante la concessione dei propri poteri, sia pure assicurando l’introito della tariffa».
«L’interpretazione ora esposta è l’unica, peraltro, coerente con i principi generali».
«La proprietà privata, ai sensi dell'articolo 42 della Costituzione e della CEDU, costituisce diritto fondamentale dell’uomo. Come è noto, il contenuto, e quindi le facoltà, inerenti al detto diritto sono le più ampie previste dall’ordinamento giuridico (italiano ed europeo ed in genere occidentale), e si sostanziano nella utilizzazione a fini economici del bene, segnatamente del bene immobile e, nella specie, di area non ancora edificata. L’utilizzazione naturale di tali aree, quindi, è l’edificabilità, cioè la realizzazione di un opus suscettibile di valutazione economica, sia per la fruizione personale del proprietario, sia per la disposizione onerosa a favore di terzi».
«Nel sistema delineato dalla Costituzione e dalla CEDU la norma conformatrice dello jus aedificandi non costituisce annullamento del diritto di proprietà e dunque non è riguardata con sfavore (nei limiti della ragionevolezza e del rispetto della natura stessa dei luoghi), mentre la norma ablatoria è considerata eccezione di stretto diritto al principio fondamentale della inviolabilità della proprietà. Tale eccezione è legata alla sussistenza di motivi di interesse pubblico tali da necessitare una deviazione dalla funzione propria della proprietà e quindi una finalizzazione di essa a scopi non economicamente conformi con tale diritto».
«Sotto questo profilo la distinzione tra norme conformative e norme ablatorie non può più seguire i criteri tradizionali elaborati dalla giurisprudenza amministrativa sino ad oggi. Si deve, infatti, avere riguardo al tasso di deviazione dalla finalità ordinaria dell’area in questione rispetto alla sua vocazione naturale, che è sicuramente quella di dare luogo ad un opus economicamente e commercialmente idoneo a procurare il massimo profitto al proprietario».
«La norma conformativa, che impone standard di distanze, cubatura, altezza, tipologia etc., si inserisce in un mercato immobiliare omogeneo, stabilendo restrizioni uguali per gli appartenenti alla classe (proprietari della zona omogenea) e determinando, quindi, i parametri di mercato (valore dell’immobile realizzabile e quindi dell’area edificabile) in relazione alle restrizioni omogenee. Si tratta, nel mercato che si crea, di vincoli economici esterni, accettabili e compatibili con l’economia di mercato e con i principi di uguaglianza, nella misura in cui operino, sostanzialmente, come limiti esterni allo jus aedificandi. Non costituisce, giuridicamente, una restrizione del diritto di proprietà la diminuzione di valore di un’area sita, ad esempio, in zona umida e malsana, rispetto alla analoga area sita in collina, o di un’area allocata distante dal mare rispetto ad una posta nelle vicinanze della riva, atteso, appunto, che tali limitazioni sono insite ed ontologicamente connaturate alle aree stesse. Allo stesso modo, non costituisce restrizione al diritto di proprietà ed allo jus aedificandi l’obbligo conformativo che opera quale limite generale, quasi naturale, alle facoltà della classe di aree insistenti in zona omogenea».
«L’interesse pubblico, quindi, opera ab extrinseco non incidendo sul diritto di proprietà, ma sulla sua valorizzazione di mercato, a fronte di un potere conformativo, eccezionale ma accettabile, riconosciuto per il bene della collettività».
«Viceversa, ove ci si trovi innanzi ad una potestà conformativa che imponga realizzazioni difformi dalla naturale destinazione dell’area, ne consegue, di fatto, l’ablazione di una precisa facoltà inerente al diritto di proprietà. In tal caso non giova la considerazione che l’opus necessario (ad esempio un parcheggio) possa anche essere realizzato dal medesimo privato, poiché è fin troppo evidente che la diminuzione di valore dell’opera realizzabile non risponde ad una conformazione omogenea del mercato della zona, ma ad un intervento autoritario del pubblico che si propone quale terzo indefettibile del successivo rapporto. In altri termini, se l’opera realizzabile, sia pure con le limitazioni dovute alla conformazione, può comunque essere posta sul mercato scontando il meccanismo usuale della domanda ed offerta per la determinazione del prezzo, la destinazione indefettibile ad opera o servizio pubblico individua, necessariamente e senza pos-sibilità di eccezione, il soggetto (pubblico) cui l’opera stessa non potrà che essere destinata. In tal guisa che l’opera non è finalizzata ad essere posta sul mercato, ma necessariamente ad esser posta a disposizione di un solo soggetto. Ciò anche nella ipotesi in cui l’opera sia realizzata dallo stesso privato, magari in convenzione con il soggetto pubblico, poiché ciò che rileva non è chi materialmente la realizzi (il privato o il pubblico dopo l’espropriazione), ma chi concretamente può essere il solo destinatario della sua utilizzazione. Non vi è mercato, come è noto, quando uno dei contraenti si pone in posizione di monopolio (nel caso monopolista per l’acquisto)».
Tale ultima conclusione – giova qui evidenziarlo – è stata ribadita anche da C.G.A. n. 95/2011, cit., che ha infatti “ritenuto … che, in presenza di un monopsonio non c’è mercato”.
Tornando a C.G.A. n. 1113/2008, cit., in riferimento alla specifica vicenda che tale decisione ebbe a esaminare, così prosegue: «Corollario di questa impostazione è che l’area in questione, se effettivamente serve allo scopo di realizzare gli standard urbanistici, non potrà, alla fine, che essere espropriata, proprio in virtù del fatto che su di essa non può che essere realizzata altro che l’opera in questione asservita a un interesse pubblico e riferita all’ente pubblico».
«Nella specie, la dimostrazione dell’assunto è in re ipsa. Infatti, l’area corrispondente alla osservazione n. 107 (destinata a parcheggi) per la quale il TAR aveva accolto il ricorso considerandola gravata da vincolo preordinato alla espropriazione, è stata di poi espropriata dal Comune dando luogo alla cessazione della materia del contendere preliminarmente pronunciata».
«L’applicazione dei principi sopra enunciati conduce necessa-riamente  alla conclusione  che sussiste un vincolo preordinato alla espropriazione le volte in cui la destinazione della area permetta la realizzazione di opere destinate esclusivamente alla fruizione soggettivamente pubblica, nel senso di riferita esclusivamente all’ente esponenziale della collettività territoriale. E pertanto nel caso (per quanto qui di interesse) di parcheggi pubblici, strade e spazi pubblici, spazi pubblici attrezzati, parco urbano, attrezzature pubbliche per l’istruzione. In tali casi, evidentemente, l’utilizzatore finale dell’opera non può che essere l’ente pubblico di riferimento ed essa, in nessun caso, può essere posta sul mercato per soddisfare una domanda differenziata che, semplicemente, non esiste.”».
3.3. – È noto che le sentenze non si contano, ma si ponderano.
Ebbene, l’orientamento quantitativamente dominante si limita – assiomaticamente e acriticamente – a postulare, tralatiziamente, che “il vincolo a "verde pubblico attrezzato", di cui si discute, non ha natura espropriativa, qualificandosi come vincolo di natura conformativa della proprietà, conseguente alla zonizzazione effettuata dagli strumenti urbanistici per definire i caratteri generali dell'edificabilità in ciascuna delle zone in cui è suddiviso il territorio comunale, ponendo limitazioni in funzione dell'interesse pubblico generale … Trattasi … di vincolo derivante da limiti non ablatori, posti normalmente dalla pianificazione urbanistica, derivanti da destinazioni realizzabili anche attraverso l'iniziativa privata, in regime di economia di mercato, quali quelle elencate, a titolo peraltro meramente esemplificativo, dalla sentenza del Giudice delle leggi n. 179 del 1999” (così C.d.S., IV, 2843/2010, cit.).
Viceversa, le ricordate sentenze di questo Consiglio hanno ef-fettivamene cercato di inquadrare – come è doveroso, nonché ormai imposto dallo stesso art. 117, I comma, della Costituzione – le affer-mazioni di Corte cost. 179/1999 nell’ambito del sistema europeo di cui l’ordinamento italiano ormai fa indissolubilmente parte.
Né può aver senso – come talvolta sembra accadere soprattutto in ambito urbanistico – sforzarsi di leggere le novità legislative e giurisprudenziali (tra queste ultime collocandosi anche Corte cost. n. 176/1999; nonché tutta intera l’elaborazione giurisprudenziale della C.E.D.U. in materia di diritto di proprietà) in modo preconcettamente restrittivo, al fine di continuare ad applicare vecchie categorie concettuali, non più in linea con il sistema giuridico dei paesi di civiltà occidentale, a cui quello  italiano è tenuto a  integrarsi: è ben  noto, per esempio, che aver tentato per decenni di far finta che il diritto di proprietà potesse essere espropriato a valori simbolici non ha avuto altro effetto che posporre di qualche decina di anni il costo di quelle espropriazioni, che ora però sta ricadendo sulle finanze pubbliche, ampiamente moltiplicato, proprio per opera della C.E.D.U..
3.4. – Tornando al nostro caso, non convince l’argomento per cui “la contestata destinazione [“verde pubblico attrezzato”] consente la realizzazione e gestione delle attrezzature previste all’interno di tale zona (pur con i significativi limiti di edificabilità ivi previsti) "oltre che dal Comune o da altri enti pubblici, anche da privati, sulla base di una convenzione con il comune"” (C.d.S., 2843/10, cit.).
Se, infatti, un terreno è destinato a “verde pubblico” (e, magari, “attrezzato”) potrà divenire un parco aperto all’uso pubblico generale; è ovvio che al suo interno il privato possa essere autorizzato a gestirvi, per esempio, una giostra o un impianto sportivo; ma – quand’anche si tratti accidentalmente del proprietario del suolo – è palese che ciò non è un’estrinsecazione, sia pur minima, del suo diritto dominicale; né, infine, la realizzazione (ossia l’attrezzatura dell’area di verde pubblico) potrà porsi a carico del proprietario, di norma privo di ogni interesse, sicché essa deriverà necessariamente da iniziative pubbliche (dirette o tramite concessionari), ovviamente previa espropriazione.
3.5. – Essendo, allora, rimesso all’interprete il delicato compito di distinguere, volta per volta, tra i vincoli conformativi e i vincoli espropriativi, tale attività va certamente svolta assumendo a costante parametro di riferimento il contenuto minimo essenziale del diritto dominicale.
D’altra parte, tale contenuto minimo non può più parametrarsi a concezioni diffuse a metà del secolo scorso, essendo invece necessario tenere nel debito conto le ricordate sollecitazioni anche di matrice sovranazionale; che – senza il ricorso a una legittima espropriazione, con conseguente indennizzo ormai a valori di mercato (Corte cost. 24 ottobre 2007, nn. 348 e 349) – non ne consentono la compressione fino a far destinare un fondo privato ad un uso soggettivamente pubblico (nella specie, generale).
3.6. – Ne deriva, dunque, che se l’ente pubblico vuol destinare un’area a uso pubblico (generale) deve procurarne l’espropriazione, non potendo altrimenti costringere il proprietario a comprimere il suo godimento al di là del contenuto minimo essenziale della proprietà.
Ciò implica natura ineluttabilmente espropriativa, essendo esso preordinato all’esproprio, del vincolo consistente nella destinazione di un’area privata a “verde pubblico” (nella specie “attrezzato”, ciò che ovviamente avverrà a cura e spese del soggetto pubblico espropriante, o di soggetti concessionari).
3.7. – Tale natura ne comporta, naturalmente, la temporaneità; con l’effetto che detto vincolo, con l’inutile decorso di un quinquennio e in difetto di una sua legittima reiterazione, viene meno.
In tal caso, l’area già vincolata non riacquista automaticamente la propria antecedente destinazione urbanistica, ma si configura come area non urbanisticamente disciplinata, ossia come c.d. zona bianca.
Rispetto a tali zone, allorché cessino gli effetti dei preesistenti vincoli, l’amministrazione comunale deve esercitare la discrezionale propria potestà urbanistica, attribuendo loro una congrua destinazione.
4. – Ne deriva la fondatezza del ricorso, nella parte in cui cen-sura il rifiuto (espresso) dell’amministrazione ad attribuire all’area per cui è causa una nuova congrua destinazione urbanistica.
In conclusione, l’appello è integralmente fondato, e va pertanto accolto.
Ritiene altresì il Collegio che ogni altro motivo od eccezione di rito e di merito possa essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.
5. – Le spese del doppio grado seguono ex lege la soccombenza (art. 26 C.P.A.), e vengono liquidate nella misura di cui in dispositivo.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione sicilia-na, in sede giurisdizionale, accoglie l’appello e annulla l’atto impu-gnato, nei sensi e per gli effetti di cui in motivazione.
Spese del doppio grado a carico del Comune appellato, liquidate in complessivi € 6.000,00, oltre accessori di legge, s.g. e c.u.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità am-ministrativa.
Così deciso in Palermo dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale nella camera di consiglio del 10 novembre 2011, con l’intervento dei signori: Paolo Turco, Presidente, Ermanno de Francisco, estensore, Gabriele Carlotti, Giuseppe Mineo, Alessandro Corbino, Componenti.
F.to Paolo Turco, Presidente
F.to Ermanno de Francisco, Estensore
Depositata in Segreteria
  27 febbraio 2012