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CGA, sentenza del 11 marzo 2013, n. 325
Data: 
11/03/2013

 

 

 

1. La mera variazione della tariffa TARSU, a fronte del variare dei costi, è in realtà un atto praticamente vincolato e scevro di quei momenti di discrezionalità che sono invece insiti nella regolamentazione generale del tributo e nella disciplina generale della tariffa (ad es. individuazione di ca-tegorie di soggetti obbligati, fissazione di esenzioni o agevolazioni etc.) espressamente riservata al Consiglio.

Per questa ragione questo Consiglio di Giustizia in sede sia giurisdizionale che consultiva si è da tempo orientato nel senso che la revisione delle aliquote dei tributi locali è da considerare atto sostanzialmente gestionale – applicativo, rientrante in una disciplina di dettaglio, e quindi non riconducibile tra gli atti di regolamentazione generale del tributo.

2. In Sicilia spetta al sindaco – salvo diversa previsione statutaria – la competenza a disporre le variazioni delle aliquote dei tributi comunali

 

N.  325/13   Reg.Sent.

 

N.     505      Reg.Ric.

 

ANNO  2012

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

            Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente

S E N T E N Z A

sul ricorso in appello n. 505/2012 proposto da

COMUNE DI SCIACCA,

in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. xxxxxxx ed elettivamente domiciliato in Palermo, via xxxxxxxx n. 19, presso lo studio dell’avv. xxxxxxxxxxx;

c o n t r o

xxxxx,xxxxx,xxxxxx,xxxxx,xxxxxxx,xxxx, rappresentati e difesidall’avv. xxxxxxxxx ed elettivamente domiciliati in Palermo, corso xxxxxxxxx n. 74, presso l’avv. xxxxxxxx;

e nei confronti di

SOGEIR ATO AGI s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio,

ASSESSORATO REGIONALE DELLE AUTONOMIE LOCALI E DELLA FUNZIONE PUBBLICA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difesodall’Avvocatura dello Stato di Palermo, presso i cui uffici in via Alcide De Gasperi n. 81, è per legge domiciliato;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. per la Sicilia - sede di Palermo (sez. I) - n. 950 dell’11 maggio 2012.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio degli appellati e dell’assessorato regionale delle autonomie locali e della funzione pubblica;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore alla pubblica udienza del 9 gennaio 2013 il Consigliere Vincenzo Neri;

Uditi, altresì, l’avv. A. Serra per il comune appellante, l’avv. A. Scaduto per gli appellati e l’avv. dello Stato Tutino per l’assessorato intimato;

Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

F A T T O

Con deliberazione n. 66 del 2010 il sindaco del comune di Sciacca ha disposto l’aumento, nella misura del 35% rispetto al 2009, delle tariffe della tassa di smaltimento dei rifiuti solidi urbani – TARSU per l’anno 2010.

Tale deliberazione è stata impugnata avanti al T.A.R. Palermo dagli odierni appellati e, con la sentenza in epigrafe indicata, l’adito Tribunale ha accolto il ricorso ed ha annullato la delibera sindacale di variazione delle aliquote.

A sostegno del decisum il Tribunale ha osservato che la variazione della tariffa TARSU rientra nelle competenze del Consiglio comunale.

La sentenza è stata impugnata con l’atto di appello oggi all’esa-me dal soccombente comune di Sciacca, il quale ne ha chiesto l’annul-lamento previa sospensione dell’esecutività.

Si sono costituiti gli appellati, instando per il rigetto dell’appel-lo; si è costituito altresì l’Assessorato regionale delle autonomie locali e della funzione pubblica chiedendo che fosse dichiarata la sua “estraneità” al rapporto controverso e comunque insistendo per l’inammissi-bilità o l’infondatezza del ricorso.

Con ordinanza n. 414 del 2012 questo Consiglio ha accolto l’istanza cautelare.

Le parti hanno presentato memorie, insistendo nelle già rassegnate conclusioni.

All’udienza del 9 gennaio 2013 l’appello è stato trattenuto in decisione.

D I R I T T O

Su espressa eccezione avanzata con memoria del 23 ottobre 2012, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso nei confronti dell’Assessorato regionale delle autonomie locali e funzione pubblica per difetto di legittimazione passiva non risultando impugnato alcun atto adottato dalla predetta amministrazione regionale.

Nel merito l’appello del comune – tendente a dimostrare la competenza del sindaco di Sciacca per l’adozione dell’atto di variazione della tariffa – è fondato. Questo Consiglio, infatti, si è già pronunciato su vicenda analoga ritenendo che la mera variazione delle aliquote tariffarie dei tributi locali non rientra nella competenza del consiglio comunale.

Le pregevoli argomentazioni avanzate dagli appellati, dunque, a sostegno della decisione del TAR devono quindi essere respinte (senza necessità di rimettere la questione all’adunanza plenaria, così come richiesto dagli appellati a pagina 11 del controricorso) alla luce di quanto, con ampia motivazione, è già stato affermato dalla altra sentenza di questo CGA: “… nella Regione Siciliana, dotata di competenza esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali, ai sensi dell’art. 13 l.r. n. 7 del 1992 come integrato dall'art. 41 l.r. n. 26 del 1993, il sindaco compie tutti gli atti di amministrazione che dalla legge o dallo statuto non siano specificamente attribuiti alla competenza di altri organi del comune, degli organi di decentramento, del segretario e dei dirigenti.

Pertanto, la competenza c.d. residuale – che nell’ordinamento nazionale è attribuita alla giunta comunale dall’art. 48 T.U. n. 267 del 2000 – spetta in Sicilia al sindaco.

Inoltre, sul piano delle fonti, è ormai assodato che l'art. 1 della l.r. n. 48 del 1991, nel richiamare le norme della legge nazionale n. 142 del 1990, ha operato un rinvio recettizio e statico e non già formale e dinamico, sicché l'ordinamento regionale non subisce automatiche modifiche per l'intervento (o, specularmente, per l’eliminazione) di norme statali” (cfr. C.G.A. n. 403 del 2010).

Il che comporta in concreto – ma sul punto si ritornerà – l’inap-plicabilità diretta in Sicilia delle norme generali del T.U.E.L. di cui al citato D. l.vo n. 267 del 2000.

Ciò chiarito, l’art. 32 comma 2 della ridetta legge n. 142 del 1990 (oggi ancora in vigore in Sicilia per come appunto recepita dalla l.r. n. 48 del 1991) stabilisce che il consiglio comunale ha competenza limitatamente a “l’istituzione e l’ordinamento dei tributi, la disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi”… omissis … Secondo la sentenza impugnata – che richiama il conforme orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con le sentenze n. 16870 del 2003 e n. 23836 del 2009 – la misura di un tributo costituisce elemento essenziale e qualificante dello stesso, inserendosi nella definizione degli elementi strutturali dell’obbligazione di imposta e quindi nella sua regolamentazione generale.

A ciò deve aggiungersi, secondo il T.A.R., che nel caso della TARSU o della omologa T.I.A. la legislazione tributaria nazionale non fissa (come avviene invece per altri tributi locali) una aliquota massima e minima e quindi una forbice all’interno della quale le amministrazioni locali possono in concreto scegliere l’aliquota da applicare, ma demanda invece al comune di approvare una tariffa svincolata da limiti preordinati: sarebbe quindi improprio sottrarre al consiglio quale organo rappresentativo la possibilità di incidere in modo così ampiamente discrezionale sul potere impositivo dell’ente.

Le argomentazioni ora sinteticamente riprodotte non sono, a giudizio di questo Collegio, condivisibili.

Per quanto riguarda la latitudine della potestà impositiva, giova in primo luogo ricordare che in generale l’art. 61 del D. L.vo n. 507 del 1993 impone la copertura tariffaria di almeno il 50% (in alcuni casi il 70%) del costo del servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani e che in Sicilia l’art. 4 della l.r. n. 9 del 2010 impone la copertura integrale dei costi connessi all’espletamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti in ambito comunale.

Quindi – nonostante l’autorevolezza dei precedenti giurisprudenziali valorizzati dal T.A.R. – ritiene il Collegio che la mera variazione della tariffa TARSU, a fronte del variare dei costi, sia in realtà un atto praticamente vincolato e scevro di quei momenti di discrezionalità che sono invece insiti nella regolamentazione generale del tributo e nella disciplina generale della tariffa (ad es. individuazione di ca-tegorie di soggetti obbligati, fissazione di esenzioni o agevolazioni etc.) espressamente riservata al Consiglio.

Per questa ragione questo Consiglio di Giustizia in sede sia giurisdizionale che consultiva si è da tempo orientato nel senso che la revisione delle aliquote dei tributi locali è da considerare atto sostanzialmente gestionale – applicativo, rientrante in una disciplina di dettaglio, e quindi non riconducibile tra gli atti di regolamentazione generale del tributo (cfr. CGA decisione n. 420 del 2006 e parere n. 101 del 2006).

In analoga ottica del resto la prevalente giurisprudenza del Consiglio di Stato aveva già da tempo chiarito che la variazione di aliquote non rientra nella categoria degli atti fondamentali concernenti l’istituzione e l’ordinamento del tributo, o la disciplina generale della tariffa, che restano demandati al consiglio comunale (V sez. n. 424 del 1997, n. 14912 del 2002 e n. 2782 del 2003).

Secondo questo Collegio l’indirizzo giurisprudenziale, ora richiamato merita di essere confermato, per le ragioni di tipo sistematico e testuale, ora esposte.

Nè infine risulta condivisibile l’argomento interpretativo “a contrario” che la sentenza impugnata trae dalla normativa contenuta nell’art. 42 comma 2 lettera f) del T.U. n. 267 del 2000.

Come è noto, la disposizione in questione ricalca pedissequamente quella contenuta nell’art. 32 della legge n. 142 ma – aggiungendovi un inciso – esclude espressamente dalle competenze del consiglio in materia di tributi locali la “determinazione delle relative aliquote”.

Secondo il T.A.R. tale espressa esclusione, pur non direttamente applicabile in Sicilia per mancato recepimento del TUEL, dimostra la volontà del Legislatore di innovare il vecchio art. 32 della legge n. 142 del 1990 (tuttora in vigore in Sicilia) nella parte in cui demanda al consiglio comunale la determinazione delle aliquote.

A giudizio di questo Collegio tale tesi interpretativa non può essere condivisa per ragioni sistematiche.

In tal senso va sottolineato che, come evidenziato dalla Corte costituzionale, la delega per il nuovo testo unico sull’ordinamento de-gli enti locali, conferita al Governo con l’art. 31 della legge n. 265 del 1999, consentiva al legislatore delegato solo il coordinamento – per quanto sostanziale e ad ampio raggio – delle disposizioni legislative vigenti, esclusa quindi ogni innovazione (Corte cost. n. 220 del 2003).

Come altresì osservato dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato, la funzione assegnata al TUEL è in sostanza pur sempre quella di facilitare l’applicazione delle leggi preesistenti, evitando duplicazioni, prendendo atto di abrogazioni anche tacite, valorizzando univoche soluzioni interpretative divenute diritto vivente, senza innovare alla loro sostanza, operazione, questa, che deve passare attraverso il vaglio e la decisione del Parlamento attraverso gli strumenti legislativi diretti ed indiretti (A.G. parere n. 87 del 2000).

Da quanto precede consegue che alla nuova norma non può attribuirsi carattere novativo, risultando essa piuttosto indirizzata a formalizzare in via ricognitiva gli approdi interpretativi (il diritto vivente) ai quali era in precedenza già pervenuta la maggioritaria giurisprudenza amministrativa in ordine alla vexata quaestio ora in esame.

“Sulla base delle considerazioni che precedono resta quindi confermato che in Sicilia spetta al sindaco – salvo diversa previsione statutaria – la competenza a disporre le variazioni delle aliquote dei tributi comunali …” (C.G.A., 27 novembre 2012 n. 1046).

Venendo al caso di specie l’articolo 12 dello Statuto del comune di Sciacca assegna al consiglio comunale la competenza a determinare “l’indirizzo politico e amministrativo su tutte le attività del Comune, nelle forme previste dal presente statuto e dalla legge esercitando il relativo controllo” nonché la competenza ad adottare “tutti gli atti fondamentali di propria competenza”; manca quindi nello statuto una attribuzione di competenza nel senso auspicato dagli appellati. Analogamente l’articolo 26 nessuna attribuzione specifica (in relazione alla fattispecie sottoposta all’attenzione del collegio) riserva alla giunta comunale. Conseguentemente, per le ragioni prima esposte, la competenza deve essere individuata in capo al sindaco anche in ragione del chiaro disposto dell’articolo 24, comma 3, dello Statuto nella parte in cui assegna al sindaco la competenza “su tutte le altre materie, che per legge o per statuto non siano attribuite alla competenza di altri organi”.

Né, in senso diverso, può avere valore il richiamo all’articolo 68 dello Statuto (secondo quanto argomentato a pagina 9 del controricorso) poiché, a giudizio del Consiglio, la locuzione “L’ordinamento della finanza locale è riservato alla legge” non può determinare uno spostamento delle attribuzioni rispetto a quanto prima detto.

Sempre a giudizio del Consiglio non sussiste neppure il paventato dubbio di illegittimità costituzionale dell’articolo 13 l.r. cit per contrarietà all’articolo 23 Costituzione perché il principio della riserva di legge (relativa) previsto per le prestazioni patrimoniali e personali concerne il rapporto tra la legge e gli atti a questa subordinati ma non riguarda l’aspetto concernente il riparto di competenze tra i diversi organi di un unico ente rimanendo, peraltro, esclusa la possibilità di avanzare un parallelismo tra Parlamento, consiglio regionale e consiglio comunale; inoltre per le ragioni prima indicate non vi è un difetto di chiarezza e tassatività (pure alla luce di quanto previsto dallo Statuto del contribuente) nella norma regionale che, anzi, proprio per evitare qualunque dubbio prevede un criterio di carattere generale-resi-duale.

Infine anche la documentazione prodotta in data 29 novembre 2012 dagli appellati non è utile sia perché nuova ai sensi dell’articolo 104, comma 2, c.p.a. sia perché relativa ad atti ormai superati dalle previsioni statutarie del 2008.

Conclusivamente l’appello del comune di Sciacca va accolto e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere respinto il ricorso proposto in primo grado avverso la determinazione sindacale n. 66/2010.

Ogni altro motivo od eccezione può essere assorbito in quanto ininfluente ed irrilevante ai fini della presente decisione.

Le spese dei due gradi di giudizio sono compensate, vista la complessità delle questioni trattate.

P. Q. M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe indicato

- accoglie l’appello proposto dal comune di Sciacca e, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso proposto in primo grado avverso la determinazione sindacale n. 66/2010;

- dichiara inammissibile il ricorso nei confronti dell’Assessorato regionale delle autonomie locali.

Spese del doppio grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità Amministrativa.

Così deciso in Palermo il 9 gennaio 2013 dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l'intervento dei signori: Paolo Turco, Presidente, Antonino Anastasi, Vincenzo Neri, estensore, Giuseppe Mineo, Alessandro Corbino.

F.to Paolo Turco, Presidente

F.to Giuseppe Mineo, Estensore

Depositata in Segreteria

11 marzo 2013