Giurisprudenza
Esclusione dalle gare e risarcimento del danno da perdita di chance
È illegittimo il provvedimento con cui la Stazione Appaltante, dopo aver escluso l’impresa dalla gara, commini altresì alla stessa l’ulteriore sanzione dell’esclusione dalle gare per un anno.
Il danno cagionato dall’illegittimo provvedimento interdittivo adottato dall’Amministrazione deve essere risarcito secondo i principi della c.d. “perdita di chance” (cfr., Consiglio di Stato-Sezione 5^, n. 2256 del 18.4.2012).
N. 00862/2013 REG.PROV.COLL.
N. 01173/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1173 del 2012, proposto da:
Lavori Pubblici Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Gabriella Caudullo, Benedetta Caruso, con domicilio eletto presso Gabriella Caudullo in Catania, viale Raffaello Sanzio 60;
contro
Comune di Ragusa, rappresentato e difeso dall'avv. Sergio Boncoraglio, con domicilio eletto presso Sergio Boncoraglio in Ragusa, Segretaria;
per l'annullamento
per l'annullamento, previa sospensione cautelare
- del verbale di gara del 27.3.2012
- della determina dirigenziale del IV settore del comune di ragusa n 52 del 23.4.2012
- della stessa determina dirigenziale nella parte in cui dispone a carico della ricorrente la sanzione del divieto di partecipazione per un anno alle gare bandite dal comune
- di ogni altro provvedimento antecedente o successivo, comunque connesso, presupposto e consequenziale
per il risarcimento di tutti i danni subiti a causa della disposta esclusione per un anno dalle gare bandite dal comune, sia in termine di danno emergente che di lucro cessante
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Comune di Ragusa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 14 marzo 2013 il dott. Biagio Campanella e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Comune di Ragusa indiceva una gara per l’affidamento dell’appalto dei “lavori di recupero degli immobili comunali di corso don Minzoni n. 2-4 e via X1febbraio, n. 46, al servizio della caserma dei Carabinieri a Ragusa Ibla “.
Ad essa partecipava l’impresa Lavori Pubblici s.r.l.
Con nota prot. n. 19967/4 del 6 marzo 2012, il Dirigente del Settore 4° del Comune di Ragusa comunicava all’impresa menzionata l’esclusione dalla gara.
Con successiva nota prot. n. 38469 del 3 maggio 2012, poi, l’Amministrazione comunale medesima comunicava alla Lavori Pubblici s.r.l. che, con determina dirigenziale del 23 aprile 2012, era stata disposta l’esclusione di essa e dell’ausiliaria impresa “Everest s.r.l.” “anche per violazione dell’art. 38 comma 1 lett. m-quater e del comma 2 del d.lgs 163/2006 e s.m.i., nonché per infedeltà della dichiarazione resa in osservanza del protocollo di legalità Carlo Alberto Dalla Chiesa”.
Veniva anche comunicato che era stata effettuata la segnalazione all’Autorità di Vigilanza per l’adozione dei provvedimenti consequenziali e di aver applicato “in ottemperanza della clausola n. 4 dell’art. 6 e dell’art. 7 del Protocollo di legalità Carlo Alberto Dalla Chiesa la sanzione del divieto di partecipazione per un anno alle gare bandite dal Comune nei confronti delle ditte Everest s.r.l. e Lavori Pubblici s.r.l. “.
Il ricorso in esame è proposto per l’annullamento di tale provvedimento e di tutti gli altri, indicati in epigrafe.
Si muovono, all’uopo, le seguenti censure:
1)Violazione dell’art. 38, comma 1, lett. m-quater del d.lgs 163/2006. Eccesso di potere da sviamento. Difetto di istruttoria.
2)Violazione del principio di legalità delle sanzioni. Violazione dell’art. 1 della legge n. 689/1981. Violazione della lex specialis.
Violazione degli artt. 6, comma 7 lett. I) e 38 comma 1 ter del d.lgs 163/2006. Difetto di competenza. Violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni.
3)Risarcimento del danno da perdita di chance.
Il Comune di Ragusa si è costituito in giudizio chiedendo la reiezione del ricorso.
DIRITTO
Per motivi di economia processuale, il Collegio ritiene di dovere esaminare subito l’ultimo motivo di gravame, con il quale si deduce che il Comune resistente, dopo avere escluso la società ricorrente dalla gara d’appalto in questione, non avrebbe potuto comminare l’ulteriore sanzione dell’esclusione della predetta dalle gare indette da esso Comune per un anno.
Si sottolinea che, ai sensi dell’art. 1 della legge n. 689/1981, “nessuno può essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima della commissione della violazione. Le leggi che prevedono sanzioni amministrative si applicano soltanto nei casi e per i tempi in esse considerati”.
La giurisprudenza è unanime nel ritenere che “il principio della riserva di legge fissato nella materia delle sanzioni amministrative dalla legge 24 novembre 1981 n. 689, all’art. 1, impedisce che l’illecito amministrativo e la relativa sanzione siano introdotti direttamente da fonti normative secondarie” (cfr., T.A.R. Lazio-Roma-Sezione 2^, n. 3161 dell’11 aprile 2011).
D’altra parte, lo stesso “codice dei contratti” non prevede che l’Amministrazione appaltante possa procedere direttamente all’applicazione di ulteriori sanzioni, oltre quella dell’esclusione dalla gara.
Il potere dell’Ente appaltante si esaurisce nella comunicazione delle infrazioni accertate dal ricorrente all’Autorità di Vigilanza; spetta a quest’ultima se ricorrano o meno i presupposti per irrogare le sanzioni previste.
Nello stesso disciplinare, relativo alla gara in questione, si legge, alla pagina 8, lettera c), che, relativamente ai concorrenti esclusi, si procede alla comunicazione all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici; è quest’ultima che, valutato il caso, può esercitare il potere di comminare una delle sanzioni previste dalla legislazione di riferimento.
La sanzione comminata dal Comune di Ragusa appare quindi del tutto “abnorme” e va, in accoglimento del presente ricorso, annullata.
Vanno “assorbiti” gli altri motivi di gravame.
La richiesta del risarcimento del danno appare fondata, atteso che l’impresa ricorrente non ha potuto partecipare alle gare indette dal Comune di Ragusa nell’arco dell’anno in cui ha avuto effetto la disposta esclusione; relativamente a tali gare, l’impresa ricorrente dovrà essere risarcita secondo i principi della c.d. “perdita di chance” (cfr., Consiglio di Stato-Sezione 5^, n. 2256 del 18.4.2012).
Per quanto concerne le spese giudiziali, infine, vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia-Sezione staccata di Catania (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo ACCOGLIE, con conseguente annullamento dei provvedimenti con lo stesso impugnati e gli altri effetti, esposti in motivazione.
Condanna il Comune di Ragusa al pagamento delle spese di giudizio a favore di parte ricorrente, nella misura di € 2.000,00 (duemila/00), oltre I.V.A. e C.P.A., ed al rimborso del contributo unificato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2013 con l'intervento dei magistrati:
Biagio Campanella, Presidente, Estensore
Salvatore Schillaci, Consigliere
Maria Stella Boscarino, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/03/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
La reintegrazione in forma specifica quale strumento di tutela per i titolari di interessi legittimi pretensivi
Lo strumento di tutela per il portatore di un interesse legittimo pretensivo può essere la reintegrazione in forma specifica, benché tale rimedio debba, tuttavia, essere coordinato con le regole del diritto amministrativo, tra cui spicca il principio di riserva di amministrazione.
Solo quando siano esauriti gli elementi cd. elastici del rapporto giuridico tra privato ed Amministrazione, restando oggetto del contendere soltanto gli elementi cd. rigidi, che non necessitano di alcun esercizio di poteri discrezionali o di poteri di valutazioni tecniche riservati all’Amministrazione sarà percorribile la tutela del risarcimento in forma specifica anche con riferimento agli interessi pretensivi.
N. 02776/2013REG.PROV.COLL.
N. 07109/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7109 del 2012, proposto da:
Miorelli Service Spa, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Morbidelli, Alberto M. Bruni e Orsola Cortesini, con domicilio eletto presso lo Studio Legale Associato Morbidelli Bruni Righi Traina in Roma, via Carducci, 4;
contro
Pulinet Servizi Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Antonio Tita, Piero Costantini, Alessandra Carlin e Francesco Vannicelli, con domicilio eletto presso l’avv. Francesco Vannicelli in Roma, via Varrone, 9;
nei confronti di
Provincia di Trento, rappresentato e difeso dagli avv. Nicolo' Pedrazzoli, Mario Santaroni e Monica Manica, con domicilio eletto presso l’avv. Mario Santaroni in Roma, via Porta Pinciana 4;
Ducops Service Soc.Coop.;
Manutencoop Facility Management Spa;
per la riforma
della sentenza breve del T.R.G.A. - DELLA PROVINCIA DI TRENTO n. 00276/2012, resa tra le parti, concernente affidamento servizio di pulizia degli uffici, laboratori e agenzie della Provincia autonoma di Trento ubicati in Trento e nelle sedi periferiche.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Pulinet Servizi Srl e di Provincia di Trento;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 11 gennaio 2013 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo' Lotti e uditi per le parti gli avvocati Bruni, Carlin, Vannicelli e Imbardelli, per delega dell'Avv. Santaroni;
FATTO
Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa, Trento, con la sentenza n. 276 del 12 settembre 2012, ha accolto il ricorso proposto dall’attuale appellata Pulinet Servizi s.r.l. per l’annullamento della nota prot. n. 420783 dd. 13 luglio 2011, ricevuta in data 15 luglio 2011, con la quale la Provincia autonoma di Trento, Agenzia per i servizi, ha comunicato alla Pulinet Servizi S.r.l. di aver aggiudicato alla Ducops Service Soc. Coop. la gara indetta per l'affidamento del "servizio di pulizia degli uffici, laboratori e agenzie della Provincia autonoma di Trento, ubicati in Trento e nelle sedi periferiche"; dei verbali di gara n. 854/2010 dd. 11.11.2010, n. 888/2011 dd. 04.02.2011 e n. 943/2011 dd. 08.07.2011 con i quali è stata aggiudicata alla Ducops Service Soc. Coop. la gara indetta per l'affidamento del "servizio di pulizia degli uffici, laboratori e agenzie della Provincia autonoma di Trento, ubicati in Trento e nelle sedi periferiche"; dei verbali della commissione tecnica dd. 04.05.2011, 10.05.2011, 11.05.2011, 30.05.2011 e 31.05.2011; nonché, con i motivi aggiunti depositati il 25 ottobre 2011: del verbale di gara n. 984/2011 dd. 21.09.2011 e della nota P.A.T. (Provincia Autonoma di Trento) prot. n. 556925 dd. 26.09.2011 e, per quanto occorrer possa, delle note P.A.T. prot. n. 483144 dd. 16.08.2011, prot. n. 532164 dd. 13.09.2011 e prot. n. 587039 dd. 07.10.2011, della nota del Servizio edilizia pubblica prot. n.582395 dd. 06.10.2011 e del verbale della commissione tecnica n. 6 dd. 03.10.2011; nonché, con i motivi aggiunti depositati il 26 aprile 2012: della determinazione del dirigente del Servizio edilizia pubblica e logistica della P.A.T. n. 52 dd. 13.3.2012 e, per quanto occorrer possa, delle note P.A.T. prot. n. s147-2011-682541/3.5/dp dd. 22.11.2011 e prot. n. s147-2012-170379/3.5/dp dd. 21.2.2012, della nota dell'Agenzia provinciale per gli appalti e i contratti della P.A.T. prot. n. s171/2012/212142/3.5/1068-10 dd. 11.4.2012 nonché della "relazione sull'ipotesi di contenimento dei costi per effetto della riduzione della frequenza delle pulizie ordinarie degli uffici" prot. n. s147/2012/148298/3.4.3/19.1.1-2010-146; il TRGA ha disposto il subentro del ricorrente in primo grado, così accogliendo la domanda di risarcimento dei danni in forma specifica mediante l'aggiudicazione dell'appalto in favore della Pulinet servizi S.r.l.
Il TRGA fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che la gara, svolta col sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, è stata aggiudicata alla Ducops Service Soc. Coop.; seconda in graduatoria si è collocata Manutencoop Facility Management S.p.A. mentre la ricorrente ha occupato il terzo posto.
Il TRGA ha ritenuto di dover preliminarmente esaminare i motivi aggiunti, successivamente proposti con cui la ricorrente in primo grado ha impugnato il provvedimento con cui è stata autoannullata la determinazione di indizione della gara e, quindi, l’intero procedimento concorsuale, per due ordini di ragioni: la criticità del contenzioso in essere (azionato dalla ricorrente e dalla Miorelli); l’opportunità di riconsiderare l’appalto essendo stato avviato un processo di razionalizzazione degli spazi occupati dagli uffici provinciali (riduzione del 26%) che deriverà dalla contrazione del personale, con conseguente razionalizzazione delle spese di gestione e contenimento dei consumi energetici.
Secondo il TRGA tali due motivi di annullamento in autotutela non possono costituire valido presupposto per cancellare il procedimento di gara, poiché, sotto il primo profilo, sarebbe clamorosamente eluso il diritto, costituzionalmente garantito, alla tutela giurisdizionale delle ragioni dei concorrenti, mentre diversa sarebbe l’eventualità in cui l’Amministrazione riconosca effettivamente sussistente un’illegittimità, denunciata con l’impugnativa, ed agisca motivatamente in autotutela, annullando gli atti riconosciuti illegittimi: in questo caso, però, l’Amministrazione non ha affatto riconosciuto che i propri atti sono illegittimi.
Sotto il secondo profilo il TRGA ha rilevato che le deliberazioni (della Giunta provinciale 21.1.2011, n. 46 e 18.11.2011, n. 2432) che hanno avviato il processo di razionalizzazione degli spazi occupati dagli uffici provinciali hanno natura programmatica, essendo previsto che gli obiettivi siano conseguiti entro 10 anni, mentre la durata dell’appalto è invece assai più breve: di 5 anni; quindi, non è incompatibile con tale progetto decennale.
Inoltre, per il TRGA, gli istituti contrattuali dello jus variandi entro il c.d. quinto d’obbligo (ex art. 19 del capitolato speciale) e del recesso se dovesse essere superata tale soglia (ex art. 5 L.p. 23/1990), nonché la facoltà che l’Amministrazione si è riservata di risolvere anticipatamente il rapporto contrattuale ad ogni scadenza annuale (ex art. 2 del capitolato speciale), costituiscono rimedi già presenti nella disciplina dell’appalto che soddisfano le esigenze sottese alla progressiva futura attuazione del programma di ridimensionamento degli spazi occupati dagli uffici provinciali, senza che occorresse revocare l’intera procedura.
Di conseguenza i relativi motivi aggiunti proposti dal ricorrente in primo grado sono stati, dunque, accolti dal TRGA.
Il TRGA ha, inoltre, accertato che era previsto che all’offerta tecnica fossero attribuiti fino a 20 punti per il maggior monte ore annuo dedicato al servizio di pulizia ordinaria, oltre il minimo prescritto di 90.000 ore: la Ducops ha offerto 135.600 ore, la Manutencoop 111.000 ore e la ricorrente 58.000 ore; di conseguenza, proporzionalmente, alla Ducops sono stati attribuiti 20 punti, alla Manutencoop 16,37 punti ed alla ricorrente 8,55 punti.
Sennonché, osserva il TRGA, nella loro offerta economica la Ducops ha indicato 135.600 ore totali (anziché 135.600+90.000) e la Manutencoop 97.680 ore totali (anziché 111.000+90.000), quindi con un’incoerenza delle cifre che comporta assoluta incertezza delle offerte, talché le due concorrenti sarebbero dovute essere escluse; in ogni caso, interpretando correttamente le cifre esposte, ci si avvede che le ore aggiuntive (oltre la base di 90.000) sono, in realtà, 45.600 per Ducops e 21.000 per Manutencoop e quindi, nella riassegnazione dei punteggi, alla Miorelli Service S.p.A., che ha offerto 62.000 ore aggiuntive, spetta il punteggio massimo ed alla ricorrente, che ha offerto 58.000 ore, spettano 18,71 punti.
Per il TRGA, nella somma dei restanti punteggi, allora, al primo posto in graduatoria doveva essere collocata la ricorrente con 88,98256 punti e, per l’effetto, va altresì accolta l’istanza della ricorrente di aggiudicazione dell’appalto, che costituisce la reintegrazione in forma specifica nella posizione sostanziale lesa, escludendo ogni altra forma di risarcimento alternativo, richiesta in via subordinata, restando salvo il potere dell’Amministrazione di procedere alla successiva istruttoria, volta alla verifica dell'effettiva sussistenza dei requisiti dichiarati in sede di partecipazione alla gara, dando corso soltanto in esito a tale verifica alla stipulazione del contratto con la ricorrente.
L’appellante Miorelli contestava la sentenza del TRGA sotto vari e dettagliati profili, analiticamente elencati a pag. 17 dell’atto d’appello (motivo n. 1), a pagg. 23 e 24 dell’atto d’appello (motivo n. 2), a pagg. 37 e 38 dell’atto d’appello (motivo n. 3) e a pagg. 54 e 55 dell’atto d’appello (motivo n. 4), contestando in radice la sentenza impugnata.
Si costituiva la parte appellata eccependo l'inammissibilità e comunque l'infondatezza dei motivi di appello ed instando, dunque, per la reiezione dello stesso, con conseguente conferma della sentenza impugnata e riproponendo, ex art. 101, comma 2, c.p.a., le domande assorbite o comunque non esaminate dal Tribunale di primo grado, e tra esse anche quella di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale ex art. 1337 cod. civ. svolta nei secondi motivi aggiunti al ricorso.
La parte appellata proponeva, altresì, appello incidentale contro la sentenza del TRGA, nella parte in cui questa, “escludendo ogni altra forma di risarcimento alternativo, richiesta in via subordinata”, dovesse interpretarsi come esprimente un giudizio di inaccoglibilità, anche per il caso di ritenuta non concedibilità della tutela in forma specifica, delle domande risarcitorie introdotte, in via subordinata, nel ricorso e nei successivi motivi aggiunti.
Si costituiva l’Amministrazione chiedendo l’accoglimento dell’appello
All’udienza pubblica dell’11 gennaio 2013 la causa veniva trattenuta in decisione.
DIRITTO
Ritiene il Collegio che l’appello sia infondato.
Preliminarmente occorre prendere atto che la Provincia Autonoma di Trento si è costituita nell'odierno giudizio con memoria difensiva depositata soltanto in data 4 gennaio 2013, 6 giorni liberi prima dell'udienza pubblica fissata per il giorno 11 gennaio 2013.
Pertanto, sono inammissibili le deduzioni difensive tardivamente svolte con la predetta memoria della quale si dispone lo stralcio dal fascicolo di causa.
Nel merito, il Collegio osserva che, sotto il profilo fattuale, con bando di gara prot. n. 12482 dd. 12 agosto 2010 la Provincia Autonoma di Trento aveva indetto una procedura aperta per l'affidamento del “servizio di pulizia degli uffici, laboratori e agenzie della Provincia Autonoma di Trento, ubicati in Trento e nelle sedi periferiche”, per l’importo a base d’asta pari a complessivi euro 16.769.600,00 (di cui euro 10.481.000,00 per i primi 5 anni di servizio ed euro 6.288.600,00 per gli ulteriori tre anni di eventuale proroga), da assegnare con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa; tale gara, cui prendevano parte 16 concorrenti, veniva aggiudicata, in data 8 luglio 2011, all'Impresa Ducops, seguita, al secondo posto in graduatoria, dall'Impresa Manutencoop, al terzo dall'Impresa Pulinet, ed al quarto dall'Impresa Miorelli.
Il TRGA, adito con ricorso dall'Impresa Pulinet, odierna appellata ha ritenuto l’aggiudicazione illegittima, in quanto sia la Ducops che la Manutencoop avevano indicato nella propria offerta tecnica un monte ore annuo aggiuntivo rispetto al minimo richiesto (pari a 90.000 ore) che non trovava corrispondenza nell'offerta economica dagli stessi presentata, con conseguente doverosa esclusione dei suddetti due concorrenti e corretta riparametrazione del punteggio tecnico delle loro offerte, con l’ulteriore conseguenza che legittima aggiudicataria della gara sarebbe risultata l'Impresa Pulinet.
L'aggiudicazione veniva altresì impugnata dall'Impresa Miorelli, quarta nella graduatoria di gara, con ricorso rubricato sub R.G. n. 167-2011. Con nota prot. n. 483144 dd. 16 agosto 2011 la Provincia Autonoma di Trento, preso atto del contenuto dell'informativa di ricorso presentata dall'odierna appellata Impresa Pulinet, comunicava a tutti i concorrenti alla gara di aver dato avvio al procedimento per l'annullamento dell'aggiudicazione dell'appalto disposta in favore della società Ducops e, con successiva nota prot. n. 532164 dd. 13 settembre 2011 la P.A.T. (Provincia Autonoma di Trento) comunicava di aver fissato una nuova seduta di gara per il giorno 21 settembre 2011
Con nota prot. n. S147-2011-682541/3.5/DP dd. 22 novembre 2011 la Stazione appaltante comunicava l’avvio del procedimento di annullamento dell'intera procedura di gara, dovuto all'asserita sopraggiunta necessità di procedere alla razionalizzazione degli spazi occupati dagli uffici provinciali ed alla riqualificazione energetica degli edifici e, con determinazione del Dirigente del Servizio Edilizia Pubblica e Logistica n. 52 dd. 13 marzo 2012, depositata agli atti del giudizio in data 15 marzo 2012 e trasmessa all'Impresa Pulinet con nota prot. n. S147-2012-170379/3.5/D.P dd. 21 marzo 2012, nonchè con nota dell'Agenzia Provinciale per gli Appalti e i Contratti della P.A.T. prot. n. S171/2012/212142/3.5/1068-10 dd. 11 aprile 2012, veniva disposto il ritiro della determinazione n. 97 dd. 8 giugno 2010 di indizione della gara e dei relativi atti consequenziali.
Tali atti di annullamento erano stati impugnati in primo grado con motivi aggiunti dall’odierna appellata Pulinet.
Ricostruita in questo modo ed in via sintetica la vicenda, con riferimento ai suoi tratti salienti, si può passare all’esame nel merito dei motivi d’appello.
Ritiene il Collegio che il primo motivo sia infondato.
Infatti, il TRGA non ha in alcun modo sconfinato dai suoi poteri giurisdizionali, limitandosi ad un accertamento di un elemento cd. “rigido” del rapporto amministrativo, rispetto al quale non residua alcuno spazio di discrezionalità, né amministrativa né tecnica riservata all’Amministrazione.
Infatti, nella loro offerta economica la Ducops ha indicato 135.600 ore totali (anziché 135.600+90.000) e la Manutencoop 97.680 ore totali (anziché 111.000+90.000), quindi con un’incoerenza delle cifre che comporta assoluta incertezza delle offerte, talché le due concorrenti sarebbero dovute essere escluse.
Ciò in quanto la lex specialis prevedeva che all’offerta tecnica fossero attribuiti fino a 20 punti per il maggior monte ore annuo dedicato al servizio di pulizia ordinaria, oltre il minimo prescritto di 90.000 ore e la Ducops aveva indicato 135.600 ore, la Manutencoop 111.000 ore e la ricorrente 58.000 ore; di conseguenza, proporzionalmente, alla Ducops sono stati attribuiti 20 punti, alla Manutencoop 16,37 punti ed alla ricorrente 8,55 punti;
Interpretando però correttamente le cifre esposte sulla base delle rispettive offerte economiche (e senza nessun bisogno di ricorrere a poteri discrezionali, ma in base ad un semplice calcolo aritmetico), ci si avvede che le ore aggiuntive (oltre la base di 90.000) sono, in realtà, 45.600 per Ducops e 21.000 per Manutencoop e quindi, nella riassegnazione dei punteggi, alla Miorelli Service S.p.A., che ha offerto 62.000 ore aggiuntive, spetta il punteggio massimo ed alla ricorrente, che ha offerto 58.000 ore, spettano 18,71 punti.
Sulla base di questo mero calcolo, dunque, al primo posto in graduatoria doveva essere collocata la ricorrente in primo grado con 88,98256 punti.
Peraltro, come emerge dal fascicolo di primo grado ( cfr. doc. 28 del fascicolo di primo grado del ricorrente), nel verbale n. 984/2011, trasmesso con nota prot. n. 556925 dd. 26 settembre 2011, si dava atto di come fosse pervenuta alla stazione appaltante una nota dell'Impresa Manutencoop, seconda in graduatoria, con la quale la stessa espressamente riconosceva di aver erroneamente indicato, nell'offerta tecnica, il monte ore annuo totale per l'effettuazione del servizio di pulizia ordinaria, invitando la stazione appaltante a “ricalcolare correttamente il punteggio erroneamente [alla stessa] attribuito ... in considerazione del fatto che l'effettivo monte ore annuo offerto da quest'ultima, oltre il minimo richiesto di ore 90.000 annue per l'effettuazione del servizio di pulizia ordinaria è di 7.680 ore annue e non di 111.000 ore annue” (cfr., altresì, doc. 29 del fascicolo di primo grado del ricorrente).
Il seggio di gara, tuttavia, non accoglieva il “chiarimento” offerto, rilevando che “l'unico monte-ore rilevante ai fini della valutazione e dell'aggiudicazione era quello relativo all'offerta tecnica che doveva esprimere una quantità aggiuntiva rispetto alle 90.000 ore costituenti il monte-ore obbligatorio” (sempre doc. 29 del fascicolo di primo grado cit.).
Pertanto, anche la stessa Amministrazione aveva riconosciuto l’illegittimità dell’ammissione delle imprese che non avevano confezionato nel modo legittimo sopra indicato e indicato peraltro nella lex specialis, l’offerta economica in riferimento ovviamente, al numero preciso e non equivoco , di ore offerte per il servizio oggetto dell’appalto.
Poiché, come esposto in parte narrativa, il provvedimento dell’Amministrazione e di annullamento della gara in autotutela è stato ritenuto illegittimo, mentre sono illegittime le ammissioni alla gara dei primi due classificati, ne consegue, anche qui inequivocabilmente e aritmeticamente, che il terzo classificato, ovvero il ricorrente in primo grado, diventi il legittimo aggiudicatario della gara.
Tale sua posizione soggettiva è tutelabile con la domanda, proposta in primo grado, di risarcimento in forma specifica, che , come è noto, rappresenta insieme al risarcimento per equivalente, uno dei modi attraverso i quali il danno può essere risarcito. Si tratta quindi di una forma alternativa al risarcimento per equivalente.
Il risarcimento in forma specifica tutela il danneggiato attraverso la eliminazione del danno o meglio con la rimozione della fonte e delle conseguenze dello stesso, tramite il riconoscimento al medesimo, di tornare allo status quo ante.
Infatti, nel nostro ordinamento per risarcimento in forma specifica si intende in linea generale quel risarcimento diretto a garantire all'interessato, di conseguire la stesse utilità garantite dalla legge, e non invece – come nel risarcimento per equivalente- un ristoro in termini monetari.
Ne discende che il contenuto del rimedio in oggetto è atipico perché varia a seconda del pregiudizio sofferto.
Norma generale è l'art. 2058 c.c., ai sensi del quale il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica, qualora sia in tutto o in parte possibile. Tuttavia il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il creditore.
Per questi motivi il risarcimento in forma specifica rientra tra i rimedi satisfattori, perché rappresenta l'attuazione della posizione soggettiva di cui è portatore il danneggiato.
Se il ricorrente, come nella specie, è portatore di un interesse legittimo pretensivo, la sua posizione è tutelata in prima battuta attraverso la riedizione del potere da parte delle Pubblica Amministrazione, perché non è ancora titolare del bene della vita, al conseguimento del quale l'interesse legittimo si pone come strumentale, per cui l'annullamento in sede giurisdizionale può non essere, fisiologicamente, per il ricorrente pienamente satisfattivo.
In questo ambito, il risarcimento in forma specifica gioca un ruolo peculiare, poiché mentre il titolare di un interesse oppositivo ha interesse alla conservazione della propria posizione, con l'interesse pretensivo è la pubblica amministrazione che amplia la sfera giuridica del soggetto con l'emanazione del provvedimento richiesto.
Lo strumento di tutela per il portatore di un interesse legittimo pretensivo, dunque, può essere la reintegrazione in forma specifica, benché tale rimedio debba, tuttavia, essere coordinato con le regole del diritto amministrativo, tra cui spicca il principio di riserva di amministrazione.
Solo quando siano esauriti gli elementi cd. elastici del rapporto giuridico tra privato ed Amministrazione, restando oggetto del contendere soltanto gli elementi cd. rigidi, che non necessitano di alcun esercizio di poteri discrezionali o di poteri di valutazioni tecniche riservati all’Amministrazione, come nella specie, sarà percorribile la tutela del risarcimento in forma specifica anche con riferimento agli interessi pretensivi.
Pertanto, è corretta la pronuncia del TRGA nella parte in cui, verificata la mancata illegittima esclusione dei concorrenti Ducops e Manutencoop e rideterminato così il punteggio, sulla base di quanto sopra esposto, ha riconosciuto come immediata aggiudicataria della gara l'Impresa Pulinet appellata.
Il primo motivo di appello e il quarto, che ne reitera la sostanza, sono dunque infondati.
Anche il secondo motivo d’appello è infondato, poiché l’Amministrazione non ha mai riconosciuto la fondatezza del ricorso proposto dall’appellante Miorelli che, in qualità di concorrente collocata al quarto posto della graduatoria, aveva proposto anch’essa ricorso al TRGA (n. 167-2011) contro l’aggiudicazione, deducendo l’illegittimità della mancata apertura in seduta pubblica delle buste recanti le offerte tecniche. Tale ricorso è stato deciso dal TRGA con sentenza n. 118-2012 dichiarativa della sua improcedibilità a seguito del ritiro del provvedimento di indizione della gara; tale provvedimento è stato impugnato anche in questo giudizio ed è stato annullato, proprio in quanto l’Amministrazione non ha mai riconosciuto alcuna illegittimità degli atti di gara (tantomeno, quindi, le deduzioni delle Miorelli appellante).
Proprio la mancanza di un riconoscimento di illegittimità costituisce vizio dell’atto di annullamento in autotutela che, come è noto, ha quale presupposto, proprio l’illegittimità dell’atto ritirato (art. 21-nonies l. n. 241-90).
Né possono riemergere motivi di ricorso proposti in un diverso giudizio, la cui sentenza del TRGA citata (n. 118-2012), non è mai stata impugnata.
Anche il terzo motivo d’appello è infondato, poiché l’Amministrazione ha basato il ritiro dell’atto su un ulteriore elemento, l’opportunità di riconsiderare l’appalto essendo stato avviato un processo di razionalizzazione degli spazi occupati dagli uffici provinciali (riduzione del 26%) che deriverà dalla contrazione del personale, con conseguente razionalizzazione delle spese di gestione e contenimento dei consumi energetici, che non solo ha valenza meramente programmatica e generale, essendo previsto che gli obiettivi siano conseguiti entro 10 anni e non facendo menzione di singoli contratti d’appalto, su cui dunque è inidoneo ad incidere.
Inoltre, la durata dell’appalto è assai più breve: di 5 anni; quindi, non è incompatibile con tale progetto decennale che può essere salvaguardato con altri strumenti maggiormente rispettosi del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa; in primo luogo, gli istituti contrattuali dello jus variandi entro il c.d. quinto d’obbligo (ex art. 19 del capitolato speciale) e del recesso se dovesse essere superata tale soglia (ex art. 5 L.p. 23/1990), nonché la facoltà che l’Amministrazione si è riservata di risolvere anticipatamente il rapporto contrattuale ad ogni scadenza annuale (ex art. 2 del capitolato speciale).
Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato, diventando così improcedibile l’appello incidentale e restando assorbiti i motivi di ricorso di primo grado già assorbiti in primo grado e riproposti con memoria di costituzione ex art. 101, comma 2, c.p.a.
Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, in favore dell’appellato Pulinet s.r.l., compensando le spese con le restanti parti, sussistendo giusti motivi.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),
definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo respinge.
Dichiara improcedibile l’appello incidentale.
Condanna parte appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio, spese che liquida in euro 5000,00, oltre accessori di legge in favore dell’appellato Pulinet s.r.l., compensando le spese con le restanti parti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 gennaio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Trovato, Presidente
Carlo Saltelli, Consigliere
Paolo Giovanni Nicolo' Lotti, Consigliere, Estensore
Antonio Amicuzzi, Consigliere
Antonio Bianchi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 21/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Consorzi di cooperative di produzione e lavoro: è legittima la designazione "a cascata"?
L’indicazione di una sub-affidataria dei lavori non è ammissibile. Tale operazione, tuttavia, vitiatur sed non vitiat, nel senso che non impedisce di conservare legittimamente l’aggiudicazione in capo al Consorzio, purché questo abbia provveduto ad indicare in sede di offerta l’impresa consorziata da cui sarebbero stati eseguiti i lavori stessi. E’ questo, infatti, l’unico specifico adempimento imposto dall’art. 37, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, con conseguente irrilevanza dei comportamenti posti in essere sul punto dalla consorziata designata.
A corollario del precedente assunto, la giurisprudenza ha inoltre affermato che al Consorzio aggiudicatario va riconosciuta la facoltà di indicare, quale esecutore, una diversa propria consorziata, ove, per motivi sopravvenuti, la prima designata non sia in condizione di svolgere compiutamente la prestazione.
N. 00014/2013REG.PROV.COLL.
N. 00011/2013 REG.RIC.A.P.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 11 di A.P. del 2013, proposto da:
[***]
contro
Universita' degli Studi di Perugia, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
nei confronti di
[***]
e con l'intervento di
ad adiuvandum:
[***]
per la riforma
della sentenza breve del T.A.R. UMBRIA - PERUGIA: SEZIONE I n. 00450/2012, resa tra le parti, concernente procedimento per l’affidamento dei lavori di restauro e rifunzionalizzazione di un immobile sito in Perugia di proprietà dell’Università di Perugia.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Università' degli Studi di Perugia e del [***];
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2013 il Cons. Marzio Branca e uditi per le parti gli avvocati Carloni, Nardocci, Sanino e dello Stato Ferrante.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. La società *** a r.l. e la società *** a r.l. hanno preso parte (in qualità – rispettivamente – di capogruppo mandataria e di mandante di un R.T.I. costituendo) alla procedura aperta da esperirsi con il metodo del prezzo più basso indetta dall’Università degli studi di Perugia per l’affidamento dei lavori di restauro e rifunzionalizzazione di un immobile sito in via della Tartaruga – Perugia (bando in data 28 marzo 2012).
All’esito delle operazioni di gara, l’amministrazione aggiudicatrice ha comunicato che il R.T.I. *** si era classificato al secondo posto, mentre il Consorzio *** si era classificato al primo posto (la comunicazione in questione, resa ai sensi dei commi 2, lettera c) e 5 dell’articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, è stata resa con lettera raccomandata del 5 luglio 2012).
2. Il RTI guidato da *** ha impugnato l’aggiudicazione dinanzi al TAR dell’Umbria con ricorso notificato il 27 settembre 2012, ossia 8 giorni dopo la scadenza del termine di trenta giorni dal ricevimento della suddetta comunicazione, termine che - tenuto conto della sospensione feriale dei termini – veniva a scadenza il 19 settembre 2012.
Con riguardo al detto superamento del termine di legge, *** ha rappresentato che solo a seguito dell’integrale disamina della documentazione di gara, acquisita solo il 26 luglio 2012, ha potuto rilevare l’esistenza di vizi nella formulazione dell’offerta da parte del Consorzio primo classificato i quali, ove correttamente apprezzati, ne avrebbero dovuto determinare l’esclusione dalla procedura.
In particolare, il vizio nella formulazione dell’offerta da parte del Consorzio aggiudicatario consisterebbe in ciò, di avere designato, quale consorziata che avrebbe eseguito i lavori, la *** soc. coop. a r.l. e nel fatto che quest’ultima, a propria volta, avesse designato quale impresa esecutrice la *** soc. coop. a r.l., non appartenente al Consorzio.
3. Con sentenza adottata in forma semplificata ai sensi dell’articolo 60 del c.p.a. il T.A.R. dell’Umbria ha dichiarato il ricorso in questione irricevibile, ritenendo che il terminus a quo per il computo del termine di impugnativa (pari a trenta giorni, ai sensi del comma 5 dell’articolo 120 del codice del processo amministrativo) coincidesse con il momento di ricezione della comunicazione di cui all’articolo 79 del medesimo codice.
Al riguardo i primi Giudici hanno osservato che la vigente disciplina dell’impugnazione degli atti delle procedure di evidenza pubblica, recata dall’articolo 120 del ‘codice’, ispirata alla ratio di forte accelerazione impressa dalle esigenze di adattamento alla Direttiva 2007/66/CE (costituente il principale criterio ermeneutico nell’applicazione del citato art. 120), “non consent[e] di ritenere compatibile con il richiamato dato normativo la richiamata tesi della difesa ricorrente, anche alla luce dello specifico disposto del comma 7 dello stesso art. 120”.
4.1. La sentenza è stata appellata dalla ***, la quale ha dedotto che nella materia delle pubbliche gare, il termine per l’impugnativa non può farsi decorrere dalla mera conoscenza dell’atto oggetto di impugnativa, bensì dal momento (nel caso di specie, di alcuni giorni successivo) in cui il soggetto inciso ha potuto apprezzarne la lesività e la concreta illegittimità (momento che, nel caso in esame, si è verificato solo a seguito dell’accesso agli atti esperito ai sensi del comma 5-quater dell’articolo 79 del ‘codice dei contratti’).
L’appellante ha sostenuto che le disposizioni in materia di termini e modalità di impugnativa (e, segnatamente, l’articolo 120 del c.p.a.) dovrebbero essere lette e interpretate alla luce del pertinente paradigma comunitario di riferimento (e, segnatamente, dell’articolo 2-quater della direttiva 89/665/CE, secondo cui il termine previsto dalle singole legislazioni nazionali per la proposizione del ricorso deve necessariamente decorrere dalla piena conoscenza da parte dell’interessato dei “motivi pertinenti” i quali hanno condotto all’aggiudicazione).
Tale tesi sarebbe confortata dall’orientamento della giurisprudenza comunitaria e del Consiglio di Stato. La giurisprudenza della Corte di giustizia ha, altresì, sancito l’obbligo per i Giudici nazionali di disapplicare le disposizioni nazionali le quali si pongano in contrasto con il principio di diritto comunitario sopra richiamato.
Opinando in senso diverso – si assume - si giungerebbe alla conseguenza (invero, inammissibile) di far gravare sul partecipante alla gara un onere particolarmente stringente – quello di impugnare gli atti entro il ridottissimo termine di 30 giorni, salva la possibilità di proporre motivi aggiunti – senza porre lo stesso in condizione di disporre di tale termine in modo pieno ed effettivo, al fine di operare una scelta processuale consapevole, pur nel limitato tempo a disposizione.
4.2. Nel merito, il R.T.I. appellante ha ribadito il motivo (già articolato in primo grado e non esaminato dal T.A.R. per avere esso ritenuto assorbente il profilo della tardività del ricorso) secondo cui il Consorzio *** avrebbe dovuto essere escluso dalla gara per avere illegittimamente designato quale impresa consorziata che avrebbe eseguito i lavori la soc. *** soc. coop. a r.l., mentre questa aveva – a sua volta – designato quale impresa esecutrice la *** soc. coop. a r.l. (che era stata indicata genericamente come ‘associata’ dalla cooperativa ***).
Secondo l’appellante, il richiamato sistema di indicazione ‘a cascata’ dell’impresa esecutrice si porrebbe in contrasto con la disciplina di settore, la quale consente tale tipologia di designazione solo in caso di consorzio il quale – a propria volta – designi un altro consorzio. Al contrario, ciò non sarebbe possibile nel caso, che qui ricorre, in cui una consorziata (che non è essa stessa un Consorzio, come la soc. ***) indichi quale impresa esecutrice una semplice associata (quale la soc. ***), la quale non è legata da un rapporto organico né con il Consorzio ***, né con la cooperativa *** (e che pertanto non potrebbe legittimamente giovarsi, ai fini della partecipazione alla gara, dei requisiti del Consorzio).
In definitiva, sarebbe stato necessario disporre l’esclusione dalla gara del Consorzio *** per violazione della previsione di cui al comma 7 dell’articolo 37 del ‘Codice dei contratti’, secondo cui “i consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettera b) sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre”.
Con diversa argomentazione, il R.T.I. appellante ha ribadito il motivo (già articolato in primo grado e non esaminato dal T.A.R. per la ritenuta tardività del ricorso) secondo cui l’Università degli Studi di Perugia avrebbe operato in modo gravemente illegittimo (e con rilevanti profili di colposità) per avere difeso il proprio operato con affermazioni ellittiche ed elusive anche quando l’odierna appellante aveva indicato, attraverso l’informativa di cui all’articolo 243-bis del ‘codice dei contratti’ l’esistenza di profili di illegittimità connessi all’aggiudicazione e la propria intenzione di proporre ricorso avverso la stessa.
L’appellante ha, altresì, articolato domanda risarcitoria finalizzata all’integrale ristoro del danno patito in conseguenza degli atti illegittimi posti in essere dall’Università degli Studi di Perugia nell’ambito della complessiva vicenda.
5. Nel giudizio di appello si è costituito il Consorzio ‘***’, il quale ha concluso nel senso della reiezione dell’appello. In senso opposto ha concluso A.C.E.R. –Associazione dei Costruttori Edili di Roma e Provincia, intervenuta ad adjuvandum.
6. Nella camera di consiglio del giorno 11 luglio 2012 il ricorso è stato trattenuto in decisione, anche al fine di rendere una decisione in forma semplificata (del che è stata data puntuale comunicazione alle parti presenti).
All’esito della medesima Camera di consiglio il Collegio ha reso l’ordinanza cautelare n. 4857/2012 con cui ha accolto l’istanza di sospensione cautelare degli effetti della sentenza in epigrafe, impedendo – in particolare – la stipula del contratto con il Consorzio appellato, ma, avendo rilevato che un punto di diritto sottoposto al suo esame può dar luogo a contrasti giurisprudenziali, ha deciso di rimettere la decisione del ricorso all’Adunanza plenaria (comma 1 dell’articolo 99 del c.p.a.)..
7. In particolare sono state sottoposte all’Adunanza plenaria le seguenti questioni:
I) “Se il quadro normativo nazionale in tema di impugnativa in sede giurisdizionale degli atti relativi a procedure di aggiudicazione di gare ad evidenza pubblica (e, segnatamente, il comma 5 dell’articolo 120 del c.p.a., letto in combinato disposto con il comma 2, lettera c), con il comma 5 e con il comma 5-quater dell’articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n, 163) debba essere inteso, anche alla luce della matrice comunitaria che lo ispira (direttiva 89/665/CE come modificata dalla direttiva 2007/66/CE), nel senso che il termine di trenta giorni per la proposizione del ricorso principale:
a) decorre dal giorno della ricezione della comunicazione di cui al comma 2, lettera c) e di cui al comma 5 dell’articolo 79 del ‘codice dei contratti’ nel solo caso in cui la presunta violazione delle disposizioni comunitarie e nazionali poste a fondamento del ricorso sia immediatamente percepibile dal contenuto di tale comunicazione, mentre
b) decorre dal giorno in cui è stato possibile ottenere integrale accesso agli atti della procedura ai sensi del comma 5-quater del medesimo articolo 79 (e comunque non oltre il decimo giorno dalla comunicazione di cui al comma 2, lettera c) e di cui al comma 5 del medesimo articolo) nel caso in cui la presunta violazione non fosse percepibile dal contenuto della dichiarazione e sia resa palese solo a seguito dell’esperito accesso agli atti”;
II) (nel caso in cui il tenore delle disposizioni della cui interpretazione si discute - e, segnatamente, del comma 5 dell’articolo 120 del c.p.a., letto in combinato disposto con il comma 2, lettera c), con il comma 5 e con il comma 5-quater dell’articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n, 163 – non sia suscettibile dell’interpretazione dinanzi ipotizzata sub I)) “Se si ritenga compatibile con i princìpi costituzionali di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale (articolo 24, Cost.) e con il principio comunitario dell’effetto utile il quadro normativo nazionale in tema di impugnativa in sede giurisdizionale degli atti relativi a procedure di aggiudicazione di gare ad evidenza pubblica, per la parte in cui – per un verso – assoggetta a un termine notevolmente accelerato l’impugnativa degli atti in questione e – per altro verso – determina una ulteriore, sostanziale, riduzione dei termini per l’impugnativa nelle ipotesi in cui la presunta violazione non sia direttamente percepibile dal contenuto della dichiarazione di cui al richiamato articolo 79 e sia resa palese solo a seguito dell’esperito accesso agli atti (in tal modo ponendo a carico del soggetto ricorrente lo sfavorevole effetto processuale dell’ulteriore riduzione del termine effettivamente a disposizione ai fini dell’impugnativa e per un numero di giorni pari a quello necessario per avere piena conoscenza degli atti della gara possibile oggetto di impugnativa e dei relativi profili di illegittimità)”.
8. La Sezione remittente non ha mancato di esprimere il proprio avviso sulla soluzione del primo quesito.
Ha infatti osservato che, contemperando l’orientamento della Corte di Giustizia, la quale ipotizza una sorta di “proroga [del] termine di ricorso” jussu judicis al fine di consentire il conseguimento dell’effetto utile da parte della disposizione processuale di matrice comunitaria ( III Sezione, 28 gennaio 2010 in causa C-406/08 (Uniplex)) con l’evidente ratio di concentrazione ed accelerazione sottesa alla previsione di diritto interno in tema di termine decadenziale d’impugnativa e di accesso agli atti di gara (in particolare: comma 5-quater dell’articolo 79 del ‘Codice dei contratti’), il punto di equilibrio fra le richiamate esigenze possa essere individuato in una lettura del complessivo quadro normativo tale, per cui il dies a quo per il decorso del termine decadenziale d’impugnativa sia posticipato sino a decimo giorno dalla comunicazione di aggiudicazione ex art. 79, cit. (ossia al momento in cui il concorrente, agendo in modo diligente, potrà aver avuto conoscenza integrale della documentazione di proprio interesse, attivando le modalità semplificate di accesso agli atti di cui al medesimo comma 5-quater).
Ciò, tuttavia, dovrebbe essere possibile a due condizioni:
a) che, effettivamente, il profilo di illegittimità lamentato in sede di impugnativa non fosse in alcun modo desumibile dal tenore della comunicazione di cui all’articolo 79;
b) che il richiamato termine di dieci giorni (aggiuntivo rispetto a quello di trenta giorni per la proposizione dell’impugnativa ai sensi dell’articolo 120, comma 5 del c.p.a.) dovrebbe essere corrispettivamente ridotto nelle ipotesi in cui, esperito l’accesso agli atti della gara, la pertinente documentazione sia stata resa disponibile in un termine inferiore rispetto a quello di dieci giorni di cui al più volte richiamato comma 5-quater.
9. Con riguardo alle censure di merito, la Sezione si è espressa per la fondatezza del primo motivo di appello, considerando che il comma 7 dell’articolo 37 del ‘Codice dei contratti’ (secondo cui “i consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettera b) sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre”) sembra ammettere la richiamata tipologia di designazione solo in caso di consorzio il quale – a propria volta – designi un altro consorzio e non anche nell’ipotesi, che qui ricorre, in cui una consorziata (che non è essa stessa un Consorzio, come la soc. ***) indichi quale impresa esecutrice una semplice associata (quale la soc. ***), la quale non è legata da un rapporto organico né con il Consorzio ***, né con la cooperativa ***.
Dinanzi all’Adunanza Plenaria hanno presentato memorie *** e l’interveniente ad adjuvandum Associazione dei costruttori edili di Roma e Provincia.
10. Alla camera di consiglio del 22 aprile 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.1. Il Collegio ritiene di non dover affrontare il motivo di appello concernente la statuizione di inammissibilità del ricorso di primo grado per due ordini di ragioni.
In primo luogo, i motivi di merito proposti dall’appellante non sono fondati, come si vedrà in seguito, e tale circostanza, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, produce l’assorbimento dei motivi di rito, salvo che sia dedotto il difetto di giurisdizione.
1.2. In secondo luogo, sebbene, ai sensi dell’art. 99, comma 5, del c.p.a. l’Adunanza Plenaria possa enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge anche in caso di ricorso irricevibile, inammissibile o improcedibile, il Collegio, nella specie, non ritiene di avvalersi della detta facoltà.
Nelle more del giudizio, infatti, con ordinanza 23 marzo 2013 n. 427, il Tribunale Amministrativo Regionale della Puglia, Sezione di Bari, ha rimesso alla Corte di Giustizia delle C.E, i seguenti quesiti interpretativi ai sensi dell’art. 267 del Trattato istitutivo:
A) “Se gli artt. 1, 2-bis, 2-quater e 2-septies della direttiva 1992/13/CEE vadano interpretati nel senso che il termine per proporre un ricorso, diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, decorra dalla data in cui il ricorrente ha conosciuto, o avrebbe dovuto conoscere secondo l’ordinaria diligenza, l’esistenza della violazione stessa”;
B) “Se gli artt. 1, 2-bis, 2-quater e 2-septies della direttiva 1992/13/CEE ostano a disposizioni processuali nazionali ovvero a prassi interpretative, quali quelle enunciate nella causa principale, che consentono al giudice di dichiarare irricevibile un ricorso diretto a far accertare la violazione della normativa in materia di aggiudicazione di appalti pubblici, quando il ricorrente è venuto a conoscenza della violazione dopo la formale comunicazione degli estremi del provvedimento di aggiudicazione definitiva, per la condotta tenuta dall’Amministrazione aggiudicatrice.
E’ agevole constatare che le questioni proposte dal TAR Puglia si sovrappongono a quelle sollevate dall’ordinanza di rimessione qui in esame, e pertanto appare inopportuna l’enunciazione di un punto di diritto su problematica coinvolgente fonti comunitarie mentre è atteso il dictum della Corte competente ad enunciarne l’interpretazione autentica e vincolante.
2. Il principale motivo di merito proposto da ***, mandataria del raggruppamento secondo classificato, tende all’accertamento dell’illegittimità della mancata esclusione del Consorzio “***”, cui si addebita di aver presentato una offerta nella quale ha designato quale impresa consorziata che avrebbe eseguito i lavori la soc. *** soc. coop. a r.l., mentre questa aveva – a sua volta – ha indicato quale impresa esecutrice la *** soc. coop. a r.l. (che era stata indicata genericamente come ‘associata’ dalla cooperativa ***).
Secondo l’appellante, il sistema di indicazione ‘a cascata’ dell’impresa esecutrice si porrebbe in contrasto con la previsione di cui al comma 7 dell’articolo 37 del ‘Codice dei contratti’, secondo cui “i consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettera b) sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre”. Si richiama l’avviso dell’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici, espresso con deliberazione del 10 gennaio 2007, secondo cui la citata disciplina di settore consentirebbe tale tipologia di designazione “a cascata” solo in caso di consorzio il quale – a propria volta – designi un altro consorzio. Al contrario, ciò non sarebbe possibile nel caso, che qui ricorre, in cui una consorziata (che non è essa stessa un Consorzio, come la soc. ***) indichi quale impresa esecutrice una semplice associata (quale la soc. ***), la quale non è legata da un rapporto organico né con il Consorzio ***, né con la cooperativa *** (e che pertanto non potrebbe legittimamente giovarsi, ai fini della partecipazione alla gara, dei requisiti del Consorzio).
Si osserva inoltre che l’esecuzione dei lavori da parte di *** non sarebbe riconducibile neppure all’istituto dell’avvalimento, in quanto *** non può assumere la posizione di impresa ausiliaria, non essendo stati posti in essere tutti gli adempimenti di cui all’art. 49 del codice dei contratti, finalizzati ad escludere ogni ipotesi di aleatorietà nel rapporto tra le due imprese.
Sarebbe inoltre da respingere la tesi, sostenuta dall’Università degli studi di Perugia già in sede di risposta all’informativa inviata da *** ai sensi dell’art. 243-bis del codice dei contratti, secondo cui al consorzio aggiudicatario di un appalto sarebbe riconosciuta la facoltà di indicare una nuova impresa nell’ipotesi in cui per motivi sopravvenuti l’impresa originariamente designata non si trovi nelle condizioni di svolgere la prestazione. Si sostiene che nella specie non si verte in ipotesi di motivi sopravvenuti, ma di vizio originario dell’offerta a causa dell’indicazione “a cascata” dell’impresa incaricata di eseguire i lavori, con conseguente violazione del principio della par condicio dei concorrenti
3.1. Il Collegio osserva che le argomentazioni dell’appellante sono in parte condivisibili, ma non consentono di pervenire all’accoglimento del motivo dedotto.
Il Consiglio di Stato, con sentenza della Sezione VI del 22 giugno 2007 n. 3477, ma con richiamo ad altro precedente (Sez. VI, 21 aprile 1983 n. 2183), sia pure pronunciata con riferimento alla disciplina di cui all’art. 13, comma 4, della legge n. 109 del 1994, ora riprodotta dall’art. 37, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, ha avuto occasione di esaminare il problema della legittimità della designazione di secondo grado, o “a cascata”, che si verifichi quando alla gara per l’affidamento di lavori pubblici partecipi un consorzio tra società cooperative di produzione e lavoro costituito a norma della legge 25 giugno 1909 n. 422.
Anche nelle vicende che hanno formato oggetto delle pronunce richiamate era accaduto che la società consorziata indicata per l’esecuzione dei lavori dal consorzio aggiudicatario, anziché provvedervi direttamente, aveva affidato le opere ad un diverso imprenditore non consorziato né legato al consorzio da alcun diverso rapporto.
La detta giurisprudenza ha affermato la non conformità alla legge della designazione di secondo grado, rilevando che l’art. 13, comma 4, della legge n. 109 del 1994 (ora art. 37, comma 7, del d.lgs. n. 106 del 2006), al fine di salvaguardare una specifica categoria di imprese e di incentivare la mutualità, ha inteso assegnare rilievo funzionale solo al rapporto organico che lega il Consorzio concorrente alle imprese o altri consorzi in esso direttamente consorziati e che ne costituiscono, come detto, una sorta di interna corporis (sicché l’attività compiuta dai soggetti consorziati è imputata organicamente al Consorzio concorrente, come unico ed autonomo centro di imputazione e di riferimento di interessi); ma non anche al rapporto, di secondo grado, che finirebbe per collegare il Consorzio aggiudicatario ad un soggetto terzo (ancorché preventivamente designato, in sede di gara, dalla società chiamata ad eseguire i lavori dal Consorzio concorrente, poi risultato aggiudicatario), che con il primo ha solo un rapporto mediato dall’azione di un altro soggetto (che, tra l’altro, come si ripete, neppure risulta dotato, nella specie, almeno stando a quanto emerge dagli atti versati in giudizio, delle prescritte categorie d’iscrizione), associato a quello designato dall’aggiudicatario.
In tal modo il Consorzio aggiudicatario finirebbe per avvalersi, invero, dell’attività svolta da un soggetto terzo rispetto al medesimo e non da esso direttamente designato come esecutore dei lavori.
Di fatto, la potestà assegnata dal legislatore al Consorzio concorrente di designare, sulla base di un ordinario rapporto di fiducia, l’impresa - ad esso consorziata - quale materiale esecutrice delle opere verrebbe a trasferirsi sul soggetto a tal fine designato dal Consorzio concorrente; ciò che il legislatore non ha inteso consentire allorché, con il citato art. 13, comma 4, della legge n. 109/1994, ha eccezionalmente previsto che i Consorzi di cui si tratta indichino, nell’offerta, per quali loro consorziati essi concorrano e non ha, invece, esteso anche ai soggetti (eventualmente costituiti in forma consortile) così designati di indicare, a loro volta, a cascata, i propri consorziati chiamati ad eseguire i lavori stessi.
Trattandosi, inoltre, di situazione eccezionale, non direttamente disciplinata dal legislatore, la stessa amministrazione, nel silenzio della norma, verrebbe a trovarsi in una situazione di obiettiva incertezza in merito all’esercizio delle proprie potestà operative nei confronti del soggetto beneficiario dell’affidamento di secondo grado di cui si tratta e, in particolare, in ordine alla verifica di sussistenza o meno, in capo ad essa impresa sub-designata, di tutti i requisiti di legge che legittimano l’applicabilità della disciplina speciale e di favore di cui si è detto.
Questa consente, in definitiva, al Consorzio concorrente ed aggiudicatario di avvalersi delle prestazioni di un’impresa cooperativa in esso associata e specificamente designata in sede di gara; e, in tal caso, l’impresa indicata può eseguire i lavori pur essendo priva, per le ragioni dianzi indicate, dei requisiti di qualificazione tecnica; ma non anche, a quest’ultima, di avvalersi di un’ulteriore impresa – a sua volta, in essa associata - altrimenti potendosi innescare un meccanismo di designazioni a catena destinato a beneficiare non (secondo la ratio legis) il Consorzio concorrente e le imprese cooperative in esso associate, ma, in ipotesi (come nel caso di specie) anche soggetti terzi, non concorrenti direttamente alla gara, né in questa puntualmente designati, secundum legem, dal concorrente risultato aggiudicatario, quali materiali esecutori dei lavori.
Il riferito orientamento merita di essere confermato non ravvisandosi ragioni che ne inficino la fondatezza. Ne consegue che va condivisa la tesi dell’appellante circa la illegittimità della designazione effettuata dalla consorziata Società Cooperativa *** r.s.l. in favore della *** s.r.l. ai fini dell’esecuzione dei lavori in gara.
3.2. Ad avviso dell’appellante la rilevata illegittimità della designazione di secondo grado avrebbe dovuto condurre alla esclusione dalla gara del Consorzio aggiudicatario.
La tesi non merita adesione, dovendosi invece accogliere le argomentazioni difensive dell’Università degli Studi di Perugia e del Consorzio aggiudicatario, che hanno fatto leva sulle motivazioni esposte nelle sentenze sopra richiamate.
Si è osservato, infatti, che il consorzio fra società di cooperative di produzione e di lavoro costituito a norma della legge 25 giugno 1909, n. 422, può partecipare alla procedura di gara utilizzando i requisiti suoi propri e, nel novero di questi, facendo valere i mezzi nella disponibilità delle cooperative che costituiscono, ai fini che qui rilevano, articolazioni organiche del soggetto collettivo, ossia suoi interna corporis. Il rapporto organico che lega le cooperative consorziate, ivi compresa quella incaricata dell’esecuzione dei lavori, infatti, è tale che l’attività compiuta dalle consorziate è imputata organicamente al consorzio, come unico ed autonomo centro di imputazione e di riferimento di interessi, per cui, diversamente da quanto accade in tema di associazioni temporanee e di consorzi stabili, la responsabilità per inadempimento degli obblighi contrattuali nei confronti della p.a. si appunta esclusivamente in capo al consorzio senza estendersi, in via solidale, alla cooperativa incaricata dell’esecuzione.
D’altronde, una diversa opzione ermeneutica che, in assenza di qualsiasi referente normativo in tale direzione, considerasse l’offerta di un consorzio radicalmente invalida a causa della indicazione di secondo livello operata dalla consorziata, si porrebbe in chiara distonia con la ratio che sorregge la costituzione di detti consorzi e che si spiega con il favore del legislatore per l’incentivazione della mutualità, favorendo, grazie alla sommatoria dei requisiti posseduti della singole imprese, la partecipazione a procedure di gara di cooperative che, isolatamente considerate, non sono in possesso dei requisiti richiesti o, comunque, non appaiono munite di effettive chances competitive.
In conformità al ricordato orientamento giurisprudenziale, è da ritenere, pertanto, che l’indicazione di una sub-affidataria dei lavori non sia ammissibile, per le ragioni esposte sopra, e tuttavia che tale operazione vitiatur sed non vitiat, nel senso che non impedisce di conservare legittimamente l’aggiudicazione in capo al Consorzio, purché questo abbia provveduto – come in effetti è avvenuto - ad indicare in sede di offerta l’impresa consorziata da cui sarebbero stati eseguiti i lavori stessi. E’ questo, infatti, l’unico specifico adempimento imposto dall’art. 37, comma 7, del d.lgs. n. 163 del 2006, con conseguente irrilevanza dei comportamenti posti in essere sul punto dalla consorziata designata.
3.3. A corollario del precedente assunto, la giurisprudenza citata ha inoltre affermato che al Consorzio aggiudicatario va riconosciuta la facoltà di indicare, quale esecutore, una diversa propria consorziata, ove, per motivi sopravvenuti, la prima designata non sia in condizione di svolgere compiutamente la prestazione. Le parti resistenti nel presente giudizio si sono richiamate alla detta proposizione per contrastare le tesi dell’appellante.
L’appellante, sul punto, ha dedotto in primo grado, con censura assorbita, e riproposto in appello:
1) che la facoltà riconosciuta al Consorzio di effettuare una seconda designazione si risolverebbe in una palese violazione del principio della par condicio tra le concorrenti, consistendo in una modificazione dell’offerta per evitare la sanzione dell’esclusione;
2) che l’invocata giurisprudenza ha ammesso bensì la possibilità per il Consorzio aggiudicatario di effettuare una seconda scelta della società incaricata dell’esecuzione dei lavori, ma solo nel caso che sopraggiungano ragioni che impediscano l’esecuzione dei lavori da parte dell’impresa originariamente indicata, mentre nella fattispecie tale evenienza non si sarebbe verificata, versandosi in ipotesi vizio ostativo “genetico” dell’offerta, a causa della illegittima designazione a cascata.
3.4. Le dette doglianze si rivelano improcedibili per difetto di interesse.
Il principio, qui ribadito, secondo cui la designazione della sub-affidataria cade ma non rende illegittima l’offerta del Consorzio, comporta che designata per l’esecuzione dei lavori rimanga la consorziata originariamente indicata dal Consorzio stesso, ossia la *** s.r.l., e nulla impedisce che sia appunto la designata originaria ad eseguire l’appalto. Né risulta che il Consorzio abbia esercitato la contestata facoltà di effettuare una seconda scelta.
Può aggiungersi, tuttavia, per completezza, che la designazione di una diversa consorziata per l’esecuzione dei lavori costituisce un atto doveroso ma estraneo all’offerta presentata dal Consorzio, che rimane immutata, sia sotto il profilo dei requisiti di partecipazione, di cui il concorrente ha dimostrato di disporre in proprio, sia sotto i profili progettuali e dell’entità economica, e pertanto non è ravvisabile alcuna violazione della par condicio.
5.Il rigetto dell’appello nel merito conduce al rigetto della domanda risarcitoria.
6. Sussistono valide ragioni per disporre la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giorgio Giovannini, Presidente
Riccardo Virgilio, Presidente
Pier Giorgio Lignani, Presidente
Alessandro Pajno, Presidente
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Marzio Branca, Consigliere, Estensore
Aldo Scola, Consigliere
Vito Poli, Consigliere
Francesco Caringella, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Sergio De Felice, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/05/2013
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il Dirigente della Sezione
Sulla vigenza della legge regionale siciliana n. 15/2008 e sulla sua compatibilitĂ con la legge n. 136/2010
1. La rilevazione officiosa della nullità dell’atto amministrativo è “una parentesi di giurisdizione oggettiva che, per espressa previsione di legge, si innesta nel processo amministrativo, in deroga al suo ordinario carattere di giurisdizione soggettiva”, e si configura come una “potestà (cd. potere-dovere) il cui esercizio è sempre obbligatorio” (C.G.A. 721/2012).
2. Il Collegio ritiene di dover aderire alla tesi della applicabilità della L.R. 15/2008, e di non poter invece condividere il più recente orientamento giurisprudenziale che ne postula l’avvenuta abrogazione. In particolare, La L.R. 15/2008 non appare incompatibile con la L. 136/2010 in quanto le due norme pongono precetti simili, complementari, ma in parte differenti, e comunque non inconciliabili l’uno con l’altro: nullità del bando per mancata previsione dell’obbligo del conto corrente unico (la legge regionale); nullità del contratto in caso di mancato inserimento della clausola relativa all’uso degli strumenti di tracciabilità finanziaria, e risoluzione del contratto stesso in caso di mancato utilizzo (la legge nazionale). Appare quindi evidente che la soglia di tutela dell’interesse pubblico alla tracciabilità dei flussi finanziari è stata anticipata dal legislatore regionale attraverso l’inserimento obbligatorio di tale incombenza nel bando di gara, con la sanzione della nullità dello stesso per l’ipotesi di mancata previsione. La conseguenza è che le due disposizioni (nazionale e regionale), tendenti al medesimo obbiettivo, non pongono precetti inconciliabili, ma risultano invece complementari: infatti, la nullità del contratto privo della prescrizione circa l’obbligo di utilizzo del conto corrente unico da parte dell’aggiudicatario, sanzionata dalla successiva legislazione nazionale, non appare contrastante – ma, anzi, può convivere - con la previsione di nullità dell’atto antecedente (il bando), sancita dalla più datata normativa regionale.
3. Sotto altro punto di vista, la tesi della incompatibilità fra la norma regionale e quella nazionale sopravvenuta non convince ove si rifletta sulla circostanza che la prima disposizione è frutto di una competenza legislativa esclusiva del legislatore siciliano, che non può quindi essere “invasa” (con modifiche e/o abrogazioni) da quella nazionale. Infatti, l’art. 2 della L.R. 15/2008 si inquadra nell’alveo della legislazione esclusiva in tema di “lavori pubblici” riconosciuta e garantita dall’art. 14, lett. g, dello Statuto regionale (sul punto, v. C.G.A. 721/2012). In verità, il Collegio non ignora la recente sentenza della Corte costituzionale – n. 35/2012 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma di legge regionale (emessa da una Regione ordinaria) di tenore analogo a quella ora in esame, qualificando la legislazione sulla tracciabilità dei flussi finanziari come materia dell’ordine pubblico e sicurezza, come tale sottratta alla competenza legislativa delle Regioni. Tuttavia, appare non secondario il rilievo che l’art. 2 della legge siciliana in esame, pur mosso dalla finalità di garantire la tracciabilità finanziaria per esigenze di “politica criminale”, finisce – in buona sostanza – col normare essenzialmente alcuni aspetti delle procedure di indizione degli appalti pubblici, stabilendo che i relativi bandi debbano recare la clausola sopra esaminata. Non si può, quindi, sostenere che la disposizione esorbiti dalla materia dei “lavori pubblici” in cui la Regione Sicilia ha competenza legislativa esclusiva, ed integri quindi uno sconfinamento in settori riservati alla legislazione statale.
N. 01441/2013 REG.PROV.COLL.
N. 02970/2011 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
sezione staccata di Catania (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2970 del 2011, proposto da:
[***] Srl, rappresentato e difeso dagli avv. Giuseppe Berretta, Giovanni Mania, con domicilio eletto presso avv. Giovanni Mania, in Catania, via V. Giuffrida, 37;
contro
Comune di Tremestieri Etneo, rappresentato e difeso dagli avv. Patrizia Romano, Matteo Freni, con domicilio eletto presso avv. Alberto Spitaleri, in Catania, via F. Crispi, 239;
e con l'intervento ad opponendum:
Impresa di Costruzioni [***] S.r.l., rappresentato e difeso dagli avv. Marianna Capizzi, Antonio Bivona, con domicilio eletto presso avv. Marianna Capizzi, in Catania, via Martino Cilestri, 41;
per l'annullamento
- del bando di gara indetto dal Comune di Tremestieri Etneo, avente ad oggetto la progettazione definitiva ed esecutiva, la costruzione e la gestione di loculi nel cimitero comunale;
- del disciplinare di gara, nella parte in cui include nell’oggetto dell’appalto anche l’illuminazione votiva;
- di ogni altro atto o provvedimento antecedente o successivo;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Tremestieri Etneo;
Visto l’atto di intervento ad opponendum dell’Impresa di Costruzioni [***] S.r.l.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 aprile 2013 il dott. Francesco Bruno e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La ricorrente [***] srl ha impugnato col ricorso in epigrafe il bando di gara indetto dal Comune di Tremestieri Etneo, ed il relativo disciplinare, aventi ad oggetto la progettazione definitiva ed esecutiva, la costruzione e la gestione di loculi nel cimitero comunale, nella parte in cui includono nell’appalto anche la manutenzione e gestione del servizio di illuminazione votiva dei nuovi loculi, in asserita violazione del diritto di esclusiva precedentemente attribuito alla medesima società con convenzione del 2001 per la durata di ventinove anni.
Si è costituto in giudizio per resistere al ricorso il Comune di Tremestieri Etneo, che ha anche eccepito in difetto di giurisdizione in capo all’adìto giudice amministrativo.
E’ poi intervenuta in giudizio con atto ad opponendum l’Impresa di costruzioni Ing. [***] srl, in qualità di partecipante alla procedura selettiva oggetto del ricorso.
Con ordinanza n. 1579/11 (poi confermata in appello dal CGA con ordinanza n. 97/2012) questa Sezione ha respinto la domanda cautelare formulata col ricorso, ritenendo non condivisibile la tesi sostenuta dalla ricorrente circa il suo diritto di gestire in esclusiva l’intero servizio di illuminazione votiva del cimitero, in base alla circostanza che la convenzione a suo tempo stipulata avesse ad oggetto “(…) l’illuminazione con lampade votive (solo) di tutti i loculi (già) esistenti in tutta la zona del cimitero, e quindi non anche di quelli di là da venire”.
Successivamente, parte ricorrente ha introdotto sopravvenuti elementi di novità nella vicenda: a) ha dichiarato di aver cautelativamente presentato domanda di partecipazione alla gara; b) ha comunicato che quest’ultima è stata celebrata ed aggiudicata all’odierna interveniente Impresa [***]; c) ha precisato di aver impugnato l’esito della gara con separato ricorso a questo Tar – iscritto al n. R.G. 2503/12 - nell’ambito del quale è stata disposta la sospensione cautelare dell’aggiudicazione con ordinanza n. 1156/2012, emessa da questa Sezione in base al rilievo che il bando non rispettasse la previsione di cui all’art. 2 della L.R. 15/2008 (obbligo per gli aggiudicatari di indicare un numero di conto corrente unico sul quale gli enti appaltanti fanno confluire tutte le somme relative all'appalto, al fine di garantire la tracciabilità dei flussi finanziari). Quest’ultima ordinanza è stata però annullata in appello dal C.G.A. con ordinanza n. 139/2013.
Con l’ultima memoria depositata in giudizio, la ricorrente ha chiesto al Collegio di rilevare d’ufficio ai sensi dell’art. 31, co. 4, c.p.a., la nullità dell’impugnato bando di gara, già individuata nell’ordinanza cautelare n. 1156/12 emessa nell’altro giudizio, e citando a supporto di tale rimedio officioso la recente decisione del C.G.A. n. 721/2012.
L’interveniente si è opposta a tale richiesta, evidenziando che l’orientamento giurisprudenziale relativo all’applicazione della L.R. 15/2008 si è medio tempore modificato.
Alla pubblica udienza dell’11 aprile 2013 la causa è stata trattenuta per la decisione.
DIRITTO
La società ricorrente fonda il proprio diritto alla esclusiva gestione dell’intero servizio di illuminazione votiva nel cimitero di Tremestieri Etneo su una convenzione – avente durata di ventinove anni – sottoscritta con l’amministrazione comunale in data 8 agosto 2001, ed aggiunge che l’estensione necessaria di tale attività anche ai nuovi loculi cimiteriali (cioè a quelli non ancora esistenti al momento della stipula della convenzione, ed oggetto di realizzazione con l’impugnato bando di gara) emerga in modo incontestabile dalle seguenti circostanze:
a) dal tenore letterale degli artt. 1 e 12 della convenzione, nella parte in cui si fa riferimento alla “gestione in esclusiva dell’impianto di distribuzione di energia elettrica in bassa tensione”, e si prevede che “la concessionaria resta l’unica fornitrice di energia elettrica a 24/220/380 volt o altra tensione, all’interno di tutta l’area cimiteriale”;
b) dal fatto che il piano economico-finanziario redatto dalla ricorrente al momento della presentazione del progetto di illuminazione prevedeva il raggiungimento dell’equilibrio finanziario, alla fine dei ventinove anni di gestione esclusiva, con la sottoscrizione di 4.500 contratti di utenza; mentre al momento della stipula della convenzione i contratti attivi erano solo 1.500, con ciò prefigurandosi in modo implicito una automatica estensione del servizio anche a favore dei futuri loculi realizzati sotto la vigenza della convenzione;
c) dal fatto che, successivamente, nell’anno 2006, l’amministrazione comunale avrebbe riconosciuto con comportamento concludente alla ricorrente il diritto di esclusiva nella gestione del servizio, riservandole la gestione dell’illuminazione della costruenda “Confraternita SS. Sacramento”;
d) dal fatto che, nel 2010, la stessa amministrazione comunale ha invitato le ditte private a concordare con la ricorrente “concessionaria del servizio di illuminazione votiva” il punto di consegna dell’energia elettrica prima dell’avvio degli scavi per la realizzazione di nuove cappelle;
e) dal fatto che l’amministrazione, con determina dell’1 luglio 2007, ha accolto la richiesta della ricorrente volta ad ottenere un adeguamento dei prezzi dell’allacciamento e dei canoni di abbonamento, al fine di riparare all’eccessiva onerosità sopravvenuta (a danno del gestore) del rapporto concessorio, derivante dal mancato raggiungimento delle 4.500 utenze ad oltre cinque anni dall’avvio del servizio.
Dai predetti richiami di diritto e di fatto la ricorrente deduce l’illegittimità del bando di gara nella parte in cui include quale oggetto del nuovo appalto anche la manutenzione e gestione del servizio di illuminazione votiva dei nuovi costruendi loculi cimiteriali.
1.- Preliminarmente, il Collegio ritiene di dover precisare che la questione posta col ricorso ricade nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, e va pertanto disattesa l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dalla difesa dell’amministrazione resistente e dell’interveniente sul rilievo che la questione riguardi l’esecuzione di un accordo negoziale, ed involga quindi posizioni di diritto soggettivo delle parti, conoscibili dal g.o.
Invero, la tematica in esame rientra nella previsione dell’art. art. 133, lett.c, del c.p.a, che appunto riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo “le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi, escluse quelle concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi”; vi è solo da precisare al riguardo che il servizio di illuminazione votiva cimiteriale è certamente da considerare un “pubblico servizio” affidato tramite concessione (Cons. Stato, V, 435/2013 e 1784/2011; Tar Catania, 1993/2012; Tar Catanzaro 1013/2011), e che la questione in esame non attiene agli aspetti esclusivamente patrimoniali (indennità, canoni e corrispettivi) per i quali residua la giurisdizione del g.o.
Né la predetta conclusione può risultare inficiata dal richiamo all’art. 15 della convenzione del 2001 stipulata fra la ricorrente ed il Comune resistente, nella parte in cui riconosce il Tribunale di Catania, sezione staccata di Mascalucia, quale organo deputato a risolvere gli eventuali conflitti tra le parti contraenti, con esclusione del ricorso all’arbitrato: si tratta all’evidenza di una clausola che tende solo ad escludere il rimedio alternativo dell’arbitrato, e che comunque non potrebbe incidere sul riparto di giurisdizione come legislativamente fissato con regole inderogabili.
2.- Entrando nel merito della vicenda, il Collegio ritiene che la tesi sostenuta dalla ricorrente – a tenore della quale la convenzione relativa alla gestione del servizio di illuminazione cimiteriale investirebbe tutti i loculi, presenti e futuri – non possa essere condivisa. Come correttamente è stato rilevato nella fase cautelare (di primo e secondo grado) del giudizio, la convenzione a suo tempo stipulata ha ad oggetto “(…) l’illuminazione con lampade votive (solo) di tutti i loculi (già) esistenti in tutta la zona del cimitero, e quindi non anche di quelli di là da venire”. In tale direzione conduce il chiaro tenore letterale della disposizione concernente l’oggetto del rapporto: art. 1, “(…) tutti i loculi esistenti in tutta la zona del cimitero (…)”. Ma anche l’art. 12 della convenzione richiamato dalla ricorrente – a ben vedere – non porta al risultato da essa preteso: la norma, infatti, nella parte in cui prevede che “la concessionaria resta l’unica fornitrice di energia elettrica a 24/220/380 volt o altra tensione, all’interno di tutta l’area cimiteriale” va letta in stretta correlazione al periodo precedente, laddove impone agli utenti il divieto di modificare o manomettere l’impianto, attingere forniture da altri gestori (pubblici o privati), cedere o subaffittare corrente, o apportare qualsiasi variazione all’impianto esistente. Dunque, si deve ritenere che il richiamo testuale, chiaro ed inequivocabile, all’<impianto esistente> consenta di limitare nello spazio e nel tempo l’interpretazione della espressione, apparentemente generale, che qualifica la ricorrente come “l’unica fornitrice di energia elettrica a 24/220/380 volt o altra tensione, all’interno di tutta l’area cimiteriale”.
Ma vi è di più.
Per un verso, i comportamenti tenuti dall’amministrazione comunale, che la ricorrente richiama a proprio favore [v. supra i punti c) e d)], costituiscono mere condotte materiali successive, che non possono influire sulla interpretazione della convenzione.
Per altro verso, merita una peculiare attenzione la determinazione comunale n. 1 del 2007 citata dalla ricorrente (v. supra sub e, ed erroneamente identificata in ricorso come determina dell’1 luglio 2007), perché da questa discendono effetti demolitivi rispetto alla tesi sostenuta in ricorso. Se è vero – come risulta dal contenuto della determina, e dal sottostante parere legale – che l’amministrazione abbia acconsentito ad una revisione, a vantaggio del concessionario, dei prezzi relativi alle quote di allacciamento e dei canoni contrattuali inerenti l’illuminazione votiva, emerge altrettanto chiaramente dagli atti che tale aggiornamento dei corrispettivi sia stato effettuato al fine di scongiurare la mancanza di (o l’insufficiente) remuneratività dell’accordo, tenuto conto dell’originario esborso sopportato dalla concessionaria attraverso la realizzazione delle opere di illuminazione cimiteriale, che doveva essere bilanciato con la gestione trentennale del relativo servizio, con oneri a carico di ogni singolo utente. Orbene, se la revisione contrattuale effettuata nel 2007 è servita a riportare in equilibrio il sinallagma, che si era dimostrato pendente a favore di una parte, si deve giocoforza concludere che da quella data la gestione del servizio curato dalla ricorrente, con il numero di utenze in quel momento attivate, è divenuta remunerativa per il concessionario, nel senso che risulta sufficiente a compensare le spese di investimento effettuate in partenza, ed a garantire un utile d’impresa. Allora, sulla scorta di questa premessa, l’accoglimento della pretesa ora avanzata, avente ad oggetto il riconoscimento del diritto alla gestione anche dei nuovi realizzandi punti-luce, finirebbe per squilibrare nuovamente (questa volta a vantaggio del gestore) quel rapporto negoziale che pochi anni addietro ha necessitato di un intervento in funzione correttiva della prestazione.
Anche per tale ragione, dunque, la censura contenuta nel ricorso appare infondata.
3.- A questo punto, ferma restando l’infondatezza del ricorso, come fin qui esaminato, il Collegio non può esimersi dall’esaminare la richiesta che parte ricorrente ha avanzato nella memoria depositata in giudizio il 26.03.2013, con la quale viene stimolato in capo al giudice l’esercizio di un potere d’ufficio, volto a dichiarare nullo il bando di gara in esame per violazione dell’art. 2 della L.R. 15/2008, nella parte in cui impone alle stazioni appaltanti negli appalti di importo superiore a 100.000 euro di prevedere “a pena la nullità del bando, l'obbligo per gli aggiudicatari di indicare un numero di conto corrente unico sul quale gli enti appaltanti fanno confluire tutte le somme relative all'appalto.”.
La ricorrente pone a fondamento della richiesta, in particolare, la mancanza della richiamata prescrizione normativa nel bando oggetto del ricorso.
L’applicazione della disposizione regionale viene invocata, facendo appello ai poteri officiosi del giudicante previsti dall’art. 31, co. 4, del c.p.a. con riferimento alle ipotesi di nullità dell’atto amministrativo. La sanzione della nullità che colpisce il bando, nella fattispecie qui in esame, è espressamente indicata nel testo di legge regionale, e rappresenta quindi una delle ipotesi di nullità “negli altri casi espressamente previsti dalla legge” di cui all’art. 21 septies della L. 241/90.
Sebbene appaia dissonante rispetto ad un modello processuale di giurisdizione soggettiva quale è il processo amministrativo, la rilevazione officiosa della nullità dell’atto amministrativo è stata letta dalla giurisprudenza amministrativa come “una parentesi di giurisdizione oggettiva che, per espressa previsione di legge, si innesta nel processo amministrativo, in deroga al suo ordinario carattere di giurisdizione soggettiva”, ed è stata configurata come una “potestà (cd. potere-dovere) il cui esercizio è sempre obbligatorio” (C.G.A. 721/2012).
Alla luce di siffatti poteri officiosi, dei quali viene espressamente invocato l’esercizio, appare pressoché irrilevante l’osservazione che, in tal modo, la norma processuale invocata consente alla parte ricorrente - che pur avrebbe l’onere di rispettarlo - di scavalcare surrettiziamente, a mezzo di una semplice istanza, il termine di decadenza, pari a centottanta giorni, fissato nel medesimo art. 31 c.p.a. per l’esercizio dell’azione di nullità degli atti amministrativi.
Irrilevante appare anche il rilievo – che pur si potrebbe in astratto muovere – secondo cui l’odierna ricorrente non ritrae una diretta utilità dalla invocata declaratoria di nullità del bando di gara, dal momento che il suo interesse - come è stato consacrato nel ricorso – è quello di impedire l’indizione della pubblica gara per la gestione di un servizio del quale si proclama titolare esclusiva; mentre la stessa impresa non ricaverebbe alcun vantaggio dall’indizione di una (nuova) gara emendata dal vizio in esame, e bandita nel rispetto dell’art. 2 della L.R. 15/2008 con la previsione dell’obbligo di utilizzo del conto corrente unico da parte dell’aggiudicatario.
Fatta questa premessa di ordine generale, un esame del quadro giurisprudenziale formatosi sulla questione dell’applicazione dell’art. 2 della L.R. 15/2008 consente di individuare un orientamento tendente a riconoscere la nullità, rilevabile anche d’ufficio, dei bandi di gara che non contemplano la previsione del conto corrente unico (C.G.A. 721/2012; Tar Palermo 2406/2011); ed un orientamento più recente (Tar Palermo 468/2013) che invece ritiene superata la previsione di legge regionale, per incompatibilità con la legislazione nazionale (L. 136/2010), che in tali casi si limita a prevedere l’obbligo di inserire una apposita clausola nel contratto (e non nel bando), sancendone in caso contrario la nullità, e prevedendo la risoluzione del contratto in caso di mancato utilizzo in concreto degli strumenti di tracciabilità finanziaria.
Il Collegio ritiene di dover aderire alla tesi della applicabilità della L.R. 15/2008, e di non poter invece condividere il più recente orientamento giurisprudenziale che ne postula l’avvenuta abrogazione.
In particolare, La L.R. 15/2008 non appare incompatibile con la L. 136/2010 (come si legge in Tar Palermo 468/2013) in quanto le due norme pongono precetti simili, complementari, ma in parte differenti, e comunque non inconciliabili l’uno con l’altro: nullità del bando per mancata previsione dell’obbligo del conto corrente unico (la legge regionale); nullità del contratto in caso di mancato inserimento della clausola relativa all’uso degli strumenti di tracciabilità finanziaria, e risoluzione del contratto stesso in caso di mancato utilizzo (la legge nazionale). Appare quindi evidente che la soglia di tutela dell’interesse pubblico alla tracciabilità dei flussi finanziari è stata anticipata dal legislatore regionale attraverso l’inserimento obbligatorio di tale incombenza nel bando di gara, con la sanzione della nullità dello stesso per l’ipotesi di mancata previsione. La conseguenza è che le due disposizioni (nazionale e regionale), tendenti al medesimo obbiettivo, non pongono precetti inconciliabili, ma risultano invece complementari: infatti, la nullità del contratto privo della prescrizione circa l’obbligo di utilizzo del conto corrente unico da parte dell’aggiudicatario, sanzionata dalla successiva legislazione nazionale, non appare contrastante – ma, anzi, può convivere - con la previsione di nullità dell’atto antecedente (il bando), sancita dalla più datata normativa regionale. Potrebbe ben accadere, ad esempio, che il bando contempli legittimamente l’obbligo di fonte regionale di cui si discute, e ciononostante il contratto debba essere dichiarato risolto perché l’aggiudicatario non ha adempiuto agli obblighi di utilizzo degli strumenti di tracciabilità impostigli.
Ma vi è di più.
Sotto altro punto di vista, la tesi della incompatibilità fra la norma regionale e quella nazionale sopravvenuta non convince ove si rifletta sulla circostanza che la prima disposizione è frutto di una competenza legislativa esclusiva del legislatore siciliano, che non può quindi essere “invasa” (con modifiche e/o abrogazioni) da quella nazionale. Infatti, l’art. 2 della L.R. 15/2008 si inquadra nell’alveo della legislazione esclusiva in tema di “lavori pubblici” riconosciuta e garantita dall’art. 14, lett. g, dello Statuto regionale (sul punto, v. C.G.A. 721/2012). In verità, il Collegio non ignora la recente sentenza della Corte costituzionale – n. 35/2012 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di una norma di legge regionale (emessa da una Regione ordinaria) di tenore analogo a quella ora in esame, qualificando la legislazione sulla tracciabilità dei flussi finanziari come materia dell’ordine pubblico e sicurezza, come tale sottratta alla competenza legislativa delle Regioni. Tuttavia, appare non secondario il rilievo che l’art. 2 della legge siciliana in esame, pur mosso dalla finalità di garantire la tracciabilità finanziaria per esigenze di “politica criminale”, finisce – in buona sostanza – col normare essenzialmente alcuni aspetti delle procedure di indizione degli appalti pubblici, stabilendo che i relativi bandi debbano recare la clausola sopra esaminata. Non si può, quindi, sostenere che la disposizione esorbiti dalla materia dei “lavori pubblici” in cui la Regione Sicilia ha competenza legislativa esclusiva, ed integri quindi uno sconfinamento in settori riservati alla legislazione statale.
In conclusione, la L.R. 15/2008 deve ritenersi ancora vigente, e deve trovare applicazione nella fattispecie in esame.
Va rilevato, infine, che la suddetta legge pone una non equivoca sanzione di nullità del bando, che deve essere necessariamente intesa come nullità “totale”: ad interpretarla, infatti come nullità solo parziale, riferita ad una sola parte del bando (come sembra suggerire il C.G.A. nell’ordinanza cautelare n. 139/2013 emessa nell’altro giudizio), si finirebbe col frustrare in radice l’intento che ha spinto il legislatore regionale ad impedire tout court l’emanazione di bandi di gara privi della clausola in questione. In altri termini, la nullità investe l’intero atto (bando), in quanto privo di un elemento che il legislatore ha ritenuto essere essenziale.
In conclusione, viene rilevata e dichiarata la nullità del bando di gara oggetto del ricorso per violazione dell’art. 2 della L.R. 15/2008 e di tutti gli atti della procedura conseguenti.
La complessità della vicenda esaminata, testimoniata dall’evoluzione giurisprudenziale sopra descritta, induce a compensare le spese processuali fra tutte le parti costituite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Quarta),
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara la nullità del bando di gara per violazione dell’art. 2 della L.R. 15/2008 e di tutti gli atti della procedura conseguenti.
Compensa le spese processuali fra le parti costituite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 24 aprile 2013, giusta riserva dell’11 aprile 2013, con l'intervento dei magistrati:
Cosimo Di Paola, Presidente
Pancrazio Maria Savasta, Consigliere
Francesco Bruno, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 20/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Il giudizio circa il pericolo di infiltrazione maturato dal Prefetto non può essere sindacato dalla Stazione Appaltante
1. L’informativa prefettizia, per la sua natura cautelare e preventiva, non richiede la prova di un fatto ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di infiltrazioni o collegamenti con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste, per cui gli elementi raccolti non vanno riguardati in modo atomistico bensì nel loro insieme ed unitariamente.
2. La conseguente valutazione deve essere effettuata in relazione ad uno specifico quadro indiziario nel quale ogni elemento acquista valenza nella sua connessione con gli altri, non con finalità di accertamento di responsabilità, ma di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, rispetto alla quale risultano rilevanti anche fatti e vicende solo sintomatiche o indiziarie, al di là della individuazione delle responsabilità penali.
3. L'efficacia "interdittiva" dell’informativa atipica proviene direttamente dalla valutazione del Prefetto, per cui alla stazione appaltante non sono riconosciuti né il potere discrezionale né l'onere di verificare la portata e i presupposti dell'informativa, posto che i citati provvedimenti derivano direttamente dall'atto prefettizio e sono vincolati al giudizio circa il pericolo di infiltrazione maturato dal Prefetto; né può invocarsi l'articolo 11 del D.P.R. n. 258/1998 che attribuisce alla stazione appaltante una facoltà discrezionale da motivare però solo in caso di prosecuzione/ultimazione di appalto nonostante l'informativa.
N. 02650/2013REG.PROV.COLL.
N. 02395/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2395 del 2012, proposto da:
[***] srl, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Romano, con domicilio eletto presso dott. Angelo Caliendo in Roma, viale Liegi 41;
contro
[***] s.p.a.; Consorzio [***];
nei confronti di
U.T.G. - Prefettura di Napoli e Ministero dell'Interno, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI- SEZIONE I n. 06008/2011, resa tra le parti, concernente revoca aggiudicazione lavori di progettazione esecutiva ed esecuzione delle opere di restauro dell'ex convento di S. Nicola dei Mirri a Gragnano - informativa antimafia
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’ U.T.G. - Prefettura di Napoli e del Ministero dell'Interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 3 maggio 2013 il Cons. Vittorio Stelo e uditi per le parti gli avvocati Calabrese su delega dell’ avv. Romano e dello Stato Cimino;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.1. Il Tribunale amministrativo regionale della Campania – Sezione I, con sentenza n. 6008 del 9 e del 23 novembre 2011 depositata il 21 dicembre 2011, ha respinto, con compensazione delle spese, il ricorso proposto dalla [***] avverso i provvedimenti in data 20 e 23 maggio 2011 con cui la T.E.S.S. Costa del Vesuvio s.p.a. (in seguito, T.E.S.S.) ha disposto la revoca dell'aggiudicazione dei lavori di progettazione esecutiva ed esecuzione delle opere di restauro e rifunzionalizzazione dell'ex convento di San Nicola dei Mirri a Gragnano e la contestuale aggiudicazione al [***], nonché nei riguardi dell'informativa atipica della Prefettura di Napoli n. I/6303/Area 1/Ter/OSP/PL del 13 gennaio 2011, recante elementi valutabili ai sensi dell'articolo 1 septies del D.L. n. 629/1982, convertito in legge n. 762/1982, e posta a base del citato provvedimento di revoca.
1.2. Il T.A.R. ha infatti ritenuto che l'interdittiva antimafia atipica fosse supportata non solo dal rapporto fra il padre dell'amministratore unico con affine di personaggio malavitoso ma che nella presente fattispecie ricorressero altri elementi indiziari di supporto, quali collegamenti e cointeressenze imprenditoriali nonché l'attività d'indagine condotta dalla D.D.A. sulla procedura di gara in questione – sfociata in una operazione di contrasto alla criminalità organizzata (cd. operazione “Favola”), che ha comportato per l'appunto l'arresto del padre dell'amministratore unico ed il sequestro preventivo delle quote della [***]; si richiama anche la nota del commissariato di P.S. di Aversa del 2 febbraio 2004 che indica nel padre stesso elemento gravitante nell'ambito del clan dei [***].
Ha quindi rigettato le censure relative alla mancata comunicazione dell'avvio del procedimento, in considerazione della natura del procedimento stesso caratterizzato da riservatezza e urgenza, e all'incompetenza della Prefettura di Napoli, posto che i lavori in questione dovevano eseguirsi in quella provincia e non in quella di Caserta ove risiedeva l'impresa ricorrente; i provvedimenti sono idoneamente motivati né il lasso di tempo (8 mesi) trascorso dall'aggiudicazione ha inficiato l'informativa stessa che, per i fini di prevenzione antimafia, ha assunto evidente carattere di predominanza.
2. La [***] srl, in persona dell'amministratore giudiziario, con atto notificato il 19 marzo 2012 e depositato il 3 aprile 2012, ha interposto appello, con domanda di sospensiva, deducendo che il giudice di primo grado ha omesso di rilevare per l'appunto l'intervenuta nomina di un amministratore giudiziario e quindi l'impossibilità ormai di infiltrazioni e condizionamenti di natura camorristica, ha invece considerato l'arresto del padre dell'amministratore unico anche se avvenuto dopo la data di discussione del ricorso e ha dato erroneamente rilievo alla citata nota del Commissario di P.S. di Aversa che comunque è stata impugnata autonomamente presso lo stesso T.A.R..
Ripropone in via subordinata la censura di incompetenza della Prefettura di Napoli e di violazione dell'articolo 7 della legge n. 241/1990, e ribadisce l'illegittimità della revoca dell'aggiudicazione disposta dalla T.E.S.S., dopo 8 mesi e alcuni contenziosi vinti in sede giurisdizionale, senza alcun motivo e senza valutazione delle ragioni di pubblico interesse.
Richiede l'inefficacia del contratto eventualmente frattanto stipulato con il Consorzio [***] con riserva di danni.
3. Il Ministero dell'Interno e l'Ufficio Territoriale di Governo – Prefettura di Napoli si sono costituiti con mero atto formale dell'Avvocatura generale dello Stato depositato il 17 aprile 2012 con la nota n. 38998 in data 20 dicembre 2011 dell'U.T.G. già prodotta in primo grado, nella quale, nel sostenere la legittimità della interdittiva antimafia in questione adottata anche in osservanza del protocollo di legalità sottoscritto dal Comune di Gragnano, si fa presente che la Prefettura di Caserta, con nota n. 2141 del 1° dicembre 2011, ha adottato altro provvedimento interdittivo ai sensi dell'art. 10 del D.P.R. n. 252/1998.
4. Questa Sezione, con ordinanza n. 1822 dell'11 maggio 2012, ha respinto l'istanza cautelare “restando ferma la facoltà del neo Commissario giudiziale di attivarsi presso l'autorità prefettizia informandola della nuova situazione della società ai fini di eventuali ulteriori provvedimenti”.
5. La causa, all'udienza pubblica del 3 maggio 2013, è stata trattenuta in decisione.
6.1. L’appello è infondato e la sentenza impugnata merita conferma, condividendosi le puntuali argomentazioni già svolte dal T.A.R..
6.2. La materia è stata oggetto di più pronunciamenti giurisprudenziali e la Sezione intende conformarsi agli orientamenti ormai consolidati e ribaditi anche con proprie sentenze che hanno fra l’altro sottolineato la specifica valenza degli accertamenti disposti dal Prefetto e delle conseguenti valutazioni formulate sulla base di un quadro indiziario nel quale assumono valore preponderante fatti e circostanze di varia natura da prendere in considerazione non isolatamente ma nella loro globalità.
L’informativa in questione invero, per la sua natura cautelare e preventiva, non richiede la prova di un fatto ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di infiltrazioni o collegamenti con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste, per cui gli elementi raccolti non vanno riguardati in modo atomistico bensì nel loro insieme ed unitariamente.
La conseguente valutazione deve essere effettuata in relazione ad uno specifico quadro indiziario nel quale ogni elemento acquista valenza nella sua connessione con gli altri, non con finalità di accertamento di responsabilità, ma di massima anticipazione dell’azione di prevenzione, rispetto alla quale risultano rilevanti anche fatti e vicende solo sintomatiche o indiziarie, al di là della individuazione delle responsabilità penali.
L’informativa antimafia quindi deve fondarsi su di un quadro fattuale di elementi che, pur non dovendo assurgere necessariamente a livello di prova, anche indiretta, siano tali da far ritenere ragionevolmente, secondo l’ id quod plerumque accidit, l’esistenza di elementi che sconsigliano l’instaurazione o la continuazione di un rapporto con la P.A., nella considerazione che la discrezionalità nella valutazione dei presupposti a base dell’atto è di latitudine maggiore proprio nella fattispecie degli accertamenti disposti dal Prefetto in quanto le infiltrazioni possono essere dedotte anche da parametri non predeterminati normativamente.
6.3. Alla stregua di tale premessa di carattere generale la Sezione ritiene che nel caso di specie i molteplici elementi indiziari e le valutazioni che giustificano la informativa antimafia atipica superano il vaglio della congruità, logicità e ragionevolezza e che nessuno dei rilievi mossi riveste consistenza tale da incidere sulla sua legittimità, non sussistendo in effetti il lamentato difetto di presupposti, di istruttoria e di motivazione né le altre carenze, omissioni e violazioni vuoi nella sentenza impugnata che negli atti contestati in primo grado.
E’ vero che questo Consesso ha escluso che il mero rapporto parentale con soggetti sospettati di affiliazione o di appartenenza ad organizzazione sia di per sé solo rilevante ma ciò in difetto di altri elementi atti a dimostrare la possibile permeabilità dell’azienda.
Nel caso specifico al rapporto di parentela si aggiungono le altre indicazioni concernenti cointeressenze imprenditoriali, indagini in corso della D.D.A., rapporti delle forze dell’ordine che offrono sufficienti elementi che fanno temere per l’appunto la permeabilità dell’impresa a tentativi di infiltrazione mafiosa con possibilità, anche in maniera indiretta, di condizionamenti e di agevolazione delle attività criminali, e ciò anche a prescindere dalle risultanze penali.
Sulla base di tali concordanti circostanze, tenuto anche conto della particolare delicatezza della situazione ambientale in cui si innesta la fattispecie e che ha registrato pure la nomina di un amministratore giudiziario, la valutazione effettuata dalla Prefettura circa la sussistenza di concreti elementi relativi a possibili condizionamenti e infiltrazioni nell’azienda non può dirsi irragionevole o illogica.
Riguardo all’attualità dell’informativa, la giurisprudenza amministrativa ha ripetutamente posto in rilievo che l’informativa non deve necessariamente collegarsi ad accertamenti in sede penale sull’ esistenza della contiguità con organizzazioni malavitose e del condizionamento in atto dell’attività della società, ma può essere sorretta da elementi sintomatici ed indiziari da cui emergano gli elementi di pericolo di dette infiltrazioni mafiose.
Ed è notorio che l’istruttoria svolta dal Prefetto, per la complessità e la delicatezza degli accertamenti, richiede tempi tecnici non brevissimi e comunque è volta a “fotografare” la situazione corrente all’atto delle richieste della P.A. e abbraccia un determinato lasso di tempo coevo all’istruttoria; fatti successivi, pur se favorevoli alla società, possono semmai dare luogo ad altro procedimento.
Nella fattispecie gli elementi agli atti dell’informativa corroborano l’attualità del quadro indiziario e le dedotte successive circostanze non assumono alcuna valenza incisiva né demolitoria del contesto di infiltrazioni e condizionamenti, come delineato dalla Prefettura anche in prospettiva.
Si soggiunge che, come è superfluo evidenziare, non è stata qui posta in discussione né “sfiduciata” la gestione dell’amministrazione giudiziaria, che viene invece valutata dal Tribunale, sottolineando che il decreto di nomina dell’amministratore giudiziario affida allo stesso tutti i poteri di custodia, conservazione e amministrazione dei beni sequestrati anche nel corso degli eventuali contenziosi. D’altra parte nessuna notizia è stata fornita, nonostante il tempo trascorso, circa eventuali iniziative intraprese dall’amministratore nei riguardi dell’autorità prefettizia “ai fini di eventuali ulteriori provvedimenti”, come prospettato dalla Sezione con la citata ordinanza cautelare n.1822/2012.
Quanto alla disposta revoca dell’aggiudicazione dei lavori di cui trattasi, la Sezione intende anche nel caso di specie ribadire l’orientamento del Consiglio secondo cui l’efficacia “interdittiva” proviene direttamente dalla valutazione del Prefetto, per cui alla stazione appaltante non sono riconosciuti né il potere discrezionale né l’onere di verificare la portata e i presupposti dell’informativa, posto che i citati provvedimenti derivano direttamente dall’atto prefettizio e sono vincolati al giudizio circa il pericolo di infiltrazione maturato dal Prefetto; né può invocarsi l’articolo 11 del D.P.R. n. 258/1998 che attribuisce alla stazione appaltante una facoltà discrezionale da motivare però solo in caso di prosecuzione/ultimazione di appalto nonostante l’informativa.
Il provvedimento adottato dalla TESS Costa del Vesuvio contiene invero tutti gli elementi e i riferimenti, di fatto e di diritto, necessari a configurare la fattispecie e, nella motivazione, viene fatto richiamo anche al Protocollo di Legalità sottoscritto dal comune di Gragnano e alla riserva apposta in sede di aggiudicazione da sciogliere ad acquisizione positiva della documentazione relativa a detto protocollo.
Le altre censure dedotte circa l’incompetenza della Prefettura di Napoli e la violazione degli articoli 7 e seguenti della legge n. 241/1990 sono state preliminarmente confutate dal giudice di primo grado con adeguata motivazione che il Collegio condivide appieno e che non necessita di ulteriori argomentazioni. Peraltro, come riferisce l’Avvocatura dello Stato la Prefettura di Caserta ha adottato altra interdittiva antimafia con nota n. 2141 dell’1 dicembre 2011.
7. Per le considerazioni che precedono l’appello va respinto e la sentenza impugnata va confermata.
Le spese di giudizio seguono la soccombenza come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna parte appellante al pagamento delle spese di giudizio da liquidarsi in € 3000,00 (tremila),oltre agli accessori di legge, a favore della controparte costituita (UTG-Prefettura di Napoli e Ministero Interno).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 maggio 2013 con l'intervento dei magistrati:
Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente
Vittorio Stelo, Consigliere, Estensore
Roberto Capuzzi, Consigliere
Dante D'Alessio, Consigliere
Pierfrancesco Ungari, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Sul potere-dovere del Contraente Generale di valutare criticamente gli elementi di giudizio forniti dalla Prefettura con le informative atipiche
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso in appello principale n. 813 del 2012 proposto dalla
E******** società consortile per azioni
(in seguito, E*******), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato ********* ed elettivamente domiciliata in Palermo, via ******** n. 44, presso lo studio dello stesso;
c o n t r o
il signor R***** L******, in qualità di titolare della omonima ditta individuale, rappresentato e difeso dall’avv. *******, presso lo studio del quale, in Palermo, via *****, 43, è elettivamente domiciliato;
e nei confronti
del MINISTERO DELL’INTERNO e delle PREFETTURE – U.T.G. DI PALERMO e DI AGRIGENTO, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo, domiciliataria ex lege presso gli uffici della stessa in via A. De Gasperi, 81;
e di
C*********** s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituitasi in giudizio;
e sull’appello incidentale proposto dal signor R**** L*****, come sopra rappresentato e difeso, contro il MINISTERO DELL’IN-TERNO, le PREFETTURE – UTG DI PALERMO e di AGRIGENTO, la s.c.p.a. E********, ut supra rappresentati e difesi, la s.p.a. C******** e l’ANAS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. per la Sicilia - sede di Palermo (sez. I) - n. 1710 del 31 luglio 2012;
visto il ricorso in appello della società E********, con i relativi allegati;
vista la memoria con appello incidentale di L******** R****;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura dello Stato per le amministrazioni suindicate;
viste le ordinanze cautelari nn. 608 e 666 del 2012;
viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
visti gli atti tutti della causa;
relatore il consigliere Marco Buricelli;
uditi, alla pubblica udienza del 27 marzo 2012, l’avv. ************, su delega dell’avv. *********, per la società appellante, l’avv. *********, su delega dell’avv. ********, per l’appellato e l’avv. dello Stato ***** per le amministrazioni appellate;
ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
F A T T O E D I R I T T O
1. Appare utile ripercorrere, in modo sintetico, nel suo svolgersi, l’articolata vicenda sottoposta all’attenzione di questo Consiglio.
1.1. La società E********, aggiudicataria dei lavori per l’adeguamento della SS 640 di Porto E******** – itinerario Agrigento – Caltanissetta – A19, in qualità di Contraente Generale (CG), ha sottoscritto, in data 9 marzo 2009, unitamente alle Prefetture di Agrigento e Caltanissetta, alla s.p.a. ANAS e alla Regione Sicilia, un protocollo di legalità al dichiarato fine di prevenire eventuali tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata.
Per quanto qui più rileva, l’art. 1, comma 3, del protocollo stabilisce che il contraente generale si impegna a inserire, nei contratti -tra l’altro, di trasporto di materiali - una apposita clausola con la quale il terzo affidatario assume l’obbligo di fornire, al contraente generale, perché possa richiedere le informazioni antimafia preventive, gli stessi dati precedentemente indicati, relativi alle società e alle imprese subappaltatrici e/o sub affidatarie interessate alla esecuzione dell’opera. Nella stessa clausola si stabilisce che le stesse imprese accettano esplicitamente il sistema sanzionatorio convenuto con il protocollo, compresa la possibilità di revoca degli affidamenti o di risoluzione del contratto o subcontratto nei casi di mancata o incompleta comunicazione dei dati o delle modifiche a qualsiasi titolo intervenute presso le imprese affidatarie, nonché la risoluzione automatica del contratto o la revoca dell’affidamento da parte del contraente generale nei casi indicati dall’art. 4, comma 2, del protocollo.
L’art. 4 del protocollo prevede che qualora, a seguito delle verifiche disposte ai sensi dell’art. 10 del d.P.R. n. 252/1998, emergano elementi relativi a tentativi o pericoli di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, la Prefettura – UTG ne dà immediata comunicazione all’ANAS e al CG il quale non può stipulare il contratto o concludere l’affidamento e non può autorizzare il subcontratto o il sub affidamento.
Ai commi da 2 a 4 del medesimo art. 4 è prevista l’attivazione, nei contratti e subcontratti, della clausola risolutiva espressa e la conseguente estromissione della società, o impresa, cui le informazioni ex articoli 10 e 11 del d.P.R. n. 252/1998 si riferiscono. Il CG si impegna a inserire in contratto, o a far inserire, da parte dell’affidatario o fornitore, nei relativi subcontratti, apposita clausola in forza della quale, nel caso che le “informazioni antimafia” di cui all’art. 10, d.P.R. n. 252/1998 abbiano dato esito positivo, il contratto è risolto di diritto.
L’art. 5 stabilisce che: “1.- ai fini dell’applicazione del presente Protocollo, il CG si impegna a valutare le informazioni di cui all’art. 10, comma 9, del d.P.R. n. 252/1998 (c. d. informazioni atipiche) ai fini della eventuale revoca dell’affidamento o del sub affidamento o dell’autorizzazione al sub affidamento ai sensi dell’art. 11, comma 3, d.P.R. n. 252/1998. L’affidatario e/o il sub affidatario resta, in tal caso, impegnato e legittimato all’attivazione immediata della risoluzione del contratto e alla conseguente estromissione della società o impresa cui le Informazioni atipiche si riferiscono. 2.- La comunicazione delle Informazioni atipiche da parte della Prefettura – UTG al CG e all’ANAS deve recare l’indicazione che è fatta ai fini del presente articolo del Protocollo. 3.- A tale fattispecie si applicano le stesse disposizioni previste all’art. 4, ivi compreso l’inserimento nei contratti e subcontratti della clausola risolutiva espressa e della penale”.
1.2. Il 5 febbraio 2009, E******** e C******** hanno concluso un contratto avente a oggetto l’affidamento della fornitura di circa 300.000 mc. di conglomerati cementizi e recante, all’art. 10, l’espresso impegno della seconda a rispettare e a far rispettare quanto stabilito dal sopra trascritto Protocollo di legalità.
1.3. In data 1° aprile 2011 C******** ha concluso con l’impresa R**** un contratto di sub affidamento, avente validità triennale, con scadenza il 31 marzo 2014, salvo proroghe tacite per ulteriori periodi annuali, con cui il R**** si impegna a prestare, dietro corrispettivo, servizi di trasporto di materiali inerti. L’art. 24 del contratto, intitolato “obblighi a carico del Vettore – clausola risolutiva espressa – penale”, dispone tra l’altro che (comma 1) “il Vettore dichiara di assoggettarsi e di accettare … il Protocollo d’Intesa e il sistema sanzionatorio ivi previsto ai fini della prevenzione dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata, sottoscritto in data 9.3.2009 …”… (comma 4) “In caso di mancata produzione, in tutto o in parte, della documentazione richiesta da parte del Vettore, ovvero qualora dall’informativa prefettizia o nel corso del rapporto emergano elementi ostativi e per tali motivi il Contraente Generale non autorizzi la prosecuzione del presente contratto, il Contratto stesso dovrà considerarsi risolto di diritto ex art. 1456 c. c. senza necessità di messa in mora o di pronuncia giudiziaria … A tal fine le informazioni c. d. atipiche di cui all’art. 10, comma 9, del citato d.P.R. 252/98 produrranno il medesimo effetto interdittivo delle informazioni c. d. tipiche e pertanto il presente contratto verrà risolto di diritto …”.
1.4. Con note del 27 aprile e del 17 giugno 2011, le Prefetture di Palermo e di Agrigento hanno emesso informative antimafia atipiche, o supplementari concernenti il signor R****, segnalando che le risultanze investigative hanno evidenziato il vincolo di affinità intercorrente tra il R**** e (il suocero), persona (uccisa nel 2004) ritenuta “imprenditore vicino” all’organizzazione criminale di stampo mafioso e a carico della quale erano stati emessi sia un provvedimento restrittivo nel 1998 per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata alla turbativa d’asta, sia una misura di prevenzione personale e patrimoniale.
Con nota del 15 luglio 2011 E******** ha sollecitato C******** a non instaurare alcun rapporto contrattuale con la impresa R****.
Con nota del 28 luglio 2011, C******** ha comunicato al R**** l’intendimento del CG di non autorizzare il sub affidamento, dichiarando di avvalersi della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 24 del citato contratto 1° aprile 2011.
2. Nel settembre del 2011 L****** R**** ha impugnato, dinanzi al TAR Sicilia – Palermo, le informative antimafia supplementari 27 aprile e 17 giugno 2011, la citata nota del 28 luglio 2011 di diniego di autorizzazione al sub affidamento e di risoluzione di diritto del contratto, e gli atti connessi e conseguenti.
3. Con sentenza n. 1963 del 12 ottobre - 2 novembre 2011 il TAR di Palermo ha giudicato fondato il ricorso. Premesso che “è stata adottata una informativa antimafia atipica negativa, la cui efficacia interdittiva … non è automatica ma deriva da una valutazione autonoma e discrezionale della stazione appaltante, come, peraltro, previsto dallo stesso art. 5 del protocollo di legalità richiamato negli atti posti alla base della risoluzione del rapporto contrattuale in questione”, il giudice di primo grado ha accolto la censura di difetto di istruttoria e di motivazione “avuto riguardo all’orientamento giurisprudenziale secondo il quale l’informativa “atipica” deve considerarsi atto non vincolante, che lascia spazio alla discrezionalità dell’Amministra-zione destinataria della stessa, cui spetta valutarne l’incidenza nella specifica procedura di riferimento … essendo necessaria una ampia motivazione, soprattutto quando, nonostante il contenuto negativo della informativa, si decida di instaurare o proseguire il rapporto con l'impresa … non potendosi, però, ritenere esonerata l'amministrazione dal procedere alla suddetta valutazione, con conseguente illegittimità di esclusioni disposte in via automatica …” (nel dispositivo di accoglimento il TAR ha, per l’effetto, annullato “gli atti impugnati”: si trattava, stando all’elenco indicato nella epigrafe della decisione, delle note delle Prefetture – UTG di Agrigento e di Palermo, della nota del 28 luglio 2011 della C********, della nota del 15 luglio 2011 della E********, del contratto di trasporto del 1° aprile 2011, limitatamente alle parti impugnate, del Protocollo di Legalità del 9 marzo 2009, limitatamente alle parti impugnate, delle procedure aziendali citate nella nota del 15 luglio 2011, mai conosciute, del codice per l'applicazione del Protocollo di Legalità approvato dal C. di A. del Contraente Generale in data 29 marzo 2010, del c.s.a. e del bando, mai conosciuti, relativi all'affidamento dei lavori dal Contrante Generale alla C********, dell'eventuale autorizzazione del Contraente Generale al sub affidamento relativo al contratto di trasporto tra la C******** e altre ditte, e dell'eventuale contratto di trasporto tra la C******** e altre ditte).
4. L’Amministrazione dell’interno ha appellato la sentenza e questo CGA, con la decisione n. 514/2012, in accoglimento dell’ap-pello ha dichiarato la nullità della sentenza e rinviato la controversia dinanzi al TAR per avere, il giudice di primo grado, annullato anche atti anteriori a quelli della cui illegittimità si dà conto in motivazione, senza spiegare come il vizio dell’atto presupponente potesse essere comunicato all’atto presupposto, incorrendo così in un oggettivo e insanabile contrasto logico tra dispositivo e motivazione.
5. Nelle more E********, riesaminata la questione, con atto del 4 gennaio 2012 ha confermato la risoluzione del contratto richiamando, a sostegno della decisione, il combinato disposto di cui agli articoli 5, comma 3, e 4, comma 4, del Protocollo di Legalità, in base al quale, come detto, nel caso di esito positivo delle informazioni antimafia, anche atipiche o supplementari, il contratto deve intendersi risolto di diritto (clausola risolutiva espressa recepita nell’art. 24.4. del contratto 1° aprile 2011); evidenziando che, in presenza di una informativa antimafia c. d. atipica, la stazione appaltante non ha il potere né l’onere di verificarne la portata o i presupposti, talché è sufficiente una motivazione per relationem alla informativa stessa e ai protocolli di legalità; e soggiungendo che la determinazione contraria al sub affidamento è connessa inoltre all’esigenza di rispettare in modo scrupoloso il codice etico del Gruppo CMC e di tutelare al massimo la collettività dal rischio della commissione di reati durante l’esecuzione dei lavori.
6. Avverso l’avvenuta risoluzione del contratto e, ove occorra, per l’annullamento delle note delle Prefetture di Agrigento e Palermo del 17.6. e 27.4.2011, del codice etico del gruppo CMC, del contratto di trasporto del 1° aprile 2011, limitatamente alle parti impugnate, del Protocollo di Legalità del 9 marzo 2009, anch’esso limitatamente alle parti impugnate e, in sintesi, contro gli atti elencati in dettaglio nella sentenza del CGA n. 514/2012 dichiarativa della nullità della sentenza del TAR di Palermo n. 1963/11; oltre che per ottenere il risarcimento del danno in forma specifica mediante la reintegrazione nel rapporto contrattuale illegittimamente risolto e per conseguire inoltre il risarcimento per equivalente del danno patrimoniale e non patrimoniale subito, il R**** ha proposto un nuovo ricorso dinanzi al TAR Sicilia.
7. Il TAR di Palermo, con la sentenza in epigrafe, dopo avere premesso, per quanto qui più rileva, che la clausola risolutiva espressa inserita all’art. 24.4. del contratto di sub affidamento tra C******** e R****, “nella interpretazione data dal general contractor ha equiparato espressamente le informative tipiche a quelle atipiche, con la conseguenza che queste ultime erano da ritenersi presupposto sufficiente per procedere alla risoluzione del rapporto, essendosi il general contractor e i suoi affidatari privati dei poteri di verifica della sussistenza di condizioni ulteriori preclusive dell’affidamento … (che) in altri termini la risoluzione del contratto è avvenuta in virtù della equiparazione delle informative tipiche a quelle atipiche ed è stata motivata “per relationem” con riferimento alla determinazione prefettizia relativa alla ricorrente”, ha giudicato fondato il ricorso sotto l’assorbente profilo del difetto di motivazione, con conseguente annullamento degli atti impugnati.
Il TAR ha sottolineato in particolare che, pur dovendosi condividere l’affermazione di principio per cui ai fini della revoca della aggiudicazione di un appalto a seguito della acquisizione di una informativa antimafia atipica è sufficiente l’esistenza di elementi sintomatici del pericolo di collegamento tra l'impresa e le organizzazioni criminali, è anche vero che occorre pur sempre una adeguata istruttoria dalla quale emergano elementi indiziari che, complessivamente considerati, rendano attendibile l'ipotesi del tentativo di ingerenza da parte di tali organizzazioni, comportando, un diverso modus procedendi il rischio della estromissione dal circuito degli appalti pubblici di imprese non collegate con il circuito mafioso, con conseguente alterazione dei meccanismi della concorrenza. Con riguardo in particolare ai legami parentali gli stessi, in sé considerati, non possono essere ritenuti idonei a sorreggere in modo autonomo una informativa negativa dato che possono assumere rilievo solo qualora emerga una concreta verosimiglianza dell'ipotesi di controllo o di condizionamento sull'impresa da parte del soggetto unito da tali legami al responsabile o amministratore dell'impresa stessa, ovvero un intreccio di interessi economici e familiari, dai quali sia possibile desumere la sussistenza dell'oggettivo pericolo che rapporti di collaborazione intercorsi a vario titolo tra soggetti inseriti nello stesso contesto familiare costituiscano strumenti volti a diluire e mascherare l'infiltrazione mafiosa nell'impresa considerata.
Nella specie – ha specificato il TAR –, l’informativa risulta fondata esclusivamente sulla circostanza che le risultanze investigative avevano evidenziato che il suocero del R**** era stato ucciso il 5 ottobre 2004 ed era stato indicato da vari collaboratori di giustizia come imprenditore edile vicino a “Cosa Nostra”, per conto della quale avrebbe svolto ruolo di intermediario, curando la c. d. “messa a posto” (vedi nota del Comando Provinciale dei Carabinieri di Palermo prot. n. 358010/1 – 8 “P” 31 marzo 2011, in atti).
Il TAR ha concluso che il mero rapporto di affinità con soggetto ucciso nel 2004 non è idoneo, in assenza di ulteriori elementi, a sorreggere sotto il profilo motivazionale la risoluzione disposta con il provvedimento impugnato, il quale sotto tale profilo si appalesa illegittimo, senza che a diversa conclusione possa giungersi sulla base del riferimento fatto dalla difesa della E******** alla decisione della III sezione del Consiglio di Stato n. 5995 del 12 novembre 2011, riguardante una informativa antimafia tipica basata su una pluralità di corposi elementi indiziari.
8. E******** ha appellato la sentenza deducendone la erroneità sotto i profili che seguono:
I) nella parte in cui si afferma che la risoluzione del contratto di sub affidamento tra la società C******** e la impresa R**** costituirebbe il risultato di una equiparazione tra informative tipiche e atipiche, e che la motivazione dell’atto di risoluzione del contratto si esaurirebbe in un mero rinvio per relationem alla informativa prefettizia supplementare. E******** evidenzia che la risoluzione trova giustificazione (v. pag. 3 nota impugnata 4 gennaio 2012) anche nell’esigenza di osservare scrupolosamente il codice etico del Gruppo CMC e di tutelare al massimo la collettività dal rischio della commissione di reati durante l’esecuzione dei lavori. Inoltre, poiché la stazione appaltante non avrebbe né il potere, né l’onere di verificare la portata o i presupposti della informativa supplementare, o atipica, la quale produce un effetto parzialmente vincolante per la stazione appaltante, la motivazione della disposta risoluzione risulta adeguata;
II) le note prefettizie non sarebbero censurabili sotto l’aspetto della (in) sufficienza e della (in) congruità della motivazione, tenuto conto: dell’ampia discrezionalità che caratterizza il potere valutativo del Prefetto in materia; della intensità del legame parentale, venendo in rilievo un rapporto di affinità diretta, e del fatto che l’assassinio del suocero dell’appellato è stato posto in relazione al suo ruolo di intermediario per “Cosa Nostra”, la cui struttura organizzativa è sagomata proprio sui legami familiari dai quali trae forza per radicarsi sul territorio e imporre i propri traffici; della dimensione limitata, e della natura individuale, della impresa dell’appellato, con conseguente coincidenza tra interessi della impresa e interessi della persona che la gestisce, oltre che della ristrettezza del territorio in cui l’impresa ha stabilito la propria sede (il comune di Altavilla Milicia); della circostanza che il settore commerciale di riferimento, vale a dire quello del trasporto di materiali inerti, risulta notoriamente inquinato dalla presenza di operatori con radicamento in ambienti mafiosi; e della qualificazione come informativa atipica, o supplementare, dell’apprezzamento compiuto dalla autorità competente (il TAR avrebbe indebitamente valutato la congruità sotto il profilo motivazionale di una informativa atipica alla luce di presupposti connaturati al diverso istituto delle informative interdittive tipiche);
III) infine, la sentenza andrebbe riformata quantomeno nella parte in cui dispone in modo indistinto l’annullamento di tutti gli atti impugnati e, dunque, tra questi, anche del Protocollo di Legalità e del Codice Etico, in quanto sprovvista di una motivazione adeguata a sostegno del decisum.
9. Il signor L****** R****, con “memoria con appello incidentale”:
- ha formulato diverse eccezioni in rito, rivolte a far dichiarare inammissibile il ricorso in appello (carenza di rappresentanza processuale in capo a E******** dato che il legale rappresentante della società non risulta essere stato autorizzato a proporre appello dal Consiglio di amministrazione; nullità del rapporto processuale per difetto di idonea procura: il legale rappresentante della società avrebbe conferito il potere di difesa all’avvocato non in riferimento alla società, ma in ordine alla sua persona nella qualità; omessa notifica dell’appello all’ANAS; mancata indicazione dei capi della decisione appellata; omessa specificazione dei motivi d’appello contro i capi della sentenza);
- ha controdedotto nel merito insistendo sul difetto di motivazione che inficerebbe gli atti impugnati;
- ha dedotto il vizio di omessa pronuncia, da parte del TAR, su un punto decisivo della controversia, rilevando la violazione dell’art. 121 c. p. a. per non avere, il TAR, dichiarato l’efficacia del contratto di sub affidamento C******** / R**** del 1° aprile 2011, e la inefficacia dell’eventuale contratto di trasporto di materiali inerti stipulato con terzi, previo annullamento dell’eventuale autorizzazione alla stipula di un nuovo sub affidamento, dovendosi ordinare alla C******** di dare esecuzione al - o meglio, di far proseguire il - contratto di trasporto di materiali citato, e di non dare esecuzione a contratti eventualmente sottoscritti con altre ditte. Il TAR ha inoltre omesso di esaminare la domanda risarcitoria in forma specifica, mediante la prosecuzione del contratto citato, e la domanda di risarcimento dei danni per equivalente, “subiti e subendi”, provocati dalla risoluzione del contratto, a titolo di danno emergente e di lucro cessante, oltre al danno c. d. curriculare e alla immagine e agli accessori; danni addebitabili in solido alle due Prefetture e al Ministero, a E******** e a C********;
- qualora si ritenga che in prime cure non siano stati annullati tutti gli atti impugnati, nelle parti indicate, viene ribadita l’illegittimità degli atti e dei provvedimenti impugnati per le ragioni già addotte in primo grado e ritenute assorbite dal TAR. Ad avviso del R**** il CG, destinatario della informazione c. d. atipica, alla luce dell’art. 5 del Protocollo di Legalità, secondo cui il CG valuta le informative atipiche ai fini della eventuale revoca dell’affidamento o del sub affidamento, avrebbe dovuto sottoporre a valutazione critica gli elementi forniti dalle Prefetture, anziché disporre in via immediata e diretta la risoluzione del rapporto contrattuale; l’art. 24 del contratto di sub affidamento, nel suo complesso, dev’essere interpretato nel senso che alla nota prefettizia avente a oggetto una informativa c. d. atipica o supplementare non può attribuirsi una automatica efficacia interdittiva; diversamente opinando, ossia riconoscendo ex contractu alla informativa atipica una automatica efficacia interdittiva, con conseguente risoluzione di diritto del contratto, una clausola contrattuale così interpretata sarebbe invalida per violazione di disposizioni inderogabili del codice civile, di legge e del Protocollo di Legalità (il quale ultimo prevede, lo si ripete, che in caso di informativa prefettizia atipica il CG procede a valutare discrezionalmente gli elementi ricavabili dalla informativa, e solamente se il CG si determina nel senso di non autorizzare la prosecuzione del sub affidamento il vincolo negoziale è soggetto a risoluzione); attribuendo alla informativa atipica una automatica efficacia interdittiva, le disposizioni del Protocollo di Legalità, così interpretate, sarebbero invalide per violazione di norme di legge inderogabili, con particolare riferimento agli articoli 10 e seguenti del d.P.R. n. 252/98 e dell’art. 1 - septies del d. l. n. 629/82, conv. in l. n. 726/82, ove alla informativa atipica non consegue un automatico effetto interdittivo, ma si esige che l’Ente destinatario della informativa valuti discrezionalmente il contenuto della nota riservata; nella specie non sussistevano le condizioni per rendere una informativa atipica e anche il richiamo al Codice Etico del Gruppo CMC è improprio.
10. L’Avvocatura dello Stato ritiene sufficiente e logica la motivazione della informativa prefettizia atipica del 17.6.2011 ed eccepisce la inammissibilità dell’appello incidentale del R****, concretandosi l’atto stesso in una “pedissequa riproduzione dei motivi del ricorso di primo grado”. L’Avvocatura conclude chiedendo di riformare la sentenza e di dichiarare inammissibile, o rigettare nel merito, l’appello incidentale.
11. Con ordinanza n. 608 dell’8 novembre 2012 questo Consiglio, ritenendo, a un primo esame, l’appello provvisto di fumus, ha accolto la domanda di misure cautelari presentata da E******** sospendendo l’efficacia della sentenza impugnata. Con ordinanza n. 666 del 13 dicembre 2012 questo CGA ha rigettato l’istanza, avanzata dal R****, di revoca del provvedimento cautelare collegiale accordato con l’ordinanza n. 608/12.
12. All’udienza del 27 marzo 2013 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
13. Le conclusioni alle quali il Collegio era pervenuto in sede cautelare, a un primo esame, devono essere rimeditate, in seguito a un maggiore approfondimento delle argomentazioni svolte in particolare dalla difesa di L****** R****.
14. Alla luce del suesposto riepilogo della vicenda, sul piano sia amministrativo, sia processuale, il Collegio ritiene che le questioni principali, peraltro connesse le une con le altre, e da risolvere in modo congiunto, riguardino, essenzialmente, la sufficienza e la logicità, o meno, delle informative prefettizie atipiche sulla base delle quali il CG si è determinato a risolvere il contratto (sia pure aggiungendo, nell’atto di risoluzione, che la determinazione contraria al sub affidamento deriva anche dalla esigenza di rispettare in modo scrupoloso il codice etico del Gruppo CMC), e la soluzione da dare al quesito sul se, effettivamente, il Protocollo di Legalità, e il contratto di sub affidamento stipulato a valle, andassero interpretati nel senso di attribuire, alla informativa prefettizia atipica, una automatica efficacia interdittiva, con conseguente esonero del CG da qualsiasi potere –dovere di valutazione discrezionale degli elementi ricavabili dalla informativa medesima al fine di determinarsi sulla prosecuzione o, viceversa, sulla risoluzione, del sub affidamento. Occorre poi chiarire e precisare l’effettiva portata annullatoria della sentenza del TAR.
15. Benché, in modo conforme a quanto ritenuto dall’appellante principale E******** nella prima parte del I motivo d’appello, vada corretto uno dei presupposti argomentativi dai quali il TAR ha preso le mosse nell’accogliere il ricorso - vale a dire quello della equiparazione tra informative tipiche e informative atipiche - , dovendosi viceversa concludere nel senso della insussistenza di una equiparazione, tra le une informative e le altre, rinvenibile dal Protocollo di Legalità, ciò non comporta l’accoglimento dell’appello principale. Anzi, in modo conforme a quanto dedotto dal R**** nell’appello incidentale, ciò introduce un profilo di illegittimità in via autonoma dell’atto di risoluzione per avere, il CG, disposto in via immediata e diretta la risoluzione del contratto omettendo di sottoporre a valutazione critica e motivata gli elementi di giudizio forniti dalle Prefetture con le informative atipiche.
16. Prima di esaminare il merito delle questioni va però specificato che:
a) la infondatezza dell’appello principale di E******** esime il Collegio dall’esaminare e decidere le eccezioni in rito formulate dalla difesa del R****, salvo precisare che la estraneità dell’ANAS alla intera vicenda, dato che non vengono in rilievo atti emanati dalla Azienda delle strade, rende irrilevante la questione relativa alla omessa notifica dell’appello all’ANAS medesima;
b) quanto alla dedotta (dall’Avvocatura dello Stato) inammissibilità dell’appello incidentale proposto da L****** R****, che, quantunque l’appellato non fosse tenuto a proporre una formale impugnazione in via incidentale, potendo limitarsi a riproporre, in grado di appello, la domanda non esaminata dal TAR, dall’esame della memoria con appello incidentale del R**** emerge comunque con chiarezza la contestazione della sentenza per ciò che riguarda la omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, attinente alla dichiarazione di efficacia del contratto di sub affidamento C******** / R**** del 1° aprile 2011 e, correlativamente, alla declaratoria di inefficacia dell’even-tuale contratto di trasporto di materiali inerti stipulato con terzi previo annullamento dell’eventuale autorizzazione alla stipula, con soggetti terzi, di un nuovo sub affidamento, oltre che all’omesso esame della domanda risarcitoria. Dalla lettura dell’appello incidentale si ricava inoltre con nitidezza la critica diretta contro la sentenza per avere, il TAR, preso le mosse dall’assunto della equiparazione tra informative tipiche e atipiche e, di conseguenza, per non avere contestato, al CG E********, la omessa sottoposizione, ad analisi critica, degli elementi di valutazione forniti dalla Prefettura di Agrigento con la nota del 17 giugno 2011.
17. Venendo alla sostanza delle questioni, assume rilievo centrale la dedotta censurabilità, o meno, sotto il profilo della insufficienza e della incongruità della motivazione, delle informative prefettizie atipiche, o supplementari, poste a base della intervenuta risoluzione del contratto.
A tale riguardo il Collegio ritiene condivisibili le conclusioni alle quali è giunto il TAR.
È opportuno premettere che la informativa c.d. atipica, elaborata dalla prassi, rinviene il fondamento normativo nel combinato disposto dell’art. 10, comma 9, d.P.R. n. 252/1998 e dell’art. 1- septies, d.l. n. 629/1982, conv. in l. n. 726/1982 nonché nell’art. 10, comma 7, lett. c), d.P.R. n. 252/1998, che consente autonomi accertamenti del Prefetto. In particolare, l’art. 10, comma 9, d.P.R. n. 252/1998 dichiara inapplicabile all’informativa prefettizia l’art. 1- septies, d.l. n. 629/1982, conv. in l. n. 726/1982, a tenore del quale l’autorità preposta all’ordine pubblico può comunicare alle autorità competenti al rilascio di licenze, autorizzazioni, concessioni in materia di armi ed esplosivi e per lo svolgimento di attività economiche, nonché di titoli abilitativi alla conduzione di mezzi ed al trasporto di persone o cose, elementi di fatto ed altre indicazioni utili alla valutazione, nell'ambito della discrezionalità ammessa dalla legge, dei requisiti soggettivi richiesti per il rilascio, il rinnovo, la sospensione o la revoca delle licenze, autorizzazioni, concessioni e degli altri titoli menzionati. Tuttavia tale preclusione incontra una deroga, sempre secondo l’art. 10, comma 9, citato, quando gli elementi o le altre indicazioni fornite siano rilevanti ai fini delle valutazioni discrezionali ammesse dalla legge. Sicché, la prassi consente al prefetto di fornire alle stazioni appaltanti informative atipiche, rimesse al discrezionale apprezzamento della stazione appaltante. L’informativa supplementare (o atipica) non ha carattere interdittivo, ma consente l’attivazione degli ordinari strumenti di discrezionalità nel valutare l’avvio o il prosieguo dei rapporti contrattuali alla luce dell’idoneità morale del partecipante alla gara di assumere la posizione di contraente con la p.a. [Cons. St., sez. VI, 28 aprile 2010 n. 2441]; sicché l’efficacia interdittiva delle c.d. informative prefettizie atipiche scaturisce da una valutazione autonoma e discrezionale dell’amministrazione destinataria, in quanto esse rappresentano una sensibile anticipazione della soglia dell’autotutela amministrativa [Cons. St., sez. VI, 11 dicembre 2009 n. 7777] (così, Cons. St., sez. VI, n. 3999/11, p. 7.5.).
Appare utile aggiungere che, secondo la giurisprudenza amministrativa consolidata, il che esime il Collegio dal fare citazioni specifiche, in tema di informative antimafia i legami di natura parenterale, in sé considerati, non possono essere ritenuti idonei a supportare autonomamente una informativa negativa, assumendo rilievo qualora emerga una concreta verosimiglianza dell'ipotesi di controllo o di condizionamento sull'impresa da parte del soggetto unito da tali legami al responsabile o amministratore della impresa, ovvero risulti sussistente un intreccio di interessi economici e familiari, dai quali sia possibile desumere la sussistenza dell'oggettivo pericolo che rapporti di collaborazione intercorsi a vario titolo tra soggetti inseriti nello stesso contesto familiare costituiscano strumenti volti a diluire e mascherare l'infiltrazione mafiosa nell'impresa considerata.
18. Guardando adesso più da vicino il caso in esame, è vero che viene in rilievo un rapporto di affinità diretta, e che il suocero dell’appellato - ucciso con tre colpi di arma da fuoco - risulta essere stato indicato da vari collaboratori di giustizia come imprenditore vicino a Cosa Nostra, per conto della quale avrebbe svolto il ruolo di intermediario, oltre a essere stato colpito da un provvedimento restrittivo nel 1998 per il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso finalizzata alla turbativa d’asta, e da una misura di prevenzione personale e patrimoniale; e che l’impresa dell’appellato ha natura individuale e viene esercitata entro un territorio ristrettoe in un settore commerciale (quello del trasporto di materiali inerti) notoriamente inquinato dalla presenza di operatori con radicamento in ambienti mafiosi.
È altrettanto vero però che, entro un quadro interpretativo e giurisprudenziale in cui la valutazione prognostica formulata dalla Prefettura con la informativa atipica, o supplementare, è pur sempre assoggettabile a sindacato giurisdizionale di legittimità sotto i profili dellasufficienza della motivazione e della logicità, coerenza o attendibilità del giudizio, con riferimento al significato attribuito agli elementi di fatto e all'iter seguito per pervenire a determinate conclusioni (sul punto cfr. CGA Reg. Sic., sezione giurisdizionale, nn. 227/12 e 130/12, e ivi rif. ulteriori),come evidenziato dal TAR, e ribadito dal R****, gli elementi indicati nelle informative supplementari del 2011 fanno riferimento, oltre che a un unico, isolato, legame di affinità (manca, cioè, l’elemento dell’“intreccio parentale”), a circostanze avvenute in tempi assai lontani rispetto al rilascio delle informative e, pertanto, non più attuali (sul fatto che il rischio della infiltrazione debba trovare giustificazionein circostanze di cui si possa apprezzare la attualità al momento della valutazione prefettizia v. Cons. St., sez. VI, n. 4135/2006, tenuto anche conto che le informative prefettizie antimafia sono idonee a comprimere garanzie e diritti, quali quello alla libertà di iniziativa economica privata, aventi rilievo costituzionale).
In particolare, l’uccisione del suocero del R**** è avvenuta nel 2004, vale a dire sette anni prima del rilascio delle informative atipiche (prescindendo, poi, dalla brevità del vincolo di affinità del R**** -sposatosi nel 2001 - con il suocero).
Ora, in tema di tentativi di infiltrazione mafiosa ricavabili da collegamenti parentali con soggetti malavitosi la giurisprudenza, come detto, considera legittimo il pericolo di infiltrazioni desumibile da una pluralità di rapporti parentali, o di vincoli di affinità, e dalla unicità della cosca di appartenenza di tutti i soggetti coinvolti. Come puntualizzato dal TAR nella sentenza impugnata i legami parentali possono assumere rilievo, ai fini che qui interessano, “solo qualora emerga una concreta verosimiglianza dell'ipotesi di controllo o di condizionamento sull'impresa da parte del soggetto unito da tali legami al responsabile o amministratore dell'impresa stessa, ovvero un intreccio di interessi economici e familiari, dai quali sia possibile desumere la sussistenza dell'oggettivo pericolo che rapporti di collaborazione intercorsi a vario titolo tra soggetti inseriti nello stesso contesto familiare costituiscano strumenti volti a diluire e mascherare l'infiltrazione mafiosa nell'impresa considerata” (sull’affermazione in generale v. CGA, n. 227/12 cit., e ivi rif.).
Nella specie, all’opposto, si esula dalle ipotesi che hanno indotto la giurisprudenza (v., ad es., Cons. St., n. 4740 del 2012, in tema, peraltro, di informativa prefettizia antimafia interdittiva) a giudicare legittime informative antimafia positive, tanto più se riguardanti un imprenditore singolo, imperniate (però) su una “pluralità di rapporti familiari” che “si intrecciano e si innestano in capo all’unico titolare della impresa”, venendo a convergere, con una serie di indizi plurimi, in una direzione unica, in contiguità con un ben determinato e specifico ambiente criminale e con contorni di certo inequivoci.
Nella controversia odierna non vengono in discorso legami familiari ramificati ma, come detto, si fa questione di un mero rapporto di affinità con persona uccisa nel 2004, di per sé non idoneo - in assenza di ulteriori elementi - a sorreggere l’atto impugnato sotto l’aspetto motivazionale, senza che, affermando ciò, il Collegio sconfini nell’area riservata dalla legge alla valutazione discrezionale della P.A.
19. Sotto un diverso profilo, puntualmente posto in risalto dal R****, l’art. 5 del Protocollo di Legalità (alla lettura del quale si rinvia – v. sopra, p. 1.1.) va letto e interpretato nel senso che nell’ipotesi di informativa prefettizia atipica il CG procede a valutare discrezionalmente il peso e la rilevanza degli elementi di apprezzamento ricavabili dalla informativa stessa, e soltanto se, una volta eseguita la valutazione autonoma e motivata, il CG si determina nella direzione di non autorizzare la prosecuzione del rapporto di sub affidamento, il vincolo negoziale (in questo caso, con il Vettore) è soggetto a risoluzione. Anche il richiamo, dell’art. 5, comma 3, del protocollo, alle disposizioni dell’art. 4, il quale prevede l’attivazione della clausola risolutiva espressa e la risoluzione di diritto del contratto (oltre alla applicazione di una penale a titolo di liquidazione forfettaria del danno), è da ritenersi circoscritto ai casi di informativa tipica, ossia di informativa, appunto, interdittiva, e non va esteso alle ipotesi di informativa atipica. La informativa atipica non giustifica, insomma, una risoluzione automatica del contratto ma, solamente, una risoluzione previa discrezionale e motivata valutazione del CG.
Dall’esame del Protocollo di Legalità nel suo complesso (v., in particolare, gli articoli 1, 4 e 5, trascritti al p. 1.1.) è da ritenere che la risoluzione automatica del contratto, senza alcuna possibilità di valutazione da parte della stazione appaltante, entri in funzione solo in presenza di informativa prefettizia tipica, e non anche, come detto, nel caso di informativa supplementare (conf., su fattispecie per certi versi analoga, Cons. St., sez. VI, n. 3999/2011, dal p. 7.3., cui si rinvia anche ai sensi e per gli effetti degli articoli 60, 74 e 88, comma 2/d) del c.p.a., anche là dove si statuisce che “del resto, anche il dato logico induce a tale conclusione dato che l’informativa atipica è istituto non direttamente previsto dalla legge, che richiede una delicata valutazione caso per caso, e non sarebbe perciò logico introdurre un automatismo caducatorio del contratto a fronte di una informativa atipica che necessita un adeguato vaglio critico che risulti da una congrua motivazione., non potendo, una risoluzione automatica, derivare se non da fattispecie puntualmente definite dal legislatore, ipotesi che, in quanto tali, consentono di ritenere (con ragionevolezza) vincolata l’attività dell’amministrazione e che, imponendosi come factum principis, legittimano la risoluzione del rapporto contrattuale. Nel caso di specie, pertanto, era necessario, prima di procedere alla risoluzione del contratto, valutare se l’informativa atipica concretasse elementi inerenti al tentativo di infiltrazione mafiosa. Siffatta valutazione è completamente mancata da parte della pubblica amministrazione”: così, in modo condivisibile, Cons. St., n. 3999/2011 cit. , p. 7.8.).
Da ciò consegue che il CG E********, anziché presupporre l’esistenza di un automatismo dato da “informativa atipica positiva / risoluzione di diritto del contratto” (salvo il profilo motivazionale “aggiuntivo” sull’esigenza di rispettare in modo scrupoloso il Codice Etico del Gruppo CMC, su cui v. infra), avrebbe dovuto sottoporre ad esplicita valutazione critica il peso e la rilevanza, al fine in parola, degli elementi di apprezzamento forniti dalle Prefetture, il che non è stato fatto.
Del resto, sulla attribuzione, alla stazione appaltante destinataria di una informativa atipica, di spazi valutativi sulla incidenza effettiva degli elementi di apprezzamento forniti dalla Prefettura nella procedura di riferimento, v. Cons. St., sez. VI, nn. 2014/08 e 1948/07, e sez. V, n. 1310/08: l’informativa antimafia atipica, ancorché non sia priva di effetti nei confronti delle amministrazioni, non ne comprime integralmente le capacità di apprezzamento, con la conseguenza che i provvedimenti di mantenimento o di risoluzione del rapporto sono comunque il frutto di una scelta motivata della stazione appaltante. E se è vero che occorre un’ampia motivazione soprattutto quando, nonostante la informativa atipica, si decida di instaurare o proseguire il rapporto con l'impresa, è altrettanto vero che in ogni caso la stazione appaltante non può considerarsi esonerata dal procedere alla suddetta valutazione, con conseguente illegittimità di provvedimenti sfavorevoli (ad es., esclusioni da procedure di gara) disposti in via automatica.
Conformemente a quanto appena detto, l’art. 24, comma 4, del contratto di sub affidamento (su cui v. sopra, p. 1.1.) va interpretato nel senso che l’automatica efficacia interdittiva, e la risoluzione di diritto del contratto, vanno ricondotte alla sola ipotesi - stabilita dalla legge - di informativa prefettizia tipica. Del resto, lo stesso art. 24 stabilisce che il sistema sanzionatorio è quello contenuto nel protocollo di intesa (recte, di legalità), con il quale è stato convenuto che il CG si impegna a valutare le informative atipiche ai fini della eventuale revoca dell’affidamento o del sub affidamento o dell’autorizzazione al sub affidamento. Diversamente opinando, qualora si ritenga che nel contratto sia stabilito che le informative prefettizie atipiche abbiano automatica efficacia interdittiva, la clausola così interpretata non potrebbe non essere ritenuta invalida per violazione di norme inderogabili e del protocollo di legalità, che non ammettono un automatico effetto interdittivo a seguito di una informativa prefettizia atipica, esigendo che il soggetto destinatario della informativa supplementare proceda alla discrezionale e motivata valutazione delle risultanze della nota atipica.
20. Quanto all’elemento motivazionale aggiuntivo dell’atto di risoluzione, che riguarda l’esigenza di rispettare in modo scrupoloso il Codice Etico del Gruppo CMC, nella parte in cui è previsto che il Gruppo non intrattiene relazione dirette, o indirette, con persone delle quali sia conosciuta, o sospettata, l’appartenenza ad organizzazioni criminali, in primo luogo si tratta di una causa di risoluzione del contratto che esula da ipotesi normativamente sancite. In ogni caso, pur tenendo conto dell’elevato livello di onorabilità richiesto dal Codice Etico, per le ragioni viste sopra non emergono elementi indiziari tali da sorreggere la disposta risoluzione, sul piano motivazionale, anche sotto il profilo appena indicato. Il fatto che l’atto di risoluzione del 4 gennaio 2012 trovi giustificazione (anche) nella dichiarata esigenza di rispettare in modo scrupoloso il codice etico del Gruppo CMC non vale a sovvertire la decisione del TAR.
21. Per le ragioni su esposte va accolto in parte l’appello incidentale del R****: la risoluzione impugnata è illegittima anche perché gli elementi di apprezzamento forniti dalla Prefettura di Agrigento avrebbero dovuto formare oggetto di valutazione critica da parte del CG, mentre così non è stato. Inoltre, il riferimento, contenuto nella motivazione dell’atto del 4 gennaio 2012, alla esigenza di rispettare in modo scrupoloso il Codice Etico del Gruppo CMC appare di per sé ininfluente e comunque insufficiente per giustificare la disposta risoluzione del contratto.
22. Arrivati a questo punto appare utile chiarire e precisare, alla luce delle motivazioni che sostengono la sentenza di primo grado e la presente decisione, che l’annullamento va delimitato all’atto principale impugnato in primo grado, vale a dire alla risoluzione del contratto del 4 gennaio 2012, e alle informative atipiche citate, e non si estende né al Protocollo di Legalità, né all’art. 24 del contratto di sub affidamento, e neppure al codice etico del Gruppo CMC.
23. L’esito della controversia, favorevole al R****, si esaurisce però qui.
E infatti, le domande del R**** rivolte a far dichiarare l’efficacia del contratto di sub affidamento C******** / R**** del 1° aprile 2011 e, correlativamente, la inefficacia dell’eventuale contratto di trasporto di materiali inerti stipulato con terzi (contratto di cui non si ha peraltro notizia), previo annullamento dell’eventuale autorizzazione alla stipula; e l’articolata domanda di risarcimento dei danni non possono trovare allo stato accoglimento atteso che - indipendentemente, e prima, da qualsiasi considerazione su elemento soggettivo e quant’altro specificato nelle difese del R**** -, resta salvo il riesercizio dell’azione amministrativa, con particolare riguardo al potere prefettizio di sollecitare gli organi di polizia a compiere approfondimenti istruttori e di indagine ulteriori nei confronti del R****.
24. Ogni altro motivo o eccezione, di rito o di merito, può essere assorbito in quanto ininfluente e irrilevante ai fini della presente decisione.
25. Nelle peculiarità e in taluni profili di complessità della controversia, oltre che nell’esito complessivo della stessa si ravvisano, in base al combinato disposto di cui agli articoli 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., eccezionali ragioni per l’integrale compensazione delle spese del grado di giudizio tra le parti.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, definitivamente decidendo sull’appello principale e sull’appello incidentale in epigrafe:
a) rigetta l’appello principale;
b) accoglie in parte l’appello incidentale e per l’effetto accoglie il ricorso di primo grado e annulla gli atti impugnati entro i limiti indicati in motivazione;
c) compensa integralmente tra le parti le spese del grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 27 marzo 2013, con l'intervento dei signori: Rosanna De Nictolis, Presidente, Antonino Anastasi, Marco Buricelli, estensore, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, componenti.
F.to Rosanna De Nictolis, Presidente
F.to Marco Buricelli, Estensore
Depositata in Segreteria
8 maggio 2013
Sulla procedura per l'affidamento dei servizi di cui all'Allegato B del Codice dei Contratti
"La nozione di servizio socio sanitario deve infatti ritenersi comprensiva di qualsiasi attività diretta a promuovere la salute psico-fisica e il benessere dei cittadini e quindi anche la assistenza ed il trasporto degli infermi; pertanto, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, non si esaurisce nel solo servizio di assistenza medica di emergenza (118), ma comprende nel suo ambito altre attività dirette a garantire in vario modo l’effettività dei principi, di rango costituzionale, solidaristici e di tutela della salute dei cittadini.
E’ poi da aggiungere che la natura eminentemente socio sanitaria del servizio di trasporto di pazienti dializzati, contrariamente a quanto sostenuto nell’atto di appello, non può mutare a seconda della consistenza numerica dei pazienti che beneficiano del servizio stesso, ma è collegata all’oggetto sostanziale del servizio da svolgere.
Correttamente quindi il Tar ha ritenuto che il carattere socio sanitario della prestazione prevalesse sul mero trasporto dovendosi dare applicazione, nel caso, al c.d. principio qualitativo di matrice comunitaria previsto dall’art. 14 co.2 del d.lgs. 163/2006, basato sulla individuazione dell’oggetto principale del contratto.
Posta quindi la prevalenza della componente socio sanitaria su quella di mero trasporto, all’appalto andava applicata la disciplina di cui all’art. 20 co. 1 del Codice contratti, il quale dispone che l’aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato II B, è in linea principio esclusa dall’applicazione della disciplina del codice dei contratti, fatta eccezione per talune norme specificamente individuate"
N. 02477/2013REG.PROV.COLL.
N. 09060/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9060 del 2012, proposto da:
************* s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. **********, ********* e ********, con domicilio eletto presso *********** in Roma, via Emilia n. 88;
contro
Azienda Sanitaria Locale Torino 1-Asl To1 in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. ******** e ********, con domicilio eletto presso *********** in Roma, via ****** n.45;
Croce Rossa Italiana in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.12;
Pubblica Assistenza Croce Italia Piemonte, Croce Rossa Italiana Comitato Centrale, Croce Rossa Italiana Comitato Regionale Piemonte;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. PIEMONTE - TORINO SEZIONE I n. 01185/2012
Visto il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Azienda Sanitaria Locale Torino 1-Asl To1 e di Croce Rossa Italiana;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 aprile 2013 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati ********* su delega di *******, ********* su delega di ******* e di ****** e l’Avvocato dello Stato *********;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso al Tar Piemonte e successivi motivi aggiunti, la società ************* s.r.l. aveva impugnato gli atti con cui l’ASL TO1 aveva indetto una procedura di “richiesta di disponibilità al convenzionamento” per l’espletamento del servizio di trasporto pazienti dell’ASL.
La ricorrente criticava la scelta dell’Azienda Sanitaria di non bandire una pubblica gara per l’affidamento del servizio in questione e di ricorrere allo strumento della “convenzione” riservandolo alle sole associazioni di volontariato e alle associazioni della Croce Rossa Italiana operanti nella provincia di Torino, escludendo quindi le società commerciali.
La ricorrente rilevava che si trattava di un appalto di servizi per il quale vige l’obbligo, per l’amministrazione, di bandire pubbliche gare ove di valore superiore alla soglia comunitaria e che tale obbligo sussiste, sia che l’appalto venga ricompreso nell’allegato II A del codice dei contratti pubblici, quale servizio di “trasporto terrestre, sia che all’appalto venga attribuita natura “mista” sul presupposto che esso cumuli in sé elementi del “trasporto terrestre” (di cui all’allegato II A) ed elementi dei “servizi socio sanitari” (di cui all’allegato II B, servizi esclusi dall’applicazione del codice dei contratti).
In tale ipotesi si doveva attribuire rilievo, ai fini della individuazione della disciplina applicabile, al criterio della prevalenza quantitativa, criterio che sanciva la prevalenza del servizio di trasporto rispetto a quello socio-sanitario posto che il servizio non aveva ad oggetto il trasporto di emergenza con medici specializzati, ma solamente il trasporto in ambulanza di pazienti dializzati e di pazienti con la sola presenza di un autista soccorritore e di un soccorritore.
Rilevava inoltre la ricorrente che l’ammissione alla procedura di gara di Croce Rossa Italiana era illegittima dal momento che detto ente non poteva stipulare contratti “a titolo oneroso” in quanto la onerosità del contratto postula la natura imprenditoriale dell’ente, di cui, tuttavia, Croce Rossa era priva non avendo scopo di lucro e ignorando il rischio d’impresa.
Ancora la ricorrente lamentava che le operazioni di gara si erano svolte in violazione dei principi di imparzialità e di correttezza nonché dell’art. 84 d. lgs. 163/2006 e dell’art. 97 della Costituzione, dal momento che l’apertura delle buste contenenti le offerte era stata effettuata davanti a tre dipendenti dell’ASL prima della nomina della commissione di gara; tali operazioni avrebbero dovuto essere svolte dalla commissione tecnica dal momento che l’art. 84 del codice dei contratti affida ad essa lo svolgimento della totalità delle operazioni di gara con l’effetto che andava annullata l’intera procedura di gara e quindi anche l’aggiudicazione definitiva.
Si costituiva l’ASL TO1 eccependo l’inammissibilità del ricorso introduttivo, in quanto la ricorrente aveva già manifestato il proprio disinteresse all’aggiudicazione dei lotti in questione che, peraltro, la ricorrente continuava a gestire in regime di “proroga” dal 2008; in subordine, nel merito, la difesa dell’Azienda contestava la fondatezza del ricorso con articolate deduzioni chiedendone il rigetto.
Si costituiva la Croce Rossa Italiana con il patrocinio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Torino, resistendo al gravame.
Non si costituiva l’associazione di Pubblica Assistenza Croce Italia Piemonte, aggiudicataria della procedura, benché ritualmente intimata con il secondo atto di motivi aggiunti.
2. Il Tar respingeva il primo motivo con cui la ricorrente lamentava che la procedura di gara era stata limitata alle associazioni pubbliche di volontariato e alla Croce Rossa, con asserita violazione delle norme nazionali e comunitarie di settore le quali avrebbero imposto lo svolgimento di una pubblica gara aperta a tutti gli interessati.
Il Tar riteneva la censura infondata in primo luogo perché l’Amministrazione, in considerazione della particolare natura del servizio affidato, escluso dall’applicazione del codice dei contratti, non era tenuta a bandire una pubblica gara per procedere al suo affidamento, in secondo luogo perché l’Amministrazione, in ogni caso, aveva bandito quattro di gare prima di giungere all’individuazione dell’affidatario del servizio.
Osservava il Tar che l’Azienda Sanitaria non era tenuta a bandire una pubblica gara per l’affidamento del servizio, in quanto l’oggetto principale del convenzionamento era costituito dalla prestazione di servizi di natura socio-sanitaria, come si evinceva dalla circostanza che il servizio era effettuato mediante automezzi forniti di specifica dotazione sanitaria e con l’ausilio di personale appositamente addestrato al soccorso sanitario.
A ciò doveva aggiungersi il fatto che l’ASL TO 1 aveva bandite altre gare prima di giungere all’affidamento dell’appalto, andate deserte e precisamente:
- una prima procedura aperta nel 2009 (bandita con delibera n. 1110 / B04 / 09 del 29.10.2998), andata deserta;
- una seconda procedura aperta nel 2010 (bandita con delibera D.G. 1066 / B04 / 2010 del 25.11.2001), andata anch’essa deserta;
- una procedura negoziata nel 2011 (bandita con delibera commissariale n. 172 / B04/2011 del 16.03.2011), a cui aveva partecipato anche Croce Amica s.r.l., dante causa dell’odierna ricorrente, che tuttavia aveva presentato la propria offerta solo per i lotti 1 e 2, mentre non aveva presentato alcuna offerta per i lotti 3 e 4, andati deserti (da notare che i lotti 3 e 4 erano all’epoca gestiti proprio da Croce Amica s.r.l., in regime di proroga dal 2008, e che attualmente sono gestiti, sempre in regime di proroga, dall’odierna ricorrente, avente causa da Croce Amica s.r.l.);
- infine, la procedura in esame di “richiesta di disponibilità al convenzionamento” del 2012, riservata alle sole associazioni pubbliche di volontariato e alle associazioni della Croce Rossa Italiana operanti nella provincia di Torino.
Quanto esposto evidenziava per il Tar la infondatezza della censura dal momento che l’ultima procedura menzionata, alla quale la ricorrente lamentava di non essere stata ammessa a partecipare, costituiva soltanto l’ultimo segmento di una sequenza procedimentale lunga e complessa che aveva visto, nelle sue fasi immediatamente precedenti, l’indizione di due procedure aperte e di una procedura negoziata, con il coinvolgimento diretto, in quest’ultima, della stessa ricorrente (nella sua precedente configurazione aziendale), senza che mai la stessa avesse manifestato interesse per gli specifici lotti del servizio da ultimo affidati dall’amministrazione con la procedura qui in esame.
Per il Tar quindi le doglianze della ricorrente erano pretestuose perché presumibilmente ispirate solo dall’intento di conservare il più a lungo possibile l’attuale gestione in proroga dei predetti lotti, a condizioni ritenute evidentemente più remunerative di quelle che sarebbero derivate dal nuovo affidamento.
Anche il secondo motivo con il quale la ricorrente lamentava la mancata esclusione dalla gara di Croce Rossa Italiana per il Tar non poteva essere esaminato favorevolmente in quanto la censura non era sorretta da alcun interesse della ricorrente, sia perché Croce Rossa Italiana non si era aggiudicata la gara, sia perché l’ipotetica esclusione di Croce Rossa portava effetti solo nei confronti di detta concorrente ma non avrebbe determinato l’annullamento dell’intera procedura, come richiesto dalla ricorrente.
Il terzo motivo con il quale la ricorrente aveva sostenuto che le operazioni di gara si sarebbero svolte in violazione dei principi di imparzialità e di correttezza, nonché dell’art. 84 d. lgs. 163/2006 e dell’art. 97 della Costituzione, dal momento che l’apertura delle buste contenenti le offerte era stata effettuata da tre dipendenti dell’ASL prima della nomina della commissione di gara e non dalla commissione tecnica alla quale l’art. 84 del codice dei contratti affida lo svolgimento della totalità delle operazioni di gara doveva considerarsi inammissibile e comunque infondato.
Inammissibile perché la ricorrente, non avendo partecipato alla gara, non era legittimata, né aveva interesse a dedurre la violazione di regole poste a presidio dei principi di imparzialità e di trasparenza della gara, i quali sono diretti a tutelare solo i partecipanti alla gara, e non chi alla gara sia rimasto estraneo.
Infondato in quanto l’art. 84 Codice dei Contratti demanda alla commissione di gara la sola “valutazione” tecnica delle offerte, sicché nessuna violazione di legge era ravvisabile nel caso di specie in cui il seggio di gara aveva svolto compiti meramente amministrativi quale la valutazione di regolarità delle domande presentate, e cioè un'attività che non implicava attività discrezionale, restando quest’ultima riservata alla commissione di esperti.
In conclusione il Tar respingeva il ricorso ponendo a carico della ricorrente, a favore della sola ASL TO1, le spese di lite.
3. Nell’atto di appello la società deduce l’errore della sentenza reiterando censure già dedotte in primo grado insistendo sul fatto che la società, pur essendo autorizzata, ai sensi della legge regionale n.42/92, a svolgere l’attività di trasporto infermi a mezzo di autoambulanza, era stata estromessa dalla gara per lo svolgimento di tale servizio in quanto la Azienda aveva adottato un sistema di convenzionamento per il suo svolgimento aperto alle sole associazioni di volontariato e alla Croce Rossa Italiana escludendo ab origine le imprese commerciali di settore.
La Azienda avrebbe mascherato dietro lo schermo formale del convenzionamento con associazioni di volontariato, un appalto di servizi da cui venivano illegittimamente escluse imprese operanti nello stesso campo economico, falsando illegittimamente il gioco della concorrenza e creando una ingiustificata disparità di trattamento tra imprese, con indebita restrizione della concorrenza in contrasto con l’art. 2 della Direttiva 2004/18/CE e con l’art. 34 del d.lgs. n.163/2006.
Sarebbe inoltre erronea la interpretazione della sentenza relativamente alla procedura de qua ritenuta fondata sulla prevalenza della componente socio sanitaria del servizio su quella del trasporto e la conclusione nel senso che l’aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato II B sarebbe esclusa dalla applicazione della disciplina del codice degli appalti.
Infatti, poiché il servizio in convenzionamento riguardava esclusivamente il trasporto senza alcun richiamo al servizio di soccorso e di emergenza primaria, servizio da effettuare senza equipaggiamento specifico e senza medici, ma solo con trasporto in ambulanza di pazienti dializzati e di pazienti seguiti dalle strutture sanitarie, cure domiciliari e cure palliative, con la sola presenza di un autista soccorritore e di un soccorritore, l’affidamento di tale servizio non poteva rientrare nel n.25 dell’elenco di cui all’allegato II B del codice dei contratti riguardante i servizi sanitari e sociali, ma rientrava nella disciplina dell’art. 20 co.II del d.lgs. 163/2006 a mente del quale “gli appalti di servizi elencati nell’allegato II A, sono soggetti alle disposizioni del presente codice”.
Solo una particolare dotazione strumentale e la presenza di personale munito di specifiche competenze mediche avrebbe determinato la applicabilità dell’allegato II B n.25 riguardante i servizi sanitari e sociali.
L’appellante sottolinea che la scelta della Croce Amica di non partecipare alle precedenti procedure indette dalla Azienda Sanitaria era stata dettata dalla oggettiva impossibilità di potersi aggiudicare tale procedura per la incongruità degli importi di gara, in ogni caso diverse erano le condizioni poste nella procedura in esame rispetto a quelle previste nelle precedenti gare.
Infine la appellante insiste sulla illegittimità della ammissione alla gara della Croce Rossa e sulla erroneità delle considerazioni sul punto del Tar.
Si è costituita la Azienda Sanitaria contestando con dovizia di argomentazioni le tesi difensive sostenute nell’appello.
Si è costituita Croce Rossa Italiana con il patrocinio dell’Avvocatura Generale dello Stato insistendo per il rigetto del ricorso in appello.
Sono state depositate numerose memorie difensive.
Alla pubblica udienza del 19 aprile 2013 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione.
4. L’appello non merita accoglimento.
I vari motivi di appello, compreso quello iniziale, relativo all’interesse al ricorso e alla legittimazione alla proposizione del gravame, richiedono una disamina unitaria che deve prendere le mosse dall’analisi del terzo motivo nel quale la società ha speso ampie argomentazioni al fine di dimostrare che l’oggetto principale della procedura di convenzionamento di cui trattasi era rappresentato dal mero servizio di trasporto di pazienti disabili e non da servizi socio sanitari di cui all’allegato II B del d.lgs. 163/2006, con la conseguente necessità di indizione di una procedura di gara aperta a tutti gli operatori economici del settore, a meno di non violare i principi comunitari di libera di concorrenza e di par condicio tra imprese.
Ritiene tuttavia la Sezione che, contrariamente a quanto sostenuto nell’appello, il disciplinare tecnico posto a base della procedura di convenzionamento evidenzi la prevalente natura socio sanitaria del servizio di trasporto di pazienti dializzati rivolto a persone non deambulanti là dove, nel dettare le modalità di espletamento del servizio, impone al personale addetto al trasporto di seguire specifici corsi di formazione e aggiornamento e quindi impone il possesso di specifiche competenze in campo sanitario per potere affrontare, anche con l’ausilio di specifiche attrezzature presenti nella autoambulanza, tutte le emergenze connaturate al trasporto di persone inferme.
La nozione di servizio socio sanitario deve infatti ritenersi comprensiva di qualsiasi attività diretta a promuovere la salute psico-fisica e il benessere dei cittadini e quindi anche la assistenza ed il trasporto degli infermi; pertanto, contrariamente a quanto affermato dall’appellante, non si esaurisce nel solo servizio di assistenza medica di emergenza (118), ma comprende nel suo ambito altre attività dirette a garantire in vario modo l’effettività dei principi, di rango costituzionale, solidaristici e di tutela della salute dei cittadini.
Anche la Corte di Giustizia CE ha sottolineato che i servizi pubblici di soccorso comprendono solitamente, non solo servizi di trasporto medico d’urgenza, ma anche servizi di trasporto qualificato consistenti nel trasferimento mediante veicolo sanitario, con adeguata assistenza specialistica, di persone malate, infortunate o comunque bisognose di assistenza ma la cui situazione non riveste carattere di emergenza (Corte Giustizia CE, Sez. III, 29.4.2010 n.160).
E’ poi da aggiungere che la natura eminentemente socio sanitaria del servizio di trasporto di pazienti dializzati, contrariamente a quanto sostenuto nell’atto di appello, non può mutare a seconda della consistenza numerica dei pazienti che beneficiano del servizio stesso, ma è collegata all’oggetto sostanziale del servizio da svolgere.
Correttamente quindi il Tar ha ritenuto che il carattere socio sanitario della prestazione prevalesse sul mero trasporto dovendosi dare applicazione, nel caso, al c.d. principio qualitativo di matrice comunitaria previsto dall’art. 14 co.2 del d.lgs. 163/2006, basato sulla individuazione dell’oggetto principale del contratto.
Posta quindi la prevalenza della componente socio sanitaria su quella di mero trasporto, all’appalto andava applicata la disciplina di cui all’art. 20 co. 1 del Codice contratti, il quale dispone che l’aggiudicazione degli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato II B, è in linea principio esclusa dall’applicazione della disciplina del codice dei contratti, fatta eccezione per talune norme specificamente individuate e non conferenti al caso in esame.
Può essere utile aggiungere ancora che la Corte di Giustizia CE (sentenza 17.6.1997 C-70/95) ha riconosciuto la compatibilità con il Trattato, di una legge regionale italiana che consente la istituzione in particolari settori, tra cui quello socio assistenziale, di un regime di riserva a favore di organismi no-profit da gestire attraverso lo strumento delle convenzioni che danno diritto al solo rimborso dei costi. Pertanto la scelta del legislatore di ricorrere alle associazioni di volontariato connotate dalla assenza di finalità di lucro è stata ritenuta, dalla giustizia comunitaria, coerente con le finalità esclusivamente sociali del servizio pubblico erogato nel particolare settore.
Conclusivamente l’amministrazione, in considerazione della non obbligatorietà della indizione di una procedura concorsuale ad evidenza pubblica, ha adottato una procedura specificatamente regolata da norme di legge regionali (art. 12 della l.r. del Piemonte 29.10.1992 n.42) che le ha consentito di ricorrere, per l’affidamento del servizio di che trattasi, allo strumento del convenzionamento.
Si aggiunga ancora che la amministrazione ha fatto ricorso alla procedura di convenzionamento dopo altre gare andate deserte di talché emerge nei fatti, da un lato il rispetto dei principi comunitari di concorrenza, imparzialità e par condicio, dall’altro il disinteresse dimostrato dagli operatori del settore, tra cui la appellante, alla aggiudicazione dei servizi di che trattasi e la necessità da parte della medesima amministrazione, trattandosi di servizi socio sanitari, del ricorso ad uno strumento giuridico diverso da quello usuale della gara e cioè al convenzionamento, strumento comunque previsto dalla normativa nazionale ed anche comunitaria.
Nemmeno può trovare accoglimento il primo motivo di gravame con il quale si assume che la procedura attivata non integrerebbe un convenzionamento bensì un appalto di servizi mascherato sul rilievo che esisterebbero alcuni indici rilevatori da cui presumere la riconducibilità ad appalto di servizi della procedura (sarebbero state richieste le dichiarazioni ex art. 38 codice appalti, il DURC nonostante le associazioni dovessero impiegare solo personale volontario, il Codice Identificavo Gara, il pagamento di oneri fiscali e iva).
Ritiene la Sezione che tali c.d. indici rivelatori, lungi dal potere essere considerati elementi sintomatici per dimostrare la illegittimità della procedura in quanto elusiva di norme in materia di concorrenza, rappresentano alcuni, meri refusi derivati dalla impropria utilizzazione della documentazione già predisposta per la indizione di precedenti procedure di gara andate deserte, altri, elementi non significativi per la qualificazione della procedura. Così anche il DURC può essere richiesto alle associazioni di volontariato le quali possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure occorrenti a qualificare o specializzare l’attività da esse svolta (art. 3 co.4 l.266/1991).
La mera richiesta del Codice Identificativo Gara non consente di qualificare il rapporto convenzionale come appalto di servizi, del pari la previsione di pagamenti di oneri fiscali e dell’iva ben potrebbe essere ipotizzabile se tali oneri fossero effettivamente dovuti (cfr. art. 19 dello schema di lettera di convenzionamento).
Infondato è anche il quinto motivo con il quale la appellante lamenta la mancata esclusione dal convenzionamento della Croce Rossa.
La appellante reitera la censura dichiarata inammissibile dal Tar affermando che la mancata esclusione della Croce Rossa sarebbe idonea a riverberarsi sull’andamento dell’intera procedura sotto il profilo della violazione dei principi di parità di trattamento e di libertà di concorrenza.
Tali considerazioni non appaiono persuasive in quanto anche ad ammettere la illegittima partecipazione alla procedura da parte della Croce Rossa, la ipotetica esclusione della medesima non avrebbe comunque nessun riflesso sugli altri soggetti partecipanti dotati dei prescritti requisiti, che viceversa, nell’ipotesi di annullamento dell’intera procedura, in violazione dei principi di efficienza e economicità, imparzialità ex art. 97 Cost., vedrebbero vanificate le iniziative intraprese per partecipare alla procedura e frustata la possibilità di ottenere l’affidamento del contratto oggetto di gara.
5. In conclusione l’appello non merita accoglimento, la sentenza appellata deve essere confermata.
6. Spese ed onorari, in relazione alla peculiarità delle questioni trattate, possono essere compensate.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore
Dante D'Alessio, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere
L'ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Informativa prefettizia interdittiva: il semplice decorso del tempo non assume un ruolo significativo e determinante per ritenere risolto ogni collegamento con ambienti malavitosi
1. "L’informativa antimafia non deve provare l’intervenuta infiltrazione o condizionamento essendo questi, un quid pluris non richiesto, ma deve solo dimostrare sufficientemente la sussistenza di elementi dai quali è deducibile il tentativo o il rischio di ingerenza ancor prima del suo concreto realizzarsi (Cons. Stato, VI 8.6.2009 n.349), elementi connessi dunque a situazioni anche solo potenzialmente pericolose per la vicinanza tra l’impresa sottoposta alla valutazione del Prefetto e soggetti ritenuti appartenenti alla criminalità organizzata, nella prospettiva di massima anticipazione della tutela antimafia propria della normativa di riferimento".
2. "Al fine di valutare la sussistenza di elementi di concretezza e di attualità nelle informazioni acquisite nella interdittiva antimafia, deve tenersi conto in primo luogo della personalità complessiva del soggetto, in relazione alla natura e al tipo di intrecci del fenomeno mafioso in un contesto geografico particolarmente difficile, per cui il semplice decorso del tempo non assume un ruolo significativo e determinante per ritenere risolto ogni collegamento con ambienti malavitosi"
N. 02478/2013REG.PROV.COLL.
N. 05659/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 5659 del 2012, proposto da:
S*******i di S****** G****** & C. S.n.c., rappresentata e difesa dagli avv. ***********, ********** e ************i, con domicilio eletto presso ************* in Roma, via ********* n.172;
contro
U.T.G. - Prefettura di Reggio Calabria, Ministero dell'Interno, T***** I***** Spa, E** Spa, Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. CALABRIA - SEZ. STACCATA DI REGGIO CALABRIA n. 00371/2012
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 aprile 2013 il Cons. Roberto Capuzzi e uditi per le parti gli avvocati ********, ********* e **********;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con ricorso notificato in data 30 dicembre 2009 e depositato (n. 23/10 R.G.) la società S****** di ********, dopo avere premesso di essere attiva nel settore della distribuzione al dettaglio di prodotti petroliferi e dal 1987 (sia pure con varie denominazioni) gestore degli unici punti di rifornimento di combustibile situati all’interno dell’ambito portuale di Reggio Calabria, impugnava davanti al Tar Calabria, sezione staccata di Reggio Calabria, gli atti con i quali, a seguito di informativa prefettizia interdittiva del 2 ottobre 2009, confermativa di una precedente del 23 giugno 2008, il Prefetto di Reggio Calabria respingeva l’istanza di concessione demaniale di 150,60 mq. per l’installazione di un impianto di distribuzione nazionale defiscalizzato (SIF) in loc. Molo di Ponente del Porto di Reggio Calabria, presentata il 21 marzo – 2 aprile 2007 adottando altre determinazioni di carattere restrittivo. La società assumeva la illegittimità di tali atti per violazione e falsa applicazione dell’art. 4 d.lgs. n. 490/94 e dell’art. 10 d.p.r. n. 252/98, violazione e falsa applicazione della circ. Min. Interno n. 559/98, eccesso di potere per carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, irragionevolezza, omessa motivazione, omessa considerazione dei plurimi provvedimenti giurisdizionali favorevoli alla S******l, carenza del requisito dell’attualità dei fatti su cui era fondata l’informativa.
Si costituiva l’amministrazione che sollevava eccezioni di carattere preliminare e contestava nel merito tutte le censure proposte.
Con successivo ricorso notificato il 13 maggio 2011 e ritualmente depositato (n. 333/11 R.G.), la Società S******* & C., premesso che con atto pubblico del 7 gennaio 2010 E******, socio amministratore della soc. S****, aveva ceduto al figlio S**** G*****, già socio della medesima società, e alla di lui moglie, Sig.ra R****** B******, la propria quota di partecipazione al capitale sociale, impugnava davanti al medesimo Tar la nuova informativa antimafia del 6 maggio 2011, nonché gli atti negativi ad essa conseguenti incidenti sull’interesse della società a gestire gli impianti di distribuzione carburanti nel porto di Reggio Calabria, denunciando violazione dell’art. 10 d.p.r. n. 252/98, eccesso di potere per travisamento dei fatti, per errore sui presupposti e per difetto di motivazione.
Si costituiva l’amministrazione dell’Interno, resistendo al gravame.
Si costituiva anche la società E** S.p.a. la quale proponeva pure ricorso autonomo (n. 356/11 R.G.) avverso i medesimi atti già impugnati da S******.
2. Il Tar riuniti i tre ricorsi li respingeva ritenendo che gli elementi prospettati, per quanto oggettivamente significativi, non erano tali da escludere il pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione delle società ricorrenti.
Sottolineava infatti il primo giudice che l’unico elemento temporalmente successivo alla informativa interdittiva del 23 giugno 2008, che non risultava impugnata, era rappresentato dalla revoca della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno disposta nei confronti di S******* F******, rispettivamente marito di E***** A***** e padre di S******* G******.
Tale provvedimento di revoca tuttavia non aveva effetto retroattivo ma operava ex nunc, esimendo il sopradetto S********* F******** dallo scontare la parte residua della misura in ragione di una sua buona condotta sopravvenuta all’adozione della misura stessa, con l’effetto che rappresentava un elemento non decisivo e tale da non elidere tutto il quadro indiziario a carico della famiglia S*********, cui la S****** e la S** P**** erano riconducibili.
Inoltre osservava il Tar che la circostanza che, in sede d’appello, con il decreto n. 3/06 fosse stata esclusa dalla confisca dei beni del S****** la società S*****, non valeva a cancellare il pericolo di infiltrazioni mafiose nell’attività imprenditoriale in quanto altri beni immobili riferibili alla famiglia S****** erano rimasti oggetto di confisca perché ritenuti provento di attività illecita e ciò costituiva un fatto estremamente rilevante ai fini della controversia, qualificando negativamente la capacità imprenditoriale del gruppo.
Inoltre, se era da escludere l’origine criminale delle risorse economiche della impresa di distribuzione dei carburanti, ciò tuttavia non portava ad escludere il rischio di condizionamento mafioso che dalla Prefettura era stato legittimamente desunto dalla complessiva personalità di S****** F******, quale emergeva anche dallo stesso decreto n. 3/06 nel quale si delineavano sue condotte e rapporti, alcuni dei quali apparentemente leciti, ma in realtà funzionali a “preservare immacolata” la sua figura imprenditoriale.
Oltre la condanna del 3 aprile 2001 ad anni quattro per associazione a delinquere di stampo mafioso, con sentenza definitiva che gli riconosceva un ruolo attivo di uomo di fiducia dei vertici associativi della cosca D* S*****, nonché i suoi legami di parentela con soggetti pregiudicati o inseriti a pieno titolo nella medesima consorteria mafiosa, doveva considerarsi rilevante “la biografia criminale” del S*******, al quale erano stati attribuiti, non compiti marginali o di contorno, ma un ruolo di diretto collegamento con i vertici della cosca, per cui al decorso del tempo non poteva attribuirsi un rilievo particolarmente significativo.
Ulteriore elemento indiziario era rappresentato da una nota della Questura di Reggio Calabria dell’1° agosto 2009, che riferiva di un controllo del S******* con soggetto ritenuto dalle forze dell’ordine affiliato alla ‘ndrina R****** – P*****’ e coinvolto nel traffico di droga. In relazione al fatto che le varie società non facevano più capo direttamente a S******** F******, ma alla di lui moglie e al figlio, il Tar rilevava che non era il rapporto di parentela ad assumere importanza in sé, quanto la valutazione che il rapporto di parentela potesse condurre a possibili interferenze illecite della criminalità organizzata nella vita societaria, atteso che la società, negli anni, pur mutando veste, aveva mantenuto invariata e compatta la propria fisionomia, dal 1987 (sia pure con varie denominazioni) e la continuità nella gestione.
Conclusivamente il Tar respingeva i ricorsi riuniti compensando le spese dei giudizi.
3. Nell’ atto di appello la S** P***** di S****** G***** deduce la carenza di motivazione della sentenza di primo grado in quanto sarebbe mancata ogni valutazione e approfondimento in merito alla ingerenza mafiosa da parte del sig. S******* F******** (coniuge convivente della signora E****, socio amministratore della S****, e padre dell’odierno amministratore della S** P****) nei confronti della società appellante; il sig. S******, infatti, per quanto a suo tempo condannato con sentenza dell’anno 2001 per fatti di mafia risalenti al periodo 1985-1989, aveva espiato la pena, lo stesso aveva avuto la possibilità costituzionalmente garantita di conseguire i benefici della rieducazione, del ripensamento, della riabilitazione mentre la Prefettura non evidenziava alcun elemento idoneo a far ritenere che, dopo la espiazione della condanna subita, il S********** avesse continuato le proprie pratiche illecite mantenendo contatti con le cosche mafiose alle quali un tempo apparteneva ingerendosi pericolosamente nell’attività delle imprese appellanti tanto più che queste effettuavano una mera attività di vendita di carburanti per natanti in area portuale, per sua natura non permeabile ad influenze mafiose ed erano sottoposta alla diretta osservazione e controllo della Capitaneria di Porto.
Trarre dai remoti fatti di cui alla condanna penale un giudizio di attuale e grave pericolosità sociale, sarebbe quindi contrario alle norme che sovrintendono al potere interdittivo da parte della Prefettura in capo alla quale vige invece un preciso potere istruttorio di raccogliere dati fattuali dotati di attendibilità e sufficiente attualità.
A ciò doveva aggiungersi, sempre per la parte appellante, che il rapporto di parentela o la frequentazione di elementi malavitosi, in assenza di altre circostanze fattuali non potrebbe costituire da solo un presupposto sufficiente per la emissione di un provvedimento interdittivo.
Risolutivo poi sarebbe il fatto che in capo al S********* si erano succeduti nel tempo provvedimenti giurisdizionali di segno positivo.
La Corte di Appello di Reggio Calabria aveva disposto la revoca del sequestro della società escludendo che la stessa fosse nella disponibilità del S******* e fosse assoggettata a metodi mafiosi quanto a nascita e esercizio.
Con il decreto del 30 gennaio 2009 il Tribunale di Reggio Calabria, Sezione Misure di Prevenzione, aveva revocato la misura di prevenzione disposta nei confronti del S********** con il precedente decreto n.38/04 RGMP ritenendo “venuto meno il giudizio sulla persistenza della pericolosità sociale in capo al preposto”, tra l’altro in relazione “...al suo recesso dall’associazione criminale cui era stato, a suo tempo, ritenuto partecipe”.
Insiste quindi parte appellante chiedendo, anche con la successiva memoria depositata, in accoglimento dell’appello, la riforma della sentenza di primo grado con conseguente annullamento degli atti impugnati.
Le amministrazioni intimate non si sono costituite.
All’udienza di trattazione del 19 aprile 2013 i difensori della società hanno insistito, con ampie argomentazioni, per l’accoglimento dell’appello.
La causa è stata quindi introitata dal Collegio per la decisione.
4. La Sezione non ritiene che l’appello meriti accoglimento.
Al fine di inquadrare nella giusta prospettiva la vicenda deve premettersi che S****** F********* risultava legato da stretti vincoli di parentela con pregiudicati o affiliati ad una nota e pericolosa famiglia mafiosa (si veda al riguardo il decreto della Corte di Appello di Reggio Calabria, Sezione misure di prevenzione n.13/06) e che era stato condannato con sentenza definitiva per il delitto di cui all’art. 416 bis c.p. a quattro anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Quanto alla risalenza nel tempo della condanna subita, sulla quale molto ha insistito parte appellante, che ha stigmatizzato reiteratamente la mancanza di elementi di concretezza e di attualità nelle informazioni acquisite nella interdittiva antimafia, deve tenersi conto in primo luogo della personalità complessiva del S****** F******* il quale risultava avere rivestito, non compiti marginali o subalterni, ma un ruolo di primo piano e di diretto collegamento con i vertici della cosca di cui era considerato uomo di fiducia per cui, in relazione alla natura e al tipo di intrecci del fenomeno mafioso in un contesto geografico particolarmente difficile, il semplice decorso del tempo non assume un ruolo significativo e determinante per ritenere risolto ogni collegamento con ambienti malavitosi, tanto più tenuto conto degli strettissimi legami di sangue con soggetti pregiudicati o inseriti nella medesima consorteria mafiosa unitamente ad altre circostanze fattuali in vario modo significative, quali la frequentazione con elementi sospetti, in quanto controllato dalle forze dell’ordine nell’agosto del 2009 con soggetto ritenuto affiliato alla “’ndrina” R*****-P**** coinvolto nel traffico di droga, la provenienza delle risorse economiche e l’attivismo nelle iniziative imprenditoriali (alcuni beni immobili della famiglia S***** erano stati confiscati perché provento di attività illecita).
Occorre inoltre ribadire che la revoca della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno disposta nei confronti del medesimo, non aveva effetto retroattivo operando ex nunc, esimendo il sopradetto S****** F***** dallo scontare la sola parte residua della misura in ragione della buona condotta sopravvenuta alla adozione della misura stessa. Ma come osservato negli scritti difensivi della difesa della amministrazione in primo grado e nella stessa sentenza appellata, ancora nel 2006 la Corte di Appello di Reggio Calabria qualificava “..in termini di pregnante attualità il giudizio di pericolosità sociale qualificata del prevenuto il cui temporaneo allontanamento dalle dinamiche criminali della cosa può essere ragionevolmente attribuito alle sue vicissitudini giudiziarie, definite con pronunce definitive solo di recente”.
In tale contesto, la revoca della misura della prevenzione personale, che poi rappresenta l’unico elemento di novità rispetto alla informativa del 2008 rimasta inoppugnata, non assume un valore risolutivo nella vicenda tanto più che, come già sopra cennato, la Corte di appello, se aveva escluso la confisca della società S****** in quanto il tipo di attività svolta non richiedeva l’impiego di capitali sospetti né risultavano elementi per desumere che la società fosse sorta grazie alla personalità del S*******, aveva mantenuto la confisca per altri beni immobili riferibili alla famiglia del S******** e provento di attività illecita per il ruolo imprenditoriale dallo stesso svolto all’interno dell’associazione mafiosa.
Circostanza quest’ultima che, come esattamente osservato dal primo giudice, appare un elemento indiziario significativo in termini di pericolo di ingerenza e condizionamento mafioso di cui necessariamente tenere conto.
Sul fatto, peraltro pacifico in giurisprudenza, che l’elemento parentale non possa da solo essere indice di influenza mafiosa per cui le pregresse responsabilità penali del S****** non potevano ricadere sulla moglie e sul figlio, deve osservarsi che dalla documentazione in atti si evince che non si tratta di un rapporto di mera parentela da parte di soggetti impegnati in attività imprenditoriali non appartenenti o già appartenenti a consorterie criminali, ma di un rapporto continuo di affari in forza del quale la moglie del S***** e il di lui figlio non sembra possa escludersi che siano intestatari fittizi di beni del S********; infatti, contrariamente a quanto sostenuto anche nella udienza di trattazione dai difensori dell’appellante e come si evince anche dagli atti giudiziari depositati, l’impresa, pur mutando veste e forma giuridica, ha mantenuto invariata e compatta negli anni la propria fisionomia (ragione sociale, sede legale, partita iva e altro) lasciando trasparire una divergenza tra la intestazione formale e la disponibilità effettiva del bene che sempre può ritenersi riconducibile al S*******, quest’ultimo peraltro coabitante con la moglie e il figlio, nuovi amministratori della società.
Altri beni immobili come sopra rilevato risultavano formalmente intestati alla moglie e al figlio del S********* e sia il Tribunale che la Corte di Appello, nel rigettare la richiesta di revoca della confisca dei beni, evidenziavano che gli stessi immobili erano il ricavato di investimenti fatti dal S******** con i proventi dell’attività criminale nella cosca mafiosa di appartenenza.
In sintesi la personalità ed i precedenti criminali del S******** F********, le misure di prevenzione adottate nei suoi confronti, i suoi legami parentali, la vicinanza o il contatto con esponenti di cosche mafiose, i rapporti di affari con i gestori e amministratori della società, uniti da vincoli parentali e con lo stesso coabitanti, la provenienza sospetta di alcuni beni del medesimo da attività illecite, fornivano un supporto motivazionale sufficiente alla base della valutazione del Prefetto in ordine alla oggettivo possibile rischio di infiltrazioni e condizionamenti provenienti dalla criminalità organizzata.
Si ricorda al riguardo che l’informativa antimafia non deve provare l’intervenuta infiltrazione o condizionamento essendo questi, un quid pluris non richiesto, ma deve solo dimostrare sufficientemente la sussistenza di elementi dai quali è deducibile il tentativo o il rischio di ingerenza ancor prima del suo concreto realizzarsi (Cons. Stato, VI 8.6.2009 n.349), elementi connessi dunque a situazioni anche solo potenzialmente pericolose per la vicinanza tra l’impresa sottoposta alla valutazione del Prefetto e soggetti ritenuti appartenenti alla criminalità organizzata, nella prospettiva di massima anticipazione della tutela antimafia propria della normativa di riferimento.
5. In conclusione l’appello non merita accoglimento.
6. Nulla spese attesa la mancata costituzione delle amministrazioni.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,
lo respinge.
Nulla spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore
Dante D'Alessio, Consigliere
Alessandro Palanza, Consigliere
Paola Alba Aurora Puliatti, Consigliere
L'ESTENSORE |
IL PRESIDENTE |
|
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 07/05/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.
Corrispondenza tra requisiti di partecipazione e quote di esecuzione nelle a.t.i.
1. “Nelle controversie in tema di gare pubbliche la notificazione del ricorso alla sola impresa capogruppo e mandataria di una costituenda ATI è sufficiente ai fini dell'adempimento delle formalità previste dall'art. 41 c.p.a. (Consiglio di Stato sez. V, 26 giugno 2012, n. 3752)"
2. "In assenza di mandato già conferito per rappresentare l’A.T.I. - tutte le imprese partecipanti all'associazione temporanea debbano sottoscrivere l'offerta, venendo a mancare, in caso contrario, una dichiarazione di volontà essenziale per l'assunzione del vincolo contrattuale, con conseguente compromissione della serietà ed affidabilità dell'offerta stessa (Cons. Stato sez. VI, 14 novembre 2012, n. 5749; Cons. Stato, V, 20 maggio 2008, n. 2380, 17 dicembre 2008, n. 6292, 30 agosto 2005, n. 4413, 19 giugno 2003, n. 3657; VI, 29 maggio 2006, n. 3250)".
3. "Secondo la condivisa ed univoca giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. III, 08 ottobre 2012 n. 5238) la regola dettata dall'art. 37, comma 13, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163 – nella precedente formulazione applicabile alla fattispecie in esame - relativa alla corrispondenza tra quote di partecipazione all' ATI e quote di esecuzione si applica a qualunque settore di appalto (lavori, servizi o forniture).
In particolare l'art. 37 comma 13, d.lg. n. 163 del 2006 con disposizione valida anche per gli appalti di servizi e forniture stabilisce che i concorrenti riuniti in ATI devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento, per cui è evidente che deve sussistere una perfetta corrispondenza tra quota di lavori (o, nel caso di forniture o servizi, di parti di esse) eseguita dal singolo operatore economico e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento, e che vi è la necessità che sia l'una che l'altra siano specificate dai componenti del raggruppamento all'atto della partecipazione alla gara (T.A.R. Brescia Lombardia sez. II, 21 dicembre 2012, n. 2004)"
N. 00993/2013 REG.PROV.COLL.
N. 00002/2013 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Seconda)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2 del 2013, proposto dalla ****** Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv.ti *********, ************* e *************, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo sito in Palermo nella via ******** n°171;
contro
la Presidenza della Regione Siciliana - Dipartimento della Programmazione, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo presso i cui uffici, siti in Palermo nella via A. De Gasperi n°81, è domiciliato per legge;
nei confronti di
*********** Srl, in persona del legale rappresentante p.t., non costituito;
per l'annullamento
- del provvedimento di aggiudicazione definitiva della procedura aperta per l'affidamento del servizio di “accompagnamento all'attuazione della politica di acquisti pubblici ecologici nella Regione Siciliana” - CIG 3739230E32;
- del relativo provvedimento di aggiudicazione provvisoria;
- del diniego di esercizio del potere di autotutela comunicato con nota del 21.9.12;
- nonché per la declaratoria di inefficacia del contratto con conseguente subentro della ricorrente, ovvero, in subordine, con risarcimento del danno per equivalente;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio della Presidenza della Regione Siciliana - Dipartimento della Programmazione;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 5 aprile 2013 il dott. Sebastiano Zafarana e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1.1. Con ricorso notificato il 27/12/2012 e depositato il 02/01/2013 la società ********* S.r.l. ha impugnato gli atti della gara a procedura aperta per l'affidamento del servizio di “accompagnamento all'attuazione della politica di acquisti pubblici ecologici nella Regione Siciliana” - CIG 3739230E32, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta più vantaggiosa.
La domanda di annullamento è stata proposta congiuntamente a quella di eventuale declaratoria di inefficacia del contratto e conseguente subentro nonché, in subordine e per l’ipotesi di impossibilità della chiesta tutela reale, unitamente a quella di risarcimento del danno per equivalente da liquidarsi secondo criteri che la stessa ricorrente società si è riservata di indicare in corso di causa.
1.2. Il ricorso si articola in sei motivi di doglianza con cui, sotto diversi profili, si censurano i vizi: di violazione dell’art.8 del disciplinare di gara; degli artt.37, comma 8, ,42, 46, comma 1/bis, e 48 del D.Lgs.163/2006; di violazione del D.P.R. 445/2000 e del divieto di ribasso sugli oneri per la sicurezza (D.Lgs. 81/2008 e art.87 D.Lgs.163/2006).
Più specificamente, la società ricorrente, deduce l’illegittimità dell’aggiudicazione in favore del RTI ******** in quanto:
a) l’offerta economica sarebbe stata sottoscritta dalla sola ******** S.r.l., società mandataria del costituendo RTI, ma non già dalla società mandante ********* S.r.l.;
b) non sussisterebbe la necessaria corrispondenza tra percentuale di possesso dei requisiti, quota di partecipazione al RTI e quota di esecuzione delle prestazioni tra le due società partecipanti al costituendo RTI risultato aggiudicatario;
c) la mandante *********** S.r.l. non avrebbe adempiuto all’obbligo di dimostrare il possesso dei requisiti di capacità economico e finanziaria e di capacità tecnica e professionale;
d) l’attività dichiarata dalla capogruppo *********** S.r.l non soddisferebbe i requisiti di cui all’art. 8 del bando di gara con riferimento ai servizi considerati analoghi, in quanto nessuno degli interventi da essa indicati mostrerebbe il minimo collegamento con il GPP (green public procurement);
e) l’indicazione di interventi non coerenti con il GPP, comporterebbe conseguentemente la violazione dell’obbligo di verità;
f) infine la capogruppo del costituendo RTI, in sede di domanda di partecipazione, avrebbe indicato che nessun importo è stato computato quale corrispettivo per oneri di sicurezza salvo poi, in sede di offerta economica, averne indicato l’importo nella misura dello 0,5%.
In conseguenza dell’esclusione del costituendo RTI (tra ********* S.r.l. e ********** S.r.l.) dalla procedura di gara, avrebbe dovuto essere dichiarata aggiudicataria la ricorrente ********** S.r.l.
1.3. Si è costituita in giudizio l’amministrazione resistente, ma non la società controinteressata benché ritualmente intimata.
1.4. Alla camera di consiglio dell’11/01/2013 il Collegio ha concesso la richiesta misura cautelare ed ha fissato l’udienza di merito per il giorno 05/04/2013.
1.5. L’amministrazione resistente e la società ricorrente hanno depositato memorie difensive rispettivamente in data 02/03/2013 e 25/03/2013.
1.6. All’udienza pubblica del 05/04/2013, i procuratori delle parti hanno ribadito le rispettive tesi difensive e dopo la rituale discussione il ricorso, su richiesta degli stessi, è stato trattenuto in decisione.
DIRITTO
2. Preliminarmente il Collegio deve occuparsi dell’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dall’amministrazione resistente per non avere, la ricorrente, evocato in giudizio anche la ********** S.r.l., società mandante del costituendo RTI che si è aggiudicato la gara.
L’eccezione è infondata atteso che per costante giurisprudenza amministrativa dalla quale il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, “Nelle controversie in tema di gare pubbliche la notificazione del ricorso alla sola impresa capogruppo e mandataria di una costituenda ATI è sufficiente ai fini dell'adempimento delle formalità previste dall'art. 41 c.p.a. (Consiglio di Stato sez. V, 26 giugno 2012, n. 3752).
Ed infatti, così come è pacificamente ammessa la possibilità di impugnativa da parte di una sola impresa facente parte di un’ATI costituenda in ragione del vincolo che astringe le imprese raggruppande, correlativamente deve ritenersi che la notificazione di un ricorso nei confronti dell’impresa capogruppo e mandataria di una costituenda ATI sia sufficiente ai fini dell'adempimento delle formalità previste dall'art. 41 del cod. proc. amm.
In particolare è stato osservato che: “Anche con riferimento ai raggruppamenti temporanei di imprese non ancora formalmente costituiti, che la legge ha ammesso a partecipare alle gare, vale il principio secondo cui gli adempimenti non specificamente prescritti con riguardo alle singole imprese partecipanti vanno riferiti all'impresa mandataria, quale punto di riferimento unitario del costituendo raggruppamento. Da questo principio, che identifica nell'impresa capogruppo il punto di riferimento unitario di una costituenda ATI e dal suo fondamento giuridico, costituito dall'essere dotata - la capogruppo - di uno speciale potere di rappresentanza conferitole dalle imprese raggruppande attraverso l'impegno a stipulare mandato collettivo speciale (art. 37 comma 8, d.lg. n. 163 del 2006) da intendere, più esattamente, come contratto preliminare di mandato sottoposto a condizione risolutiva nel caso di mancata realizzazione dell'evento dell'aggiudicazione del contratto in favore dello stesso costituendo raggruppamento temporaneo, si deduce che la notifica del ricorso all'impresa capogruppo di un' ATI , si rivela sufficiente al fine dell'esatta instaurazione del contraddittorio e della valida instaurazione del giudizio (T.A.R. Napoli Campania sez. VIII, 01 luglio 2010, n. 16542).
Per le surriferite argomentazioni, l’eccezione risulta infondata.
3. Superata l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’amministrazione resistente, può adesso passarsi all’esame del primo motivo di ricorso con il quale la ********* S.r.l. contesta la violazione dell’art.8 del disciplinare di gara e degli artt.37, comma 8 e 46, comma 1/bis, del D.Lgs. 163/2006 deducendo che l’offerta economica sarebbe stata sottoscritta dal legale rappresentante della sola ******** S.r.l., società mandataria del costituendo RTI, ma non già dal legale rappresentante della società mandante ********** S.r.l.
Il motivo è fondato.
Sul punto la difesa erariale ha concisamente replicato che il legale rappresentante della società mandante avrebbe, invece, sottoscritto e controfirmato a margine tutti gli atti di gara, ivi compresa l’offerta economica, rinviando il Collegio all’esame del documento in parola senza null’altro argomentare al riguardo e senza fornire alcuna specifica puntualizzazione.
Il Collegio, esaminata la documentazione prodotta dall’amministrazione, rileva che l’offerta economica (di cui all’allegato n.9 del fascicolo di parte) risulta sottoscritta per esteso dal solo legale rappresentante della ************ S.r.l. con firma apposta in calce al suo nominativo stampato per esteso e, di seguito, anche in calce al timbro della ************** S.r.l. medesima.
Il dato letterale della normativa vigente (art. 37, comma 8, d.lgs. n. 136 del 2006), confermato da una pacifica giurisprudenza del Consiglio di Stato, depone nel senso che - in assenza di mandato già conferito per rappresentare l’A.T.I. - tutte le imprese partecipanti all'associazione temporanea debbano sottoscrivere l'offerta, venendo a mancare, in caso contrario, una dichiarazione di volontà essenziale per l'assunzione del vincolo contrattuale, con conseguente compromissione della serietà ed affidabilità dell'offerta stessa (Cons. Stato sez. VI, 14 novembre 2012, n. 5749; Cons. Stato, V, 20 maggio 2008, n. 2380, 17 dicembre 2008, n. 6292, 30 agosto 2005, n. 4413, 19 giugno 2003, n. 3657; VI, 29 maggio 2006, n. 3250).
Nel caso specifico non si rinviene, in calce all’offerta economica, né l’indicazione nominativa, né il timbro nè la sottoscrizione riconducibile al legale rappresentante della mandante *********** S.r.l.; rinvenendosi soltanto le sigle (evidentemente) appartenenti ai componenti della commissione di gara, non avendo sul punto la difesa erariale fornito alcuno specifico elemento di prova ai fini di una diversa valutazione del Collegio.
4. Con il secondo motivo la ricorrente ********** S.r.l. deduce la violazione degli artt. 37 e 46, comma 1 bis D.lgs. 163/2006, la violazione dell’art. 8 del disciplinare di gara e la contraddittorietà delle dichiarazioni rese dal costituendo RTI, atteso che non sussisterebbe la necessaria corrispondenza tra la percentuale di possesso dei requisiti, la quota di rispettiva partecipazione e la quota di esecuzione delle prestazioni, delle due società aderenti al costituendo R.T.I. risultato aggiudicatario.
Ciò in quanto nell’offerta economica è dichiarato che la distribuzione dei servizi realizzati è imputabile alla capogruppo per il 60% ed alla mandante per il 40%; mentre nella dichiarazione inserita nella busta “A” è dichiarato che in caso di aggiudicazione sarà conferito mandato speciale con rappresentanza alla società ********** S.r.l. la quale assolverà al 90% dei servizi di cui all’offerta.
Inoltre la ******* S.r.l. lamenta che la mandante ******** S.r.l. ha dichiarato un fatturato globale di circa euro 200/mila che non le consentirebbe di raggiungere la percentuale del 40% dichiarata nell’offerta economica, atteso che a mente dell’art. 8 del disciplinare di gara il 40% del fatturato minimo richiesto (di euro 600/mila) corrisponde ad euro 240/mila.
Anche il secondo motivo è fondato.
La difesa erariale ha innanzitutto argomentato che a seguito delle modifiche apportate al comma 13 dell’art.37 D.Lgs 163/2006 dall’art.1, comma 2-bis, del D.L. 6/7/2012 n.95 (nel testo integrato dalla legge di conversione del 7/8/2012 n.135) l’obbligo di corrispondenza tra quote di possesso dei requisiti di qualificazione e le quote di esecuzione del servizio non potrebbe trovare riscontro in quanto l’obbligo di corrispondenza vale soltanto per lavori pubblici.
Il Collegio nel rilevare che la modifica normativa in argomento è successiva all’aggiudicazione della gara (29/11/2012) osserva che secondo la condivisa ed univoca giurisprudenza del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. III, 08 ottobre 2012 n. 5238) la regola dettata dall'art. 37, comma 13, d.lg. 12 aprile 2006 n. 163 – nella precedente formulazione applicabile alla fattispecie in esame - relativa alla corrispondenza tra quote di partecipazione all' ATI e quote di esecuzione si applica a qualunque settore di appalto (lavori, servizi o forniture).
In particolare l'art. 37 comma 13, d.lg. n. 163 del 2006 con disposizione valida anche per gli appalti di servizi e forniture stabilisce che i concorrenti riuniti in ATI devono eseguire le prestazioni nella percentuale corrispondente alla quota di partecipazione al raggruppamento, per cui è evidente che deve sussistere una perfetta corrispondenza tra quota di lavori (o, nel caso di forniture o servizi, di parti di esse) eseguita dal singolo operatore economico e quota di effettiva partecipazione al raggruppamento, e che vi è la necessità che sia l'una che l'altra siano specificate dai componenti del raggruppamento all'atto della partecipazione alla gara (T.A.R. Brescia Lombardia sez. II, 21 dicembre 2012, n. 2004).
Il motivo di ricorso, sotto questo profilo, è dunque fondato.
La difesa erariale, inoltre, ha replicato che nessuna contraddittorietà sussisterebbe nelle dichiarazioni rese dal costituendo RTI poichè l’amministrazione, legittimamente, non avrebbe tenuto conto della dichiarazione contenuta nella busta “A” atteso che il disciplinare di gara richiede che la divisione delle quote venga indicata soltanto nell’offerta economica, conformemente a quanto previsto dalla normativa vigente; ed ancora la difesa erariale, pur ammettendo che la quota di fatturato globale dichiarato dalla ************ S.r.l. è pari al 33,75%, dunque inferiore rispetto alla quota percentuale di esecuzione del servizio dichiarato nell’offerta economica dalla società medesima (pari, invece, al 40%), argomenta la legittimità dell’operato dell’amministrazione che, anche in questo caso, non avrebbe tenuto conto dello scostamento di tale percentuale poiché ritenuto marginale e dunque irrilevante.
Orbene, in disparte l’assorbente considerazione che l’esame dei verbali di gara non consente di rilevare che l’amministrazione, preso atto di quanto denunziato con il ricorso dalla società ricorrente, abbia scientemente ritenuto di non doverne tenere conto - e si tratta in effetti di giustificazioni postume - il Collegio non può non rilevare che dette difese si appalesano inconducenti in quanto non valgono a superare le censure articolate dalla ricorrente: sia in ordine alla denunziata contraddittorietà tra le dichiarazioni rese nell’offerta economica e nella busta “A” relativamente alla ripartizione delle quote di servizio tra società mandante e capogruppo, atteso che si tratta in entrambi i casi di atti ufficiali di gara la cui contraddittorietà non consente di verificare la serietà ed attendibilità dell’offerta; sia in ordine alla non corrispondenza tra la percentuale di esecuzione del servizio dichiarata dalla ************ S.r.l. rispetto alla quota di fatturato globale (capacità economica), considerato che la determinazione dell’amministrazione di non tenere conto dello scostamento percentuale perché considerato irrilevante (almeno secondo la spiegazione postuma fornita in giudizio), costituisce un arbitraria e illegittima violazione di quanto espressamente previsto dall’art.8 del disciplinare di gara.
Dunque, anche sotto questi ulteriori profili, il motivo di ricorso è fondato e meritevole di accoglimento.
5. Conclusivamente il presente gravame va accolto relativamente ai primi due motivi di ricorso, e conseguentemente devono essere annullati i provvedimenti impugnati; resta assorbita ogni altra questione o censura in quanto irrilevante ai fini della presente decisione.
6. La richiesta di risarcimento del danno non può trovare accoglimento per carenza dei presupposti, trattandosi di danno non attuale ma soltanto potenziale, atteso che in conseguenza dell’annullamento degli atti impugnati l’amministrazione dovrà rideterminarsi in ordine all’aggiudicazione della gara.
7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati.
Condanna l’amministrazione resistente al pagamento, in favore della società ricorrente, delle spese di giudizio che liquida in € 1.500,00 (euro millecinquecento/00) oltre Iva e Cpa.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 5 aprile 2013 con l'intervento dei magistrati:
Filippo Giamportone, Presidente
Carlo Modica de Mohac, Consigliere
Sebastiano Zafarana, Referendario, Estensore
L'ESTENSORE | IL PRESIDENTE | |
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 29/04/2013
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
Sulla valutazione dei precedenti professionali delle imprese concorrenti
"L’art. 38, comma 1, del codice degli appalti stabilisce che “sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti … e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti … f) che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso una grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”.
Come già osservato dalla giurisprudenza (cfr. C.d.S., Sez. V, 15 marzo 2010, n. 1500), la seconda parte della norma in questione consente all’amministrazione di valutare i precedenti professionali delle imprese concorrenti e, quindi, di tenere conto anche di rapporti contrattuali intercorsi con amministrazioni diverse, al fine di stabilire il grado di capacità tecnico-professionale dell’esecuzione della prestazione che forma oggetto del contratto di appalto"
N. 414/13 Reg.Sent.
N. 674 Reg.Ric.
ANNO 2012
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
sul ricorso in appello n. 674/2012, proposto dalla
********************** s.r.l,
in persona del legale rappresentante pro tempore, sia in proprio che quale capogruppo mandataria della costituenda ATI con l’impresa mandante ***** s.r.l., rappresentata e difesa dall’avv. ******** ed elettivamente domiciliata in Palermo, via ********, n. 94, presso lo studio dell’avv. **********;
contro e nei confronti di
1) - COMUNE DI MAZZARINO, in persona del sindaco pro tempore, non costituito in giudizio;
2) - ASSESSORATO REGIONALE DELLE INFRASTRUTTURE E DELLA MOBILITÀ, in persona del legale rappresentante pro tempore e U.R.E.G.A. - SERVIZIO PROVINCIALE DI CALTANISSETTA, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo presso i cui uffici sono per legge domiciliati in via A. De Gasperi, n. 81;
3) - Impresa ******** ******, in persona del legale rappresentante pro tempore e omonimo titolare, rappresentata e difesa dagli avv.ti ******* e ******** ed elettivamente domiciliata in Palermo, via ***********, n. 6, presso lo studio dell’avv. *********;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia, sede di Palermo, sez. int. III, n. 1308 del 26 giugno 2012;
Visto il ricorso in appello di cui in epigrafe;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Avvocatura dello Stato per le amministrazioni appellate;
Visto l’appello incidentale proposto dall’impresa *********;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore il Consigliere Guido Salemi;
Uditi, altresì, alla pubblica udienza del 6 marzo 2013, l’avv. ********, su delega dell’avv. ********, per la società appellante, l’avv. dello Stato ********* per le amministrazioni appellate e l’avv. *******, su delega dell’avv. *******, per l’impresa appellata;
Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
F A T T O E D I R I T T O
1) - Il Comune di Mazzarino indiceva un bando di gara per l’affidamento dei “lavori di manutenzione straordinaria e di adeguamento alle norme di sicurezza antincendio” nella scuola elementare “Madonnuzza”.
Con provvedimento del 21 ottobre 2011, la stazione appaltante aggiudicava l’appalto alla ditta **********, individuando quale seconda in graduatoria il R.T.I verticale costituendo tra l’impresa capogruppo “************************ s.r.l.” e l’impresa mandante “************ s.r.l.”
Queste ultime impugnavano innanzi al T.A.R. della Sicilia, sede di Palermo, il provvedimento di aggiudicazione.
L’impresa controinteressata proponeva ricorso incidentale.
2) - Con sentenza 1308 del 26 giugno 2012, il T.A.R. respingeva sia il ricorso principale che quello incidentale.
3) - Esaminando preliminarmente il ricorso incidentale, il T.A.R. respingeva i motivi di censura, osservando:
a) - quanto al primo motivo, che la dichiarazione di cui all’art. 38, comma 1, lett. b), del Codice dei contratti, resa dal direttore tecnico della società **************, soddisferebbe il contenuto della norma medesima nella misura in cui l’aver egli dichiarato “che nei propri confronti non è stata disposta la misura di prevenzione della sorveglianza di cui all’art. 3 della L. 27 dicembre 1956 n. 1423 o di una delle cause ostative previste dall’art. 10 della L. 31 maggio 1965, n. 575” oltre che “nei propri confronti non è pendente un procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza di cui all’art. 3 della L. 27 dicembre 1956 n. 1423” varrebbe anche a escludere la ricorrenza delle cause ostative ex art. 10 della L. n. 575 del 1965;
b) - quanto al secondo motivo, che, ove le previsioni del bando richiedano l’iscrizione alla Cassa edile, tale onere deve intendersi riferito alle sole imprese che partecipino alla gara in forme diverse dall’associazione di tipo verticale;
c) - quanto al terzo motivo, che l’espressione dell’offerta economica in cifra percentuale di ribasso con quattro cifre decimali, imposta dalla lex specialis, non è assistita espressamente dalla sanzione espulsiva.
4) - Il T.A.R. respingeva, poi, i motivi di censura contenuti nell’appello principale, osservando:
a) - quanto al primo motivo, che le circostanze sottese alle due pregresse vicende contrattuali, che si erano concluse con la risoluzione dei relativi contratti di appalto, inducevano a dubitare dell’accertata commissione, da parte dell’impresa controinteressata, di un errore grave nell’esercizio dell’attività professionale rilevante ai fini della violazione dell’art. 38, comma 1, lett. f), del D.Lgs. n. 163/2006, senza contare che, sempre secondo il T.A.R., la regola in questione valeva unicamente se il grave errore e la negligenza fossero stati commessi nei rapporti intercorsi con la “stessa” Amministrazione aggiudicatrice.
b) - quanto al secondo motivo, che l’erronea trasmissione della richiesta dell’informativa antimafia a Prefettura diversa da quella competente individuata in base alla sede legale dell’impresa, si risolveva in un mero errore formale che non incideva sulla legittimità della richiesta, in quanto era ragionevole supporre che la Prefettura di Caltanissetta, erroneamente destinataria, ne doveva aver fatto inoltro a quella territorialmente competente di Agrigento, essendo entrambe organi periferici dello stesso ministero dell’interno;
c) - quanto al terzo motivo, che la sua infondatezza derivava dall’applicazione del principio di tassatività delle clausole di esclusione di cui all’art. 46, comma 1-bis del D.Lgs. n. 163 del 2006.
5) - Le due imprese hanno proposto appello avverso la summenzionata sentenza.
6) - Si è costituita in giudizio l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Palermo la quale ha chiesto che l’Urega - Sezione provinciale di Caltanissetta sia estromessa dal giudizio per carenza di legittimazione passiva.
7) - Alla pubblica udienza del 6 marzo 2013, gli appelli sono stati trattenuti in decisione.
8) - In via preliminare va disposta l’estromissione dal giudizio dell’Urega di Caltanissetta per difetto di legittimazione passiva. In base all’indirizzo esegetico assunto da questo Consiglio (cfr., di recente, la decisione 20 dicembre 2012, n. 1236) il sistema delineato dagli artt. 7-ter della L. n. 109/1994 nel testo vigente in Sicilia, e 10 del D.P.R.S. 14 gennaio 2005, n. 1 (regolamento per il funzionamento dell’U.R.E.G.A.) assegna all’Urega il compito di formulare una proposta di aggiudicazione; siffatta proposta, però, ha il valore di un atto endoprocedimentale privo di rilevanza esterna, giacché destinata a essere assorbita dal provvedimento di aggiudicazione definitiva, di spettanza dell’amministrazione che ha indetto la procedura.
10) - Può, quindi, procedersi all’esame del merito della controversia.
11) - La società ******* ha riproposto il primo e il terzo motivo del ricorso incidentale.
11.1) - In particolare, con il primo motivo, si sostiene che la dichiarazione del sig. ***************, direttore tecnico della ****************** (secondo cui “nei propri confronti non è pendente un procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza di cui all’art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423”) è incompleta, poiché manca del pur dovuto riferimento all’inesistenza di procedimenti pendenti per l’applicazione di una della cause ostative previste dall’art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575.
Il motivo di appello è infondato.
L’inciso che secondo l’appellante sarebbe stato omesso in realtà è presente, avendo lo Sciandra fatto specifico riferimento all’assenza di “una delle cause ostative previste dall’art. 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575”.
11.2) - Con il secondo motivo si sostiene che il giudice di prime cure avrebbe errato nell’assumere che l’espressione dell’offerta economica in cifra percentuale di ribasso con quattro cifre decimali imposta ”obbligatoriamente” dalla lex specialis non è, tuttavia, assistita espressamente dalla sanzione espulsiva.
Il motivo di appello è infondato.
A prescindere dalla circostanza che non risulta dal bando di gara la volontà di sanzionare con l’esclusione l’inosservanza della suesposta modalità di presentazione dell’offerta, è incontrovertibile, siccome conforme a un pacifico principio giurisprudenziale, l’affermazione del T.A.R. secondo cui v’è equivalenza (sia ai fini aritmetici che giuridici) di un ribasso percentuale espresso con un numero di decimali pari a quattro o inferiore a quattro. Ciò perché la cifra, o le cifre, che seguono l’ultima indicata - diversa da zero - valgono comunque zero e sono automaticamente individuate come tali sino alla concorrenza del numero delle cifre decimali (C.d.S., Sez. V, n. 3311 del 2010 e T.A.R. Friuli Venezia Giulia, I, n. 611 del 2008).
12) - La società appellante principale *************** ha riproposto i primi due motivi di censura.
Il primo motivo di appello è fondato.
L’art. 38, comma 1, del codice degli appalti stabilisce che “sono esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti … e non possono stipulare i relativi contratti i soggetti … f) che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso una grave negligenza o malafede nell’esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara; o che hanno commesso un errore grave nell’esercizio della loro attività professionale, accertato con qualsiasi mezzo di prova da parte della stazione appaltante”.
Come già osservato dalla giurisprudenza (cfr. C.d.S., Sez. V, 15 marzo 2010, n. 1500), la seconda parte della norma in questione consente all’amministrazione di valutare i precedenti professionali delle imprese concorrenti e, quindi, di tenere conto anche di rapporti contrattuali intercorsi con amministrazioni diverse, al fine di stabilire il grado di capacità tecnico-professionale dell’esecuzione della prestazione che forma oggetto del contratto di appalto.
La fondatezza del primo motivo di appello consente di non esaminare l’ulteriore motivo che può, pertanto, essere dichiarato assorbito.
13) - In conclusione, per le suesposte considerazioni, l’appello principale va accolto, mentre quello incidentale va respinto e, in riforma della sentenza appellata, va accolto il ricorso proposto in primo grado dalla società appellante.
Circa le spese e gli altri oneri del doppio grado di giudizio, gli stessi sono posti a carico dell’impresa ******** e sono liquidate a favore dell’appellante principale e dell’Urega di Caltanissetta nella misura indicata in dispositivo.
P. Q. M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sici-liana in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, previa estromissione dal giudizio dall’Urega, accoglie l’appello principale, respinge l’appello incidentale e, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso proposto in primo grado dall’impresa ************************* s.r.l.
Condanna l’impresa ******* al pagamento in favore dell’appellante e dell’Urega di Caltanissetta delle spese, competenze e onorari dei due gradi di giudizio che liquida rispettivamente in € 3.000,00 (euro tremila) e in € 1.000,00 (euro mille).
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo, addì 6 marzo 2013, dal Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio con l'intervento dei Signori: Guido Salemi, Presidente f.f. ed estensore, Vincenzo Neri, Marco Buricelli, Giuseppe Mineo, Alessandro Corbino, Componenti.
F.to Guido Salemi, Presidente f.f. ed estensore
Depositata in Segreteria
29 aprile 2013